La polis che non c’è

Appunti per ripensare il discorso politico su Cologno

di Ennio Abate

Pubblico i 17 appunti con note già comparsi su POLISCRITTURE COLOGNOM da agosto ad oggi. Le immagini riprendono luoghi della città da me fotografati negli anni scorsi. [E. A.]

1. Diciamo spesso di voler partire dalla realtà di Cologno. Ma qual è la sua realtà? La recente uccisione della giovane Sofia Castelli (ma prima – e già dimenticato – c’è stata quella di Maria Begoña Gancedo) è una riprova che non la conosciamo davvero e a sufficienza. Nelle sue pieghe più profonde la vita sociale di Cologno (e in particolare la condizione dei giovani) resta, malgrado le buone intenzioni, un fatto abbastanza oscuro per chi fa politica.

2. Meglio non illudersi o illudere gli altri. E’ bene sapere che anche le analisi più scientifiche della Cologno reale da parte dei cittadini o degli amministratori – sempre auspicabili e necessarie – possono aiutare a risolvere (ma mai in automatico) i problemi (o una parte di essi) che ci assillano. E tali analisi saranno sempre mescolate, condizionate e spesso travisate dalle immagini di Cologno prodotte dalle storie e dalle memorie (personali e collettive), dalle diversità economiche, professionali, culturali che a volte ci uniscono e a volte ci contrappongono.

3. Quali sarebbero queste immagini di Cologno? Da quando (1964) vi abito ho sentito parlare di Cologno: come paese, città dormitorio (o d’immigrazione), periferia (rispetto alla metropoli Milano) e – più recentemente suggestionati forse dalla presenza di Mediaset del fu Signor B.) – di città della comunicazione (o di servizi). [ii]

4. L’immagine di Cologno come paese era reale fino agli anni (1950-1953) precedenti il “boom economico”. L’immagine, che si è andata sfocando nel tempo, di una Cologno città/non città è stata vivace e ha circolato soprattutto durante il periodo della migrazione (anni ‘50- ‘70 del Novecento). L’immagine di Cologno periferia (o contenitore di periferie) ha una sua problematica attualità e in parte si è sovrapposta a quella ibrida del periodo delle migrazioni e a quella “perduta” della Cologno-paese.[iii]
Esiste poi – in una sua per ora problematica irrealtà che sfiora l’utopia – l’immagine della “Cologno del futuro”, “ricca” e coinvolta nella “transizione ecologica”. Essa dovrebbe spuntare da una nuova fase modernizzante, bonificando le sue periferie interne con le loro sacche di povertà, rafforzando la presenza sul territorio sia di imprese tecnologicamente d’avanguardia e sia di un ceto medio benestante. (Quasi come Milano? Avremmo dunque una Cologno milanese invece che monzese?). [iv]

Note

i Dopo aver risposto alle obiezioni di Del Monte nei 4 articoli intitolati VOI CONTENTI UOVO, NOI VOLERE ANCORA GALLINA, riprendo una mia riflessione generale e personale sul fare politica a Cologno.
ii Bisognerà chiedersi quanto le trasformazioni delle rappresentazioni collettive siano state influenzate dalla deindustrializzazione e dalla crescente eterogeneità sociale di Cologno, la quale già dagli anni Sessanta ha visto aumentare la presenza del ceto impiegatizio.
iii Il filosofo Augusto Illuminati ha sottolineato spesso che la periferia non va intesa solo come luogo deprivato e mancante rispetto ad un “centro” ma anche e positivamente come un “luogo comune”, che non ha niente di “speciale” o “monumentale”. In essa, però, essendo meno avvertibile la traccia del tempo e della storia, è più facile sfuggire alla pericolosa mitologia delle radici e al pathos di certi revival della tradizione.
iv Da notare che il discorso della modernizzazione è stato una costante nelle Amministrazioni di Cologno dal dopoguerra ad oggi. Giovanni Mari nel suo libro ha annotato: ”La tappa successiva è quella dell’avvio della grande trasformazione. Per un lasso di tempo non breve, da parte degli amministratori vi fu un notevole compiacimento nei confronti della “trasformazione dell’antica borgata di Cologno in una fiorente cittadina industriale, architettonicamente bella e accogliente e funzionalmente adeguata ai bisogni della popolazione”. (Nascita di una città. Trasformazioni urbane e migrazioni interne a Cologno Monzese, negli anni Cinquanta e Sessanta)
Nessuna descrizione della foto disponibile.


5. E’ sbagliato liquidare alcune di queste immagini di Cologno come segni di arretratezza, di ignoranza o di mediocrità. Sì, le più ingenue, nostalgiche e conservatrici hanno un rapporto debole o inesistente con la realtà presente della città [i] ma non è che le moderne o progressiste o “futuriste” non abbiano punti oscuri e non abbiano già prodotto anch’esse disastri sociali. [ii]

6. C’è un conflitto continuo tra il “mondo del pressappoco”, che resiste e vuole conservarsi, e l’”universo della precisione”[iii] o della modernizzazione controllata oggi da un Capitale mondiale che pretende di imporsi “per il bene di tutti”. Quando questo conflitto si fa più acuto e tornano a soffiare venti di guerra, a farne le spese sono le classi sociali basse e medie della società e le posizioni culturali più aperte e tolleranti. Perché viene meno la possibilità di confronto, di critica e di correzione reciproca delle idee e dei comportamenti. E prevalgono soltanto le pose più irrigidite, i pregiudizi di parte e i leader che vogliono affermarsi cancellando la posizione degli avversari anche se non hanno un progetto veramente alternativo.

7. Faccio un esempio di conflitto culturale tra due immagini della storia di Cologno che ho vissuto di persona in passato. Fino al 1980 l’unico libro di storia locale di Cologno, pubblicato proprio in quell’anno, era quello di don Luciano Mandelli e Giuseppe Severi, Cologno Monzese nella storia nelle immagini, Centro culturale San Marco. Trattava esclusivamente del passato remoto, medievale e agricolo del territorio di Cologno ed esaltava la matrice cattolica e parrocchiale, presentandola unilateralmente come l’unico elemento unificante e propulsore della storia di Cologno. Che così veniva ridotta a una storia delle parrocchie di Cologno. Tra 1995 e 1998 ebbi dall’Amministrazione comunale del tempo – sindaco Milan – il compito di coordinare un gruppo di ricerca su un mio progetto. Era intitolato Per una storia metropolitana di Cologno Monzese e si articolava su tre punti: 1. La formazione della città di Cologno Monzese nel contesto della storia italiana dal secondo dopoguerra ad oggi; 2. Temi-chiave per una storia metropolitana di Cologno Monzese (industrializzazione, urbanizzazione, scolarizzazione di un territorio di periferia etc; 3. Censimento degli archivi reali e potenziali (gruppi, individui) per un restauro della memoria collettiva su Cologno.
Davo, cioè, la giusta importanza al passato prossimo di Cologno, quello della urbanizzazione del territorio avvenuta in funzione collaterale all’industrializzazione degli anni ’50-60. E, dunque, al complicato processo che aveva trasformato Cologno-paese in “città dormitorio” o in una ibrida città/non città [iv] nella “vera” città di Cologno (almeno secondo gli standard con cui allora si classificavano le città).
Dovetti interrompere, però, la mia ricerca quando mi accorsi che non c’era vero sostegno né da parte dell’Assessore alla cultura né della Biblioteca Civica. E la ragione la capii l’anno dopo. Nel 1999, infatti, per conto del Comune di Cologno Monzese venne pubblicato e distribuito gratis nelle scuole e in moltissime case un lussuoso libro di oltre 600 pagine con la presentazione del sindaco Milan, Cologno Monzese dalla sua storia le radici del 2000 di Giuseppe Severi. Il quale ribadiva così e rafforzava l’impostazione “parrocchiale” del precedente libro del 1980 che è poi diventata senso comune. Pubblicai una nota critica su quel libro ma non ebbi nessuna reazione o risposta. Né da parte di Severi né di altri. Mentre si sarebbe potuto arrivare ad un utile confronto tra visioni diverse della storia di Cologno. Solo nel 2013 venne pubblicato il libro di Giovanni Mari, Nascita di una città: trasformazioni urbane e migrazioni interne a Cologno Monzese, negli anni Cinquanta e Sessanta, che in forma di tesi di dottorato riprendeva autonomamente la mia impostazione “modernizzante”. Nel 2020 questo prezioso libro e stato pubblicato in epub dalla Biblioteca Civica ma è tuttora poco noto e letto.

