Due poesie da “La segreta isola di sale”

di Emma Pretti

Gli alberi non nati

La sostanza degli alberi non nati
è una carne tremula di cui
abbiamo sentito il fruscio
appeso alle orecchie,
un’idea rapida che sorpassa
se stessa nel buio trasparente.
Solo per un attimo aprirono gli occhi
per bere la nebbia corrotta del mattino.
Sono venuti per redimerci
e sparire, anch’essi coinvolti
nella crescita e seppelliti,
sulla strada verso nessun luogo,
che è il percorso migliore
perché non s’impara
né bisogna ricordare
La segreta isola di sale

La notte è andata,
tutt’altro che placida
per sprofondare nel sonno,
al contrario straziata e impotente
in preda a un boato,
addirittura inguardabile.
Il turbine schiacciato contro le finestre
ha colpito i vetri sino a frantumarli;
le schegge sono cadute in mille
a pioggia dentro casa.
Domande a raffica prima che sbattessero
le porte, per poi riaprirle, e replicare
provando a sbatterle di nuovo.
Una grandinata di risposte si è abbattuta
sopra la betulla, che ha pianto, scarmigliata
lacerandosi i fragili rami. Piccole foglie
strappate restano sparse a terra.
       Ma la notte è passata.
come ogni mattina il sole si è acceso
e accanito risplende sopra la pozza
di un piccolo lago salato di lacrime.
L’acqua evapora così in fretta
che sulla superficie galleggiano
sottili scaglie di sale; all’inizio
quasi trasparenti, poi man mano
nivee lastre salate dai contorni irregolari.
Navigano senza scontrarsi mai,
coprendo lo spazio, schiacciando
le onde come se volessero togliere
il respiro alle deboli correnti dell’attesa.
I passanti le additano meravigliati
paragonandole a una coperta di glassa
divisa in zattere.
      Non svelano allo sguardo
      il loro delittuoso proposito.
Le granulose zattere conducono naufraghi
disorientati, svuotati, in marcia costante
verso uno sbocco che è tutt’intorno
irraggiungibile – e perciò esausti.
Sono minuscoli insetti, piccoli uccelli,
un bipede, un quadrupede debole o
particolarmente sfortunato
      – compatirlo non serve e non è sufficiente.
La maggior parte giovani esemplari inesperti,
tutti indistintamente accecati
da un’intenzione spezzata, rappresa
sopra la pelle.
Col passar delle ore il sale asciuga
e condensa intorno alle zampe
che diventano sempre più pesanti
strette dentro calzari impietosi;
oppure cristallizza intorno al corpo,
occhi, ali, antenne, narici.
La mia finestra l’altra notte ha visto
la bufera e il ruggito della terra.
        Conosce tutto questo.
Le rive accolgono animali che lanciano i loro
richiami, amici in cerca di cuccioli, intere nidiate.
Il cielo è percorso da uccelli che volano in cerchio
e scrutano per riconoscere chi si è allontanato.
I loro gridi accusano la desolazione dell’aria,
la brutalità delle rocce.
Le scaglie brillano al sole e dirigono verso lo stesso
                                                  [punto.
Una segreta isola di sale galleggia al centro del lago
coi suoi abitanti immobili che ci salutano
         – oppure non salutano,
semplicemente segnalano la lontananza.
Bisogna mettere in conto che il cuore
può anche sprofondare.

 

Dalla introduzione di Alessandra Paganardi

Proprio qui si scopre la vocazione allegorica del libro, dopo quella descrittivo/visionaria e quella enigma-tico/narrativa. La natura è l’inesauribile materiale alle-gorico per significare la brutalità della vita, il correlato oggettivo del suo annunciato disastro. Ma è una natura filosofica, fredda, antilirica e antiromantica, che procede in parallelo, senza neppure un residuo di vibrazione empatica rispetto all’umano e. letteralmente, nessuna corrispondenza: «Tra poco farà buio, / il buio ha un peso da precipitare». Il resto è autosuggestione, con ri-ferimenti intertestuali fin troppo evidenti per essere spiegati: «Alberi vaghi puntati alle stelle / Loro vaghe non sono / Vette e cristalli d’altitudine / Fiamme vibranti di neve incandescente / Fuochi di un significato inesistente / Che latrando percorre l’universo». La natura, più ancora che matrigna, è smemorata, come quel dio che «non esalta e non condanna / semplicemente dimentica / nel gorgo del tempo / che sempre lo assale». L’isola di sale, che trascina alla deriva e imprigiona in un cemento di morte i dispersi, è allegoria dello smarrimento e della condanna che sempre accompagna la diversità.

 

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