Cavaliere o pedone?

di Paolo Di Marco

Del lestofante testè morto tutti ricordano l’aspetto esteriore e gli atteggiamenti da guitto ma pochissimi (il solo Fatto) le malefatte; e anche qui con molta discrezione e tutti i distinguo (“la magistratura ha sempre archiviato”…).
E invece mi sembra buona occasione per ricostruire un pezzo significativo di storia patria con tutti i suoi intrecci espliciti e sotterranei.
1- breve cronaca
Il padre lavora in una piccola banca (Rasini) che si diceva (fonte Sindona) essere avamposto dei ricicli mafiosi; ma ha anche contatti col mondo della borghesia milanese a cui piace tenere i soldi in Svizzera (vizietto che in quegli anni era assai diffuso);
Quando il piccolo si mette in affari immobiliari -con Milano 2 opera più nota- i soldi arrivano tramite quelle fonti (v. Travaglio et al, ‘L’odore dei soldi’, più recentemente su Il Fatto gli audioarticoli della biografia; sempre sul Fatto l’art di Marco Lillo). Soci principali dell’Edilnord sono Rasini e Rezzonico, commercialista svizzero.
Colla collaborazione di don Verzè (poi sospeso a divinis) nel ’68 compra i terreni di Segrate; su una parte sorgerà il San Raffaele, sull’altra Milano2; corrompendo dirigenti e piloti Alitalia per spostare le rotte degli aerei che rendevano i terreni privi di valore. Questa volta gli occulti finanziatori svizzeri tirano fuori 3 miliardi. Dietro all’operazione compaiono la Privat Credit Bank (controllata da Tito Tettamanti e da Giuseppe Pella), la FiMo (società fiduciaria di Silvio Berlusconi a Chiasso, coinvolta nelle inchieste giudiziarie aperte in diversi paesi europei per riciclaggio di ingenti somme di narcodollari provenienti dalla mafia colombiana e delle tangenti ENI ed Enimont. è coinvolta anche nel caso Kolbrunner), la Interchange Bank (coinvolta nel “caso Texon”, primo grande scandalo finanziario che vede la Svizzera come crocevia del riciclaggio di capitali illegali), la Banca Svizzera Italiana (controllata da Tito Tettamanti, vicino all’Opus Dei e alla massoneria, anticomunista viscerale implicato in scandali finanziari), esponenti della DC svizzera e Giuseppe Pella, esponente della destra democristiana italiana.
Grazie a Previti, il cui figlio è l’avvocato della figlia orfana dei Casati-Stampa, porta via la villa di Arcore che vale miliardi per un tozzo di pane.
Entra progressivamente nell’industria televisiva, prima con emittenti locali poi con una rete, poi coi le tre reti nazionali, inizialmente abusive; i soldi per l’acquisto, dichiarano i pentiti, vengono dal clan Bontate (Bontate e Graviano diventano soci Fininvest): tra il ’77 e l’80 sono 113 miliardi. I Bontate vengono poi fatti fuori dai Corleonesi e sostituiti dai Pullarà.
