di Ennio Abate
Caro Michele Arcangelo,
ho letto il tuo libro fino in fondo e con piacere. Provo simpatia per i tuoi versi. Mi richiamano esperienze d’infanzia simili del secondo dopoguerra: la madre mediterranea, la povertà (…e mi cucivi/enormi e tonde pezze al culo[1]), persino i geloni (…e son felice / perché non sappiamo più che cosa sono i geloni[2]). E poi una formazione cattolica rigettata, la militanza, le letture avide, la delusione politica. C’è in tutto il libro una grande sofferenza. Sei capace, però, di addolcirne poeticamente il peso attraverso un serrato dialogare. Lo provano le tante dediche ad amici o interlocutori ma anche una scrittura indirizzata ad una oralità calorosa tra il familiare e l’amicale.[3] Bella mi è parsa anche l’onestà con cui dichiari i limiti culturali della nostra generazione: “Questo vi lasceremo figli / mappe tesori / dei nostri sbagli”.[4]
Dubito, però, che il fondamento della tua ricerca poetica vada cercato in un nichilismo fecondo,[5] come scrive Marcello Carlino nella nota introduttiva. Perché in essa – malgrado tue pur esplicite affermazioni in contrario – scorgo tratti quasi ariosteschi o rabelesiani di spavalderia, buonumore e ironia. In fondo, a me pare che tu rifugga dai toni tragici e ti fai cullare – un po’ troppo, forse – dal fascino di immagini letterarie sempre sensuali e mitiche.[6] E, anche quando, leggendo dai giornali, ti imbatti nel tragicismo antistorico e misantropico di un Ceronetti,[7] lo sciogli in forme tanto ludicamente barocche e visionarie che persino il cenno ad uno spaventoso “latrare di mitraglie” induce al sorriso.[8]
Forse nei tuoi versi parla una sorta di gigante buono, “fanciullo per sempre”,[9] strabordante, teatrale. Che non risparmia sugli aggettivi, ricorre volentieri all’anafora, ora si fa più narratore, ora convoca immagini letterarie per abbellire i legami familiari,[10] ora sconnette (solo un po’) la sintassi. Oppure elenca,[11] galoppa in fantasie[12]. Mette in cortocircuito parodico testi canonici e immagini della quotidianità sfatta d’oggi[13]. Si abbandona ad una gioia carnevalesca[14] e persino alla battuta da bar[15].
Convive con lui (e un po’ lo frena) una tenacia nel restare oppositivo per continuare a dire no a ogni chiesa, alle ideologie, alle certezze filosofiche consolatorie.[16] Non è più, però, – lo riconoscerai – il no contestatore delle nostre gioventù. In fondo, sappiamo – (ma esitiamo a dircelo) – che è un no frenato e malinconico, un no che deve appoggiarsi a metafore un po’ consumate. Perché, trascorsi nel frattempo tanti, troppi dieci inverni (Fortini), abbiamo imparato che non basta più alzare la voce e che nei passaggi d’epoca il lavoro sporco l’hanno fatto le ghigliottine.[17] (Quello che, oggi, almeno in Occidente e per ora, vanno preparando i social).
Questo blocco della spinta alla rivolta a me pare sia registrato a livello formale, quando, contro le tue stesse intenzioni di raccogliere il senso unitario di un bilancio di vita o di stringerlo almeno in sezioni,[18] il tuo libro è costretto comunque a frammentarsi in un caleidoscopio di molteplici immagini. Lo rivela in modo esemplare la poesia intitolata Di me.[19] Parte, infatti, da un intento unitario: Vorrei fare una gigantografia di gruppo / di tutti i me che siamo tanti. E, elencando le lunghe file dei me di ogni età che se la spassano o s’affaticano in spazi e tempi diversi, finisce man mano per arrendersi con divertito disincanto alla foga della loro pluralità inarrestabile: Ora li puoi contare se hai pazienza / ci sono proprio tutti // I me te l’assicuro / siamo più di un milione.
La sezione PORCA MISERIA è la più amareggiata e nervosa. Da un disilluso e lamentoso In fuga da me,[20] passi a incursioni disordinate e contraddittorie in più direzioni. Tra le quali noto: un abbassamento rassegnato della più mitica preghiera cattolica alla volgarità desolante della nostra epoca,[21] incazzature viscerali,[22] fughe in una idilliaca ma fragile micro-utopia familiare,[23] inquietudini snervate,[24] rimbrotti poco convinti e un po’ complici [25] e qualche schietta ma troppo facile volgarità.[26].
Lo scarto tra l’intento poetico sia pur antilirico e l’impatto con la meschina ma inaggirabile realtà contemporanea [27] non si ricompone in modi convincenti. Ad esempio, da una parte resta la metafora un po’ scontata del Vicolo cieco,[28] nella quale riassumi la tragedia politica dei nostri anni ’70, cioè l’antefatto tenuto in sordina di questo tuo personale e intenso bilancio poetico 1980-2023. Dall’altra l’utopia, sommessa e dolente de L’isola che non c’è.[29]. E’ come se tu volessi a tutti i costi difendere una residua ma, secondo me, sempre più incerta poeticità della vita. Eppure, anche se tiri dalla tua parte il Leopardi più idilliaco, [30] a me pare che corri il rischio di appannare la durezza storica dell’epoca che ci è toccata e lo stesso pensiero critico che ancora non riesce a macinarla.
