Su tristezza, civiltà, vita

di Franco Nova

E’ TRISTE MA VERO

Ogni prato è cosparso di fiori,
uccelli e uomini lontani cantano,
la serenità sembra ricoprire
ogni lembo di quella pianura.
Natura e animali sono così,
tutto è sincero e abituale, ma
è solo superficie, piacevole,
senza profondità nell’anima.
Non c’è alcun bisogno simile,
solo una donna capace di capire
chi sei e i tuoi bisogni interiori.
Nulla di simile esiste per me,
solo disattente parole gentili,
poi corro al fiume a lavarmi
d’ogni speranza d’emozioni.
M’attende solo una compagnia
incapace di dare vera amicizia,
accontentiamoci d’un seguito
di sorrisi e allegre gentilezze.
Concentriamoci sull’esser soli,
si provi a pensare a qualcosa
di soltanto utile per un giorno,
non siamo considerati individui,
solo un generico essere umano.
Si rinunci alla vera amicizia
con tristezza priva d’illusione.
DAL SELVAGGIO ALLA CIVILTA’; E’ L’UOMO

Se camminassimo per valli e boschi solitari
sarebbe massimo il piacere del fresco e silenzio;
dopo un po’ la mente si metterebbe a protestare,
ma è forse questa l’intelligenza dell’uomo?
Nessuna parola, meno ancora comunicazione,
puro pensiero solitario immerso nell’ombra?
No, è la fine del selvaggio senza alti pensieri,
solo capace di interazione con l’ambiente.
Gli uomini veri sono strutturati socialmente,
i loro pensieri interagiscono tutti insieme;
e nel combaciare o nel contraddire è la forza
che apre varchi non nel mondo dove cammini,
ma in quello del complesso impasto chimico
da cui tu apri ben più di una direzione
del viaggio che ti porterà in altro mondo.
Non quello della speranza di vita eterna,
ma di apertura a possibilità incredibili
di godimento della vita in questo mondo;
breve sì ma sempre nuovo per chi succede.
Sii bravo padre e darai il nuovo al figlio,
spegnendo l’egoismo d’essere il primo;
e sentirai l’ammirazione del figlio per te.
Questa la normale evoluzione del benessere,
per nulla effetto solo materiale. E la rovina?
La presunzione del figlio che ruba la scoperta
al padre o anche il comportamento inverso.
La successione deve essere benevolenza;
e così la civiltà evolve e si lancia nelle
mille aperture di questo mondo terreno
per chi si addestra con fatica a vederle.



QUESTA E’ LA VITA; ACCETTIAMOLA

Lo scampanio a festa esalta e ristora
ma sono molti a sentirsi dimenticati.
I morti forse accettano la festa sonora;
sono stati loro ad aver consentito
ai vivi la sorte oggi ben goduta.
Questi festeggiano provando gioia,
spesso ignorando chi non c’è più;
costui, se fosse qui, parteciperebbe
senza udire il suono delle campane.
In realtà, i morti sono ormai silenti e
sono onorati con lapidi e busti, ma
da chi ricorda i nomi e i fatali eventi.
I vivi odierni avranno una simil fine e
pure per essi la memoria svanirà.
I nostri sentimenti nulla smuovono
quaggiù e nell’intero sistema solare,
eppur siamo felici e assai convinti
dell’eterna durata della nostra anima,
sempre vicina a chi ci avrebbe creato
circondandoci con l’Universo astrale.
Per essere contenti c’era forse bisogno
di questa immensità silente e luminosa?
Meglio forse un limitato abitato rionale
con tanta gente vicina e chiacchierona.
Stiamo però sereni e viviamo la brevità.



LA VITA, QUANTO POCO DURA

Il ticchettio della pioggia che cade
calma l’animo mio in preda al caos.
Le nubi corrono alte nel pensiero
e le si vede così nel nuovo cielo;
cielo che incombe rabbioso su di me.
Mi sento solo e investito dal nulla,
il silenzio m’assedia tutt’intorno e
ignora la mia richiesta di compagnia.
In alto si vede solo un gran chiarore,
il Sole splende e si finge mio amico.
Le rondini sono tornate a stormi,
poi si vede che sono corvi in alto
nell’azzurro sbiadito del disagio.
Mi chiedo se la mia corsa è finita e
la risposta arriva del tutto incerta.
Incerto è anche il ruotare della Terra,
il Sole da un po’ s’è fermato, ti fissa
e ti fa capire che t’immergerai in lui.
La smetta invece di brillare esplosivo
ed emetta un calore meno intenso.
Mi interessa soprattutto vivere e
pensare ad ogni cosa, anche al Nulla,
e tutt’intorno canti e grida di gioia;
la festa continui fino al giorno fatale.
Non voglio andarmene se non arriva
il calesse d’oro che mi porta al Luogo
dove farò il Re senza però la Corte.

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