Tra il ’77 e l’80 il sodalizio con Dell’Utri si attenua: D.U. va da Rapisarda, finanziere legato alla famiglia Caruana-Contrera, i monopolisti del traffico di droga col SudAmerica-e anche per questo immuni alla guerra tra le bande mafiose, poi nell’80 torna con B; fondano Publitalia e Fininvest. Si legano nel contempo a Carboni, in Sardegna, che ha legami con Calvi e il clan Calò, da cui rilevano attività e terreni in Costa Smeralda.
Quando Fininvest esce allo scoperto con B. alla sua testa (prima si presentava come consulente) richiama l’attenzione della Guardia di Finanza, che viene tamponata comprando il capitano Berruti; ulteriori visite vengono deviate ricorrendo ai buoni uffici di un nuovo amico, Craxi. A questo si aggiunge il rapporto con Gelli e la P2 (tessera 1816), che favorisce i finanziamenti della banche da loro controllate, MPS e BNL.
Compra prima il Giornale poi la Mondadori (dopo uno scontro con De Benedetti risolto in via giudiziaria comprando i giudici); le sue televisioni vengono prima autorizzate a trasmettere su tutto il territorio nazionale, poi a portar via alla RAI programmi e conduttori di prestigio (M. Bongiorno passa da 52 a 600 milioni annui) e acquistano un peso notevole sia nell’intrattenimento sia nell’opinionismo e nel giornalismo. Si consolida uno stretto legame col Vaticano, con buona sintonia con Woytila e fortissimo legame col segretario di stato card Ruini.
Nel ’93 Dell’Utri inizia a preparare prima ed organizzare poi un partito il cui programma è modellato sul Piano di Rinascita Nazionale di Gelli e la cui struttura riprende quella aziendale di Fininvest. I pentiti più volte (v. Processo di Firenze) indicano B e D.U come i referenti politici e beneficiari della campagne di bombe del ’93, dai Georgofili a Milano e Roma. Dell’Utri sarà poi condannato per concorso esterno in mafia, B. archiviato, entrambi poi inquisiti nell’indagine di Firenze
Nel ’94 il partito di B vince le elezioni, alleandosi con la Lega al Nord e coi missini al Sud, anche grazie ai 4 milioni di voti che la TV di B. ha spostato da sinistra a destra.
Governa in più riprese, fa cadere Prodi comprando deputati e senatori, poi sostiene la sua maggioranza sempre con una campagna acquisti tanto disinvolta quanto pubblica. Dulcis in fundo, D’Alema nel ’98 lo dichira ufficialmente pilastro dell’Italia chiamandolo a partecipare a una bicamerale per le riforme; due anni dopo lo stesso si dimette inspiegabilmente dopo le elezioni amministrative lasciando passo libero alla destra.