Queste le sincere impressioni che ho ricavato dalla mia lettura.
Un abbraccio
Note
[1] Pag. 40.
[2] Pag. 42
[3] “ho costantemente cercato nello scrivere una versificazione pronunciabile ad alta voce”, pag. 9.
[4] Pag.150.
[5] Pag. 6.
[6] “Il ventre della mia sposa Onda Celeste/l’antica Grande Madre Mediterranea/la culona ha dato a voi miei sudditi/ vita e miti”, pagg. 28-29.
[7] Cfr. Urlo, pag. 145-146.
[8] Pag.145-146.
[9] Pag. 46.
[10] “Chissà se piacerebbe alla mia Arianna/quando dipana la lagna/che imbroglia il labirinto/avvolgendo il bidet/e il biberon del tè” (pag.56). O anche: “Buon compleanno/appendi/questo mio tintinnabolo di versi alla finestra/tinnuli grappoli di baci e/di cin-cin/oscillano nel vento lieto/del nostro vortice” (pag.62).
[11] Cfr. In fuga da me, pagg. 93-94.
[12] Cfr. Stari Most – vecho ponte di Mostar, pagg. 73-74.
[13] Cfr. Cantico de le criature, pagg.79-82.
[14] Cfr. Fuga sui mercati, pagg. 75-76.
[15] “Più incitano a far crescere il PIL/e più lo pil in cul” (pag.77).
[16] Pag. 6.
[17] Pag. 12.
[18] Le sezioni sono ben dieci e raccolgono una varietà quasi enciclopedica di temi che “spaziano da omaggi alla “divinità” del mare, agli affetti familiari, alla vita cittadina, al lavoro, alla universale sottomissione alle merci, alle varie forme di dissipazione delle vite (lavoro, guerre, depressioni e suicidi, malattie), alla politica, alla dissipazione dei poeti e della poesia, alla religione, alle altre false credenze, ad alcune riflessioni sulla Storia, sulle scienze, sul tempo (e le estasi che sospendono il fluire del tempo), all’amore, agli slanci verso la progettazione di un futuro accettabile e a misura di natura e d’umanità e infine agli slanci di ricerca di fusionalità col cosmo” (pag. 11).
[19] Pagg. 47-51.
[20] “Io non sono più me / non sono nessuno / non sono niente / cammino cammino cammino / non direzioni non mete / solo fuggire da me…”(pag.93).
[21] Cfr. Ave Maria, che nella prima strofa così comincia: “Ave Maria / di silicone piena nelle grazie / il signore e con te per venti euro / ti ei rigenerata tra le donne / ma non avrai mai frutti in seno / benedetta per le curve esagerate / pelle di seta dominio di eroina e ormoni” (pag.105).
[22] “Tanto si arrapano a produrre / e spatasciare guerre i potenti / che non gli basta stare a cazzo dritto”( pag.108).
[23] In Seme. Contro la minaccia nucleare alla prospettiva apocalittica: Se un giorno l’uomo strapazzando il mondo / lo strapiombasse / oltre i confini del lecito ruotare viene contrapposto un delicato e forse consolatorio idillio: Ingozzerei il mio pasto tristemente / l’ultimo bicchiere di Amarone / l’ultima sigaretta // E poi direi alle figlie / Eleonora Arianna / adesso con la mamma proprio qui / davanti alla ginestra / pianteremo il seme di un acero (pag. 109)
[24] Cfr. Credo, dove troviamo un esorcistico ma sempre ironico: Non credo alla fola di Dio / non credo all’imbuto del Niente / non sto in pace nemmeno con l’Io // Anzi sovente non sono in pace /q uasi con niente (pag. 114)
[25] Cfr. Coi poeti, pagg. 122-123.
[26] Cfr. L’aureola: “Come il piscio dei cani è la poesia / sopra l’altrui minzione / un altro un altro ancora e un altro / per menzione / pone la propria traccia / e passa” (pag.126)
[27] Cfr. Vorrei scrivere: “Vorrei intonare un canto / ci vorrebbe un bel fiato / ma ho visto la TV / mi è venuto un conato” (pag. 128)
[28] Pag. 143-144.
[29] Pag. 149.
[30] Cfr. Autoscatti rammentando Leopardi, dove si legge: Eppure anche lui sorrideva / alla gaia donzella all’artigiano / ai bambini in frotta / alle frottole della vecchierella…(pag.120)
Caro Ennio, ti ringrazio per aver avuto la pazienza di indagare in lungo e in largo con attenzione e sapienza il mio libro antologico “Il piede sulla luna. Hai documentato le tue indagazioni con un corredo di note che rimandano puntualmente a tante parti del libro, osservato e sezionato con occhio clinico anche severo e non compiacente. Ciò costituisce per me il dono più prezioso, perché mi offre spunti di riflessione che guideranno mente e mano nei miei prossimi taccuini poetici.
Ti ringrazio ancora e ti abbraccio. Fraterna amicizia, Michele Arcangelo Firinu