Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti: disegno a pag.73
di Ennio Abate
1.
Parto dalla trama de «LA MINISTERIALE. Intervista impossibile a un’onorata scrivania di potere», un libretto di 74 pagine dell’amica Mariella De Santis Robbins.A Roma in un pomeriggio di ottobre Michele, ex giornalista, inciampa in una bella scrivania di epoca napoleonica, che dopo due secoli di onorato servizio è stata buttata in strada (31). La scrivania – ecco il surreale dell’intervista – parla «con voce che poteva sembrare maschile di primo acchito, ma che poi era neutra» (13-14). E con toni ora seduttivi ora melodrammatici convince l’ex giornalista a portarla nella sua casa. Qui inizia tra loro due un intenso dialogo. La scrivania confida a Michele che nella sua lunga carriera ha imparato il francese da Cavour, di cui è stata «la scrivania ufficiale» (28), che Vittorio Emanuele sapeva parlare appena «un colorito piemontese» (30), che ha visto sempre molte donne intorno ai potenti (33); e gli svela i meschini segreti di varie personalità della successiva storia repubbicana dell’Italia. A sua volta Michele non esita a raccontare alla scrivania qualche disavventura della sua carriera di giornalista[1] e, ad un certo punto, a parlare alla donna di cui pare innamorato, Anna, del benefico e segreto rapporto che egli ha con la scrivania parlante. Anna e la scrivania s’incontrano, s’intendono e parrebbe avviarsi un inedito e piacevole triangolo amoroso ma interviene come guastafeste un ufficiale giudiziario, il quale accusa Michele di aver sottratto in modo fraudolento la scrivania, un bene pubblico (71). La situazione precipita: l’ufficiale giudiziario e vorrebbe portar via la scrivania. Anna chiede a Michele di opporsi. Lui temporeggia pensando di rivolgersi ad un avvocato. E alla fine un fulmine – deus ex machina – riduce la scrivania a ciocco carbonizzato. Dopo questo evento «portentoso» (72) tra Michele e Anna sembra possibile una intesa amorosa più piena.
2.
La protagonista in assoluto del racconto-intervista è la Ministeriale, figura imponente, complessa e carica di significati etici e simbolici, sulla quale è bene soffermarsi. La Ministeriale è stata a lungo oggetto alle dipendenze di vari ministri. E’ di bella presenza (19), ottocentesca, coetanea di Pinocchio (17) e – finalmente! – a fine carriera parla. Ne sa tanti di segreti dell’Italia [2] e non può non essere un po’ vendicatrice. Svela le miserie dei suoi ex superiori riducendoli a macchiette grottesche o odiose e mena stilettate feroci a donne di potere [3] e a personaggi politici.[4] Ha anche una sua “doppiezza”, perché – che diamine! – una scrivania di potere ha il suo doppiofondo (20). (E qui l’autrice gioca maliziosamente sull’analogia tra scrivania di lungo corso e donna che la sa lunga su potenti e impotenti)[5]. Sa anche, però, essere disinvoltamente moderna, aggiornatissima, benevola e capace di ascoltare l’altro da sé, in questo caso Michele, un uomo.[6] Ed è intraprendente nei suoi confronti: lo corteggia e seduce facilmente. Solo che è stata ormai rottamata (35) e la sua tardiva critica dei potenti ha tratti malinconici, velati, allusivi, da «antagonista silenziosa»[7]. Per troppo tempo è stata costretta a tacere, ad essere accorta, a tenersi dentro segreti opprimenti. Non si dà arie da intellettuale che la sa lunga, anche se qualche volta a Michele sembra che un po’ filosofeggi (36).
3.