2- giochiamo a ‘unisci i puntini’
-Il primo puntino riguarda la mafia, che va subito spogliata degli abiti demoniaci che le vengono cuciti addosso: non perchè non sia demoniaca, ma perchè gli abiti sono ingannatori, la fanno sembrare un’apparizione a lato, un estraneo. E invece quanto sappiamo (ricordiamo i rapporti Guarrasi/mafia-Cuccia/Mediobanca, le loro periodiche passeggiate) e quanto qui abbiamo accennato (i fondi e finanzieri svizzeri che gestiscono insieme i soldi della borghesia milanese e quella di trafficanti di droga della mafia ad esempio) ci dice che da tempo non si può fare distinzione: tra capitali borghesi e capitali mafiosi non ci sono barriere nè porte, nemmeno cancelletti. Entrambi giocano nello stesso campo, entrambi hanno imparato a controllare il proprio territorio, con metodi alla fin fine non tanto diversi (ricordiamo i cannoni di Bava Beccaris..), entrambi si destreggiano coi vari livelli dello stato. In fondo questo mi diceva nel ’68 Idomeneo Barbadoro quando, anni prima di Falcone, raccontava che in Sicilia, se vuoi capire, devi seguire il denaro (in quel caso le vicende dell’Ente Minerario Siciliano..guarda caso protagonista Guarrasi). Ma la mafia non può essere presa isolatamente anche in un altro senso: a partire dall’armistizio del ’43, mallevadori Eisenhower e il trio Galvano Lanza di Trabia, il suo amministratore ‘don’ Calogero Vizzini, il suo amico Vito Guarrasi, i patti sono chiari: alla mafia viene garantita la ricostituzione del potere sull’isola, lo sviluppo degli affari in tutta Europa anche a spese dei marsigliesi, il ristabilimento dei legami oltreoceano di Lucky Luciano; in cambio la Sicilia deve diventare una portaerei americana, pronta, su indicazioni di Guarrasi, a intervenire per ristabilire l’ordine americano. Da piazza Fontana a Bologna ai Georgofili le bombe della mafia obbediscono puntuali. Ma anche la mafia cresce e cambia: se in Sicilia rimane il classico controllo del territorio-a cui si aggiungono i territori controllati da Ndrangheta e Camorra con cui si stabilisce una proficua alleanza, lasciando ai nigeriani e albanesi il ruolo di carrettieri della droga- l’espansione al nord non è più nell’economia ‘illegale’ ma diventa investimento di capitali in senso lato, vettori Guarrasi e Cuccia in Italia, altri mediatori nel resto del mondo, dalla Svizzera alla Germania al Sud America.
-Come scrive Barbacetto, ‘Nel biennio 1992-’93 l’Italia vive una grande trasformazione politica ed economica, nel contesto della profonda mutazione geopolitica internazionale (la fine della Guerra Fredda). Molti poteri, italiani e non, cercano di incunearsi in questa svolta storica e provano a pilotarla per i propri interessi: la massoneria tenta di sostituirsi ai partiti morenti; Cosa nostra va a caccia di nuovi referenti e tratta nuovi equilibri con lo Stato; le centrali economiche internazionali provano a influire sulla metamorfosi del sistema italiano; alcuni imprenditori portano a casa a prezzi di saldo pezzi dell’industria di Stato. Ma non c’è alcun complotto. Gli Stati Uniti, molto attenti a ciò che accade in casa nostra fin dal dopoguerra, tengono sotto osservazione l’evoluzione italiana, ma con maggiore distacco rispetto a prima, quando il nostro Paese era terra di confine tra i due blocchi e la Dc era blindata al governo e improcessabile. Dopo l’implosione dell’impero sovietico, gli americani lasciano che l’Italia segua il suo destino. E le indagini di Mani pulite possono decollare.’ Largamente vero ma non del tutto; mancano due piccoli particolari: il primo puntino è il discorso di Draghi sul Britannia nel ’92, in cui promette la privatizzazione delle imprese pubbliche e lo smantellamento dello stato sociale (inclusa la distruzione del sistema sanitario pubblico come passaggio necessario per la creazione di una disponibilità finanziaria delle assicurazioni salute private); una nota apparentemente marginale del suo discorso rileva che in Italia però non c’è una Thatcher; l’altro puntino sono le bombe a Firenze, Milano e Roma del ’93, che i pentiti di mafia ripetutamente attribuiscono vuoi alle richieste dirette di B vuoi ad accordi tra lo stesso e i capi, coi Graviano&c convinti di aver fatto un ottimo affare. E appare improbabile che la mafia si muova sul piano nazionale, e in più a livello politico, senza ordini d’oltreoceano. La coincidenza del percorso di B colle tappe e gli obiettivi del Piano di Rinascita Nazionale di Gelli non significa che B sia un esecutore del PRN e della galassia che gli ruota intorno, quanto che entrambe, G e B, seguono la stessa logica.
-L’’ultimo puntino è ovviamente la dissoluzione del sistema dei partiti seguito a Mani Pulite: spariscono DC, PSI, PRI e PLI, cioè l’architrave e i muri dell’edificio; il PCI/PDS, toccato solo marginalmente a Milano, gongola. Anche se non c’è più il muro e D’Alema e soprattutto Napolitano sono in buoni rapporti cogli americani, la situazione per loro non è positiva. Ma torniamo al discorso di Draghi: per gestire il rovesciamento degli equilibri economici e sociali che la linea delle privatizzazioni occorre un governo auterovole ma soprattutto con un orientamento culturale opposto a quello del nuovo PDS.