Note

i. Saranno anche errori del “popolo bue” ma per correggerli non servono l’irrisione o le prediche dei saccenti. Servirebbe quel paziente, dialettico e complicato lavoro a cui pensava Gramsci teorico dell'egemonia. O quel dialogo tra il tonto e il filosofo, di cui parlava Fortini. Oggi questo è impossibile. Perché i tonti impazzano nei recinti social e i filosofi o gli scienziati, tranne eccezioni, restano in mondi irraggiungibili e privilegiati.
ii. Si pensi all’urbanizzazione di Cologno negli anni ‘50-60 niente affatto tutta rose e fiori.
iii. Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione è un libro dello storico delle scienze Alexandre Koyré.
iv. «Il giornalista Giorgio Bocca, cui si devono alcuni dei più acuti ritratti dell’Italia negli anni dei grandi cambiamenti, ha descritto così la parte dell’hinterland a nord di Milano: “La fascia industriale milanese, la cosa che avendo tanti nomi (Cinisello-Rho-Cologno-Sesto, eccetera) è poi la stessa cosa, non città ma neoplasia di città, le case moltiplicatesi come cellule impazzite, sottopassaggi, rotaie, case, strade cieche, case, un po’ di campagna “né verde né gialla”, altre case, fumo, miasmi”». (Giovanni Mari, Nascita di una città, pag. 199)
Potrebbe essere un'immagine raffigurante strada, crepuscolo e strada


8. E oggi – 2023 – che siamo in epoca postindustriale e di Cologno-paese o citta dormitorio rispuntano sui socialsolo alcune immagini in b/n? Ribadisco le mie critiche al lavoro di Severi. Non è una storia di Cologno ma una “storia parrocchiale” di Cologno. Riconosco, però, che quella immagine così nostalgica di Cologno-paese rappresenta un pezzo della storia della città. Essa ha avuto ed ha ancora una certa presa [i] non solo perché Severi realizzò il suo libro grazie all’appoggio politico del sindaco di allora, Giuseppe Milan, e della rete sociale, culturale ed economica delle parrocchie e degli oratori, ma perché quella rete esiste tuttora. Unisce – va precisato – non tutto il tessuto sociale cittadino ma il “mondo cattolico colognese”. Il quale non si restringe alle parrocchie ma influenza buona parte del ceto politico colognese e le formazioni politiche del centro destra e del centro sinistra. (Anch’esse rappresentative – e qui un pensierino all’assenteismo delle ultime elezioni – solo di una parte degli abitanti di Cologno).

9. E l’immagine di Cologno città dormitorio o dell’epopea dell’immigrazione? Non ha potuto essere fissata che marginalmente in alcuni scritti sparsi: miei, di Salzarulo, nel recente libretto “Storie di periferia” (2020) o in altre testimonianze a me forse sconosciute. [ii] Oppure è rimasta sepolta nella testa dei morti o persiste nella memoria individuale di pochi superstiti. E va detto apertamente: a causa della sconfitta, della dispersione, dell’invecchiamento della base operaia della Sinistra che ha operato a Cologno. E – quel che è peggio – per la autodissoluzione delle strutture organizzative (partiti, sindacati, circoli) di questa Sinistra. E, di conseguenza, anche della sua memoria.[iii]

10. Mi pare, comunque, chiaro che né ieri né oggi tutti gli abitanti di Cologno potevano o possono condividere un’immagine di Cologno che qualcuno – in genere gli amministratori che facilmente si abbandonano a una certa retorica democratica e apparentemente inclusiva – pretende possa essere “per tutti”.
Non lo può essere l’immagine “parrocchiale” fissata nel libro di Severi. Non lo può essere l’immagine di una Cologno “ proletaria”, che affiorava nei nuclei di nuova sinistra degli anni ‘70. Né quella della Cologno “costruita dagli immigrati” (e non dai socialisti: altra retorica di parte, che sorvola disinvoltamente sul ruolo avuto in quella costruzione da immobiliari e speculatori). Non lo può essere neppure quella cetomedista, tecnocratica o ecologista. Che, prima nella versione piddina di Soldano, poi in quella leghista di Rocchi e ora nella versione morbida di Zanelli ha cominciato a circolare e a essere presentata con l’etichetta della “Cologno del futuro”. (Ma di questa immagine parlerò nei prossimi capitoletti).

Note

i Giovanni Mari nel suo libro ha scritto:“Ascoltando le registrazioni delle interviste si coglie in vari passaggi quanto la nostalgia di una Cologno paesana e perduta abbia attecchito anche in chi non c’era, in chi ha radici familiari altrove” (G. Mari, Nascita di una città, pag. 192). Scrive anche che quella di Severi fu “un’operazione culturale di grande rilievo, nel piccolo mondo colognese; un’operazione che ha avuto successo, arrivando a rendere egemone una particolare lettura della città e del suo passato. Di ciò ho avuto anche esperienza diretta quelle numerose volte che, dopo avere provato a spiegare a un interlocutore locale gli obiettivi della mia ricerca, mi sono sentito rispondere che tutto era già stato studiato e pubblicato. In effetti, grazie anche alle mostre fotografiche che ha organizzato per anni — sempre con il patrocinio del comune, nonostante le vicende politiche complesse dell’ultimo decennio, che ha visto frequenti cambi di maggioranza — Severi è riuscito a proporsi con efficacia come “la memoria storica di Cologno” (Idem, pag. 215)
ii Vedo citato ma non l’ho letto questo libro: Elisabetta Ferrario Mezzadri, Cologno Monzese alla ricerca del territorio perduto, Cologno Monzese, Biblioteca civica di Cologno Monzese, 2015.
iii Scriveva Franco Fortini (ma ormai nel lontano 1985 e quindi bisogna sapere che nel frattempo il processo è andato avanti come una valanga…): “Sgomenta il peso delle questioni che la nozione di memoria (storica e personale) porta alla luce. Ad esempio, sono bastati gli ultimi sei o sette anni di terrorismo, di politica dell’unità nazionale e di inflazione e di scandali […] perché interi blocchi di problemi venissero rimossi e considerati inesistenti”. (F. Fortini, Insistenze, pagg.131-132)
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona

11. Ho parlato spesso (suscitando prevedibili irritazioni) di colognosità del ceto politico di questa città. La parola richiama, collosità, lagnosità, ma si riferisce pure al localismo, alla mediocrità, alla superficialità, ad esempio degli articoli e dei commenti dei vari leader locali e dei loro tifosi; e credo si trovino quotidiane conferme sui social. Ma, se si ragionasse andando oltre il facile sdegno, si capirebbe che alla mia età non ho alcuna intenzione di provocare, offendere o mettermi in cattedra. Credo, invece, di fotografare qualcosa di vero e di scomodo della realtà e della storia di questa città.
Basti pensare che Cologno ha vissuto dal dopoguerra ad oggi un contraddittorio processo di pseudo-modernizzazione. E che la città ne conserva le piaghe mai del tutto sanate: la devastazione del territorio selvaggiamente urbanizzato negli anni ‘50-’70; la bruttezza costipata del paesaggio urbano (casermoni, verde residuale e accerchiato, squarci del precario tessuto abitativo con i percorsi della tangenziale e della metropolitana); la disomogeneità sociale e culturale dei suoi abitanti, in gran parte immigrati stabilizzatisi a fatica e sopportando pesanti rinunce.
Se poi si avesse il coraggio di indagare, a partire dal dopoguerra, la microstoria (di quasi 80 anni) degli Amministratori – sindaci, assessori, consiglieri comunali – di Cologno, si vedrebbe che il ceto politico colognese è stato in parte lo specchio (più o meno appannato) del mutamento subìto dalla città. Che quasi mai l’ha davvero guidato questo mutamento o ne ha potuto correggere le distorsioni; e che, anzi, spesso vi si è adeguato e qualche volta – in alcuni dei suoi rappresentanti – s’è lasciato in vari modi corrompere.
Evitando perciò il moralismo, a me pare importante interrogarsi sulla colognosità e sui suoi effetti negativi. Che riguardano tutti: i protagonisti e il coro del teatrino comunale (oggi con il suo strascico – a volte illuminante, a volte penoso – sui social) ma anche chi – giustamente – la critica.
Una faccia della colognosità consiste nella chiusura localistica (soprattutto tra le famiglie già qui residenti prima delle ondate migratorie) tipica del paese contadino che Cologno fu fino agli anni ’50. Un’altra sua faccia sta nella “cultura da sradicati”, quella degli immigrati più o meno assestatisi economicamente e culturalmente, i cui linguaggi e comportamenti portano le tracce dello sconvolgimento dell’immigrazione: coazione all’arte di arrangiarsi; familismo; servilismo; clientelismo; identificazione coi potenti. Un’altra ancora è la colognosità degli acculturati, che hanno accolto acriticamente i valori della modernizzazione, del progresso, dell’americanizzazione e hanno un culto fideistico del pragmatismo, su cui oggi puntano le lobby ecologiste e quelle tecnologiche dell’Intelligenza Artificiale (IA).
Queste varie facce della colognosità sul piano politico si coprono tutte con l’appello alla Costituzione. Che è la coperta unanime ma ambigua e conformistica, come, in epoca non repubblicana, lo fu quella del fascismo. L’appello alla Costituzione nasconde le debolezze dei residui della sinistra sconfitta e finiti nel centro sinistra, ma anche ambizioni e appetiti di formazioni della neo destra e di una torma di giovani ambiziosi di far carriera dov’è possibile ma con gravi lacune di formazione politica (o con una formazione politica approssimativa e fideistica).
E’ davvero difficile uscire dalla colognosità. Essa ha impedito finora che si formasse un ceto politico pensante e dinamico, capace di autonomia di pensiero e di dialettica costruttiva nel confronto con gli avversari. Per uscirne, non basterà avere dei sindaci o dei dirigenti di partiti o di liste civiche nati a Cologno. Anzi questo fatto potrebbe comportare persino un peggioramento della colognosità. E non sarebbe meglio avere un sindaco “straniero” meno invischiato nella colognosità? Beh, l’abbiamo avuto con Angelo Rocchi, ma pare che sia stato defenestrato proprio… dalla colognosità!