La sfaccettata e dolente esperienza della Ministerale rende difficile rispondere in modo netto a una domanda che pur mi sono posto leggendo il libro di Mariella: si tratta di satira politica o di riflessione esistenziale sul bisogno d’amore? Mi pare che ci siano – mescolati, intrecciati – entrambi gli elementi, anche se alla fine pare prevalere l’elaborazione della crisi esistenziale della Ministeriale rispetto alla satira del potere. la satira politica c’è ma contenuta, frenata. Ed è stata, secondo me, una buona scelta stilistica. Oggi nessuna satira può essere più costruttiva e anticipazione del discorso politico alternativo che manca da decenni in Italia. E, dunque, la demitizzazione (a parole) del potere della Ministeriale porta il segno – (consapevole, suppongo) – del limite di questo genere letterario non a caso oggi sovrabbondante nella comunicazione dei social. Infatti, a me pare che, evitando il rischio del puro gossip salottiero, l’autrice sia stata costretta a criticare dei singoli personaggi esemplari e tipizzati nella loro negatività umana più che politica (dimensione che non entra mai direttamente nel racconto). E va ricordato l’enorme squilibrio tra la forza etica della Ministeriale e quella materiale e politica dei potenti di cui è stata al servizio. E quali implicazioni ha avuto sulla Ministeriale questo squilibrato rapporto di forze? Di che tipo è stata la sottomissione ai voleri dei potenti ministri? La Ministeriale si è mai lasciata sedurre dal potere che ora critica? Non lo sappiamo. Si sente, invece, che è ancora schiacciata dal dolore che ha provato venendo a conoscere tanti e così amari e a volte obbroriosi segreti. E potendo fare poco o nulla a favore delle vittime, anche se qualche sgambetto ai potenti l’ha messo e giustamente se ne vanta. C’è anche un tono scoraggiato quando la Ministeriale elenca i tanti mali cronici dell’Italia a Michele. Non filosofeggia ma certe sue affermazioni sembrano confermare una immutabilità della storia italiana e della natura umana inchiodata alla ferinità primordiale, specie nei rapporti sessuali di dominio degli uomini di potere sulle donne. Nulla è mutato – sostiene – nel secolo e mezzo della sua carriera. Se non la lingua. E la Ministeriale, per non «crollare sotto il peso di tutti i segreti, le meschinerie, gli atti proditori di cui [è] stata testimone» (70), non trovando più un discorso politico alternativo, ad un uso letterario ed etico della lingua si aggrappa: «La lingua, a me interessa la lingua, a me interessa capire la coerenza delle parole quando diventano frasi, pensieri, asserzioni, negazioni, periodi, il tessuto segreto che le tiene insieme e che rivela trappole, insidie, segreti.»(21). Il richiamo demisticante – esplicito e positivo – è per lei il Pinocchio di Collodi (14), coetaneo e affine della Ministeriale, la quale in quell’opera scorge non la fiaba per bambini ma un «libro-verità», in cui un Collodi mazziniano e massone maschera i suoi «messaggi per chi voleva intenderli» (18), un po’ come ha continuato a fare pure lei, di lui più longeva.
4.
Mariella nel risvolto di copertina definisce la sua intervista impossibile «surreale e a tratti inquietante». Mi sono chiesto perché ha dovuto/voluto intervistare proprio «un’onorata scrivania di potere» o scegliersi la Ministeriale come maschera, non tanto della sua persona ma di una sensibilità ampia e collettiva, delusa dalla piega che ha preso la storia italiana. Mi spiego in parte la sua scelta pensando alla sua biografia professionale e ad una esigenza di rendiconto dei rapporti di lavoro. Il personaggio-scrivania, legato al suo lavoro, è forseil più adatto per ironizzare su stereotipi e luoghi comuni a lei ben noti. E lei lo fa con un intento critico femminile e femminista ma anche seguendo un ideale di rigore professionale. Come s’intuisce dalla dedica: «Alle persone brave, oneste, appassionate […]. A chi non smette di portare la fantasia nella disciplina […]. A coloro da cui ho imparato. Agli altri, un ringraziamento per avermi sempre ricordato come non voglio essere».
5.
La scrittura di Mariella colpisce perché presuppone ancora un legame con un gruppo di ascoltatori che – vivo, presente, alleato e partecipe – sostiene l’arte di chi narra. Escludo che possa essere uno degli odierni gruppi virtuali tipo Facebook, perché il suo modo di narrare ha una matrice saldamente “antica”. E qui mi sento di tirare in ballo – non per decorare queste mie note ma perche la sua intervista offre un’occasione per verificare la continuità e la resistenza di certe secolari strutture narrative – la figura di Nikolaj Leskov, scrittore e giornalista russo vissuto dal 1831 al 1895, e il noto saggio di Walter Benjamin su di lui.)[8].
6.
Il racconto è prevalentemente un fitto dialogato di brevi battute. Il linguaggio è vivace, sciolto e cordiale. E l’autrice si dimostra sensibile agli umori sentimentali e corporei più vaghi[9], al sogno e all’immaginazione[10]. Sa pure amalgamare, in una conversazione sempre sciolta e veloce, certi suoi riferimenti letterari espliciti [11] .
7.
Il avoro di Mariella andrebbe collegato a una ininterrotta e lunga tradizione letteraria, dove troviamo che gli oggetti inanimati diventano protagonisti e testimoni di storia e di storie. Restando al periodo qui considerato (dall’Ottocento ad oggi), si potrebbero fare i nomi di Gogol (Il cappotto), Perec (Le cose), Saramago (In Sedia la protagonista è una sedia occupata da un uomo che al rallentatore viene indotto a cadere; metafora sul dittatore portoghese Salazar, morto in seguito a una rovinosa caduta da una sedia), De Lillo (Underworld)[12]. E ci sarebbe da interrogarsi a lungo sul tuttora necessario ricorso da parte degli scrittori ad un maschera- oggetto parlante, vista la persistenza, anzi il colossale rafforzamento, dei poteri di controllo sulle nostre vite.
8.