3- la grande reazione culturale
In un anno viene cresciuto un partito/bebè mostruoso, che alle prime elezioni, insieme agli alleati Lega e AN, prende il 42% dei voti e il governo, un risultato improbabile e anche impensabile per i comuni mortali. Sul piano culturale l’Italia cambia ancora, e le televisioni di B (e poi i giornali) ne rappresentano la nuova faccia; l’elemento forse più significativo è però il blocco sociale che vi sta dietro e di cui vuole essere l’espressione: la coalizione fra tre grandi proptagonisti: la finanza internazionale che scorazza a proprio piacimento, gli industriali che colla dissoluzione dello stato-imprenditore si trasformano in rentiers, e la piccola borghesia- dagli affittacamere agli intermediari ai commercianti agli artigiani; un blocco sociale che richiama quello che aveva portato al potere prima Hitler poi Mussolini e che si agevola della sparizione della classe operaia tradizionale e di quello che una volta si chiamava movimento operaio; e paradossalmente si nutre dei venti culturali del postindustrialismo e della sensazione, non ancora consapevolezza, che il tempo del lavoro obbligato è finito; ma che, usato all’opposto del suo significato reale, diventa elogio dell’evasione e della pigrizia e scomparsa della morale. Un percorso abilmente incarnato in un personaggio solo.       In un ruolo che è complesso nella sua molteplicità.                                                                  La prima faccia rimanda direttamente al thatcherismo: c’era un accordo tacito in Inghilterra come in Italia tra movimento operaio e capitale, un accordo nato da noi durante gli anni del boom economico degli anni ’60:  (in Inghilterra assai prima): noi rinunciamo alle pretese rivoluzionarie e voi in cambio ci garantite condizioni di vita dignitose e opportunità di buone carriere per i nostri figli (quello che si un tempo chiamava socialdemocrazia); quando il capitale finanziario diventa il motore della progettata unificazione europea Draghi nel discorso sul Britannia annuncia la rottura di quel patto, con la trasformazione dei beni comuni in terreni di caccia al profitto (ripercorrendo la via di quella recinzione delle terre comuni che era stata alle origini dell’accumulazione originaria inglese). Inizia una guerra di classe di cui oggi vediamo gli ultimi sviluppi: riduzione del peso economico del lavoro salariato, estensione a dismisura del precariato, eliminazione di fatto della tassazione del capitale e anche del lavoro autonomo (sigillando materialmente il patto politico tra capitale finanziario e piccola borghesia). È come quando B compra la villa Casati Sforza: contro un valore di 3 miliardi (è la cifra a cui la usa come garanzia) paga sulla carta 400 milioni; ma non soldi bensì con azioni di società immobiliare non quotate in Borsa, di fatto carta straccia. Quando l’erede Casati chiede di riscattarli B acconsente..ma alla metà del valore, quindi 200 milioni. È l’ingordigia che non ha più freni. Lo stesso faranno i Benetton con le autostrade: Prodi gli regala un bancomat coll’impegno di una minima manutenzione e loro non fanno neppure quella. E così i governatori PD o FI delle regioni: si accordano colla ndrangheta per le opere pubbliche e poi legiferano anche i permessi di costruire sui greti dei torrenti il giorno dopo le alluvioni. Ogni freno inibitorio è sparito (una della frasi famose dei luogotenenti di B prima di andare al governo fu ‘non faremo prigionieri’). Ovviamente perchè erano sparite le forze che dei freni dovevano rappresentare la forza motrice: sindacati e partiti della sinistra. A quello che era il PCI si sostituisce la fusione tra quel che resta del PCI e quel che resta della DC: un animale che sembra preso dallo zoo di animali fantatici di Borges e Casares; là c’era il mirmicoleone, col il corpo da leone e la testa da formica, che moriva subito dato che la piccola testa non poteva nutrire il corpaccione; qui c’è il millepiedi a gambe indipendenti, che si agita molto ma non riesce mai a muoversi.                                                                                                           La seconda faccia è la costruzione di un’immagine del mondo condivisa funzionale a questa trasformazione sociale: le televisioni di B prima e poi tutte nel loro complesso svolgono questo ruolo, così come Mike Bongiorno aveva traghettato l’Italia provinciale e frugale a una visione disneyana dell’ascesa sociale. C’è una continuità tra personaggi e movenze e discorsi televisivi e quello che avviene nel quotidiano negli uffici e nelle strade, un uniformarsi progressivo di valori e immagini della realtà. La politica estera di B appare la più progressiva degli ultimi decenni: gli accordi con la Libia echeggiano il Mediterraneo di Mattei, l’amicizia con Putin esplicita quello che Germania e Grancia sognamo di nascosto: un’Europa espansa a oriente capace di contrastare il moloch americano. Ma che sia teatro e non realtà si vede quando gli americani fan fuori Gheddafi, e ora quando con l’Ucraina seppelliscono definitivamente il sogno nascosto tedesco senza che nessuno abbozzi una reazione. Ma ormai in Italia non esiste più informazione, con un Giornalino dei Piccoli unificato che la piccola borghesia che ancora legge sventola quando fa caldo. Murió el actor, sigue la farsa.  Difficile immaginare come rovesciare questo processo, ma questo non ci impedisce di cominciare a toglierci dal naso gli occhiali rosa che ci hanno conficcato a forza.