Potrebbe essere un'immagine raffigurante albero e erba


12.In varie occasioni ho parlato di cetomedismo e di cetomedisti. Anche durante le ultime elezioni (https://www.facebook.com/…/colo…/posts/6245945435509410/). Questi termini hanno a che fare con la colognosità? Direi di sì, tanto che potrebbero essere usati come sinonimi: il primo per riferirsi allo stile e al comportamento del ceto medio in generale, il secondo a quello (sociale e politico) di Cologno. (A scanso di equivoci e per i finti tonti in agguato: io che scrivo qui su FB e quasi tutti i miei eventuali lettori a questo ceto medio (in via d’impoverimento) apparteniamo, anche quando siamo – magari in pochi – critici del cetomedismo).
Per capirci meglio, però, è bene non confondere ceto medio e cetomedismo. Per cetomedismo, infatti, si intende l’ideologia del ceto medio (o dei cetomedisti). Cioè – per semplificare – gli “occhiali ideologici” con cui guarda la realtà di Cologno lo strato sociale economicamente di livello medio (impiegati statali, insegnanti, ragionieri, piccoli imprenditori, commercianti). Ben diverso rispetto agli “occhiali” usati dai grandi gestori di capitali in alto e dalla massa dei lavoratori (oggi per lo più flessibili, precari) e dei marginali (disoccupati, poveri, piccola criminalità) in basso.
In sostanza, buona parte (se non tutto) il ceto politico attivo a Cologno (amministratori, consiglieri comunali e attivisti dei partiti) – i “benestanti di periferia “– rientrano in questo ceto medio.
(Nulla – se non sbaglio – è oggi la presenza di operai nei consigli comunali o nei gruppi dirigenti dei vari partiti o liste civiche. Che era, in verità, rara del resto anche in passato, nel periodo dell’industrializzazione, quando la sinistra politica aveva una vasta base operaia ii).
Quello che più importa è che questi “occhiali cetomedisti” hanno una certa opacità ma quelli che li portano faticheranno ad ammetterla o addirittura la negano.iii Per molti di loro, infatti,l’immagine cetomedista che hanno di Cologno è quella vera, giusta, normale, razionale.

Note

i cèto mèdio Insieme eterogeneo di gruppi sociali (detto anche classe media) che si collocano in una posizione mediana, per reddito e prestigio, tra il ceto o classe superiore (aristocrazia, grandi proprietari terrieri, alta borghesia industriale o finanziaria) e i ceti o classi inferiori (lavoratori meno qualificati e retribuiti dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi). Nel ceto medio vengono compresi commercianti, artigiani, impiegati pubblici e privati, ma anche gruppi sociali come i liberi professionisti, il clero, i militari. I confini e gli elementi costitutivi del ceto medio restano comunque incerti, ed esistono opinioni divergenti sulla posizione e il peso che esso ha nelle società industriali avanzate. (https://www.treccani.it/enciclopedia/ceto-medio/...
ii Questo valeva per il PCI e il PSI, partiti nelle cui segreterie prevaleva proprio questo ceto medio impiegatizio e politicamente più moderato e conservatore
iii Cfr. quanto ho scritto delle varie immagini di Cologno nell’articolo LA POLIS CHE NON C'E' (3): https://www.facebook.com/.../colo.../posts/6519419118162039/
Potrebbe essere un'immagine raffigurante erba


13. Ho parlato di opacità degli “occhiali cetomedisti” con cui si guarda la realtà di Cologno. Volete degli esempi? Rileggetevi il documento “Le buone ragioni per votare CSD” (10 Aprile 2023) [1] e riascoltate l’illustrazione fatta dal sindaco Stefano Zanelli delle Linee di mandato, appena approvate nel Consiglio comunale dell’11 settembre 2023. [2]

Per iscritto nel primo caso, a voce nel secondo, viene proposto un progetto di cambiamento della città, la costruzione della “Cologno del futuro, una città che sviluppa il potenziale economico e sociale in un ambiente pulito e sicuro per le nuove generazioni”.

Zanelli ha richiamato le indicazioni dell’Onu su sviluppo sostenibile e crescita umana; e le parole di Papa Francesco che invoca una “ecologia integrale”. Ha parlato poi di “coprogettazione” e “coprogrammazione” a cui dovrebbero partecipare tutti i cittadini. Bello! Ma dov’è l’«analisi dei mutamenti sociali intervenuti nella città e dei bisogni della società colognese»? [1] Dove vengono illustrate le condizioni reali di vita degli abitanti di questa città, le differenze (di vario tipo: economico. culturale, ecc.) tra loro? Dove si accenna agli interessi economici in conflitto tra i gruppi sociali e le lobby che agiscono direttamente o indirettamente a Cologno? O ai legami di dipendenza (ad es. con Milano)? Al momento questa analisi manca. Ci si può augurare che venga fuori, ma da chi e quando?

Restano, purtroppo, solo le buone intenzioni. E una troppo ideale proiezione nel futuro. E sulla storia della città un davvero sbrigativo: “e non va bene guardare a quello che poteva essere il più o meno glorioso passato della nostra città” (50,57 circa del video in streaming). Perché quel passato non mi pare affatto glorioso e pesa e peserà sul presente e sul futuro di Cologno.
Ma ancora. E sul rapporto in crisi tra Amministrazione (e partiti) e cittadini? Tornato il centro sinistra al governo della città, davvero è in grado di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini? Il Comune dispone – attualmente e in prospettiva – dei fondi economici per intervenire? O se li dovrà procurare? E sarà facile, come ha dettonel suo intervento il consigliere di CSD Mario Bresciani trovarli? A quali condizioni?

P.s.

In particolare, leggendo il documento di CSD si ha l’impressione che più che l’esigenza di costruire un’analisi scientifica della situazione di Cologno, vi prevalga la preoccupazione di raccogliere dati soprattutto per polemizzare contro la coalizione concorrente del centro destra. Sarà perché si era in campagna elettorale, ma come non vedere che, lasciandosi prendere dalla polemica contro la Destra, l’analisi della realtà di Cologno risulta parziale o amputata in partenza. Gli interessi economici che, ad es., si vorrebbero indagare riguardano esclusivamente il campo della destra politica. E non si capisce perché non si debba indagare sulla storia, ad es., delle cooperative socialiste o rosse di Cologno negli anni della costruzione alla Far West di questa città, che di “glorioso” ebbe ben poco. O sugli interessi interni anche al blocco di centro sinistra e ai limiti emersi della sua storia amministrativa che non è stata mai rosa e fiori. Nel caso dell’area Torriani CSD insiste sul fatto che “sia stata venduta all’asta con un incremento da 3,3 a 5 Milioni di Euro avendo tolto il Piano attuativo che prevedeva la realizzazione di opere pubbliche a fronte degli incrementi di volumetria”. Ma il progetto Soldano per quella stessa area, a me non parve certo migliore. Mi sono sbagliato?
[Nel prossimo articolo pubblicherò la mia Lettera aperta al sindaco Mario Soldano sulla «riqualificazione» di Cologno e l’ipotesi di progetto per l’area ex-Torriani (2008)]

