Su CLASSE E PARTITO di Alessandro Visalli

Una nota sulla presentazione del libro a Milano

di Ennio Abate

Giovedì 11 ottobre 2023. Alla presentazione del libro di Alessandro Visalli, astratto “amico su FB” ora conosciuto di persona al Ferrobedò, «uno spazio culturale polivalente nel pieno centro di Milano» scoperto in questa occasione. Qui in breve le impressioni che ho avuto dalla serata; e che correggerò o confermerò con più argomenti dopo la lettura completa del libro:

1. Consonanze. Simpatia per entrambi i due ricercatori che ancora oggi riflettono sulla storia del movimento operaio o del socialismo/comunismo. Molti degli autori da loro nominati (Gramsci e Benjamin innanzitutto) o citati nella bibliografia alla fine del libro li ho letti io pure. Anche se – è bene dirlo – li conosco in modi a volte più frammentari e lacunosi. In buona parte mi ritrovo nelle critiche mosse da entrambi alle mitologie postmoderne e populistiche degli ultimi decenni. E sento io pure l’esigenza di mettere fine al “senso di sconfitta storica che la sinistra tutta ha incorporato a partire dagli anni Ottanta” (Visalli) e di delineare un progetto.

2.Resistenze. Mi pare che Visalli e Formenti abbiano abbozzato un discorso ricco di spunti storici e filosofici che restano, però, in sospeso proprio nella loro dimensione costruttiva, progettuale. I due concetti al centro del libro (classe e partito: due “buone rovine” in senso fortiniano?) mi paiono avere scarsi appigli con la realtà confusa e spesso indecifrabile in cui oggi ci ritroviamo. Comprendo la volontà ansiosa di costruire un legame tra teoria e pratica, ma l’intento audace di “ridare corpo al fantasma del collettivo” (sottotitolo del libro) mi sembra volontaristico.
Credo di trovare conferme al mio scetticismo nelle stesse considerazioni sociologiche e storiche fatte da Formenti nel suo intervento introduttivo, quando si è soffermato sull’epoca – (dobbiamo chiamarla così tanto è ormai lontana!) – in cui esistevano le fabbriche, si poteva parlare con buone ragioni di classe (operaia) o Alberto Magnaghi teorizzava la città-fabbrica. Quel passato di lotte è sepolto, sostituito da una realtà del lavoro di una frammentarietà quasi indescrivibile. E non capisco se e come si possano riprendere esperienze fondate sul rapporto leninista e gramsciano tra classe e partito, come si tentò di fare negli anni ‘60 e per tutti gli anni ’70. Esperienze fallite. Come del resto sono fallite le varie “rifondazioni” di Partito (da Rifondazione comunista a SI), rivelatesi epigoniche, stancamente o scolasticamente ripetitive e soprattutto stantie nello stile di militanza riproposto.
Anche la lettura da parte di Visalli di Benjamin o la centralità che attribuisce (in sintonia con Agamben?) all’idea del capitalismo come religione mi lasciano perplesso. Mi hanno riportato alla mente i prudenti avvertimenti di Cesare Cases contro l’uso equivoco che venne fatto in Italia di questo pensatore tra gli anni ’80 e i ’90 del Novecento;[i]e, persino, l’altrettanto equivoco precedente di un “Gramsci per tutti” sulla rivista “Giovane critica” diretta attorno al ‘68 dall’oggi detestabile Mughini. Sarà adesso, invece, possibile o sufficiente coniugare Benjamin con la “fantasia concreta” di Gramsci? E ricavare dal pensiero del primo un discorso su partito e classe, che – non dico debba avere la limpidezza del pensiero di un Lenin – non resti troppo embrionale, suggestivo o quasi in “zona poetica”? Un altro timore ancora: che con Benjamin ci si inchiodi, ancora più di quanto già non lo siamo oggi, al passato e alla memoria (o alle memorie) a scapito della comprensione di un presente così sfuggente e sempre più tragico. Tanto più che, in tempi che diventano sempre più bui, di intellettuali propensi o capaci di esercitare questo sforzo d’immaginazione politica ne vedo pochi. E, quindi. come si può davvero “essere nuovamente politici, materialisti e populisti, allo stesso tempo” o “ricominciare a fare grande politica”?

Tornando a casa, ho dovuto dirmi che, malgrado la simpatia per la loro fatica, le parole di Visalli e Formenti non sono bastate a farmi uscire dallo stato d’animo del superstite che da tempo mi blocca. Né sono riuscite ad azzittire un demone che m’incalza e così mi rimprovera: “L’avete già tentata quest’esperienza dialettica classe partito! Non vi è bastata la batosta? Non avete visto quanto sia risultato non ricomponibile il contrasto tra “desiderio dissidente” alla Fachinelli e richiamo all’”autorità” di Fortini?[ii]Non hai tu stesso tirato un bilancio negativo della storia di Avanguardia Operaia?[iii]Non hai visto fallire o degenerare o accademizzarsi quasi tutti i tentativi che, speranzoso, hai fatto per stare dietro ai teorizzatori del “ripensare” o “oltrepassare” Marx? [iv] E non t’accorgi che l’impostazione di Visalli (ma più quella di Formenti) scivola troppo nel solco disfatto del socialismo fallito?
Sono, dunque, uno che non sa “dismettere l’abito del lutto”? Non credo. O che tiene troppo in conto la sua esperienza? No, soltanto non mi va di accantonarla. Nei prossimi giorni completerò la lettura del libro di Visalli e scaverò tra le sue pagine. Per capire se è solo troppo tardi per me per partecipare a un progetto teorico innovativo costruito da chi si occupa più seriamente di me di teoria. O se qualcosa di essenziale della nuova realtà sfugge alla presa anche di Alessandro (e di Formenti).

Note

[i] Cfr. ad esempio, Cesare Cases, “Benjamin per tutti” in “Il testimone secondario”, pag. 115, Einaudi, Torino 1985.
[iii] Cfr. https://www.poliscritture.it/2021/05/16/appunti-sulla-storia-di-ao/
[iv] Mi riferisco alle mie lettura dei libri di Costanzo Preve, Antonio Negri, Sergio Bologna, Gianfranco La Grassa, ecc.

1 pensiero su “Su CLASSE E PARTITO di Alessandro Visalli

  1. Quello che mi spaventa, in questo “intento audace di ‘ridare corpo al fantasma del collettivo'”, è l’annullamento di circa 50 anni di storia. Banalmente: dov’erano le donne (non dico l’audacia di Rossanda…) in quel “collettivo”? Non perché non ci fossero, pur in quote minoritarie, ma perché… erano confinate nella “questione femminile”: come se fossero una minoranza, tra le altre, e non intera (mezza) umanità, l’universale femminile come l’universale maschile.
    E oggi, come MI si rivolgono?
    Ma mi facciano il piacere!

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