Infine, quali le possibili interpretazioni critiche della Ministeriale? Ho pensato che siamo di fronte a una riflessione sul rapporto amoroso: quello immaginario (o surreale) tra Michele e la scrivania, che alla fine viene interrotto ma dà forse inizio a un rapporto reale tra Michele e Anna. Ho preso anche in considerazione la tesi espressa da Giuseppina Cucinella (qui). Il messaggio conclusivo de La Ministeriale sarebbe «quello della RIGENERAZIONE, del RESTAURO INTERIORE non disgiunto da quello esteriore»? Può darsi. Ho, pero, grosse perplessità sulla tendenza di Cucinella a svalutare le narrazioni storiche, sulla sopravvalutazione della demitizzazione ( a parole) del potere e sull’affidare la conoscenza di se stessi alla «benefica CASUALITA’ del quotidiano». Sono stato anche tentato dal considerare terribile più che inquietante il finale del racconto: la scrivania colpita dal fulmine che diventa ciocco. Una sorta di autopunizione per aver osato comunicare certe verità? Un ciocco comunque utile ma sempre e solo residuo di una storia e di una distruzione? Ho anche colto un fondo di pessimismo/nichilismo disperato in quella invocazione («Dio, fa’ che tu ci sia», 71) che la Ministeriale fa propria. Ma queste od altre interpretazioni potranno essere esaminate e valutate. A me basta che questi appunti spingano altri a leggere il bel libro di Mariella e a discuterne.
Note
[1] Michele racconta che ai tempi dell’affondamento della Katër i Radës nel 1997 da parte della corvetta italiana Sibillla (52), dove morirono 81 migranti albanesi, un suo ex collega giornalista manipolò la foto di un migrante con una tanica di benzina presentandolo come un albanese che voleva incendiare il campo di accoglienza (pagg. 52-53).
[2] Ci sono allusivi e piccanti riferimenti a personaggi potenti attivi dall’ unità d’Italia ai tempi più recenti, ma restiamo nell’aneddotica sia pur condotta con levità dei tic, delle piccinerie e di gusti sessuali più o meno discutibili di alcuni potenti.
[3] «”Hai capito qual è stato il passaggio epocale? Dal demi-monde al monde che – scusa il gioco di parole – nel frattempo diventava sempre più immonde. E dire che ne ho viste di donne di valore fare, lottare, agire e rimanere fuori dalle stanze lustre di gloria quando ho inziato a lavorare a Roma!”» (pag. 33)
[4] «” Sai, una volta ero a servizio di quella famosa eminenza grigia di cui spesso i giornali parlavano quale un Raspuin del ministro dell’Economia del tempo…”» (pag. 39)
[5] «E hai conosciuto… tanti potenti?”
“Potenti e impotenti, caro mio. Gli ultimi i peggiori, credimi.”
“ Chi sono gli impotenti?”
“Gli impotenti sono quelli che non hanno né meriti né capacità, ma assicurano impunità, mezzadrie del consenso, maneggioni che sono buoni a far tutto pur di non fare niente di sensato,,,”» ( pag. 31)
[6] «”io caro, anche noi abbiamo il nostro modo di parlare. La tua lingua l’ho imparata in oltre 150 anni diascolo dei tuoi simili.”
“Come, come? Hai imparato la mia lingua? Perché, ne hai una tua?”
“E cero, cero. Cosa credi che siano gli scricchiolii, o quando nella notte hai l’impressione di sentire dei colpi provenire dall’interno dei mobili?”» (pag. 27)
[7] «”Ma no, che dici? Io sono un’antagonista silenziosa. Nel mio piccolo quando ho potuto ho fatto la mia parte. Sai quante care ho fatto sparire o apparire all’improvviso in modo da condizionare certe decisioni dei miei ospiti?» ( pag. 54)
[8] W. Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov. in “Angelus Novus”, Einaudi, Torino, 1976
[9] «dopo molti anni sentivo di nuovo un movimento energico del sangue nelle vene e volevo seguirlo, vedere dove mi portava, fosse anche stato all’ultimo battito della mia vita.» (pag. 22)
[10] «La notte sognai di essere un enorme albero, di cui non saprei dire la specie, che veniva tagliato con un’accetta e poi segato, e sentivo dolore, ma non potevo dirlo e allora emettevo tanti scricchiolii.» (pag. 24)
[11] Ad esempio:
“Se fossi Adalbert Stifter inizierei questo racconto scrivendo…”(pag. 9);
“Eh sì, la cronaca di quella birba di pezzo di legno e di ciò che, effettivamente, aveva fatto passare al povero Geppetto. Siamo della stessa epoca, sai?”
“Chi?”
“Io e Pinocchio.”
“Ah!”
“Sì sì, credo lui sia nato nel 1880, io una ventina d’anni prima […]”. (pag. 17)
Ottima recensione di un libro originale, molto ben scritto, elegantemente ironico e illuminante sulle trame di potere che cambiano nomi nel tempo ma non sostanza