(Note

[1]
https://www.colognosolidaledemocratica.it/wordpress/le-buone-ragioni-per-votare-csd/

[2] http://www.magnetofono.it/streaming/colognomonzese/index.php

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "Lunedì 11 Settembre 2023- 20:00 C.c. Cologno Monzese del 11.9.2023, ore 20:00 Zanelli tetanc Sindaco: E non va bene, comunque guardare a quello che poteva essere il più o meno glorioso passato della nostra"
Finestra sul passato “più o meno glorioso” del centro sinistra di Cologno Monzese: Lettera aperta al sindaco Mario Soldano sulla «riqualificazione» di Cologno e l’ipotesi di progetto per l’area ex-Torriani (28 giugno 2008)

Questa lettera che rivolsi (inascoltato) nel 2008 al sindaco di Cologno di allora, Mario Soldano, potrei rivolgerla oggi – con i dovuti aggiornamenti su qualche punto – al sindaco attuale Stefano Zanelli. I problemi sono i medesimi di allora. E li riassumerei in alcune domande: chi davvero comanda a Cologno? che progetto di futuro per questa città hanno quelli che davvero comandano a Cologno? Ci potrà mai essere armonia tra il loro progetto di sviluppo sostenibile e quello che chiamiamo “bene comune”? [E. A.]

***


Signor Sindaco,
Cologno è città giovane ma fragile per i colpi subìti in passato. Il suo corpo-territorio è pieno di squarci e avvelenato. La tangenziale l’attraversa da parte a parte, asfissiandola col gas delle auto. E gas e rumori di traffico (spesso intasato) la tormentano per stradoni e stradine. Il treno della metropolitana penetra in alcuni suoi quartieri, invece di scorrervi sotto, e li stordisce. Degli alberi e del verde della campagna s’è salvato pochissimo. Non abbiamo un parco vero, solo giardinetti; e non ci consola che il verde di Cologno sia il doppio di quello di Milano o in media più diffuso che in altre città dell’hinterland. Il male comune non ci fa gioire. Ci dice solo che il degrado generale della vita sociale sta crescendo. L’isola pedonale è un angusto recinto: si traversa in cento passi. La fortezza di Mediaset, dopo essersi mangiato altro terreno, incombe come un corpo estraneo. Tralasciando Villa Casati, l’unico gioiello artistico e storico della città era la pieve di S. Giuliano, un luogo di religione. Invece di avvolgerlo di silenzio e di alberi, viene ora assediato da nuovi appartamenti.

La maggioranza degli abitanti di Cologno – lei lo sa – è preoccupata soprattutto dai crescenti costi delle abitazioni e dei mutui-casa. Essi pesano sui bilanci familiari, che di continuo vengono intaccati dall’aumento dei prezzi: del cibo, dei trasporti, per studiare. Il lavoro precario è stato imposto amoltissimi. La difesa di quello fisso ancora esistente è ormai affidata ai singoli lavoratori. E la maggioranza della popolazione è costretta a risparmiare, mentre una martellante e indecente pubblicità l’invita a consumare come possono fare solo i pochi nuovi ricchi.

Lei sa che per moltissimi Cologno resta città-dormitorio, anche se rispetto al passato ha più servizi e quartieri signorili accanto a quelli poveri. Sebbene uscita dal dramma dell’immigrazione, resta periferia. Da una parte è subordinata alla più ricca e potente Milano, che ne condiziona la crescita economica, politica e culturale e dall’altra vive al suo interno conflitti sociali striscianti e soffocati. Anche a Cologno, infatti, gli interessi dei ceti più forti e politicamente ben rappresentati schiacciano gli interessi dei ceti lavoratori sempre più indeboliti e mal rappresentati. Il divario crescente tra una piccola parte di cittadini che continua ad arricchirsi e un’altra ben più ampia che tira la cinghia è visibile nello stesso paesaggio urbano: basta confrontare villette di lusso e condomini popolari, le strade del centro e quelle delle periferie o la distribuzione sul territorio di negozi, supermercati, uffici.

Tutto ciò lei, che un pezzo della storia di questa città l’ha vissuta anche con una consapevolezza tecnico-professionale, avendo stilato insieme ad altri il più recente Piano regolatore di Cologno, non può ignorarlo. Eppure, proprio lei, che ha ricevuto anche dal nostro voto il potere di governare la città e potrebbe almeno correggerne alcuni squilibri sociali, oggi li sta accrescendo, poiché lei è il campione di una modernizzazione urbanistica che subordina il Piano Regolatore a quello che lei definisce «l’esercizio di un diritto ad edificare che si è consolidato nel tempo». Si dimentica così del nostro diritto non solo di abitare in case decenti e a prezzi non esosi, ma di difendere l’ambiente urbano dalle eccessive pretese della rendita fondiaria e delle imprese immobiliari, che lei chiama eufemisticamente «operatori privati». Anzi fa di più: lei, rappresentante dello Stato, sembra aver scoperto– finalmente diranno alcuni! – che privato è bello; cioè, che i privati arrivano dove lo Stato non arriva più.

Oh quante faticose lotte sul diritto al lavoro, alla casa o per una scuola pubblica ci saremmo risparmiate in passato, se ci fossimo accorti che bussavamo alla porta sbagliata! Che ciechi siamo non applaudendo il suo progetto di riqualificazione della città che, come lei seraficamente sostiene su QUI COLOGNO, al Comune non costa nulla! Proprio non sapevamo che Pantalone fosse diventato d’un tratto generoso. Ma – ci dica – è proprio sicuro che il suo progetto, se non costa nulla al Comune, non costa nulla anche a noi? Non sarà che lei concede ai costruttori 100 per incassare 50? Fa, cioè, quadrare nell’immediato il bilancio comunale, ma peggiora la vita in questa città, abbuffandola ancora di cemento, di traffico e di abitazioni accessibili soltanto ai più danarosi, mentre Cologno avrebbe bisogno di una buona convalescenza o di una lunga astinenza dal cemento? Noi non crediamo affatto alla generosità degli operatori privati; e scommettiamo che, se lei è riuscito a ricavare dalle trattative con loro «opere per venti milioni di euro», essi ricaveranno dieci volte tanto e danneggeranno questo territorio altrettanto.

Togliamo un equivoco di mezzo. Nessuno la vuole indurre a cancellare «ad arbitrio» il diritto dei costruttori. Nessuno crede che sull’area ex-Torriani il Comune «può farci quello che vuole». Ma su cosa costruire, come e dove, lei deve sentire solo la loro voce e le loro offerte o anche la nostra voce e i nostri bisogni? Perché lei finora ha trattato soltanto con loro. Soltanto con loro (e non sappiamo da quanto tempo) lei ha preparato a tavolino le «linee guida» del pomposo progetto per l’area della ex-Torriani, la legatoria improvvisamente chiusa con il licenziamento in tronco degli operai. E solo dopo essersi accordato con loro, ce lo sta ora illustrando – prendere o lasciare – infiorandolo con l’improvvisata filosofia urbanistica riassunta nel suo slogan «fare centro».