6 pensieri su “Cavaliere o pedone?

  1. Eppure, letta questa accurata ricostruzione storica della carriera e delle malefatte del signor B., quasi con desolazione e non per sciocca provocazione, viene da chiedersi: ma a che è servito che singoli studiosi attenti ai fatti li annotassero, li studiassero, mostrassero legami e complicità con poteri forti o occulti?

    Sto leggendo poi altre analisi che sottolineano del signor B. la grande capacità di influire sull’immaginario di massa. E mi viene da pensare a quanto questo strapotere spettacolare riesca a distrarre dai fatti.

    P.s.
    1. Un’analisi dello storico Claudio Vercelli sul berlusconismo:

    il testo di Claudio Vercelli sul berlusconismo:
    FARE I CONTI – I conti con Silvio Berlusconi li faremo a lungo. Soprattutto, più avanti, quando l’intelaiatura culturale che ha costruito per durare nel tempo, produrrà definitivamente i suoi effetti. Televisioni, corpi di donne, denari (come anche l’assenza di essi), potenza (e impotenza), calcio, tifoseria, partigianeria, fideismo, qualunquismo e quant’altro sono tutti elementi, tanto per capirci, che vanno ben oltre un determinato campo politico, semmai tracimando potentemente sul resto della società. Berlusconi aveva compreso, fin dalla seconda metà degli anni Settanta, come una partita – al medesimo tempo civile e politica – si giocasse sulla capacità di colonizzare l’immaginario collettivo. Era, per alcuni aspetti, il campo della stessa sfida dei comunisti (non a caso, anche da ciò, il suo anticomunismo ontologico, ovvero esistenziale, trattandosi di una guerra, tra opposte concezioni del mondo, per il medesimo obiettivo). Con la fondamentale differenza che i primi esortavano, allora, alla misura, al contegno e quindi alla francescana rinuncia («austerity»). per costruire la propria egemonia di «classe». Mentre il secondo, in ciò accompagnato da altri crescenti (e poi onnipresenti) protagonisti della scena pubblica, comprendeva che i tempi stavano mutando: non si stava andando verso una “nuova società”, ancora di radice industriale ma – piuttosto – verso una radicale trasformazione della sua composizione, destinata quindi a mutare quello che, fino ad allora, era invece stato l’indirizzo di fondo. Nel nome, pertanto, del desiderio di essere affluenti e indifferenti, quindi consumatori individuali piuttosto che produttori collettivi, quindi cittadini. Silvio Berlusconi non lo si potrà quindi archiviare con la sua sola morte. Poiché l’immagine del suo corpo, da vivo come anche da defunto, è l’essenza stessa di ciò che chiamiamo con il nome di «berlusconismo». Un sistema di potere patriarcale che si fonda su una profonda istanza antropologia. Ciò di cui andiamo parlando non sono quisquilie e pinzillacchere ma un modo di affrontare la vita che va ben oltre colui che ne è stato, nella sua empirica concretezza, il maggiore esponente. Il «cavaliere» di Arcore ha infatti celebrato la fine della politica come azione collettiva, altrimenti tale perché impegnata a redistribuire quella strana e impalpabile – ma onnipresente – essenza che chiamiamo, per l’appunto, con il nome di «potere». (Ossia, la ricchezza, quindi la capacità di accumularla). Del quale lui medesimo, per più aspetti, ne è stato componente, ma fino ad un certo punto. All’aristocraticismo del capitalismo familista italiano, tale già dalla seconda metà del XIX secolo, ha contrapposto il plebeismo della sua oscura ascesa. Alla rete di rapporti solidificati tra famigli e sodali, ha contrapposto la moneta, molto americana, del «self-made-man». Quest’ultima, essenzialmente, è stata una costruzione ideologica. Quindi, proprio come tale, nella sua intrinseca debolezza, capace di colonizzare l’immaginario collettivo. Poiché, nel qual caso, non vincono mai le cose concrete, così poiché verificabili, bensì le suggestioni immaginifiche. In sostanza, l’oscuro individualismo del demiurgo prometeico di contro alla cristallizzazione dei ruoli tra risaputi e riconosciuti potenti. Persone o gruppi quali questi ultimi siano concretamente. Ha saputo quindi giocare una “guerra di movimento”, di contro a quella di “posizione”. Il suo tempo era trascorso ben prima che dipartisse. In quanto era rimasto ancorato alla nostalgia solipsista per gli anni Ottanta, quando già stavamo diventando “poveri” pensandoci invece come “ricchi”. In fondo, il suo sodalizio con Bettino Craxi non è venuto meno con la morte di quest’ultimo. Li univa – semmai – una profonda visione della società, basata sull’inessenzialità della mediazione politica, sostituita sulla centralità del leader auto-referenziato. Ha scritto al riguardo Giulia Blasi: «Berlusconi non ha certo inventato il maschilismo: lo ha sfruttato e cavalcato riducendo l’onda lunga della liberazione sessuale a una risacca popolata di soubrette scollate e barzellette loffie. Se c’è riuscito è perché la maggioranza della popolazione non vedeva l’ora di uscire dalla sfida presentata dai femminismi e dalla rivolta visibile, tangibile delle donne per ricondurre tutto a uno status quo ante in cui ognuno occupava il posto che gli era stato attribuito dalla società patriarcale. E chi era più patriarca di Silvio, due volte marito (due e mezza, se si conta il semi-matrimonio con Marta Fascina), cinque volte padre, molteplici volte nonno e almeno una bisnonno, gioviale padrone di un impero, figura autorevole per moltissimi e aspirazionale per milioni?»