Quale delusione! Sarebbe questa la «pche «aumentando l’offerta di case in città, anche i prezzi possano equilibrarsi»; o limitarsi a chiedere all’operatore privato un «cospicuo numero di alloggi di edilizia convenzionata»; o dire che i problemi del traffico saranno risolti dai parcheggi sotterranei e che «il piano del traffico sarà rivisto» e verrà fatto «uno studio serio, parallelamente con l’approfondimento del progetto di riqualificazione». (Non dovrebbe essere fatto prima questo studio?). E come fa a prevedere con tanta sicurezza che con l’accentramento dei servizi in una nuova sede comunale le spese di gestione verranno ridotte di 300 mila euro all’anno o che i cosiddetti “oneri di urbanizzazione” che i privati concederebbero saranno così consistenti da consentire di «realizzare nuove strade, parcheggi pubblici, verde urbano, case popolari, piste ciclabili, manutenzione di strutture già esistenti, ecc., senza incidere sul bilancio comunale»?logno è già centro, va a scapito di tutto il resto della città. E lei ha un bel dire che darà così un «cuore pulsante» alla città. Questo benedetto cuore non pomperà sangue in tutto il corpo-territorio di Cologno, ma se ne separerà ancora di più; e non sarà l’intera città a diventare «più bella da vivere», ma – ammesso che ciò avvenga – solo una sua ristretta zona. E poi, scusi, perché partire sempre dal «centro», dove anche lei abita, e non dalle periferie dove sta la maggior parte di noi? Perché le piste ciclabili non dovrebbero essere fatte per l’intera città? Perché eventuali nuove abitazioni dovrebbero concentrarsi proprio nell’area ex-Torriani? Non è questione di palazzine più alte o più basse. Se arrivano 400 nuove famiglie, bisognerà fare spazio ai loro bisogni e ai loro stili di vita. E, quindi, lei non può semplicemente augurarsi che «aumentando l’offerta di case in città, anche i prezzi possano equilibrarsi». O limitarsi a chiedere all’operatore privato un «cospicuo numero di alloggi di edilizia convenzionata». O dire che i problemi del traffico saranno risolti dai parcheggi sotterranei e che «il piano del traffico sarà rivisto» e verrà fatto «uno studio serio, parallelamente con l’approfondimento del progetto di riqualificazione». (Tra l’altro, non dovrebbe essere fatto prima questo studio?). E come fa poi a prevedere con sicurezza che con l’accentramento dei servizi in una nuova sede comunale le spese di gestione verranno ridotte di 300 mila euro all’anno o che i cosiddetti “oneri di urbanizzazione” che i privati concederebbero saranno così consistenti da consentire di «realizzare nuove strade, parcheggi pubblici, verde urbano, case popolari, piste ciclabili, manutenzione di strutture già esistenti, ecc., senza incidere sul bilancio comunale»?

Sarebbe meglio che lei e la sua giunta riconosceste che Cologno è città di periferia, con i bisogni irrisolti di una periferia. E , quindi, cambiando il vostro slogan, invece di «fare centro», lavoraste con coraggio e modestia a «fare periferia». Che significa «fare periferia»? Diminuire almeno i divari sociali che si vedono nello stesso paesaggio urbano. E quindi, ad esempio: rimarginare le ferite storiche subite da questo territorio dagli anni Cinquanta ai Settanta, risanare le abitazioni esistenti (non limitandosi alle facciate), bloccare nuove cementificazioni, ampliare i polmoni di verde, incentivare l’edilizia popolare e non quella a 3000-4000 euro a mq., strappare a Milano funzioni produttive e di ricerca, evitare nuovi centri commerciali, accogliere in modo umano i nuovi immigrati (e non solo quelli giudicati “bravi”), affrontare la disoccupazione, fare della biblioteca civica una sorta di università popolare per diffondere una cultura critica nei quartieri più isolati, mobilitando le risorse intellettuali che oggi convergono per lo più su Milano o altrove, per assenza di stimoli o proposte serie in loco. Eccetera. Eccetera.

Non dica che questi legittimi bisogni e desideri, che in campagna elettorale erano «punti qualificanti» anche del suo programma, sono diventati ora improvvisamente dei sogni. Non ci faccia rimpiangere i politici del passato. Come l’ex sindaco socialista Bonalumi, che poté vantarsi di aver accolto a Cologno durante la sua amministrazione circa 270 insediamenti produttivi, alcuni altamente specializzati e, almeno da vecchio, giudicò la subordinazione di Cologno a Milano una tragedia. O un urbanista non comunista ma democristiano come Cassio, orgoglioso dell’approvazione della Variante al Piano Regolatore del 1968, che aveva avviato il recupero dei danni prodotti della cementificazione selvaggia di Cologno e che si dichiarava apertamente a favore dell’edilizia popolare contro gli interessi dei grandi costruttori di strutture edilizie abnormi come quella del Quartiere Stella.

Noi che volevamo sindaco Vittorio Beretta, abbiamo poi votato lei al ballottaggio contro Capodici di Forza Italia, ma non per vederci subito dopo chiudere la porta in faccia e sentirci ora invitare ad inchinarci davanti all’invadenza della rendita fondiaria e delle società immobiliari. Né possiamo tacere oggi, come lei c’invita a fare, e giudicare domani, quando gli scempi saranno probabilmente del tutto compiuti. Perché i costruttori cementificano, le banche incassano e poi vanno altrove. Ma noi che qui abitiamo, abbiamo il diritto di controllare e difenderci da subito da progetti dannosi per la nostra vita e l’ambiente. Si ricordi, banche e cementificatori costruiscono sul profitto immediato e basta. I costruttori, di futuro e di democrazia, siamo noi.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 3 persone

14. A me, che sono vecchio, ho vissuto per lo più in un’epoca (secondo Novecento) diversa da quella attuale e ho potuto imparare qualcosa da Marx, colpisce una differenza fondamentale tra il discorso politico su Cologno (ma anche in quello generale sull’Italia o sul mondo) di ieri e quello di oggi: la moda di tacere o sorvolare sui rapporti tra dirigenti e diretti, tra chi sta in basso (economicamente o culturalmente) e chi sta in alto; e sul fatto che tali rapporti continuano ad essere sempre più diseguali e sempre più basati sulla forza che sul consenso (e non su un patto veramente paritario).
Negli anni ’70, quando ci occupavamo di Cologno da militanti di Avanguardia Operaia, avevamo chiaro che facendo politica partecipavamo ad un conflitto e sceglievamo di stare con i lavoratori in basso e contro capitalisti in alto. Negli odierni discorsi politici – siano essi di destra o di sinistra oppure né di destra né di sinistra – questa differenza non è più chiara; non una parola viene spesa sul fatto che a condizionare sempre più pesantemente i cambiamenti in corso e la vita quotidiana di milioni di viventi (e quindi anche quella degli abitanti di Cologno), ci sia il Capitale (mondializzato, finanziarizzato, digitalizzato, sempre meno industrializzato).
Dimenticare questo (che la realtà delle società è tuttora dominata e condizionata dal Capitale), non tenere più presente la lezione di Marx [1] è un regresso (culturale) non un progresso. E’ come lasciar perdere la scoperta di Galilei che la Terra non è al centro dell’universo e tornare a Tolomeo. O parlare di Uomo, di Umanità trascurando i corpi dei viventi e i loro bisogni.
Perché dico questo? Perché mi pare scandaloso che gli attuali sostenitori della politica di sviluppo sostenibile [2], crescita umanaecologia integrale (insomma della “Cologno del futuro”), come il sindaco Zanelli e il centro sinistra, non sembrano accorgersi che – per dirla con un proverbio – “fanno i conti senza l’oste”. E, cioè, non dicono una parola sull’ostilità che i gestori del Capitale continuamente dimostrano a qualsiasi prospettiva “umanistica”.
Per mel’opacità degli “occhiali” cetomedisti consiste in questa ignoranza o sottovalutazione voluta dell’attuale e accresciuto dominio del Capitale.

Note

1 A chi obiettasse che “Marx è morto”, che la sua lezione ha prodotto solo tragedie, i gulag, una nuova tirannide, consiglio di riflettere su un breve articolo del politologo Carlo Galli, uno studioso serio (https://www.patriaindipendente.it/.../per-una-nuova.../), da cui stralcio alcuni passi:

“in effetti la vicenda politica del comunismo reale è stata, dopo tutto, un fallimento, ma non direttamente imputabile al pensiero di Marx quanto piuttosto alle logiche dello Stato autoritario in cui si è incarnato. Marx non appartiene all’album di famiglia dei fondatori di tirannidi, di Stati di polizia. Semmai, egli è stato frainteso per motivi opposti. L’idea di fondo di Marx, la razionalizzabilità del mondo e la scomparsa del dominio, l’idea […]. L’insegnamento di Marx è stato interpretato e semplificato come speranza da milioni e milioni di uomini e donne che hanno fatto del marxismo una profezia messianica di rango globale. Il marxismo è stato abbracciato soprattutto come la risposta delle genti alla ingiustizia del mondo, della storia. Hanno agito in questo senso un bisogno di credere, una pretesa di dignità, un’ansia di riscatto che oggi non hanno ancora trovato un sostituto. Ma, certo, mentre si faceva «religione» il marxismo spianava la strada anche al dominio di «sacerdoti» tanto spietati quanto, alla fine, inetti.
Leggere Marx dopo l’Ottantanove, dopo la fine del comunismo, significa avere attraversato gli anni dell’oblio, gli anni che hanno proposto Marx quale responsabile del comunismo reale e dei suoi errori ed orrori. E significa accettare che non esiste un soggetto eroico in grado di rovesciare il mondo, e che non è più praticabile la certezza su cui Marx si fonda: che ciascuna epoca pensa i problemi di cui ha la soluzione.
Marx da gettare alle ortiche, quindi? Proprio no. Senza Marx non si può organizzare una nuova teoria critica. La sua capacità di smascherare l’ideologia è un esorcismo contro l’egemonia del neoliberismo da cui derivano strutturali fratture e inceppamenti della società, disuguaglianze e ingiustizie, nonché paurosi dislivelli di potere fra ceti e fra aree del mondo.”

2 Sviluppo sostenibile vuol dire imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta: in maniera equa e dignitosa per tutti, senza sfruttare - fino a depauperare - i sistemi naturali da cui traiamo risorse e senza oltrepassare le loro capacità di assorbire scarti e rifiuti, generati dalle nostre attività.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante strada, erba e albero

15. Del Capitale e di come condiziona anche la vita della città di Cologno Monzese – dicevo – non si parla più. L’argomento è ignorato e sottovalutato o è ormai tabù. La conseguenza in campo culturale e politico è pesante. Quel poco o molto dell’opera di Marx, che eravamo riusciti a conoscere e usammo fino agli anni ‘70 del Novecento, ci aiutava a capire il mutamento della realtà mondiale (e di Cologno) nei suoi aspetti – (non solo economici ma anche ideologici) – più nascosti.
Oggi, invece, i discorsi liberali e vagamente democratici – (alla PD per intenderci) o quelli in parte apprezzabili di Papa Francesco [1] ripresi dal neosindaco Stefano Zanelli – vorrebbero convincerci che una idealizzata “Cologno del futuro” potrebbe essere costruita attraverso una “coprogettazione” e “coprogrammazione” a cui “tutti” potrebbero/dovrebbero partecipare. E senza valutare i rapporti di forza diseguali esistenti tra noi cittadini comuni e i gestori del Capitale. Nelle Linee di mandato da poco presentate non c’è un cenno ai rapporti di forza diseguali esistenti tra noi cittadini comuni e i gestori del Capitale. Ci sono soltanto problemi settoriali, tecnici: abitazioni, periferie, giovani, ecc. da affidare a specialisti. Ma non bisogna essere marxisti (o vecchi) per sapere che i “cittadini capitalisti “ hanno appetiti particolari; e di solito vogliono “coprogettare” e “coprogrammare ” a loro esclusivo vantaggio, anche danneggiando i diritti degli altri (bene comune), com’è sempre accaduto in passato e tuttora.

Va ricordato che, se il ceto politico cattolico è stato da sempre ostile a una lettura non idealistica della vita sociale e politica, quello che fu prima di sinistra e poi si è “sciolto” nel centro sinistra, sbarazzandosi del passato (abolizione del PCI nel 1991, “svolta della Bolognina” di Occhetto), ha la responsabilità storica di un autodafè o di un’abiura, che hanno condotto all’attuale disastro della Sinistra.

La situazione attuale del ceto medio è, dunque, oggi più difficile che mai, un vero letto di Procuste. Sia per quella parte di esso (Zanelli, CSD, il centro sinistra) che in nome di una democrazia “inclusiva” vuole mediare, come fa Papa Francesco, tra gli appetiti incontrollati dei gestori del Capitale e i bisogni sociali in basso (dei cosiddetti fragili, deboli, poveri, emarginati), sempre più compressi proprio da quegli appetiti. Sia per quanti, pur appartenendo al ceto medio, ne criticano l’ideologia cetomedista in modi più o meno decisi (come me e vari amici isolati) e cercano un’alternativa politica al centro sinistra.
Sta, infatti, diventando sempre più chiaro che questa mediazione alla Zanelli (o alla Papa Francesco) resta simbolica (o sulla carta). E viene sempre più osteggiata (Cfr. Confindustria, governo Meloni). Le tragedie sociali – si vedano le morti sul lavoro, le morti dei migranti, la gestione da lager degli arrivi a Lampedusa) – si moltiplicano. Ed è lo stesso ceto medio progressista o illuminato che si va impoverendo, ha paura e viene danneggiato dalle politiche decise in alto (oggi da Meloni e dalla UE, ieri da Draghi, l’altro ieri da Zingaretti, Renzi, etc.) unanimi nel comprimere i bisogni sociali e spingere alla guerra tra poveri.
Qualche sentore che il conflitto sociale (di classe, generazionale, culturale) resta – strisciante, inceppato, soffocato – esiste almeno un po’ in CSD [2]. Non fino a far porre, però, il problema politico vero: come dovrebbero trasformarsi gli attuali partiti e le liste civiche a base cetomedista – le forme in cui ancora oggi si fa la politica “attiva” – , se volessero davvero rappresentare politicamente gli attuali bisogni sociali e dirigere chi li vive più o meno consapevolmente verso un progetto che ne preveda il soddisfacimento?

Note

1 Condivido quel che scrisse nel 2020 il filosofo Roberto Fineschi a proposito dell’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco:
“l’enciclica sorprende ma solo fino a un certo punto; non ci si deve infatti scordare che la chiesa cattolica è sempre stata avversaria del mondo liberale, persino dai tempi in cui esso era una forza progressiva. Si rammenti l’aspra campagna antiliberale e antimoderna di Pio IX, ma anche la critica della questione sociale di Leone XIII o dell’esplicito appoggio alle soluzioni corporative del fascismo da parte di Pio XI. La chiesa cattolica è sempre stata avversaria del mondo liberale. Nel secondo dopoguerra, la guerra fredda e il pericolo comunista l’hanno portata vicino agli Stati Uniti, ma non certo per un’adesione al liberalismo. Del resto la soluzione italiana vedeva le forze moderate ancorate alla Democrazia Cristiana ed esplicitamente appoggiate dal Vaticano. La DC non era certo una forza liberale, ma contigua all’idea della gestione statale dall’alto della società, con il cattolicesimo come religione di Stato e un approccio paternalistico direttivo[…]. D’altro canto non può stupire, per quanto non fosse scontata, la critica della barbarica violenza perpetrata contro i migranti, i popoli del terzo mondo, gli “ultimi”. Se non altro a livello di principio sono questi temi estremamente sensibili per la chiesa cattolica. Non a caso la forte e continua insistenza sulla parabola del buon samaritano a cui è dedicato un intero capitolo (§§ 70 ss.). Nelle critiche sviluppate su questi due fronti il papa va a toccare interessi o dell’altissima borghesia o del ceto medio che invece vede nei rispettivi approcci sopra esposti un qualcosa di positivo e auspicabile. Per queste forze – non solo conservatrici ma addirittura reazionarie, che racchiudono una fetta non indifferente del popolo che si dichiara cattolico – l’atteggiamento fermo e pacatamente progressista di papa Francesco risulta odioso e compromissorio; infatti lo attaccano senza pietà.[mia sottolineatura]
(https://www.lacittafutura.it/.../fratelli-di-tutto-il....)

2 Se nel documento elettorale che ho citato scriveva:
“E’ pur vero che a Cologno esistono tensioni sociali e problematiche legate alla povertà, al diritto alla casa, alla mancanza di lavoro (soprattutto fra i giovani)”. Ma questo accenno resta vago. Viene detto che: “Queste tensioni però non cercano e non trovano rappresentanza politica e quindi la loro conflittualità sociale risulta molto debole”. Non ci si chiede perché non la trovano più. O chi o cosa impedisca ai conflitti sociali di essere rappresentati nello spazio politico. (https://www.colognosolidaledemocratica.it/.../le-buone.../)
Potrebbe essere un'immagine raffigurante erba