    2. Un’analisi del linguista Raffele Simone sull’influenza del linguaggio di Berlusconi (Nota. Per leggere bene il testo ingrandire con lo zoom) :

  2. Converrà che inizi a mettere un pò di trattini tra i puntini, così da chiarire meglio le implicazioni del discorso. E lo faccio direttamente nel testo.

  3. Davvero una ricostruzione informata del percorso di B. soprattutto per i “complici” che lo hanno usato/sostenuto. Quello che ha provocato nella gente, soprattutto attraverso la destrutturazione (benvenuta!) della tv pubblica (infatti non ho mai guardato i programmi mediaset, ma certo è saltato per aria l’untuoso conformismo subalterno della ex-raitv) è stata la frammentazione individualistica sciocca e presuntuosa dei vecchi popoli cattolici e di sinistra. Al neoliberismo di oggi B. ha spazzato il terreno permettendogli di insediarsi.

  4. mah… non ho visto con l’arrivo delle tv mediaset nessuna sorta di miglioramento, se non il potenziamento di forme di distrazione di massa, sdoganati lustrini- abbellimento e, stessa minestra, scene di violenza ad ogni ora…TG farsa alla Emilio Fede e via di seguito sulla scia dell’illustre dio-promotore…e si’, sdoganato il neoliberismo

    1. più che miglioramento in mediaset rispetto alla rai (figurarsi!) ho rilevato che è saltato il “conformismo subalterno” della vecchia RAI. Quanti scemeggiati ho visto da ragazzina al bar in cui si andava, quando pochissimi possedevano un apparecchio tv! in meglio? forse, in parte: film, dibattiti politici più realistici, inchieste…

  5. “Draghi sul Britannia nel ’92, in cui promette la privatizzazione delle imprese pubbliche e lo smantellamento dello stato sociale (inclusa la distruzione del sistema sanitario pubblico come passaggio necessario per la creazione di una disponibilità finanziaria delle assicurazioni salute private)” (P. Di Marco).

    Non dimentichiamo però la complicità della sinistra (Prodi in primis) con la SVENDITA dei ‘gioielli di famiglia’ e la successiva svendita dell’Italia penalizzata pesantemente nel cambio Lira-Euro.
    Non dimentichiamo nemmeno la famosa espressione di Giovanni Agnelli quando, nel periodo dalemiano, sostenne che i suoi affari di destra li portava avanti meglio attraverso governi di sinistra.

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