16. L’opacità degli “occhiali cetomedisti” si svela soprattutto quando deve farsi un’idea degli “altri”, i non cetomedisti. E chi sarebbero? Quelli che stanno in una sorta di “buco nero sociale”. Di essi, attraverso la nebbia dei mass media, s’intravvedono le ombre: quelle che in modo asettico definiamo dei lavoratori sempre più precari (in gran parte giovani), dei nuovi immigrati in condizioni spesso servili, degli emarginati (magari contigui per necessità alla criminalità). E’ mai pensabile che con un po’ di buona volontà, educandosi o lasciandosi educare, i non cetomedisti – finora esclusi dal “normale”benessere e dalla semicultura del ceto medio – otterranno anch’essi quelle condizioni di vita che rendono credibile l’ideale cetomedista: ecologico, ambientalista, tecnologizzato? Mi pare improbabile, se questa mia analisi ha colto qualcosa di vero dell’attuale realtà, e cioè l’imporsi di un mutamento in senso antiprogressista (se non reazionario) e di un accrescimento estremo delle diseguaglianze, sottolineato del resto da vari studiosi. [1]
Con amarezza, perciò, al posto dell’ottimistica“Cologno del futuro” – “città più ricca, tecnologizzata, ecologica..” – prevedo per i miei figli e nipoti e i tanti giovani un prolungamento di questo presente sempre più conflittuale purtroppo in mano ai nuovi capitalisti egemoni della finanza, dello sviluppo sostenibile (per il Capitale più che dalla natura) e dell’Intelligenza Artificiale. Una parte (minima) del cetomedio riuscirà forse a mantenere condizioni di vita “decorose” o a migliorarle (di poco, di tanto, a secondo i casi, le relazioni, le occasioni) ma, malgrado le dichiarazioni di benevolenza e di solidarietà, la vedo nera per i non cetomedisti ,specie quelliche vivono in condizioni più pesanti. E sempre se, il volenteroso idealismo/pragmatismo che l’intera Giunta Zanelli oggi professa, porterà qualche vantaggio economico per Cologno e non s’incarterà in crisi interne alla coalizione, come accaduto con Rocchi. O se la crisi della democrazia e il caos di guerre e disastri a livello mondiale non cancellerà del tutto ogni velleità democratica e progressista.
Ci sarà probabilmente più “ascolto” delle “esigenze della gente”. Saranno offerti consumi culturali forse meno pacchiani o più “intelligenti”, ma la soluzione dei problemi sociali oggi vitali non ci sarà. Come li affronterà, infatti, il centro sinistra – (o come li ha affrontati prima il centro destra di Rocchi) – i problemi che assessori e consiglieri avranno “ascoltato”, se il bilancio comunale è insufficiente e condizionato da scelte governative di tagli e limitazioni varie?
Nel consiglio comunale dell’11 settembre Mario Bresciani (CSD) ha detto che i fondi si troveranno. Sperem. Bisogna, però, vedere a quali condizioni verranno concessi e in cambio di cosa. E temo che quello che si riuscirà ad ottenere attraverso le “convenzioni” con privati (forniti di capitali da investire) sarà pagato in altri modi dagli stessi cittadini. (Come scrissi nel 2008 nella Lettera aperta a Soldano: “Non sarà che lei concede ai costruttori 100 per incassare 50”? [2]).
Semplifico troppo? Qualche singolo Owen [3] per la “transizione ecologica” si potrebbe ancora trovare? Chissà, ma una rondine non fece e non farà primavera. Ci sarà di sicuro più Caritas. Appunto: la necessità di fare la carità è la conferma della persistenza delle diseguaglianze.

Concludendo questo punto. Nella storia di Cologno, l’immagine di una città operaia d’ispirazione socialista o comunista (all’italiana? modello Sesto S. Giovanni anni ’70? modello Emilia?), quindi più aperta ai bisogni degli strati sociali in basso, è saltata e non più riproponibile. Il processo di deindustrializzazione e finanziarizzazione è avanzato impetuoso e distruttivo (per i lavoratori e gli altri strati detti “popolari”). Chi ha preso in mano il governo della città in questa fase ha e non può non avere in mente che il modello cetomedista – nella versione dei trionfi elettorali “asfaltanti” della Lega e di Rocchi o nella versione prudente dell’attuale Giunta Zanelli. Ma è una regressione che è chiamato a gestire. Questa è la dura realtà che viene coperta dall’ideologia cetomedista. Essa occupa e occuperà il discorso pubblico nei consigli comunali, sui social e nelle segreterie dei partiti o della liste civiche. Sì, l’uovo che viene propagandato è proprio l’uovo cetomedista.

Note

1 Ad es. scrive Alessandro Visalli: “la crisi che attraversiamo non è solo un malfunzionamento essenziale della finanza nel suo ruolo di mediazione tra risparmio ed impieghi produttivi, che ha avuto sin dal medioevo; non è solo uno scollamento tra la crescita della produttività e l’occupabilità o la rendita del lavoro, che è in corso almeno da quattro decenni; non è solo lo spaccamento della società in enclave incomunicanti ed il rifiuto della parte fortunata di condividere le sue ricchezze tornate a livelli ottocenteschi; non è solo prevalenza della competizione e dell’egoismo sulla cooperazione e solidarietà, e relative emozioni, senza la quale la società precipita nel caos e nell’odio (e nell’ansia). La crisi è anche una rottura di razionalità nel capitalismo come struttura di ordine della società. E’ la dimostrazione che le routine e le soluzioni consolidate nella tradizione sono ormai spiazzate, che anche le nuove non funzionano più. “ (https://tempofertile.blogspot.com/.../crisi-e-teoria...)
2 Cfr. https://www.facebook.com/.../colo.../posts/6562234640547153/
3 Robert Owen, un imprenditore inglese della prima rivoluzione industriale, esponente del socialismo utopico. Criticò il capitalismo e il modo in cui il proletariato veniva sfruttato e riteneva il capitalismo una società immorale. Lo scopo di Owen era una società che doveva essere fondata sulla cooperazione
(https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Owen)

“ho anche un altro dovere: cercare di interpretare i sentimenti di coloro che vorrebbero avere ma non hanno alcuna alternativa, appunto, agli attuali stendardi politici.” (F. Fortini, Insistenze, pag. 186)

17. Ma c’è forse a Cologno (o in Italia o nel mondo) chi vuole ancora la gallina, la rivoluzione, il comunismo? No, anche quell’idea (o ideale o sogno) si è sporcata ed è svanita. Oggi la coltivano pochi epigoni e in modi spesso fideistici, scolastici, non politici. Nel mondo di oggi quelle lotte e speranze sono cenere. Quindi, se la polis non c’è, che fare a Cologno? Nel rispondere, sento di dover distinguere un che fare (possibile) di altri (senza di me) da un mio che fare, arrivato quasi alla conclusione.

1. Il che fare degli altri in teoria è chiaro: proprio perché la polis non c’è, bisogna costruirla. Bisogna costruire un progetto politico non cetomedista e un’immaginedi Cologno non cetomedista, antitesi di quella esistente. Con chi? Con i cetomedisti critici. Come altrove, minoritari e dispersi, esistono anche a Cologno. Mi sento di fare dei nomi: la Casa in movimento, CAT, ArtLista/ M5S, alcuni ex militanti della ex sinistra isolati e silenziosi da tempo. E ci metterei persino la lista civica di Angelo Rocchi, emersa pur ambiguamente dalla crisi del centro destra locale. Non sarà un ceto medio critico alla maniera che a me piacerebbe, ma in modi propri in parte lo è. [1]

Dovrebbe/potrebbe porsi un compito strategico: conoscere scientificamente Cologno (e soprattutto la parte invisibile di Cologno.[2] Ci sarebbe poi da esplorare il“buco nero”del cosiddetto “astensionismo elettorale”).[3] Si tratta di un magma sociale che sembra diventare sempre più informe, eterogeneo, insoddisfatto, lamentoso. O arrabbiato o impaurito o portato alla rassegnazione o troppo passionale. E che, quando comunica, si contrappone in modi rozzi o feroci (populistici) allo stile compiaciuto e apparentemente ottimista e responsabile dei cetomedisti ora al governo della città. In esso non c’è per ora nessun noi già bell’e pronto (o quasi). E’ probabile (ma non certo) che in quel 51, 99% di astensionisti alle ultime elezioni del 2023 possano spuntare ribellioni più consapevoli e in grado di organizzarsi in forme nuove, ma non è certo. Potrebbe essere un miraggio. Perciò, quel magma sociale andrebbe indagato a fondo e non mitizzato. [4] E l’indagine non è facile. Di quali strumenti di conoscenza disporrebbero gli eventuali ricercatori? E andare a parlargli?Ma per dire o dare loro cosa? Il progetto di una Cologno del futuro diversa da quella idealistica del sindaco Zanelli e del centro sinistra non esiste. Questo dev’essere chiaro. Il progetto di una buona politica, che non sia il calco di quella cattiva di queste mini-oligarchie democratiche e che sia capace di mobilitare le parti vitali e positive della odierna Cologno non c’è ancora (e non è detto che ci sarà).
Da questo ceto medio critico potrebbe nascere – facciamo tutte le ipotesi – una nuova sinistra. Lavora positivamente in questo senso Unione Popolare (UP) o Sinistra Italiana (SI) se non il PD della Schlein? Potrebbe lavorarci un gruppo pensante di Cologno indipendente dagli attuali partiti e collegato ad altri gruppi pensanti in altre città d’Italia o Paesi del mondo? Questo sarà il vero rompicapo da affrontare.

2. Il che fare mio. Dal 1964 Cologno è stata per me uno spazio politico estraneo e ostile ai miei desideri e bisogni, ma dove comunque ho fatto sentire la mia voce. La domanda – Che fare a Cologno Monzese– me la posi nel lontano 1978. E da allora ho tentato di rispondervi partecipando a riviste o associazioni (Bandiera rossa la vogliamo sì, Spartacus, Laboratorio Samizdat, Ipsilon, Poliscritture) e per alcuni anni anche a CSD.[5] In tutti questi tentativi si è posto un dilemma che riassumo nella formula: rifondazione o esodo (dalla sinistra). E devo riconoscere che sempre i più spingevano per la rifondazione e io o pochi altri abbiamo spinto per l’esodo. Questa divisione s’è ripresentata tante volte e fino alle ultime elezioni del 2023. [6]
Oggi, in una situazione così critica e in una realtà tanto mutata i compiti di studio li vedono necessari in pochi. E si sa che non possono avere effetti immediati,non risolvono i problemi urgenti che la gente ha. E questo ceto politico dimostra da decenni di essere refrattario a studiare e disabituato a imporsi una disciplina diversa da quella pragmatica a cui si è abituato e che ancora gli permette di “vincere” alle elezioni. C’è uno scarto enorme tra teoria e pratica. Se scegli la teoria, scrivi saggi o appunti. Se scegli la pratica, stai o col Pd o con la destra…e balli.
Davanti a una realtà mondiale, che continua a produrre rischi di guerra e apocalisse ambientale, ma anche davanti ai problemi di Cologno io uso ancora la lezione di Marx, di Fortini, di Simone Weil e difendo la “nostra” tradizione. Ma prendo atto che l’ottica anticapitalista di questi autori a Cologno non ha quasi più interlocutori. Nessuno ha voglia di fare seminari su quell’eredità sepolta. Quindi questa via è chiusa.
Non me la sento neppure più di riproporre un’associazione culturale come fu Ipsilon. Conclusione. Il mio che fare consisterà nell’usare quello che ho (Poliscritture Colognom), curare “amicizie” volanti, far andare il mio pensiero dove può andare. Ci penseranno altri, se sentiranno il bisogno di un nuovo partito, di una nuova rivista o di altro, a darsi da fare. Senza di me. Il compito che resta a un vecchio è la riflessione in solitaria, il messaggio in bottiglia (a ignoti o solo a se stesso), il soliloquio. Essere con calma e senza rancori la voce che parla nel deserto, la testimonianza inattuale o fuori stagione. E rispondere ad eventuali domande che qualcuno dovesse ancora rivolgergli.

Note

1 Anche se, quando parla, inciampa nel pettegolezzo o fa prevalere l’odio personale o si chiude in se stesso e resta invischiato neglstessi schemi cetomedisti al governo ed è ambivalente: se è all’opposizione, abbaia, ringhia, addenta; e, se va al governo, scodinzola o torna ad essere presuntuoso.
2 MANIFESTO PER “COLOGNO BENE COMUNE: https://www.facebook.com/profile/100075832428252/search/?q=manifesto%20cologno%20bene%20comune
3 Anche se riferito alla Francia e non all’Italia, segnalo un interessante studio su tutte le elezioni, a livello comunale, avvenute nella Francia continentale, a partire dalla Rivoluzione (del 1789) ad oggi: Julia Cagé e Thomas Piketty, Une histoire du conflit politique. Élections et inégalités sociales en France, 1789-2022, 1789-2022, Éditions du Seuil. La recensione del libro è a questo link: https://www.sinistrainrete.info/.../26381-joseph.... E questo è uno stralcio: “uno dei principali risultati dell’indagine è che “le variabili sociologiche legate alla ricchezza, alla professione o al diploma sono determinanti del voto molto più importanti delle variabili legate alle origini”. Per gli autori, “il fatto che il dibattito pubblico si concentri spesso su questioni identitarie testimonia soprattutto l’oblio della questione sociale e l’abbandono di ogni ambiziosa prospettiva di trasformazione del sistema economico””.
Ci si potrebbe anche chiedere, per riprendere il tema delle immagini di Cologno da cui questi Appunti sono partiti, se e quali altre immagini di questa città potrebbero esserci o nascere dagli anonimi che stanno (o starebbero) in questo “buco nero”. Ad es., quale immagine di Cologno passa per la testa dei giovani: quelli che continuano ad abitare fisicamente a Cologno perché non hanno altra scelta ma che con la loro immaginazione sono altrove. O qual è quella che si costruiscono i nuovi immigrati, arrivati dall’Asia, dall’Africa, dall’America Latina, dai paesi dell’Est. O qual è quella ei disoccupati o dei lavoratori a rischio di disoccupazione o dei malati, dei disabili, degli anziani. Al momento a me pare che nessuna presa possano avere più su questi anonimi (per ora) “non cetomedisti” le vecchie immagini di Cologno. Esse hanno una risonanza ridotta nello stesso ceto medio odierno e permangono soprattutto tra i vecchi sopravvissuti a quei periodi.
4 Mi pare che i cetomedisti al governo se li immaginano come buoni selvaggi da incivilire o fasce pericolose da reprimere o blandire con quel che permette di dare loro la politica democratica capitalistica. Sempre se - come detto -la crisi del capitalismo non precipita o la guerra in Ucraina e quelle che si affacciano in altri scacchieri (in Africa, ad es.) non scombineranno i loropiani. (Da notare: nelle Linee di mandato effetti del Covid e guerra in Ucraina sono i due spettri appena evocati ma non guardati in faccia).
5 Cfr. https://www.poliscritture.it/.../05/26/dieci-anni-di-ipsilon/
https://www.poliscritture.it/2022/08/01/16399/
https://www.poliscritture.it/.../ripensare-cologno.../
6 Cfr. I MIEI CONTI CON CSD. A proposito di radici (cattoliche e/o comuniste)
https://www.facebook.com/.../colognom/posts/6146639925439962

3 pensieri su “La polis che non c’è

  1. è molto interessante questa ricostruzione di una città non città (la polis che non c’é), Cologno Monzese, dal secondo dopoguerra ad oggi attraverso testimonianze personali e studi da parte di Ennio Abate, e di altri precedenti storiografi di un territorio in continuo mutamento per popolazione, per strutture abitative, per le forme di gestione…Ennio Abate vi individua, a proposito, una forma di continuità non proprio positiva, che chiama “colognosità”, negli atteggiamenti poco costruttivi presenti in molti che hanno gestito la collettività, con poche eccezioni, ma in generale anche negli abitanti dei vari ceti, piu’ o meno influenzati dagli interessi del cosidetto ceto medio…interessi egoistici, non lungimiranti, a favore di pochi e del capitale in generale…La gestione leghista, ad esempio, che fece chiudere la scuola di Italiano per stranieri, La Casa delle Donne, eccellenze presenti da molto tempo in Cologno…
    Cologno ancora paese, nel dopoguerra, descritto con nostalgia da varie fonti… città di forte immigrazione, chiamata anche dormitorio… città della periferia…città della Comunicazione, per la presenza di Mediaset…Città del futuro per l’ultima amministrazione, che comunque mi sembra piu’ aperta, visto il programma a cui si ispira, delle precedenti…Forse sogna troppo? Certe disarmonie sono incancrenite? Insomma una realtà cangiante anche perchè, secondo me, le trasformazioni sono state troppo repentine per trovare un assetto migliore che inglobi gli interessi di tutti, che crei un sentimento di comunità vera…Occorre altro tempo e buona volontà. Comunque Cologno sembra essere rappresentativa di molte altre realtà periferiche che ruotano intorno alla grande città, Milano…

    1. Sono d’accordo con lei su questa interessante ricostruzione di una polis che non c’è. E che Cologno sembra essere rappresentativa di molte altre realtà periferiche che ruotano intorno alla grande città, Milano.

  2. “Il compito che resta a un vecchio è la riflessione in solitaria, il messaggio in bottiglia (a ignoti o solo a se stesso), il soliloquio. Essere con calma e senza rancori la voce che parla nel deserto, la testimonianza inattuale o fuori stagione. E rispondere ad eventuali domande che qualcuno dovesse ancora rivolgergli.”
    Dopo l’analisi puntuale di “una” specifica realtà, in cui ha vissuto e agito politicamente, l’autore conclude… come potrebbe concludere chiunque a proposito di qualunque realtà. E’ questa la situazione generale di un/una vecchia che pure, in altri tempi, hanno fatto politica.
    Chi altri la porterà avanti?
    Dove sono? Chi sono?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *