Cominciando dalle vittime

Appunti su “Storia del conflitto israelo-palestinese” di Claudio Vercelli (1)

Ho appena finito di leggere questo libro e ci tornerò su a più riprese, perché tratta in modo chiaro e puntuale una questione che, come un tarlo, è da tempo presente nelle mie letture sulla storia del Novecento. (Cfr., ad esempio, qui, qui o qui). In questo primo appunto propongo una nota, apparentemente secondaria, del suo ultimo capitolo, che considero un punto ineludibile da cui partire per  riflettere su qualsiasi conflitto sociale e politico:

«Il bilancio complessivo delle vittime del conflitto israelo-palestinese è estremamente difficile da calcolare a causa della varietà di fonti e dell’uso di una parte di esse in termini propagandistici. Non di meno, i criteri con i quali considerare vittima del conflitto il singolo caduto possono variare in base a chi compie i calcoli di merito. Gli israeliani hanno dichiarato la morte di 20.093 militari nel corso delle guerre o delle azioni belliche avvenute tra il 1948 e il 1997. A ciò vanno aggiunti 75 mila feriti e circa 100 mila individui che, a vario titolo, possono essere considerati come disabili, parziali o totali, a causa degli effetti delle violenze legate al confronto con gli eserciti e le milizie arabe o a causa di atti di terrorismo. Al 2010 la conta arrivava a 22.684 soldati e pionieri sionisti deceduti dal 1860 in poi. Ad essi si aggiungevano 3.971 civili vittime del terrorismo e 25 mila feriti (gli ebrei uccisi prima del 1948, negli anni del mandato britannico, risultano essere complessivamente 685). Tra il settembre del 2000 e l’agosto del 2010 risultavano essere stati uccisi 1.194 israeliani e stranieri, insieme a 7 mila feriti. I numeri relativi ai palestinesi sono molto più incerti. Nel periodo mandatario si indicano in 5 mila i periti tra la popolazione araba così come tra i 300 e i 700 morti nel 1948, prima della proclamazione dell’indipendenza d’Israele. I deceduti durante il primo conflitto tra arabi e israeliani sarebbero stati quasi 2 mila tra i combattenti palestinesi. Inoltre, le autorità hanno indicato la scomparsa tra il 1948 e il 1949 di 11 mila civili. Si stima che i fedayyin morti, tra il 1949 e il 1967, siano stati tra i 2.700 e i 5 mila. Le vicende di «Settembre nero», nel 1970, sono costate la vita a 3.400 uomini dell’Olp. Le ostilità in Libano, fino al 1982, avrebbero causato la morte di almeno un migliaio di miliziani palestinesi. La guerra del 1982-1985 ha generato un numero imprecisato di vittime, che varia a seconda dei calcoli, dalle 5 mila alle 20 mila, risultando tuttavia impossibile stabilire quanti tra questi siano stati gli effettivi combattenti. La prima intifada, tra il 1987 e il 1993, ha causato un migliaio di uccisi per responsabilità israeliana e un numero di pari dimensioni per stessa mano palestinese. La seconda intifada, tra il 2000 e il 2005, conterebbe tra i 2 mila e i 3.500 palestinesi combattenti uccisi e tra i mille e i quasi 3 mila civili morti. Nel complesso, in quest’ultimo caso, le vittime attribuite all’esercito israeliano sono 4.791, mentre 714 sono i palestinesi eliminati da connazionali. A queste cifre, destinate a non essere chiarite in misura incontrovertibile, vanno poi aggiunte migliaia di altre persone decedute durante le numerose violenze e delle quali non si ha nozione se non in termini molto incerti».
(Ebook a 88%)

Il brano mi ha fatto tornare in mente contemporaneamente: la quasi ingenua pedagogia di  Andrea Zanzotto che, vissuto nei luoghi dove avvenne uno dei tanti massacri della Prima guerra mondiale, una volta propose «un libro come fondamento delle bibliotechine di famiglia, di scuola ecc.: un puro elenco di nomi e relative date, sessanta righe a caratteri piccoli e stretti per ogni pagina: sarebbero circa 10.000 pagine. Solo per una guerra, per un Paese, e tralasciando gli impazziti i feriti i mutilati»; e il più cupo ma lucido pessimismo di matrice freudiana che incontrai  nel libro di Woffgan Sofsky, Saggio sulla violenza, da cui riporto questo stralcio:

"Poiché l'uomo può immaginarsi tutto è capace di tutto poiché non è guidato dagli istinti poiché è un essere dotato di intelletto, è in grado di comportarsi peggio delle più malvagie delle bestie. Poiché è un essere culturale che crea da sé la sua violenza ,può accrescere le sue forze distruttive all'infinito. Poiché non è vincolato a nulla, è capace di qualsiasi crimine. Poiché le forme culturali limitano la sua libertà, è costantemente impegnato a distruggerle. Il fatto che gli uomini ogni tanto smettano di distruggere e di uccidere, non dipende da un'improvvisa esplosione di filantropia o di moderazione morale, ma dal fatto che alla lunga non si riesce a convivere con la violenza. Ne hanno abbastanza, finché l'appetito non ritorna. Gli intermezzi di pace sono solo episodi, l'età dell'oro durano solo qualche anno, nelle migliori delle ipotesi qualche decennio. Negli annali della cultura e della società non sono altro che pagine bianche. 
Poche settimane dopo l'inizio della Prima guerra mondiale, il 25 novembre 1914, Sigmund Freud scrive a Lou-Andreas Salomé: “Non dubito che l'umanità supererà anche questa guerra, ma so per certo che né io né i miei contemporanei vedremo più un mondo sereno.È troppo ripugnante […] Poiché noi vediamo la più alta cultura contemporanea affetta da un'enorme ipocrisia, siamo organicamente inadatti a questo tipo di cultura. Dobbiamo abbandonare la ribalta e il grande Sconosciuto, comunque lo si voglia immaginare, un giorno ripeterà questo esperimento culturale con un'altra razza”.
Una diagnosi fosca: poiché non è capace di cultura, l'uomo dovrebbe fare spazio a un'altra specie. Nonostante tutti gli sforzi morali, tutte le fatiche per domare la brutalità, il male è eterno. Gli strati più primitivi dell'anima sono ciò che è realmente immortale. Ma Freud scrisse queste righe ancor prima che i mulini a sangue della grande guerra fossero completamente in funzione. prima di Verdun. Ypern e della carneficina sulla Somme. E fece queste riflessioni molto prima dell'invenzione della bomba, prima di Hiroshima, anche molti anni prima della costruzione dei campi di concentramento e delle fabbriche di morte, prima di Kolyma e Auschwitz. I crimini epocali contro l'umanità erano ancora al di là da venire. La diagnosi di Freud appare fin troppo ottimista. Gli è stato risparmiato di dover riconoscere che la guerra di massa e il genocidio, lo scatenamento della violenza assoluta, non sono una regressione allo stadio primitivo dell'anima, né una ricaduta nella barbarie. La violenza stessa è un prodotto della cultura umana, un risultato dell'esperimento culturale. Viene eseguita sulla base dello specifico stadio di sviluppo delle forze distruttive. Di regressi può parlare solo chi crede nei progressi. Da sempre invece gli uomini distruggono e uccidono volentieri e con naturalezza. La loro cultura li aiuta a dare forma e figura a questa potenzialità. Il problema non è dato dall'abisso fra le pulsioni più oscene e le promesse del mondo civile, bensì dalla corrispondenza fra violenza e cultura. La cultura non è affatto pacifista. Lei stessa è parte del male. In realtà gli uomini sono molto adatti alle loro culture che sono la loro immagine ed esprimono le loro inclinazioni. Se Freud fosse vissuto fino alla fine della Seconda guerra mondiale, difficilmente avrebbe potuto non domandarsi se mai un'altra volta un esperimento della cultura dovesse essere ripetuto".
(Wolfgang Sofsky, Saggio sulla violenza, pagg. 194-195, Einaudi, Torino 1998)

65 pensieri su “Cominciando dalle vittime

  1. Io non sono uno storico e non ho letto il libro di Vercelli, però, da appassionato al tema da 30 anni, e da “attivista digitale” che ha accumulato una certa esperienza nel valutare come vien impostata la “narrazione”, noto subito che l’estratto del suo libro:

    1) Parla di “conflitto” e vittime del conflitto, cioè usa termini che mettono sullo stesso piano le due parti, Israele e palestinesi, oscurando l’asimmetria in cui si esprime il cosiddetto conflitto (una occupazione militare, con stato occupante e popolazione occupata, questi i termini corretti).

    2) Dà per appurate le cifre delle vittime israeliane, dopo aver accennato in modo vago alle distorsioni di una non ben identificata propaganda.
    In queste cifre mette dentro “la morte di 20.093 militari [israeliani] nel corso delle guerre o delle azioni belliche avvenute tra il 1948 e il 1997. A ciò vanno aggiunti 75 mila feriti e circa 100 mila individui [disabili per] violenze legate al confronto con gli eserciti e le milizie arabe o a causa di atti di terrorismo.”

    In altre parole, con una operazione a dir poco discutibile (se non esplicitamente propagandistica), Vercelli mette sul conto del cosiddetto (detto da lui) conflitto israelo-palestinese vittime che di certo, in massima parte, sono state uccise dagli eserciti degli stati arabi che dal 1948 al 1997 hanno mosso guerra (o risposto a guerra) a Israele. Un bel modo per addebitare ai palestinesi le azioni di guerra di tutti gli stati arabi della regione. In questo modo, ottiene un numero di morti israeliano rilevante.

    3) Poi arriva a fare una sintesi, dove di nuovo addebita ai palestinesi tutti i morti ebrei dal 1860 al 2010: “la conta arrivava a 22.684 soldati e pionieri [pionieri, si noti bene, non coloni, c’è una bella differenza] sionisti […] Ad essi si aggiungevano 3.971 civili vittime del terrorismo e 25 mila feriti (gli ebrei uccisi prima del 1948, negli anni del mandato britannico, risultano essere complessivamente 685). Tra il settembre del 2000 e l’agosto del 2010 risultavano essere stati uccisi 1.194 israeliani e stranieri, insieme a 7 mila feriti.”

    4) Vercelli scrive:
    “I numeri relativi ai palestinesi sono molto più incerti.”
    Questo è un classico della propaganda sionista: “La storia è complicata, le cifre sono incerte…” Ovviamente Vercelli, pur essendoci una Autorità palestinese nella West Bank e Hamas a Gaza, non si fida, e non si sa bene se nei suoi intervalli mette la cifra israeliana delle vittime (cioè quella minima) e poi quella palestinese (la massima).
    Negando o eludendo la questione della pulizia etnica, Vercelli mette poi le vittime palestinesi insieme a quelle delle guerre degli stati arabi:

    “I deceduti durante il primo conflitto tra arabi e israeliani sarebbero stati quasi 2 mila tra i combattenti palestinesi. Inoltre, le autorità hanno indicato la scomparsa tra il 1948 e il 1949 di 11 mila civili.”

    Non curandosi delle vittime giornaliere dell’occupazione israeliana iniziata nel 1967, Vercelli di nuovo vede soltanto vittime di guerra o intifada, come se la Palestina fosse uno stato sovrano e non invece un territorio di guerra occupato: “La guerra del 1982-1985 ha generato un numero imprecisato di vittime [dalle 5 mila alle 20 mila]. La prima intifada, tra il 1987 e il 1993, ha causato un migliaio di uccisi per responsabilità israeliana e un numero di pari dimensioni per stessa mano palestinese. La seconda intifada, tra il 2000 e il 2005, conterebbe tra i 2 mila e i 3.500 palestinesi combattenti uccisi e tra i mille e i quasi 3 mila civili morti. Nel complesso, in quest’ultimo caso, le vittime attribuite all’esercito israeliano sono 4.791, mentre 714 sono i palestinesi eliminati da connazionali.”

    5) Cosa intende poi Vercelli con: “A queste cifre […] vanno poi aggiunte migliaia di altre persone decedute durante le numerose violenze e delle quali non si ha nozione se non in termini molto incerti»? Non si sa.
    Forse intende le vittime palestinesi di coloni ed esercito? Notate che la vaghezza è tale che potrebbe far credere che i palestinesi si siano uccisi tra loro, e non si sa minimamente in quale numero, mentre di certo le autorità palestinesi sanno bene quanti e come sono stati uccisi.
    Infine, nell’inverno 2008-2009 c’è stata la prima carneficina di Gaza, quella descritta da Arrigoni: nessun accenno da parte di Vercelli.

    Non si può giudicare un libro da una sola pagina, ma potete immaginarvi che idea mi son fatto della qualità di questo libro quale strumento di analisi storica volto a far conoscere e comprendere i termini della questione in oggetto. Un lettore di quelle righe capisce che israeliani e palestinesi si son fatti guerra cronicamente con un numero di morti più o meno uguale, all’interno di una situazione “incerta”, difficile da definire (quando invece è chiarissima).
    Non so se Vercelli lo dica da qualche parte ma, giusto perché si sappia, negli anni Duemila (ma anche prima) il rapporto delle vittime totali tra israeliani e palestinesi è quanto meno di 1 a 20 e sono morti dovute non a “guerre”, ma a pulizia etnica e violenze dell’esercito occupante (o dei coloni) da parte israeliana, e morti dovute a “resistenza armata” (se rivolta all’esercito occupante) o terrorismo (se rivolto ai civili) da parte dei palestinesi. Anche ora, a Gaza, Israele è vicino a ripristinare quel rapporto, se prendiamo i 1200 morti israeliani del 7 ottobre.

  2. Copio da POLISCRITTURE SU FB L’INTERVENTO DI….

    Maurizio Bosco

    Ennio, anche io ho appena terminato la lettura del libro di Vercelli. Una ricostruzione dei “fatti storici” apparentemente oggettiva nella ricostruzione delle vicende storiche, ma che non si espone, o lo fa in modo subliminale, al compito di affrontare la questioni della ragione dei “fatti” , sin a partire dal titolo. A mio parere non è, nfatti, neanche del tutto proprio parlare di un “conflitto” israelo-palestinese, come se si trattasse dello scontro tra due entità poste sullo stesso livello. Esiste la storia di un progetto coloniale da parte di un’entità statale nata a tavolino che ha occupato un terra abitata da secoli da una popolazione prevalentemente araba e da altri gruppi etnici e religiosi, che ha, sin dalle sue origini perpetrato un progetto di espansione territoriale condotto attraverso il furto dei beni della popolazione pre-insediata ed un percorso, di lungo corso, di pulizia etnica, razzisticamente connotata. della suddetta popolazione. allontanata dai suoi luoghi storici e privata della sua cultura e delle sue tradizioni e resa, in gran parte, profuga. Dall’altra parte c’è la storia drammatica della resistenza di questo popolo, così come si è potuta realizzare sullo sfondo dell’assetto sociale delle comunità insediate, con le sue stratificazione e della dipendenza dai rapporti delle varie comunità profughe insediate e frammentate tra i paesi dell’area oltre che tra paesi dell’occidente. Non comprendo la rilevanza che innanzitutto dai al conteggio delle vittime, come fosse un elemento che possa spiegare qualcosa, ammesso e non concesso che questo bilancio sia attendibile, dato che i dati sulle vittime israeliane sono dati per certi, mentre quelle delle vittime di parte palestinesi sono, per quanto ampiamente sottostimati, dati da considerate, per definizione, inattendibili. Naturalmente Vercelli si guarda bene dal mettere in conto il numero di uomini, donne bambini, liquidati, in particolare a partire dal ’67, o rapiti e torturati nelle carceri israeliane di cui certo non c’è un equivalente reciproco comparabile.
    Mi pare che Vercelli insista molto sulle contraddizioni che il percorso di organizzazione politica di questa resistenza ha fatto registrare, ma non mi pare considerare in tutta la sua ampiezza l’effetto di disorientamento di dette condotte, contraddittorie, ondivaghe e spesso compromissorie, determinato dalla pluridecennale condizione diasporica della popolazione palestinese, oltre che dai complicati rapporti che le organizzazioni politiche per la liberazione della Palestina, a partire dall’OLP, hanno dovuto intrattenete con i governi dei paesi via via ospitanti. La condotta di detti paesi meriterebbe di essere inquadrata nel più ampio scenario del mutarsi degli equilibri internazionali, in particolare verificatosi a partire dalla fine del progetto laico e panarabista nasseriano (avversato dall’occidente imperialista), oltre che dalla mancata legittimazione che detta rappresentanza politica ha ricevuto da Israele oltre che nell’ambito della comunità internazionale, in cui, salvo rare eccezioni e sino a tempi assai recenti, è stata considerata alla stregua di organizzazione terroristica, al punto dal non essere più considerata rappresentativa dagli stessi palestinesi, che in larga parte, a torto o a ragione, ritengono di essere stati, da questa traditi.
    Non mi pare, infine, necessario ricorrere a Freud per ricordare che la violenza fa parte della natura e della storia dell’umanità e non mi pare, in aggiunta, comprensivo, quanto piuttosto assolutorio per le nostre coscienze di parti terze, ricondurre la questione dello vicenda di cui trattiamo ad una faccenda di moti pulsionali. Questo significa derubricare come pre-politica ogni forma di lotta di liberazione, con grave torto arrecato alla conservazione di ben altre categorie esplicative che, a mio parere, non bisognerebbe lasciar cadere. Alla fin fine, come avevo notato in un mio precedente commento a tue obiezioni circa le riflessioni di Vercelli sui fatti dei nostri giorni, seppur nella reticenza, non mi pare che lo storico receda dall’optare per l’appoggio ad una delle parti in causa, occultando la indiscussa leggittimità della posizione sionista che a me pare non venga posta in dubbio, nella notte, in cui tutte le vacche sono nere, della sequela dei fatti ricostruiti, notte che si può comodamente abitare fingendo di sospendere quel giudizio, che alle mie orecchie, ma potrei sbagliarmi, sembra essere, tuttavia, tacitamente proferito.

  3. @ Maurizio Bosco

    Non concordo con quanto scrivi, Maurizio. Per me il libro di Vercelli non è “una ricostruzione dei “fatti storici” apparentemente oggettiva”. Ha l’”oggettività” del lavoro di uno storico, che non è indifferente al conflitto ma mantiene una posizione che a me pare equilibrata, specie se confrontata con gli attuali contrapposti estremismi o fanatismi (pro Israele o pro Hamas). Poi ci saranno vuoti e forse reticenze. Ma alcune tue obiezioni mi paiono inutilmente ostili. Perché si dovrebbe parlare di “conflitto” solo quando si scontrerebbero “due entità poste sullo stesso livello”? Dov’è che Vercelli parlerebbe “di un “conflitto” israelo-palestinese, come se si trattasse dello scontro tra due entità poste sullo stesso livello”? Dalla mia lettura ricordo vari punti in cui ha sottolineato il divario economico, politico e militare tra i contendenti. Né puoi pretendere che faccia sua la tua posizione (“Esiste la storia di un progetto coloniale da parte di un’entità statale nata a tavolino etc…”).
    Sul conteggio delle vittime, accennato nella “nota, apparentemente secondaria” da cui sono partito. Dove starebbe l’enfasi, la rilevanza eccesiva che avrei dato? Il conteggio può essere contestato (in generale o nei dettagli) portando altri dati e argomenti. Ho voluto cominciare dai morti perché sono convinto che la violenza nella storia c’è e porsi il problema di come frenarla, contrastarla, non farla esplodere in modi distruttivi mi pare problema ineludibile per tutti i contendenti (non riuscendo a pensare che si possa giungere ad una sua abolizione). Anche la condotta ambivalente dei paesi arabi nei confronti dei palestinesi a me pare, invece, ben “inquadrata nel più ampio scenario del mutarsi degli equilibri internazionali”. E, infine, il ricorso a Sofsky (e a Freud) non vorrebbe avere alcunché di “assolutorio” né di “pre-politico” ma indurre a evitare ogni facile semplificazione tra “buoni” e “cattivi”.

    1. DA POLISCRITTURE FB/ MAURIZIO BOSCO A ENNIO ABATE

      Maurizio Bosco
      Ennio, mi spiace ma io non concordo con quella che mi pare essere una tua inaccettabile equidistanza e quello che mi pare un persistente tentennamento, nascosti dal continuo ricorso all’argomento de “le cose sono ben altrimenti complesse”. Non ci sono nè buoni, nè cattivi dici. Non mi sembrano attribuzione pertinenti e significative non volendo assumere il ruolo del moralista e dato che, per me, ci sono sicuramente perseguitati e persecutori e negarlo mi sembra cosa lunare. Non capisco cosa tu intenda per tifo “pro-Hamas”, considerato che, almeno per quanto mi riguarda, non credo ci si possa arrogare il diritto di giudicare in che modo la resistenza di un popolo che si vuole cancellare debba o possa concretamente realizzarsi, qui ed ora, nelle condizioni storiche che oggi si sono date, per tutta una serie di ragioni di cui io ritengo il popolo palestinese non responsabile in ultima istanza. Se credi, puoi continuare con Vercelli a proseguire la rilettura infinita del testo storico ed ad aggiungere tutte le glosse possibili ed immaginabili. Io, alla luce di fatti che mi appaiono evidenti ed inoppugnabili, oggi, so da quale parte sono, così come, credo, lo sappia, in fondo, anche Vercelli, sebbene (cosa che non mi sembra peraltro indispensabile), non lo dica apertamente. Capisco che da filosionista quale è non possa accettare il fatto che il progetto sionista sia un progetto, fondamentalmente colonialista oltre che suprematista e razzista, per dire il meno, ma altrettanto non puoi pretendere che io, leggendo il suo libro, sposi la sua presunta obiettività avalutativa, dato che non credo si possa dare storia che non sia, al fondo, valutativamente orientata.

      1. @ Maurizio Bosco

        1. Non c’è nessuna equidistanza nelle mie riflessioni – passate e presenti – sul conflitto tra lo Stato d’Israele e i palestinesi. Piccola dimostrazione: la posizione di Sergio Romano che Galbiati oggi ricorda approvandola ( “per quante colpe possono avere i palestinesi, la responsabilità di risolvere un qualsiasi conflitto di tal fatta (cioè una occupazione militare, questi sono i termini corretti) è sempre della potenza occupante”) l’avevo espressa, a modo mio, nell’agosto 2014 rispondendo a critiche ricevute da Ezio Partesana:

        «Domanda: « “A che pro” quello slogan?».

        Risposta: Allo scopo di esprimere l’insofferenza (non solo mia, per fortuna) per le troppo numerose uccisioni di civili inermi compiute da uno degli eserciti più potenti del mondo ormai da decenni per contrastare dei nemici (prima l’OLP ora Hamas), insidiosi senz’altro ma inconfrontabili alla sua potenza di fuoco. (L’asimmetria militare è un dato innegabile e non trascurabile quando si valuta quel conflitto). Il mio odio verso i più forti che programmano tale politica omicida e che ritengo più responsabili per questo loro strapotere dei loro oppositori deve pur venire fuori o no? Nella vita quotidiana, quando ho incontrato un prepotente che usava la sua forza contro una persona più debole o inerme, ho cercato sempre istintivamente di dare una mano al più debole o inerme. E se vedo uno che si oppone ad un prepotente acclarato, cerco di dargli una mano. Non faccio prima degli accertamenti sulla “cattiveria” o “bontà” di chi è quello che subisce la prepotenza o si ribella. Soprattutto non chiedo prima a chi subisce un’aggressione o vi si ribella una dichiarazione di buoni intenti per il futuro (quando dovesse averla vinta con il prepotente e diventare magari a sua volta prepotente). Ecco perché non esito a stare coi palestinesi, anche se adesso alla loro testa c’è Hamas. Non vedendo uno scontro tra “buoni” e “cattivi” ma un rapporto di dominio squilibrato (tutto a vantaggio di Israele), il problema per me è almeno di ridurre questo scarto inaccettabile. Solo così ne potranno trarre qualche giovamento i civili (ancora una volta soprattutto palestinesi) coinvolti comunque nello scontro tra le élites contrapposte.».
        (https://www.poliscritture.it/2014/08/25/su-una-mia-critica-a-israele-mediante-slogan/)

        2. Che le cose siano complesse non lo dico io perché sarei “tentennante”, ma lo prova l’irresolubilità finora di questo conflitto che persiste da 70 anni (o da più di un secolo, se si va a scavare nelle sue premesse). Questo è il vero rompicapo su cui dovremmo affannarci tuttu: politici, storici, militanti o semplici testimoni degli eventi che la storia produce. Per non cadere nei trabocchetti propagandistici dei contendenti e dei loro sponsor. E per non consolarci con prese di posizione in apparenza nette e decise, che si limitano ad etichettare: buoni/cattivi, democratici/terroristi, moderni/arretrati ma restano politicamente inefficaci, e sterili.

        3. La tua affermazione (“ci sono sicuramente perseguitati e persecutori”) ha anch’essa questo limite. Non chiarisce le ragioni del conflitto né aiuta – ammesso che sia possibile – a risolverlo. E’ ripetizione scolastica di discorsi un tempo efficaci, perché c’erano soggetti sociali e politici organizzati (diciamo di sinistra) che se ne nutrivano e producevano pensieri e esperimenti costruttivi e dinamici. Oggi non più. Abbiamo soltanto vaghe e fugaci simpatie e qualche lacrimuccia per le vittime e tolleranza se non identificazione con i “duri” (persecutori o perseguitati) con una scarsissima valutazione dei loro progetti politici contrapposti (dichiarati o occulti).

        4. Quando ho parlato di “contrapposti estremismi o fanatismi (pro Israele o pro Hamas)”- (non ricordo di aver usato l’espressione: “tifo pro-Hamas”) -, mi riferivo alle posizioni estreme che oggi i scontrano: a Netanyau e ad Hamas; al tizio (ministro israeliano, mi pare) che voleva usare la bomba atomica su Gaza e a fasce estremiste (spero minoritarie) che hanno inneggiato al massacro dei civili israeliani del 7 ottobre giudicandolo atto in fondo meritato, vista la politica di Netanyahu.

        5. Quanto alla “resistenza palestinese”, non giriamo attorno al nodo politico irrisolto. Sì, mi arrogo il “diritto di giudicare” se attualmente essa – per errore di valutazione (politico e militare) o per delirio religioso (cfr. http://rproject.it/2023/12/hamas-a-gaza-consapevolezza-o-errore/)
        – si fondi o meno su una strategia suicida e fino a mettere in conto che la prevedibile ritorsione israeliana ad una sua operazione, come quella del 7 ottobre, possa arrivare a fare 10-20 mila vittime. Come mi arrogo il diritto di prendere in considerazione che essa possa essere cascata nella trappola di un Netanyahu, il quale – a detta di vari osservatori ben più esperti di me – ha lasciato compiere o ha sottovalutato il massacro del 7 ottobre, pur di avere l’occasione di completare il suo progetto: eliminare – (oggi, dopo che ieri ne ha tollerato la crescita in funzione anti OLP) – Hamas e deportare i palestinesi terrorizzati e affamati da Gaza ad altro luogo più o meno osptale (Sinai, Egitto). Mi arrogo il diritto di giudicare e di dire che qualcosa non va (da tempo) in quella Resistenza, se succedono questi disastri. Non mi contento di ritenere in astratto “il popolo palestinese non responsabile in ultima istanza”. I morti non resuscitano “in ultima istanza”. Né riesco ad accettare che la gente palestinese comune o anche i combattenti debbano lasciarsi massacrare, fare i martiri, tanto la colpa “in ultima istanza” è degli israeliani. (Mentre questi ultimi invece, nella stessa logica, la colpa delle vittime la danno interamente ad Hamas).

        6. Il libro di Vercelli, malgrado il tuo sarcasmo settario, è un buon libro. (E, proprio perché buono, è anche criticabile). A me non basta sapere da quale parte sto. Non mi tranquillizza. Né intendo marcare le distanze da Vercelli etichettandolo come “filosionista”. Se m’imbatto nelle mie letture in veri o presunti filosionisti, preferisco leggerli attentamente. E sicuramente confrontarmi con uno che, nella premessa del suo libro, parla così: “una attualità che pare fondarsi sulla ripetizione ossessiva degli stessi cliché, ha invece una complessa storia, che si dipana nel corso di più di un secolo. Nel tempo sono mutati molti degli aspetti di fondo del confronto poiché sono cambiati i contesti e gli attori, le aspettative e le risorse. Non si presta quindi a facili generalizzazioni né, tanto meno, a semplificazioni che riducano la pluralità delle voci – dei protagonisti ma anche dei fatti – a un unico denominatore. Si può dire che è, per più aspetti, un catalogo della modernità politica e culturale, nascendo nell’età della definitiva affermazione degli Stati nazionali, maturando a cavallo delle due guerre mondiali, esplodendo negli anni della decolonizzazione per poi arrivare fino a noi, come una matassa insoluta di contraddizioni, di speranze, di delusioni, di paure e di aspettative.” (ebook 1%).
        Prendo quello che di documentato, ragionato e storiograficamente valido trovo nel suo libro per ragionare sul che pensare di quel conflitto e su che fare.

        7. “Presunta obiettività” di Vercelli? Io ho scritto: il libro ”ha l’”oggettività” del lavoro di uno storico, che non è indifferente al conflitto ma mantiene una posizione che a me pare equilibrata”. Nella premessa Vercelli ha scritto: “La storia non parla mai da sé, bensì con le voci che le sappiamo e vogliamo dare. Il senso che è attribuito al passato ha a che fare soprattutto con il presente di chi valuta e giudica i trascorsi. È storia ciò che demanda al confronto – e a volte allo scontro – tra interessi divergenti così come alla capacità di mediarli.” (ebook 1%). E allora, perché attardarsi su una questione d’altri tempi che nessuno in questa occasione ha posto?

        1. DA POLISCRITTURE SU FB

          Maurizio Bosco

          1) Non ho usato alcun “sarcasmo settario”, avendo, viceversa, letto con attenzione il libro di Vercelli ed avendo provato a leggere in filigrana, tra la esposizione dei fatti storici ricostruiti, l’ordine del discorso che la informa.
          2) Dici che affermare che ci sono perseguitati e persecutori non aiuta a comprendere le ragioni del conflitto e non aiuta, ammesso che questo sia possibile, a risolverlo.
          Sicuramente noi non abbiamo armi per risolvere il conflitto, ma credo, almeno per quello che mi riguarda, abbiamo il dovere di far udire voci di denuncia contro il coro informativo nei paesi occidentali che sostengono il sionismo e che ne hanno aiutato l’affermazione. piuttosto massiccio e uniformemente orientato.
          Il nostro ruolo può essere, al più, testimoniale, ma ritengo che questo ruolo sia comunque importante, a patto che sia svolto in modo deciso e che non si scenda a patti con una problematizzazione rilanciata in un infinito, che è solo un cattivo infinito. A riprova dei rischi del benaltrismo c’è la tua affermazione secondo cui il prendere posizione non spieghi i motivi del conflitto. In effetti, evidentemente, né per lo storico Vercelli, né per te, i motivi del conflitto richiedebbero altre valutazioni, o probabilmente, a tutt’oggi, apparterrebbero alla sfera dell’inconoscibile. Quando Vercelli ammette in premessa, come io ho sostenuto, che la ricostruzione storica non può che partire da un punto di vista e che questa può servire a consentire il confronto e perseguire ipotesi di mediazione, dovrebbe anche prospettare quali possibili e realistiche posizioni di mediazione. propone. Non mi pare che di tali ipotesi nel libro vi sia traccia. In tal senso deve desumersi che le ipotesi di mediazione non siano al momento. dall’autore, intravedibili o che forse si ritenga che nessuna mediazione è oggi ragionevolmente possibile ipotizzare. Il tema è sospeso e ad ognuno è lasciata in eredità la sensazione dell’rreversibilità di un conflitto non componibile.
          2) Alla domanda sul come uscirne, io, come nessuno, non ho risposta, ma il fatto che io non abbia risposta non inficia nulla di quanto io possa soggettivamente esprimere e nulla di quanto richiamato al punto precedente. Sarà la storia concreta a rispondere alla domanda su quale sarà l’esito, provvisorio (o finale), del conflitto. In attesa che la storia si incarichi di fornirci questa risposta, perchè dovremmo continuare a leggere cronache, ad interrogarci e nel frattempo a tacere, fermo restando che noi non siamo che parti spettatrici, che, come ribadisci, possono, tuttavia, rivendicare il diritto di valutare l’adeguatezza allo scopo di quanto attualmente si muove, esentati, data la non appartenessimo al popolo palestinese, dall’essere costrettii ad affrontare la questione della sopravvivenza sulla nostra pelle?
          3) Può essere che l’iniziativa di Hamas (?) possa produrre effetti indesiderati o addirittura opposti a quelli che si vorrebbero perseguire, ma io non sottovalutarei il fatto che l’iniziativa di Hamas (oggi unita ad altre formazioni della resistenza palestinese, anche di orientamento laico o di ispirazione marxista) ha, sia pur drammaticamente, riportato all’ordine del giorno una questione che continuava sottotraccia a produrre effetti letali per il popolo palestinese, nel silenzio o nella collusione generalizzata, in uno scenario internazionale che nel frattempo è fortemente mutato e che vede un gran numero di paesi condannare oggi apertamente la condotta Israeliana. L’eterogenesi dei fini, nella storia, può determinarsi a diversi livelli fattuali.
          Ennio Abate
          1. “Sarcasmo settario” resta mia definizione sul tuo giudizio sul libro di Vercelli.
          2. Condivido la necessità – (al di là dei risultati raggiungibili) – di denunciare e testimoniare contro il massacro di civili ebrei del 7 ottobre da parte di Hamas e contro il terrificante e disumano massacro di civili a Gaza da parte dell’esercito israeliano. E senza ipocrisie. [1]
          3. Ritenere complesso il conflitto israelo-palestinese non equivale a dire che è “inconoscibile” o nascondersi dietro il cosiddetto “benaltrismo” o rifiutarsi di prendere posizione. Non ho mai detto che “in attesa che la storia si incarichi di fornirci questa risposta” (sul suo esito finale o provvisorio), dovremmo continuare soltanto a leggere libri, ad interrogarci all’infinito e nel frattempo a tacere. (E rimando al punto 1 del mio precedente commento). Ma proprio perché siamo “parti spettatrici” o “testimoni secondari”, come diceva Cases, e non siamo con l’acqua alla gola “costretti ad affrontare la questione sulla nostra pelle”, come succede a palestinesi e israeliani da lungo tempo ed ora in questo frangente nuovamente tragico, dobbiamo, secondo me, evitare la scorciatoia di schierarci, come ho detto, a favore di uno dei “contrapposti estremismi o fanatismi (pro Israele o pro Hamas)”.
          4. Da quanto detto discende che sto criticando la tua svalutazione del libro di Vercelli. Per cui per te non vale la pena tornarci su, mentre io – senza scartare la lettura e lo studio di altri storici della questione – lo ritengo una buona base di riflessione: seria, documentata, equilibrata nella valutazione storica generale del conflitto e non compiacente verso la destra israeliana al governo. Anche criticabile, ma senza mai far ricorso a toni scandalizzati e inquisitori che considero scorretti e ingiusti.
          5. Mi sembra di cogliere una certa ambivalenza quando scrivi (usando un punto interrogativo):”Può essere che l’iniziativa di Hamas (?) possa produrre effetti indesiderati o addirittura opposti a quelli che si vorrebbero perseguire”.Ti direi: diamoci da fare per accertarlo. E’ o no di Hamas l”iniziativa” del 7 ottobre? Se non fosse di Hamas, perché Hamas e i suoi alleati o sponsor l’hanno esaltata? Che effetto ha avuto sul piano umano e politico?
          6. A me pare una giustificazione politica “possibilista” quella che ti fa dire: “io non sottovalut[erei] il fatto che l’iniziativa di Hamas (oggi unita ad altre formazioni della resistenza palestinese, anche di orientamento laico o di ispirazione marxista) ha, sia pur drammaticamente riportato all’ordine del giorno una questione che continuava sottotraccia a produrre effetti letali per il popolo palestinese”. Che, a rifletterci, sarebbe come dire: tutto quello che è venuto dopo il 7 ottobre 2023 – i 20mila o più morti dichiarati, le distruzioni di una città iperpopolata, etc, sono in fondo un costo umano che si può pagare o accettare, perché – così scrivi – “ pur drammaticamente [hanno] riportato all’ordine del giorno una questione che continuava sottotraccia a produrre effetti letali per il popolo palestinese”. Quindi, se agli effetti letali precedenti se ne aggiungono, in seguito ai fatti del 7 ottobre voluti da Hamas, altri effetti letali in dimensioni spaventosamente distruttive, tutto torna? E dovremmo compiacerci perché “un gran numero di paesi, condanna oggi apertamente la condotta Israeliana”? non siamo forse nella vecchia e criticatissima logica del “tanto peggio, tanto meglio”?
          Nota
          [1] Pertanto prenderei in seria considerazione alcune affermazioni di un articolo di Enzo Traverso:
          “Sul terrorismo ci sono comunque cose abbastanza semplici da dire. Innanzitutto, esiste un’ipocrisia straordinaria da parte dei paesi occidentali che rifiutano di negoziare con Hamas in quanto organizzazione terrorista, chiedendo però la liberazione degli ostaggi. Ma con chi si negozia questa liberazione se non con Hamas? Per non sporcarsi le mani si delega la questione al Qatar.
          D’altra parte, Hamas ha ucciso 1.400 persone il 7 ottobre di cui più di mille civili. Si è trattato di un massacro pianificato e rivendicato. È quindi evidente che si tratta di un atto terroristico. Ma qualificare Hamas come organizzazione terrorista non risolve la questione in quanto Hamas non può essere ridotta alle sue pratiche terroristiche. Il terrorismo è un metodo di azione. Il «terrorismo» di Hamas è comparabile a quello dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) prima degli accordi di Oslo, dell’Irgoun [da cui proviene l’attuale Likud, ndr] prima della nascita dello Stato di Israele, del Fronte di liberazione nazionale durante la guerra di Algeria ecc. Il ricorso a mezzi d’azione che si possono definire terroristi, non è incompatibile con gli obiettivi politici di un movimento di liberazione nazionale.
          Storicamente, il terrorismo è l’arma dei poveri e delle guerre asimmetriche. Hamas corrisponde abbastanza bene alla definizione classica di «partigiano»: un combattente irregolare, con una forte motivazione ideologica e radicato in un territorio, all’interno di una popolazione che lo protegge. Hamas prende degli ostaggi; l’esercito israeliano arresta dei civili e fa dei «danni collaterali» nel corso delle sue operazioni militari. Il terrorismo di Hamas non è che l’altra faccia del terrorismo dello Stato israeliano. Hamas vuole distruggere Israele senza averne i mezzi; Israele vuole distruggere Hamas dopo averlo favorito contro l’Olp, radendo al suolo Gaza e massacrando la sua popolazione. Se il terrorismo è sempre inaccettabile, quello dell’oppressore è peggiore di quello dell’oppresso”.

          https://jacobinitalia.it/la-guerra-di-gaza-offusca-la-memoria-dellolocausto/

  4. “Non si può giudicare un libro da una sola pagina, ma potete immaginarvi che idea mi son fatto della qualità di questo libro quale strumento di analisi storica volto a far conoscere e comprendere i termini della questione in oggetto” (Galbiati)

    Invece, fai proprio questo. Giudichi il libro di Vercelli non “da una sola pagina” ma da una nota a più di pagina. Non ripeto le obiezioni che ho fatto a Maurizio Bosco, che in parte dovrei riferire anche a te.

    1. Ennio,
      io non giudico il libro di Vercelli, ma questa sua pagina da te riportata, ammetto però che effettivamente mi basta per farmi una idea della sua impostazione e interpretazione (che mi erano peraltro già chiare da quel che ho letto di suo su facebook). Del resto, anche a te bastano poche righe su Fortini scritte da Marchesini o La Porta per poter esprimere un giudizio sul loro pensiero: quando certi cliché si ripetono sempre uguali e uno conosce bene la questione, è impossibile non farsi una idea.

      Io credo che chiunque lotti per i diritti umani ed ha lunga esperienza sull’argomento vedrebbe in questo scritto ciò che ho espresso io, e che non a caso trova analogie con il commento di Bosco.

      Vedrò di chiarire e contestualizzare in modo esaustivo ciò che ho espresso.

      1) L’argomento in questione riguarda una storia NON condivisa, dove “il quadro conta quasi di più dei fatti”, dove si confrontano almeno due precise “narrazioni”, che usano termini e categorie politiche precise e facilmente riconoscibili da chi come me li legge da 30 anni (e potrebbe anche delineare una loro evoluzione). “In una discussione. chi riesce a definire i termini del discorso è destinato a vincere. Chi stabilisce gli argomenti da discutere, i termini da usare, controlla l’andamento del dibattito, la sua logica e, infine, la sua conclusione, che non sono altro che l’evoluzione naturale della presentazione… questo testo è stato pensato anche per fornire una interpretazione, una cornice alternativa esposta in modo chiaro ed esplicito” (Jeff Halper dal libro Ostacoli alla pace, 2009).

      2) In questo conteggio delle vittime, Vercelli fa delle scorrettezze palesi: parla di “conflitto israelo-palestinese” e mette nel numero delle vittime israeliane quelle dovute alle guerre con gli stati arabi. Lo scrive espressamente. Come minimo, correttezza avrebbe voluto che dicesse che quelle erano le vittime del conflitto “arabo-israeliano”. Sono convinto che un qualunque pacifista israeliano sarebbe sconcertato nel vedere quel tipo di conta. Anche per l’altro fatto che ho segnalato, la vaghezza con la quale Vercelli parla delle vittime palestinesi, omettendo la carneficina di Gaza, che pure rientra nel periodo considerato e le vittime giornaliere dell’occupazione (difficilmente in un anno ci sono meno di 200 vittime palestinesi, spesso più di 365).

      3) La questione delle vittime è importantissima, tutt’altro che secondaria nel definire il contesto: se uno storico non fa capire chiaramente la totale asimmetria del numero delle vittime sta oscurando un fatto dirimente. Quindi, per quanto mi riguarda, se Vercelli non precisa in altre pagine del libro che lo squilibrio del conteggio delle vittime è netto (cioè di almeno un ordine di grandezza, tipo 1 a 10), per me fa una cosa grave. Ti faccio presente che questo approccio volutamente non chiaro nel definire l’asimmetria delle vittime fa parte anche della propaganda attuale sionista con Gaza: per Israele infatti i morti civili sarebbero molti meno di quelli presi per buoni da tutto il mondo (in altre parole: Hamas potrà anche eccedere, ma non di molto, l’ordine di grandezza è quello, ma Israele lo nega).

      4) La parola “conflitto” pone oggettivamente la “cornice” di cui parla Halper al punto 1) in termini paritari. Ora, citando sempre Halper, stavolta poco dopo il 7 ottobre: “Il contesto è chiaro. I palestinesi non sono mai stati in guerra con gli ebrei; hanno resistito a un progetto coloniale unilaterale dei coloni il cui obiettivo dichiarato è l’acquisizione della loro patria, la trasformazione della Palestina in Israele e la cancellazione del popolo palestinese, della sua cultura e del suo patrimonio. Gli appelli a “porre fine alla violenza” non sono sufficienti. Al contrario, creano una falsa dicotomia tra la conquista militare, l’occupazione, lo sfollamento, la repressione e i crimini di guerra di uno Stato di coloni, da un lato, e la resistenza di un popolo colonizzato senza uno Stato proprio, senza un esercito e senza il sostegno delle principali potenze politiche, dall’altro…. Chiediamo alle forze progressiste di tutto il mondo di cambiare la narrazione. Non dovremmo più parlare di un “conflitto” in cui la resistenza palestinese è criminalizzata e l’espansione di Israele attraverso i mezzi militari è presentata come “diritto di autodifesa”. Solo il passaggio a una narrativa anticoloniale permetterà l’emergere di uno Stato post-coloniale giusto, pacifico e sicuro e di una società condivisa.”
      Ecco, la narrativa dei diritti umani non prevede l’uso della parola “guerra” per delineare il conflitto in corso. Perché sennò finiamo nella narrativa israeliana: “Hamas ha mosso guerra il 7 ottobre, Israele sta rispondendo alla guerra eliminando Hamas, che ha fatto crimini orrendi ecc. e se uccide civili è colpa di Hamas che si nasconde tra loro ecc.” Inoltre la guerra è finita nel 1967: i territori occupati sono ancora zone di guerra per il diritto internazionale, zone di guerra occupate che Israele doveva lasciare dopo aver sottoscritto un trattato di pace. E da lì, come al solito, l’ingenuità dell’Onu ha determinato l’attuale catastrofe: Israele non ha firmato nessun trattato, non avendone alcun vantaggio: ha preferito colonizzare le zone di guerra occupate, facendo diventare l’occupazione permanente (cosa che l’Onu non aveva previsto, dava per scontato che si sarebbe risolta a breve). Quindi, così come la narrativa dei diritti umani non usa la parola guerra, perché a scontrarsi è lo stato occupante con il popolo occupato, già in zona di guerra, se usa la parola conflitto lo fa precisando che si tratta di un conflitto asimmetrico, dove c’è una potenza occupante, statale, atomica, alleata dell’occidente, e una popolazione occupata totalmente alla sua mercé, senza alcun esercito. Lo fa questo, Vercelli? Introduce la parola conflitto specificando che si tratta di un conflitto totalmente asimmetrico tra uno stato occupante con grande esercito e una popolazione occupata senza esercito? Uno stato occupante che dovrebbe solo firmare una pace e poi andarsene (nelle intenzioni dell’Onu)? Se lo facesse, dovrebbe arrivare alla conclusione razionale a cui è arrivato Sergio Romano, e a cui dovrebbero arrivare tutti, se fossero un minimo lucidi e disinteressati: per quante colpe possono avere i palestinesi, la responsabilità di risolvere un qualsiasi conflitto di tal fatta (cioè una occupazione militare, questi sono i termini corretti) è sempre della potenza occupante. Non credo che Vercelli dica chiaramente questa semplice constatazione: mi sbaglio? Perché lo credo senza aver letto il libro? Perché Vercelli, prima che mi bannasse, non ha espresso nessuna chiara condanna verso quanto sta facendo Israele a Gaza, perché Vercelli parla di pionieri per i primi coloni, e non cita nemmeno i morti palestinesi dovuti all’occupazione militare nel conteggio dei morti: l’occupazione militare è la base di ogni discorso sul cosiddetto conflitto israelo-palestinese.
      Sono, questi, dei dati molto, molto significativi, Ennio.

      5) Vercelli, in questa pagina, così come nel resto che di lui avevo letto, si presenta come fa di solito un filoisraeliano che tenta di oscurare una serie di fatti importanti per valutare la situazione. Non esistono narrazioni storiche oggettive, gli storici forniscono sempre una interpretazione, e per quanto riguarda la storia della questione israelo-palestinese, gli snodi dirimenti sono:
      *è avvenuta una pulizia etnica dei palestinesi nel 1947-48 e solo dopo una guerra mossa a Israele dagli stati arabi (Pappé e ogni interpretazione dei diritti umani) o c’è stata una guerra tra ebrei e palestinesi + stati arabi (Morris e ogni interpretazione filoisraeliana)?
      ** è in atto a partire dal 1967 una occupazione militare in zone di guerra che Israele doveva lasciare (previo firma trattato di pace) ma che ha invece continuato a colonizzare, contravvenendo a una serie di risoluzioni Onu, occupazione e colonizzazione che ha determinato una serie di insurrezioni/intifada/ o una resistenza armata da parte dei palestinesi (espressa anche come terrorismo, in parte per scelta obbligata [mancanza di un esercito], in parte per scelta deliberata) represse con azioni di guerra molto criminose, in rapporto solitamente superiore a 1 a 20, o è in atto ancora un conflitto tra Israele e palestinesi + stati arabi per dei “territori contesi” (nome che di solito dà Israele ai territori occupati), se non addirittura la risposta armata di Israele per difendersi dal terrorismo palestinese e dalle minacce arabe?
      [Si noti: ** nel primo caso la violenza palestinese ha come causa l’occupazione e la colonizzazione, che peraltro sono spesso loro stesse violente, nel secondo caso invece l’occupazione è oscurata, viene prima la violenza palestinese, chiamata solitamente terrorismo, di qualsiasi tipo sia, e poi c’è la risposta armata israeliana, chiamata sempre autodifesa: in passato l’Occidente usava sempre questa versione, limitandosi a condannare l'”eccesso” di autodifesa israeliana, oggi non parla nemmeno di eccesso, lo legittima come necessario per distruggere Hamas]

      La prima formulazione, a mio parere, è la narrazione non filopalestinese ma dei diritti umani, mentre la seconda narrazione è quella filoisraeliana, che non si basa in alcun modo sui diritti umani, e lo scontro che vediamo oggi tra Israele e Onu, e diritto internazionale, non è altro che la radicalizzazione di questo atteggiamento. Dove si situa Vercelli? Chi l’ha letto può dirlo con cognizione di causa. Io potrei scommettere sul fatto che quanto meno è lontano dalla prima narrazione. La narrazione filopalestinese al massimo minimizza o giustifica gli atti terroristici palestinesi, la narrazione pro Hamas, sinceramente, non l’ho mai letta.

  5. Per ragionare (possibilmente) con meno approssimazioni sul libro di Vercelli ….

    SEGNALAZIONE

    Il conflitto israelo-palestinese: storia di una questione sempre aperta | Claudio Vercelli
    Rizzoli Education
    Trasmesso in live streaming il giorno 14 nov 2023

    1. Grazie Ennio, ho ascoltato buona parte della video conferenza, spero di avere tempo oggi o domani per farne una piccola analisi in termini di strategia comunicativa, di narrazione.

      Al volo posso dirti che conferma l’idea che mi ero fatto (per esempio, Vercelli nel descrivere lo status di Gaza si appella a terra “contesa”, “non definibilità”, quando per il diritto internazionale è sotto occupazione israeliana: ma del resto, la parola “occupazione militare” non è presente in nessuna slide che dovrebbe definire il contesto)

      1. Premetto che considero Claudio Vercelli uno storico in buona fede che, con pacatezza, cerca, a suo modo, di contestualizzare questo “conflitto”.
        Se l’avessi ascoltato trent’anni fa, forse l’avrei considerato uno storico equilibrato, perché non dà particolari giudizi. Dalla sua conferenza ne sarei uscito, però, anche piuttosto confuso perché oltre ai giudizi (politici, non morali) manca una chiara sintesi: parla tanto di contestualizzazione storica, ma non riesce a darla, è tutto un “groviglio”, un “nodo” irrisolto mai compiutamente descritto e mai comprensibile.

        Oggi, il giudizio che do del suo argomentare è affatto diverso. E lo esemplifico riferendomi alle sue omissioni più che a quel che dice.

        Partiamo dal caso di Gaza.

        1) Vercelli dice che la condizione di vita è “estremamente difficile, per un’alta disoccupazione e povertà, poca sicurezza alimentare…”

        perché non dice che Israele controlla totalmente l’economia di Gaza? L’acqua, la luce, le risorse, il cibo che entra dai due valichi, fino a contare le calorie giornaliere pro capite da fornire ai suoi abitanti? C’è un assedio a Gaza, condannato già nel 2007 dall’Onu, che ha chiesto di sospenderlo ripetutamente. Lo sa Vercelli?
        Visto che il suo discorso ha perfino pretese didattiche, se fossi un suo auditore, lo interromperei per fargli questa domanda.
        Invece, potendo parlare come preferisce, Vercelli arriva a dire che la “condizione di vita estremamente difficile di Gaza” è tale anche perché essa è

        2) “oggetto di scontri” con Israele, scontri dovuti al fatto che Hamas, che è “un movimento politico di natura terroristica perché usa il terrorismo per sostenere le sue ragioni” negli anni ha lanciato “razzi” e fatto varie violenze.

        Bene dunque, motivo della vita difficile dei gazawi per Vercelli è il fatto che sia governata da Hamas, che attacca Israele, che usa il terrorismo per far valere le sue ragioni.

        Se fossi un auditore chiederei: Perché non ci dice quali sono le ragioni di Hamas? Che senso ha giudicare terroristico il suo agire (ah però! Qualche giudizio lo dà…) e non specificare perché Hamas pratica il terrorismo? Se si forma una formazione terroristica, questa avrà almeno un obiettivo, no?

        Anche in questo caso, Vercelli oscura le responsabilità di Israele: l’occupazione militare.

        3) Gaza, prosegue Vercelli, è per il diritto internazionale “area di difficile definibilità”, se non addirittura “contesa”. E’ di certo area da cui partono “contese violente”, che non si risolvono, perché c’è un “groviglio”, “tutto nel conflitto israelo-palestinese è oggetto di contese”.

        Dunque, secondo Vercelli, che forse non è a conoscenza delle risoluzioni dell’Onu, Gaza sarebbe un’area indefinibile.

        Se fossi un suo auditore gli chiederei: lo sa che secondo l’Onu Gaza è sotto occupazione? Lo sa che è solo Israele a definire i “territori occupati”, termine che lei pare non conoscere, “terre contese”?
        Ci credo che lei considera Gaza come fonte primaria di contese, visto che non prende nemmeno in considerazione il fatto che c’è una occupazione militare israeliana cui devono sottostare i palestinesi.
        Ha mai pensato che le contese potrebbero essere dovute al fatto che i palestinesi vorrebbero la loro terra e Israele non solo non è disposto a dargliela ma la sta colonizzando? (Vercelli usa solo il termine “insediamenti”, non colonie: è più accettabile. E non si sogna nemmeno di dire che sono del tutto illegali per il diritto internazionale.)

        Insomma, mi fermo qui, a 35 minuti.

        La narrazione di Vercelli è del tutto conforme ai canoni filosionisti, non usa praticamente mai i termini “occupazione militare”, “colonie” (giusto qualche volta), “detenzione amministrativa”, “apartheid”, “pulizia etnica”. Il suo inquadramento storico, la sua contestualizzazione è, come dire? Oscurantista, per quanto mi riguarda. Non inquadra, non dà giudizi politici sintetici atti a comprendere il quadro complessivo.

        Se dà qualche giudizio è a scapito dei palestinesi; quando parla di asimmetria lo fa come specificazione di un contesto aggrovigliato dove mancano tutte le vere parole chiave, dove manca tutto l’aspetto giuridico-politico che definirebbe in modo chiaro la situazione.

        Questo tipo di narrazione, in apparenza equilibrato, lo ritengo più pericoloso della narrazione dei vari politici di destra, che quanto meno hanno il pregio di dire le cose come stanno, in modo nudo e crudo, facendone risaltare gli aspetti inaccettabili (eticamente e politicamente).

        La narrazione di Vercelli, come in passato quella della triade di scrittori Oz-Yehoshua-Grossman, è a mio parere funzionale a rendere moralmente accettabile alle orecchie occidentali la politica di Israele, perché al massimo ne critica qualche dettaglio ma la presenta in forma soft, tale per cui tutto ci sembra difficile, complicato, aggrovigliato e privo di altri sbocchi.

  6. …mah, anch’io non ho letto il libro ma, dall’articolo e dall’intervista, Claudio Vercelli sembra girare continamente intorno ai vari noccioli del problema:
    -non parla della striscia di Gaza come territorio occupato da Israele e mai restituito ai suoi abitanti, i Palestinesi
    -non arriva a presentare, in seguito all’attacco imprevisto e sanguinoso di Hamas del 7 Ottobre e ai due mesi di guerra, il numero scarno, per quanto approssimativo, del numero delle vittime, cosi’ come sono unanimamente riconosciuti sui giornali italiani di diversa tendenza politica: sul fronte irsaeliano 1500 circa, sul territorio palestinese: 22000 circa… Questo solo dato ci rivela la messa in atto di un’azione militare israeliana con la modalità da doppia, e piu’, decimazione di un popolo…senza dire del territorio distrutto e delle forzate evacuazioni della popolazione
    -il dissenso interno in Israele nei confronti di tali azioni militari: certamente gli amici e i familiari degli ostaggi per i quali sono stati concessi rari giorni di cessate il fuoco…i molti giovani raticenti al servizio militare che sflano silenziosi con cartelli “Un massacro non cancella un altro massacro”, anzi lo perpetua …dissidenti ebrei, e non, a manifestare in tutto il mondo pensando ugualmente
    -i danni piu’ le beffe per la Palestina il fatto che il suo territorio non non abbia ancora la configrazione di Stato, quindi un vero esercito…ma chi finora gli ha negato questo diritto?

  7. Tornando alle vittime e lasciando da parte Vercelli, c’è un articolo di Blumenthal (su Africa Express) unito a un’inchiesta del NYTimes: dicono e provano che le violenze e gli stupri di Hamas sono (forse esclusivamente) una creazione della propaganda israeliana.
    Analizzando caso per caso non trovano nessuna prova delle violenze: denuncia delle donne ancora vive o autopsie su quelle morte; le uniche denunce sono del tipo ‘ho avuto paura di essere violentata..’. Le morte sono sempre state sepolte prima senza autopsia ‘per motivi religiosi’.
    E questo conferma i sospetti che nascevano da due elementi concomitanti: lo stillicidio giornaliero di dettagli macabri è stato contemporaneo all’inizio dell’intervento a Gaza, così da coprire mediaticamente le notizie sullo sterminio; e ogni intervento delle donne (ricordiamo le prime due che ringraziavano i carcerieri) è stato dopo il secondo giorno sempre gestito dall’esercito; lo stesso esercito che imponeva ai giornalisti di essere intruppati (Embedded) o ammazzati (circa 200 reporter uccisi, un numero enorme).
    Il tutto nel ricorrersi di notizie vere ma surreali sulle trattative per deportare i Palestinesi in Congo…
    In questa situazione uno storico dovrebbe mostrare, prima ancora di essere equanime (..?..) di voler e saper leggere la realtà, pena esser ritenuto in malafede; e chi si è semplicemente indignato, come donna o semplicemente come umano, dovrebbe ora chiedersi se non è stato vittima di una colossale turlupinatura..caratteristica che oggi pare parte integrante dell’armamentario bellico.

  8. @ Paolo Di Marco

    Oltre a questo articolo di Blumenthal (su Africa Express) e all’inchiesta del NYTimes che tu citi, esistono anche articoli che dicono: il 7 ottobre 2023 nel sud di Israele non è accaduto nulla. Oppure: i massacri in corso a Gaza da parte dell’esercito israeliano avvengono senza nessun pretesto?
    Sappiamo che durante un conflitto o una guerra- (scegliete voi il termine, perché le parole sono diventate più equivoche e imprecise che mai) – ci si colpisce anche con la propaganda. Ma si tratta di propagande contrapposte, non di una sola.
    E nel caso del 7 ottobre, quando saranno verificate che le notizie sugli stupri di donne ebree sono state esagerate dalla propaganda israeliana, questo fatto può indurre a minimizzare o negare i fatti documentabili della giornata del 7 ottobre?
    I morti (attorno ai 1400 pare) tra civili ebrei ci sono stati o no? Li hanno fatto tutti i soldati israeliani? Intervenuti per sbaglio o per capriccio?

  9. In breve: l’operazione di Hamas (che non era Hamas ma un fronte unito di 4 forze della resistenza palestinese, compreso il FPLP) di cui abbiamo tutti i dettagli (gli stessi che aveva il Servizio segreto israeliano, l’Egitto, la CIA, e che sono stati discussi in una riunione dei ministri ‘di guerra’ il giorno prima dell’attacco) era un’operazione militare, con obiettivi militari ben definiti, che non lasciavano quindi spazio a molte diversioni. E gli obiettivi erano basi, postazioni militari, forze militari; fra queste erano inclusi anche i riservisti (uomini e donne) che noi considereremmo civili. Da quello che si capisce i 1400 (?) morti sono stati fatti in misura uguale dalla Resistenza palestinese e dagli israeliani, sia con una brigata femminile di carri armati di cui non era esperta, che ha sparato all’impazzata su palestinesi e israeliani insieme, sia con gli elicotteri Apache, sia con le varie forze di polizia e militari che seguivano le nuove (da un anno) direttive di intervento che mettono in sottordine la salvezza dell’ostaggio/prigioniero rispetto alla caccia all’aggressore. Come dice giustamente Galbiati questa è stata un’operazione di guerriglia, con tutte le varianti, anche ‘terroristiche’ che questa può assumere. A parti invertite qualcuno ricorda il ghetto di Praga, io ricordo due insurrezioni nei campi di sterminio: qualcuno avrebbe la faccia di criticare i metodi degli insorti di Treblinka o Auschwitz?

  10. A proposito: Los Angeles Times, Oren Ziv, l’agenzia Anadolu con domanda ufficiale smentiscono tutti i resoconti delle ‘donne stuprate’ e ‘bambini decapitati’…
    ma nessuno dei canali ufficiali ne prende atto…

  11. Io ho letto questi dati pubblicati:

    1. sulla pagina FB di Vercelli il 12 ottobre 2023:
    “Al momento almeno 1.200 israeliani risultano uccisi, oltre 2.500 feriti mentre tra i 130 e 150 civili, insieme a militari dell’IDF, sono stati presi in ostaggio. Il 7 ottobre, nel massacro compiuto nel kibbut Be’eri sono stati assassinati oltre 100 civili, tra cui donne e bambini; oltre 260 partecipanti sono stati uccisi durante un festival musicale a Re’im. Al 10 ottobre, oltre 100 persone sarebbero state uccise nel massacro di Kfar Aza, un kibbutz a sua volta a pochissimi chilometri dalla Striscia di Gaza, Tuttavia, il bilancio definitivo delle vittime è ancora sconosciuto. Si hanno semmai i computi che derivano dai singoli atti di aggressione: nove persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco alla pensilina dell’autobus a Sderot; si ritiene che almeno quattro persone siano state assassinate a Kuseife; almeno 400 vittime, tra morti e feriti, sono state segnalate ad Ashkelon, mentre altre 280 a Beer Sheva. Nel nord, a Tel Aviv sono stati segnalati feriti a causa di attacchi missilistici. L’esercito al momento ha segnalato il decesso di 169 militari.”

    2. Sul sito della Comunità ebraica di Milano in un articolo del 5 dicembre 2023:

    “secondo le ultime stime riportate dal Times of Israel, tra le vittime delle quali è stata confermata l’identità 274 erano militari e 859 erano civili. Nel secondo gruppo, rientrerebbero 57 agenti della polizia israeliana e 38 agenti della sicurezza locale. Pertanto, i semplici civili uccisi sono almeno 764.
    Per quanto riguarda le fasce d’età delle vittime, tra gli uccisi sono stati identificati almeno 2 neonati, 12 bambini sotto i 10 anni, 36 di età compresa tra i 10 e i 19 anni, e 25 anziani sopra gli 80 anni. Oltre a questi, 421 vittime identificate erano nella fascia d’età 20-40 anni, 161 in quella 41-64 anni, e 100 tra in quella 65-80 anni.
    Oltre ai 764 civili uccisi di cui sopra, vanno aggiunti anche almeno 15 civili e agenti delle forze di sicurezza uccisi, e i cui resti sono tuttora nelle mani dei terroristi a Gaza. Mentre per quanto riguarda gli ostaggi, dopo che Hamas ne ha liberati 109, ne restano altri 122 prigionieri nella Striscia, che comprendono sia cittadini israeliani che stranieri. Di questi, non si sa quanti siano vivi e quanti invece siano già morti.”
    (https://www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/israele/le-vittime-del-7-ottobre-i-dati-aggiornati-al-5-dicembre/

    Ho trovato anche delle smentite ai dati di fonte israeliana, ma riferibili a singoli episodi. Ad es. in questo articolo comparso su”Sinistra in rete”: https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/27129-ali-abunimah-david-sheen-nuove-informazioni-riguardo-alle-menzogne-israeliane-sul-7-ottobre.html
    Da cui stralcio:

    “I parenti delle persone uccise a Be’eri si chiedono cosa sia successo ai loro cari e prendono atto delle bugie di Hiram.
    “Raccogliamo frammenti di informazioni, nessuno ci parla in modo ordinato”, dice Naama Ben Ami, la cui madre Hava è stata uccisa a Be’eri. “Non sappiamo davvero cosa sia successo qui”.
    Ben Ami e altri parenti sono stati intervistati tra le rovine di Be’eri, nello stesso servizio di Channel 12 del 9 dicembre in cui Hadas Dagan ha parlato per la prima volta.
    “Penso che ci siano molte domande operative inquietanti qui”, dice Omri Shifroni, nipote di Ayala Hatsroni e cugino dei due gemelli di 12 anni che ha cresciuto, Liel e Yanai Hatsroni, tutti morti nel bagno di sangue di Be’eri.
    “Come sono arrivati qui? Quando hanno aperto il fuoco, chi ha sparato? Non so chi abbia sparato per ucciderli”, dice Shifroni.
    Poi si riferisce direttamente alle affermazioni di Hiram fatte nell’intervista con Dayan.
    “Non ne aveva idea!” Shifroni dice del generale di brigata. “Anche quando ha parlato, e questo due settimane dopo [gli eventi del 7 ottobre], non aveva idea di cosa fosse successo qui. Non ne aveva idea, perché non era la verità”.
    “Questo è qualcosa che deve essere indagato”, dice Sharon Cohen, la nuora di Pessi Cohen. “Deve esserlo”.
    I due parlavano specificamente dei loro parenti, ma quello che si è verificato nel kibbutz Be’eri non è un episodio isolato di Israele che uccide la sua stessa gente, sia per sconsiderata incompetenza che per disegno.

    La verità trapela
    Finora, la verità è trapelata solo a goccia a goccia.
    A novembre, una fonte della polizia israeliana ha ammesso che gli elicotteri militari hanno sparato ai civili durante il rave Supernova, la festa danzante nel deserto vicino a Be’eri a cui Yasmin Porat e il suo compagno avevano partecipato.
    Nof Erez, colonnello dell’aeronautica israeliana, è arrivato a definire la risposta israeliana al 7 ottobre una “direttiva Annibale di massa” – un’applicazione su vasta scala della dottrina militare israeliana che consente di uccidere deliberatamente il proprio popolo piuttosto che permetterne la cattura.
    Nello stesso mese, Israele ha rivelato che centinaia di corpi irriconoscibilmente bruciati, che pensava fossero propri civili, erano in realtà combattenti di Hamas – una chiara ammissione di fuoco indiscriminato su vasta scala.
    All’inizio di questo mese, l’esercito israeliano ha ammesso una quantità “immensa” di cosiddetti incidenti di fuoco amico il 7 ottobre, ma ha affermato che non sarebbe stato “moralmente corretto” indagare su di essi, come ha riportato il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.
    Israele ha inoltre affrontato un enorme imbarazzo internazionale e la rabbia in patria dopo che il suo esercito ha ammesso di aver ucciso tre prigionieri israeliani che erano riusciti a scappare dai loro carcerieri a Gaza.”

    Se tu, Paolo, (o altri) ne hai (avete) di più precisi e particolareggiati, indicali (indicateli). E ci ragioniamo su. Preferisco procedere per appunti e non generalizzare subito. La mia refrattarietà alle opposte (e unilaterali) propagande è aumentata col tempo e mi pare sempre più doverosa. E trova qualche conferma: Ad es. in questo articolo su VOLERE LA LUNA da cui stralcio:

    “Siamo ormai totalmente immersi in un’informazione di guerra priva di qualsivoglia attenzione per la verità e per gli stessi fatti e interessata esclusivamente a favorire la “vittoria” della propria parte. In essa le notizie sono usate come armi, al pari delle bombe e dei proiettili. È così da sempre, in guerra, ma il fatto, in qualche misura nuovo, è che questo tipo di informazione si estende in maniera blindata e acritica dai paesi belligeranti ai loro alleati, sostenitori, amici (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/10/24/gaza-e-il-giornalismo-che-non-ce/). Limitiamoci, per il nostro più diretto coinvolgimento, ai media occidentali (anche se lo stesso accade, in modo speculare, per quelli dei paesi arabi). La prima componente di questa informazione drogata è quella dei giornalisti embedded, che procedono al seguito degli eserciti amici. Gli inviati di guerra di un tempo – che, anche con elevati rischi personali, si spostavano sui diversi fronti di combattimento e avevano contatti con tutti i protagonisti (e le vittime) del conflitto in una posizione di (almeno parziale) indipendenza – sono oggi sostituiti da militari di complemento (spesso addirittura vestiti da soldati) che diffondono, presentandole come la “verità”, le notizie confezionate dai loro danti causa (pena, altrimenti, il venir meno dell’accreditamento e il rinvio in patria). Per loro – e per chi recepisce la loro informazione – esiste solo un versante della guerra: l’altro è un indistinto obiettivo da distruggere. La seconda componente è data dalle modalità dell’informazione, anche quando, per l’evolversi del conflitto, i contatti diventano più estesi e l’angolo di visuale più ampio. Si tratta di modalità prossime alla propaganda più che all’informazione. Le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: sulla scena ci sono, come nei film western di un tempo, i “buoni” e i “cattivi” senza alcuna zona grigia; ai primi è dedicata la gran parte dei telegiornali, dei talk show e della carta stampata mentre ai secondi sono riservati, nella migliore delle ipotesi, i titoli di coda; alle vittime della parte amica e ai loro congiunti sono dedicate immagini e interviste (giustamente) accorate, ripetute in maniera ossessiva per giorni e giorni, mentre le vittime dell’altra parte sembrano non avere nomi, case, parenti, amici, e, se compaiono, lo fanno solo in immagini che sfilano rapidamente e in maniera anonima; i morti di una parte sono persone in carne ed ossa mentre quelli dell’altra parte sono numeri (accompagnati spesso da verbi al condizionale o dalla precisazione che si tratta di cifre incontrollate); le case e le città distrutte da una parte sono luoghi di vita, di socialità, di felicità mentre quelle dell’altra parte sono “obiettivi”; i massacri di una parte sono atti di barbarie e terrorismo (come indubbiamente è), mentre quelli dell’altra parte sono manifestazioni di “legittima difesa”, operazioni contro il terrorismo anche quando colpiscono bambini, vecchi, malati, ospedali, scuole, ambulanza, persone in fuga. Così – superfluo dirlo – l’informazione muore o si snatura al punto da diventare propaganda tout court (https://volerelaluna.it/commenti/2023/10/17/israele-la-palestina-e-il-razzismo-della-pelle-bianca/).”

  12. “È il capo delle Brigate Izz al Din al Qassam a rivendicare la totale responsabilità dell’attacco del 7 ottobre. Mohammed Deif pone al centro Gerusalemme come ragione dell’attacco. Ma l’attenzione viene anche messa sui prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Oltre cinquemila, un numero che aumenta, dopo i primi giorni di bombardamenti israeliani su Gaza, di almeno millecinquecento per gli arresti condotti ogni giorno e notte in tutta la Cisgiordania. Deif dice che “l’occupazione israeliana trattiene migliaia di detenuti palestinesi nelle sue prigioni, dove sono sottoposti alle più atroci forme di oppressione, tortura e umiliazione. Centinaia di detenuti palestinesi sono stati imprigionati per oltre 20 anni; altre decine hanno sofferto di tumori e di altre malattie; molti altri sono morti per negligenza per una politica precisa di spingere a morte lenta”. E conclude: “Tuttavia, i nostri appelli per un accordo di scambio umanitario sono stati respinti dall’occupazione israeliana”. Pochi mesi prima, a maggio, uno dei prigionieri del Jihad islamico, Khader Adnan, era morto dopo 87 giorni di sciopero della fame deciso in opposizione all’ennesima detenzione preventiva. Il caso aveva subito scatenato la protesta diffusa, i lanci di razzi da parte del Jihad da Gaza, e la risposta militare israeliana.

    La svolta “partecipazionista” di Hamas è finita: l’ala politica non esprime nessun dubbio su quello che ha compiuto l’ala militare, serra i ranghi, sposa la linea dello scontro definitivo per rompere l’accerchiamento. Con tutto quello che comporta, soprattutto nei confronti della popolazione civile di Gaza, che paga immediatamente il conto in proporzioni inaudite.
    Non è finita, né a Gaza né tantomeno in Cisgiordania, e in generale nell’opinione pubblica palestinese, una richiesta di “resistenza all’occupazione”, pacifica per una parte, armata per un’altra: è su questa richiesta che Hamas fonda un consenso che è ancora diffuso e che va anche oltre i confini di Israele-Palestina. Un consenso che si basa su una realtà de facto: la questione israelo-palestinese non è stata ancora risolta.”
    Conclusioni di: Paola Caridi, Hamas, dalla resistenza al regime, Feltrinelli, novembre 2023.

  13. “La storia ha un modo di ridere che è ripugnante” (F.F.)

    Era tempo che la teoria sulla responsabilità israeliana per l’azione militare del 7 ottobre emergesse; e per responsabilità si intende che siano state le forze armate israeliane a uccidere gli ebrei quel giorno. Non un caso, non un errore, ma un vero e proprio piano di omicidio di massa per poter avere una scusa per la guerra contro Gaza.
    In verità già da qualche settimana circolavano in rete difese della resistenza palestinese che accusavano gli israeliani di essere inventati tutto o quasi con la precisazione, sovente, che tutti gli israeliani sono coloni in Palestina, dunque militari, dunque obiettivi legittimi. In buon accordo con le idee del governo di Netanyahu secondo il quale tutti gli abitanti di Gaza sono terroristi e dunque è legittimo attaccare tutti. Ma ora iniziano le fonti ben informate, gli ufficiali in pensione, i giornalisti indipendenti e le agenzie di stampa turche a fornire conferme: è stata la propaganda israeliana, non Hamas a far vittime il 7 ottobre.
    Agli storici si rimprovera di non prendere posizione netta a favore della lotta di liberazione palestinese prima di azzardarsi a scrivere, ricordando loro che prima di permettersi di esprimere giudizi politici sui responsabili politici di Hamas o del Fronte popolare di liberazione della Palestina (così abbiamo i due estremi) in merito all’azione dello scorso Ottobre, deve essere chiaro che tutto dipende dall’occupazione israeliana (che varia, a seconda dei desideri, dalla Cisgiordania sino all’intera Palestina). Ben fa Ennio Abate a rivendicare il diritto di critica, storica eredità comunista e libertaria, verso il proprio partito, e verso i movimenti che riteniamo affini.
    Secondo molti qui dentro l’asimmetria tra la potenza economica e militare israeliana e quella palestinese spiega tutto, quasi mancasse loro una bella guerra di trincea dove due eserciti regolari, di insegne e bombardieri, combattessero lungo la linea di confine, sino alla vittoria o alla sconfitta. Sarebbe stupido discutere di psicologia in merito, nonostante la tentazione. Il movimento di liberazione palestinese non è responsabile di nulla, sono come ragazzi (barbari, ignoranti) ai quali non si deve mai chiedere conto di nulla.
    Alla fine non siamo stati noi ma gli israeliani, diranno presto molti, con uno slogan al posto di una rivoluzione: dal fiume al mare sia libera la Palestina.

  14. anche Partesana dunque si è iscritto al gruppo parlamentare repubblicano (degli Stati Uniti), quello che ha censurato la deputata palestinese per aver parlato di Intifada e citato il motto dal fiume al mare, dunque, implicitamente, di genocidio..degli ebrei ovviamente. Se forse si occupasse di leggere le fonti e portare dati nuovi farebbe cosa più utile.

  15. @Ennio: non vedo opposte propagande, ma solo gli israeliani che mentre sterminano la gente a Gaza pubblicano uno stillicidio di notizie (poi rivelatesi perlopiù false) sulle ‘efferatezze’ di Hamas. (Anche questa riduzione della resistenza palestinese al solo Hamas è parte della propaganda); sull’altro fronte tutt’al più smentite; del resto le notizie ufficiali israeliane vengono amplificate da giornali e telegiornali di tutto il mondo, delle smentite parlano solo i bollettini di quel che resta della sinistra. Dove peraltro in quel che resta dell’intelligentsia emergono molti gorgoglii poco velatamente razzisti, dove si intravedono i cavalieri sionisti della democrazia contro i bruti sionisti violentatori radunati coi loro zoccoli sotto le bandiere islamiche di Hamas.

    1. “anche Partesana dunque si è iscritto al gruppo parlamentare repubblicano (degli Stati Uniti),”; “non vedo opposte propagande, ma solo gli israeliani che…” (Di Marco)

      A queste condizioni è impossibile ogni confronto. Cominciamo a sparare, su!

  16. cito fatti, poi vedi tu..
    poi non vorrei sembrare indelicato, ma in questo momento ci sono i morti israeliani (1000, 2000, 3000…) da un lato, e un un genocidio dall’altro: 20000 sono i morti adesso ma secondo l’ONU ci sono ottocentomila palestinesi ridotti allo stremo, senza più cibo né difese immunitarie (150000 polmoniti!)

    ma sui giornali si parla di guerra, come se ci fossero due parti uguali
    e c’è chi continua solo a parlare di come è cattivo Hamas

    1. Domanda 1
      Questi morti – 1400 circa israeliani, 20mila e più palestinesi (sempre a stare ai dati delle contrapposte propagande e trascurando distruzioni di beni, odi rinfocolati, ecc)- erano “necessari”, “inevitabili”, “giustificati” politcamente?

      Domanda 2
      Riprendendo un mio commento rivolto a Maurizio Bosco (sopra):”siamo “parti spettatrici” o “testimoni secondari”, come diceva Cases, e non siamo con l’acqua alla gola “costretti ad affrontare la questione sulla nostra pelle”, come succede a palestinesi e israeliani da lungo tempo ed ora in questo frangente nuovamente tragico, dobbiamo, secondo me, evitare la scorciatoia di schierarci, come ho detto, a favore di uno dei “contrapposti estremismi o fanatismi (pro Israele o pro Hamas)”.
      Oppure, dobbiamo dire – come hai scritto tu, Paolo – che “l’operazione di Hamas (che non era Hamas ma un fronte unito di 4 forze della resistenza palestinese, compreso il FPLP) di cui abbiamo tutti i dettagli (gli stessi che aveva il Servizio segreto israeliano, l’Egitto, la CIA, e che sono stati discussi in una riunione dei ministri ‘di guerra’ il giorno prima dell’attacco) era un’operazione militare, con obiettivi militari ben definiti, che non lasciavano quindi spazio a molte diversioni. E gli obiettivi erano basi, postazioni militari, forze militari; fra queste erano inclusi anche i riservisti (uomini e donne) che noi considereremmo civili.” E concludere con la domanda :”qualcuno avrebbe la faccia di criticare i metodi degli insorti di Treblinka o Auschwitz?”

      P.s.
      L’accostamento dell’iniziativa militare (e politica) del 7 ottobre di Hamas & C. alle rivolte di Treblinka o Auschwitz ( o magari a quella del ghetto di Varsavia) è puro fumo propagandistico. Hamas ha il sostegno come minimo dell’Iran, gli insorti dei lager o del ghetto non avevano nessun alleato.

      1. Quello che Caridi, che viveva allora in Palestina, racconta, è che Israele interveniva ogni volta che Hamas e Abu Mazen tentavano un accordo, per rompere ogni possibile unità tra Gaza e Cisgiordania. Sono più di 350 pagine da cui emerge 1. dividere i palestinesi tra loro; 2. cacciarli in ogni modo dalla loro terra. Non a caso il soggetto del libro è Hamas, perché si è radicato nella popolazione di Gaza offrendo servizi sanitari e scolastici. Inoltre ha tentato di partecipare al Flb. Ma l’opposizione di Israele a una politica autonoma palestinese ha coinvolto Usa ed Europa nel mantenere Hamas come organizzazione terrorista. Non c’è scampo per il popolo palestinese, persino gli aiuti per Gaza dovevano passare per il Flp. La separazione politica dei palestinesi è un obiettivo primario per Israele. Il secondo, con.la diffusione delle colonie in Cisgiordania, è cacciare quel popolo… Trasferirlo? trasferire quei pochi che sopravviveranno.

      2. ma hai letto della situazione? sostegno dell’Iran a parole ma chi entra a Gaza? prima era un ghetto, poi un campo di concentramento, adesso siamo alla fase dello sterminio…stando ai fatti, contando chi entra e chi esce, cosa entra e cosa esce; sparano sulle croci e mezzaluna rosse, sparano sui reporter, sparano sui convogli Onu…e chi li aiuta? Muoiono di bombe ma anche di diarrea, polmonite, carestia..e chi li aiuta?
        Non voglio fare paragoni letterali, ma dare il senso della situazione è il minimo.
        Io non ho parte, ma cerco di mettere insieme il quadro della situazione reale..e senza le lanterne della propaganda che, ripeto, è da una parte sola: su telegiornali, giornali, social anche c’è una sola parte che parla e viene amplificata- con una sola eccezione, Tik-Tok; i giovani che protestano in tutto il mondo hanno solo i video diffusi lì per informarsi, il resto è Israele o i ‘democratici’, gli ‘occidentali’ e compagnia cantante;
        poi sul NYTimes, su Guardian, su Haaretz, su bollettini e blog indipendenti trovi notizie che ti permettono di formare il quadro reale.
        Ed è veramente importante contare i morti di Israele per vedere quanto era giustificata la sua azione? Importante però capire che le notizie delle nefandezze presunte di Hamas non avevano alcuna base, e leggere quindi meglio dietro il tempismo della divulgazione; e poi ti trovi sempre a combattere coi pregiudizi nascosti che affiorano: dire che è stata solo Hamas aiuta a classificare l’azione di Ottobre come le bestialità del fanatismo e la reazione (che reazione non è ma piano di sterminio) come pulizia da esseri sozzi e subumani..e non è solo il ministro di Israele a dirlo, ma corre anche in molti che scrivono ‘a sinistra’
        Ma dopo l’Ucraina che aveva già messo a dura prova il campo ‘de sinistra’ a partire da Sofri&c qui ci ritroviamo di nuovo una fitta schiera con la squadra del cuore, tutti juventini ‘a prescindere’…
        E non esiste equidistanza, dove mi sembra Ennio voglia collocarsi, ma solo, come sempre, la ricerca di cosa veramente succede e delle logiche del reale

  17. Poi bisogna intendersi: gli stati arabi che circondano Israele e il.tertitorio palestinese non hanno mai, altro che a parole, inteso sostenere uno stato palestinese. Come si dimostra da parte di Hesbollah dopo l’attacco di ieri: reagirà ma non dice come e quando… Una delle due navi Usa nel mediterraneo infatti ha lasciato la zona.

    1. Infatti, tanto che nel mio primo commento incolpavo il piano di Biden, con l’inclusione dell’Arabia Saudita in una alleanza con Israele, come spinta ad un’azione disperata da parte di un popolo che si vede togliere ogni speranza

  18. @ Paolo [Di Marco]

    E dalli con l’equidistanza “dove mi sembra Ennio voglia collocarsi”! Rimando a quanto ho scritto rispondendo a obiezioni simili di Maurizio Bosco (Cfr. https://www.poliscritture.it/2023/12/29/cominciando-dalle-vittime/#comment-114980) . Sono, quanto te, alla “ricerca di cosa veramente succede” e vorrei io pure “mettere insieme il quadro della situazione reale”. Divergiamo sulle “lanterne della propaganda”: tu la vedi “da una parte sola”; io, sia pur riconoscendo che qui da noi domina quella pro-Israele, vedo anche l’altra parte. Che non compare solo su Tik-Tok ma è diffusissima nella opinione pubblica del vastissimo mondo di lingua araba, che odia Israele e ne vuole la distruzione.
    Concordo con te olo su un punto: di sicuro NYTimes, Guardian o Haaretz o altri bollettini e blog indipendenti offrono notizie più attendibili della stampa o delle TV italiane. E sarebbe bene segnalare articoli, riassumerli, riproporli anche qui su Poliscritture.
    Quanto ai morti israeliani del 7 ottobre ho insistito a tenerne giustamente conto non, come tu insinui, per “giustificare” la prevedibile reazione di Israele, ma perché tu tendi a minimizzare quelle morti. Ancora adesso, infatti, chiedi – come fosse una strana pretesa- : “Ed è veramente importante contare i morti di Israele”?
    Ma che “ricerca di cosa veramente succede” è mai la tua? Se tende a saltare quei morti o a sostenere che “violenze e gli stupri di Hamas sono (forse [sic!] esclusivamente) una creazione della propaganda israeliana” o ad imputare tutti i morti (o quasi?) del 7 ottobre a “una brigata femminile di carri armati di cui non era esperta, che ha sparato all’impazzata su palestinesi e israeliani insieme” o agli “elicotteri Apache” etc.?
    Sconcerta che non vedo ragionamenti su cosa significhi POLITICAMENTE questo attacco del 7 ottobre. In un momento in cui Netanyahu era in difficoltà per le “oceaniche manifestazioni di piazza”: “ 41 sabati consecutivi di sit in e cortei contro la riforma giudiziaria, fortemente voluta dal governo di estrema destra e personalmente dal primo ministro, sotto inchiesta e passibile di finire letteralmente in prigione.”: https://ytali.com/2023/11/05/israele-e-bibi-prima-e-dopo-il-7-ottobre/). O su che valutazione politica dare di Hamas.

    P.s.
    Su cosa pensare di Hamas, riporto un commento di Diego Vanni Macaluso che avevo già segnalato – ora non trovo la data – nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre:
    “Hamas ha organizzato e pianificato questa mossa ragionando politicamente: pensando al simbolo del cinquantesimo del Kippur e calcolando la profonda divisione interna della società israeliana, con una leadership che divide, come propizi all’offensiva. Mandando all’aria poi il “grande disegno” di Netanyahu di un accordo coi paesi arabi per aggirare i palestinesi. Che Israele possa avere tatticamente appoggiato l’insediamento di Hamas nella società palestinese in funzione anti Fatah è molto probabile, e che Hamas sia parsa più credibile alla società palestinese di Fatah come classe dirigente perché più attenta ai bisognosi e meno corrotta è solare.
    E’ però altrettanto solare che Hamas, per statuto, abbia come obiettivo la distruzione di Israele e che punti a minare la già compromessa autorità nazionale palestinese.”

    1. La distruzione di Israele era alle origini di Hamas, che successivamente ne ha riconosciuto l’esistenza. Quanto alle lotte tra Abu Mazen e Hamas: l’appoggio internazionale è ad Abu Mazen, i voti vanno ad Hamas. Quando si tentano e realizzano accordi tra Gaza e Cisgiordania, Israele compie qualche atto che provoca reazioni palestinesi e rompe l’accordo raggiunto.

  19. SEGNALAZIONE DALLA PAGINA FB DI PIERLUIGI SULLO
    (https://www.facebook.com/pierluigi.sullo/posts/pfbid03fi44Gak7g2p9RT2SpZQXdNzFC5NBdFXX6a3KFwWkaVHhCXW43NLgJRnHVuWXmnnl)

    Stralcio:

    “perché il diritto di raccontare quel che accade è sacro, è uno dei pilastri della democrazia e del modo di vita occidentale. Noi odiavamo i nazisti tedeschi, tra l’altro, perché impedivano con i metodi più crudeli ai giornalisti di fare il loro mestiere. E Israele è la sola democrazia del medio oriente, ci dicono da decenni. E allora perché, se scorrete i nomi dei reporter uccisi a Gaza, troverete quasi solo nomi arabi, l’inviato di Al Jazeera e i suoi colleghi di ogni giornale, radio, sito internet…
    Domanda: l’esercito israeliano ammazza i giornalisti come ammazza i bambini? E’ per questo che quasi nessuno dei caduti ha un nome anglosassone, francese e perfino italiano? Cioè: i giornalisti occidentali (e israeliani) sono stati discretamente o apertamente avvertiti: tenetevi alla larga perché la scritta “PRESS” sul giubbotto antiproiettile o sull’auto non vale niente, per noi?

    […]

    P. S. A scanso, vorrei aggiungere che il mio raccapriccio, per quel che vale, è lo stesso che ho provato vedendo quel che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Ma penso anche che non possa diventare un alibi generale per i tutti crimini israeliani. Ad esempio, e per me è un oltraggio quasi peggiore che sparare a una bimba di tre anni a un posto di blocco (“per sbaglio”), il fatto che bande di coloni, nei Territori occupati, tagliano ulivi a volte secolari per privare i palestinesi delle loro fonti di reddito e soprattutto delle loro identità e casa. Gli ulivi sono esseri viventi, e sono saggi e bellissimi, e indifesi.”

    1. Provo a esplicitare meglio quelli che potrebbero essere stati gli obiettivi politici dell’azione di Hamas del 7 ottobre, in base a quanto ho letto finora. Non essendo un esperto, mi limito a una sintesi.

      Essendo un’operazione imponente costata due anni di preparazione, bisogna considerare sia obiettivi dovuti alla situazione storica di lungo corso, sia obiettivi dovuti alle contingenze storiche venutesi a creare nel 2023.

      1) Interrompere il silenzio sulla situazione dei palestinesi a Gaza e nella West Bank, ossia interrompere la normalizzazione di Israele e della costruzione delle colonie, arrivata al punto che gli stati arabi si sono spinti fino a firmare gli Accordi di Abramo proprio nel momento in cui l’espansione e la violenza dei coloni ha raggiunto picchi mai avuti prima (obiettivo di lungo corso).

      2) Contestare l’assedio di Gaza, l’apartheid e l’espansione coloniale, con relative violenze e relativi omicidi in Cisgiordania, la profanazione dei luoghi di culto musulmani da parte dei coloni e dei fanatici religiosi, l’aumento indiscriminato della detenzione amministrativa, che ha portato a scioperi della fame passati nel silenzio (obiettivo riferito al 2023).

      3) Colpire i militari e la sicurezza di Israele.

      4) Catturare molti ostaggi, in modo da scambiarli con il cessate il fuoco su Gaza e con i detenuti amministrativi.

      5) Scatenare la reazione di Libano e Iran e forse altri stati arabi dopo la reazione israeliana, creando una guerra regionale (potenzialmente mondiale) contro Israele, vale a dire bloccare la normalizzazione di Israele creando una destabilizzazione in tutto il Medio Oriente. Di questo c’è traccia nel messaggio di Hamas quando si è dichiarato deluso dalla conferenza degli stati arabi.

      6) Creare un moto di sdegno verso Israele a livello mondiale per la sua reazione a Gaza, con conseguenti problemi tra Israele e Usa/Ue.

      Questi obiettivi potrebbero benissimo compensare la prevista reazione israeliana, dato che l’alternativa è comunque il continuo dell’oppressione e della colonizzazione nel silenzio mondiale.

      L’obiettivo ipotizzato da Vercelli non l’avevo mai sentito finora e mi sembra inverosimile.

      L’analisi di Achcar ha il pregio di non attribuire ad Hamas la volontà di provocare un genocidio a Gaza, discorso scivoloso questo che porta dritti a: Israele è caduto nella trappola di Hamas, Hamas è responsabile moralmente/politicamente del genocidio perché sapeva che ci sarebbe stata la reazione israeliana, Hamas vuole che tutti i palestinesi diventino martiri, i palestinesi sono vittime di Hamas non di Israele, liberiamo Gaza da Hamas.

      Però Achcar

      1) Non prende in considerazione la possibilità che, per via della possibilità inaspettata di colpire facilmente dei civili nei loro kibbutz o a una festa, l’insurrezione del 7 ottobre abbia preso una piega diversa dai piani iniziali di Hamas, degenerando in senso terroristico. Se questa possibilità è vera, come io penso, allora Hamas non avrebbe potuto immaginare chiaramente la reazione di Israele, poiché aveva in mente di compiere una operazione diversa (meno grave) rispetto a quella poi effettivamente realizzata.

      2) Mi sembra faccia un torto ad Hamas parlando di incapacità sua di cogliere la deriva a destra della società israeliana e di tendenza religiosa che porta ad aspettarsi miracoli ossia l’insorgere di tutti i palestinesi ovunque si trovino e l’insorgere degli stati arabi. E’ un fatto che il Libano non sia rimasto a guardare e che lo stesso Israele debba essere fermato dagli Usa, che temono una guerra regionale, se non vogliamo dire mondiale, per via dell’aggressività di Israele, che ha già colpito Siria e Libano e capi iraniani.

  20. @Ennio
    @Paolo
    DOMANDA 1:
    I morti israeliani sono quelli che hai linkato tu, circa 1200, non 1400, di cui circa 750-800 civili e 400 militari o poliziotti. Hamas (metto insieme anche gli altri gruppi) sicuramente ne ha uccisi la maggior parte, ma non sappiamo con precisione quanti, al kibbutz Be’eri pare che sia stato quasi tutto fuoco amico (un centinaio di vittime), stando alla testimonianza dell’unica sopravvissuta; al concerto non sappiamo quante vittime fatte dal fuoco amico. Le donne violentate sono frutto di una inchiesta privata del NYTimes, la cui attendibilità è dubbia. Mondoweiss ha già riportato testimonianze contrarie a una teste chiave, non a tutti i fatti riportati. Francamente per quanto mi riguarda i morti sono morti, non importa se violentati o decapitati o morti con bombe, cosa che non è meno atroce. In generale, è ragionevole supporre che Hamas abbia fatto almeno 1000 vittime, tra cui almeno 600 civili. C’è una bella differenza rispetto alla notizia iniziale di 1400 civili, anche perché lo stesso Hamas ha perso 1000-1500 guerriglieri. Non sapremo mai i dettagli, anche perché Israele come ogni stato in guerra, e che vince la guerra, non fa mai vere indagini.

    Questi morti non sono cifre da propaganda, hanno nomi e cognomi, dobbiamo considerarli numeri consolidati. Idem i morti palestinesi: almeno 20mila, stando alla stima più bassa, ma saranno vicino ai 30mila con i dispersi. Non sono numeri da propaganda, li considerano tutti cifre serie. L’unico dubbio riguarda quanti sono i guerriglieri di Hamas tra queste vittime, qui le cifre vanno da 1000 a 7000 (cioè un terzo, secondo Israele). Secondo vari giornalisti che che ho letto è ipotizzabile 2-3mila, massimo 5mila.

    Per quanto mi riguarda, ripeto, questi sono numeri ormai da considerare ben approssimati.
    Non sono d’accordo con Paolo quando dice che i morti uccisi da Hamas dovevano essere tutti militari, Hamas voleva anche rapire civili, da usare per proteggersi, e poi di fatto ha ucciso civili da varie parti, e intenzionalmente: poco importa se erano obiettivi premeditati fin dall’inizio oppure no (come nel caso del concerto, che non era previsto): è stato un crimine di guerra.

    Domanda 2 e PS
    Noi siamo spettatori, ma come Italia e Ue siamo complici determinanti del genocidio in atto e Gaza e prima ancora dell’occupazione militare e dell’assedio di Gaza che poi ha come dire? “Favorito” l’innescarsi della rivolta di Hamas.

    La differenza principale tra la rivolta di Hamas e la rivolta del ghetto (citata spesso già in passato da vari ebrei progressisti per qualificare le precedenti rivolte di Hamas a Gaza, vedi Michel Warschawski) è che Hamas ha colpito molti civili. Entrambe le rivolte erano destinate a fallire, fatte da persone rinchiuse che hanno agito per disperazione. La rivolta del ghetto non aveva però alcuna speranza, quella di Hamas aveva una speranza, ossia il proteggersi con gli ostaggi e l’intervento di Libano e Iran per scatenare una guerra mondiale. Speranza ancora accesa, tra l’altro, e a ogni modo l’agire di Israele sta cambiando la geopolitica mondiale.
    Come ogni paragone storico ha quindi le sue pecche – per inciso, io son sempre per lasciar fuori la Shoah dai paragoni, perché sempre tirata in ballo – comunque, a livello etico e morale, le due rivolte partono da situazioni simili, effettivamente, ma hanno la grossa differenza delle vittime fatte, che è una differenza importante. Nelle precedenti azioni di Hamas i civili uccisi erano pochissimi.

    1. “La rivolta del ghetto non aveva però alcuna speranza, quella di Hamas aveva una speranza, ossia il proteggersi con gli ostaggi e l’intervento di Libano e Iran per scatenare una guerra mondiale.” (Galbiati)

      Su quali siano stati gli scopi e le motivazioni (anche religiose?) dell’attacco di Hamas del 7 ottobre finora ho trovato un approfondimento di Gilbert Achcar, Il Diluvio di Al-Aqsa e l’errore di calcolo
      (http://rproject.it/2023/12/hamas-a-gaza-consapevolezza-o-errore/) in cui tra l’altro si dice:

      “A questo proposito esistono due ipotesi polari: o coloro che hanno pianificato l’operazione erano consapevoli che sarebbe sfociata in una catastrofe, come quella che si è verificata finora ed è ancora in corso, e non si sono preoccupati della questione; oppure hanno sbagliato i calcoli. La seconda ipotesi è la più vicina alla realtà, e questo per due aspetti principali. Il primo è che i pianificatori dell’Operazione Diluvio di Al-Aqsa non hanno colto appieno il completo spostamento della società israeliana verso l’estrema destra, incarnata da un governo che comprende l’intero spettro della destra sionista fascista, dal Partito Likud al Partito Nazional-Religioso e a Potere Ebraico. L’interazione tra questa realtà politica e la gravità dell’operazione del 7 ottobre, che ha superato tutte le operazioni militari condotte in precedenza dalla resistenza palestinese contro l’occupazione, ha reso inevitabile che la reazione israeliana superasse, a sua volta, tutto ciò che l’esercito sionista aveva mai fatto prima, e che l’estrema destra sionista cogliesse l’opportunità di questo trauma per iniziare ad attuare il suo piano per realizzare il “Grande Israele” cancellando ciò che resta della Palestina e annientando il suo popolo attraverso lo sterminio e il trasferimento, a partire dalla Striscia di Gaza.
      Il secondo errore di calcolo è consistito nell’esercizio delle false speranze (wishful thinking) e nell’aspettativa di miracoli divini, secondo la logica religiosa che caratterizza il movimento di resistenza islamica (Hamas) e la corrente politica a cui appartiene. Ciò si è tradotto nella convinzione che l’Operazione Diluvio di Al-Aqsa avrebbe scatenato una guerra generale contro lo Stato di Israele a cui avrebbero partecipato tutti i palestinesi, ovunque si trovassero, così come tutti gli arabi e i musulmani. “.
      E ho ascoltato una conferenza di Claudio Vercelli su You Tube ( https://www.youtube.com/watch?v=5ihRWmQML0c) nella quale gli obiettivi di Hamas indicati paiono più concreti di quello di scatenare una guerra mondiale: sostituire Abu Mazen e impossessarsi della Cisgiordania.

    2. “L’obiettivo ipotizzato da Vercelli non l’avevo mai sentito finora e mi sembra inverosimile.” (Galbiati)

      Inverosimili o meno queste affermazioni si ascoltano nel video che ho linkato nell’intervallo che va all’incirca tra 13.20 e 21.30

      1. Ennio, ho ascoltato (con una certa fatica) le argomentazioni di Vercelli per spiegare le cause del 7 ottobre e le ritengo totalmente irricevibili, pura propaganda che, a essere sincero, ritengo al limite dell’islamofobia.

        Non so se hai notato: non c’è NESSUN RIFERIMENTO, NESSUNO, a Israele. All’occupazione della West Bank, alla colonizzazione violenta con 400 morti civili palestinesi nel 2023 prima del 7 ottobre, all’assedio di Gaza, alla profanazione dei luoghi di culto, NIENTE.

        Per lui quel che fa Israele non costituisce (forse NON PU0′ costituire?) in alcun modo la causa dell’insurrezione di Hamas del 7 ottobre. Come se l’agire di Hamas seguisse una serie di priorità del tutto indifferenti, parallele, all’agire di Israele nei territori occupati (ammesso che per lui siano “territori occupati”).

        Citare la disoccupazione di Gaza e la poca sicurezza alimentare di Gaza come possibile causa dell’agire di Hamas, come se i palestinesi potessero incolparne Hamas e abbandonarne il sostegno, a me sembra degno della narrazione di un universo parallelo alla realtà, quello appunto della propaganda israeliana, che infatti è al limite del negazionismo dell’assedio di Gaza.

  21. @Paolo
    Preciso che i 1200 israeliani uccisi lo dice Haaretz che ha identificato i nomi e poi è diventato numero sicuro.
    L’azione di Hamas (più altre sigle) si configura in parte come guerriglia e in parte come terrorismo. Difficile pensare che non avessero premeditato di prendere ostaggi da ostentare per evitare la carneficina (cosa non servita, forse per via dell’effetto scaturito dalla uccisione dei civili e forse per la manipolazione iniziale dei dati: 1400 civili uccisi in modo efferato, si diceva), e quindi anche di uccidere civili nei kibbutz, se necessario. Poi forse l’azione è da più parti degenerata, vedi al concerto.
    Si può ipotizzare metà morti civili fatti da Hamas e metà da Israele, ma tenderei ad attribuirne di più ad Hamas.
    Io la considererei una insurrezione, una rivolta che aveva sia obiettivi militari che civili e che poi ha portato a uccidere più civili del previsto. Resta comunque un crimine di guerra, dal punto di vista del diritto.

  22. Sia Achcar sia il fantapolitico Vercelli parlano di ipotesi loro, che poco c’entrano con la realtà, la quale -anche volendo col dettaglio che da Galbiati- si riassume in un modo semplice: la resistenza palestinese (e insisto, dato che non era solo Hamas ma anche il FPLP) non aveva, dato il momento (preesistente ma reso inevitabile da Biden col suo fronte Israele-Arabia Saudita) nessuna scelta se non quella armata insurrezionale; più o meno terroristica è irrilevante.
    Così come è irrilevante il numero di morti israeliani: sembra di mettere su una bilancia insanguinata gli uni e gli altri morti per vedere quanto pesano!
    Ma abbiamo due cose incommensurabili: morti (militari e civili- teniamo conto che per Hamas i riservisti contano come militari..ma non è rilevante) da un lato, genocidio dall’altro. E chi fa finta di ignorarlo si schiera platealmente.

    1. Volendo cimentarsi in un giudizio storico sintetico, condivido nella sostanza quello di Paolo.

      Io direi che la resistenza palestinese di Gaza, visto lo scenario internazionale, ossia la normalizzazione dei rapporti di Israele con gli stati arabi e l’acquiescenza sia occidentale sia orientale alla lenta, ma inesorabile, colonizzazione della Cisgiordania ed espropriazione dei luoghi di culto musulmani, ha deciso di compiere una insurrezione militare eclatante come mai prima verso le forze armate e i civili israeliani, insurrezione che è stata peraltro amplificata da alcune contingenze imprevedibili (i confini in parte sguarniti, la presenza del rave).

      Israele, con il benestare del mondo intero che resta a guardare (e l’impotenza dell’Onu, che pare quella della voce che predica nel deserto), e con l’appoggio esplicito e fattivo di tutto l’Occidente, ha deciso di radere al suolo Gaza, “renderla invivibile”, “dare agli animali umani quello che si meritano”, stando alle parole del suo ministro della difesa, compiendo un genocidio (non nel senso di vero e proprio sterminio, ma in quello che ha assunto secondo il diritto umanitario) che resta un unicum nella storia per modalità: una popolazione di 2,3 milioni di persone in gran parte ridotta senza casa, costretta a vivere per lunghi periodi senza acqua, senza luce, senza medicine, colpita volutamente in ogni sua manifestazione civile (comprese moschee, chiese, ospedali), con giornalisti e funzionari ONU e medici della Mezzaluna o di MSF pronti a immolarsi.

      E non siamo vicini alla fine di questa oscenità, non sappiamo ancora come andrà a finire. Con ogni probabilità alla fine Gaza sarà un cumulo di macerie rioccupato da Israele e governato direttamente da Israele o indirettamente tramite un gruppo di funzionari palestinesi o internazionali graditi a Israele. La sua storia millenaria ne uscirà in gran parte distrutta e la ricostruzione durerà molto tempo.

      Per giustificare tutto questo, la propaganda filoisraliana può solo agire in modo oscurantista e irrazionale, che di fondo riflette il paradigma razzistico e coloniale occidentale, mai del tutto venuto meno nella storia contemporanea.

      Più o meno la narrazione suona così: “Hamas rappresenterebbe un pericolo mortale e inammissibile per Israele, prova ne sarebbero il numero delle uccisioni di civili (in effetti mai così alto in un giorno per degli ebrei dal 1945 a oggi) e le efferatezze delle stesse uccisioni. Hamas avrebbe fatto un pogrom, condenserebbe in sé il peggior nazismo e il peggior islamismo, va quindi “estirpato” per la sicurezza degli ebrei israeliani. Ed estirparlo è possibile solo distruggendo Gaza, vista la sua capillare presenza nelle strutture civili.”

      Tutte queste affermazioni sia chiaro hanno una parvenza di verità, ma sono invece, nella sostanza, false, se analizzate razionalmente (per esempio: Hamas non costituisce in alcun modo un pericolo per l’esistenza di Israele, il massimo che può fare è uccidere 1200 israeliani al confine perdendo altrettanti guerriglieri, e solo perché i confini erano sguarniti) – oltre a essere totalmente avulse dal diritto umanitario di guerra, come se fossimo tornati a una situazione pre-1945, come se rivendicassimo che per sconfiggere Hitler e il Giappone, e quindi oggi Hamas, è lecita ogni misura.

      Alla base, ripeto, a mio parere c’è il paradigma razzistico per il quale gli ebrei israeliani (intesi come bianchi occidentali) devono essere conservati, e non solo, devono poter vivere sentendosi al sicuro, e per ottenere questo obiettivo le vite dei non ebrei (musulmani cioè non occidentali bianchi) sono sacrificabili senza alcun problema, tanto più che aspirerebbero al martirio.

  23. “Full of sound and fury
    signifying nothing” (W.S.)

    Un vecchio commediografo tedesco sosteneva che il nemico più pericoloso marciasse davanti a noi, alla nostra testa, riconoscendo in un colpo solo la necessità del conflitto e il diritto alla disobbedienza. Ma gli indignati (categoria politica e umana) hanno bisogno di una trasposizione un poco più semplice della dialettica di Brecht. Per i loro gesti serve un male per il quale non saranno mai sufficienti le maledizioni e un bene universale senza macchie. Invocano il diritto e invocano la forza, quale che sia, per ottenerlo come una laica (non sempre) preghiera al Dio della Giustizia, che si decida una buona volta a guardare quaggiù e mettere a posto le cose.
    Le contraddizioni però – insegnava un altro tedesco, assai pedante riferiscono le testimonianze – si superano solo quando il concetto e l’esperienza si battono l’uno contro l’altra per vedere chi debba avere la meglio, e questo meglio lo si chiama pensiero. A guardare il mondo si potrebbe replicare a Hegel che non è sempre andata così perché c’è qualcos’altro, appunto, che marcia alla nostra testa.
    La guerra in corso tre Israele e le formazioni armate palestinesi genera molto dolore. Si usano le peggiori parole, le più grandi, per descrivere e denunciare, e ci si presenta spontaneamente alla suprema corte del vero per rendere testimonianza, con la convinzione di aver fatto il proprio dovere, per quanto possibile. Irreprensibili.
    Marciano in buona formazione la crudeltà, il terrorismo, la dismisura; la vita commovente (ogni vita è, a modo suo, commovente), con il suo macabro particolare e la fotografia a colori; mi informo a parlo molto male di quell’altro che ragiona altre cose, ma se potessi gli darei direttamente un pugno sul naso e finita lì. Intanto l’esercito israeliano continua a sparare e gli armati palestinesi a colpire quel che possono.
    “È sufficiente che Hamas si arrenda e liberi tutti gli ostaggi, si dice da una parte, e avremmo immediatamente la pace”, “Basta che l’entità sionista scompaia dalla faccia della terra, si replica dall’altra, e tutto il Medio oriente diventerà libero e prospero”. Due imbecilli alla fermata del treno non potrebbero fare di meglio. È il folto gruppo di astanti che si è formato per sentirli parlare che inquieta molto di più.
    Un terzo tedesco (Karl Marx, questa volta lo dico subito) s’era convinto che liberazioni dalle contraddizioni più cruente dipendesse da quella, in apparenza più soffice, dello sfruttamento. Ci ha scritto sopra delle pagine, molte pagine, indimenticabili, fino a oggi direi. Non capiamo nulla, ma non capiamo in ordine sparso: Quali sono i responsabili dell’attacco di ottobre? La risposta di Israele doveva essere diversa (a parte scomparire, si intende)? Ma meglio ancora: Gli uomini e le donne della Palestina, come lavorano e per quali padroni? Se in caporeparto fosse un camuso ebreo o un barbuto mussulmano le loro condizioni cambierebbero? Dove si trova, o meglio dove si trovava sino a qualche mese fa, lo spazio per l’azione sindacale? Come viene distribuita la ricchezza?
    Sento le voci, di fronte a tanti morti sono domande oziose le tue, dovresti schierarti e lasciare da parte il resto. Vero, non fosse che la schiena, almeno la schiena, del nemico che marcia alla nostra testa la vedo.

  24. “…non fosse che la schiena, almeno la schiena, del nemico che marcia alla nostra testa la vedo” (Ezio Partesana). Chiedo all’autore se di questo nemico si puo’ sapere qualcosa in piu’…Il Male personificato? La Morte al di là del bene e del male? Intenzionata a fare tabula rasa del pianeta e suoi abitanti? Se il nemico pur di schiena, e magari dalla divisa, si riveli in una qualche identità concreta della nostra realtà spazio-temporale? Se sia possibile condividere o si tratti di un segreto non rivelabile…Giusto per capire…

    1. Gentile Annamaria,
      quale fosse l’occasione storica della poesia di Brecht non saprei dire (forse Ennio, che ha la memoria di un elefante, potrebbe indicare qualcosa); è vero però che ogni errore, ogni cedimento alla propaganda, ogni viltà, formano un “nemico” che marcia davanti a noi, “alla nostra testa” (ma anche dentro la nostra testa) e che l’entusiasmo è sacro, come ritenevano i greci, ma la critica a sé è indispensabile.
      Un saluto.

      1. Sull’occasione storica, in cui fu scritta questa poesia citatissima di Brecht e che abbonda on line ma mai contestualizzata, anche senza avere memoria d’elefante, un po’ di notizie on line si trovano. Ad es.:

        1.

        https://thesis.unipd.it/retrieve/0b9d678f-cfce-4770-b6ef-ef383e1c991c/DEBORAH_GRIGOLATO_2015.pdf

        Stralci:
        Bertolt Brecht non è stato solo uno dei più importanti uomini del teatro del Novecento, ma anche uno dei massimi lirici di lingua tedesca. Lo dimostrano, in modo particolare, le poesie politiche contenute nella raccolta degli Svendborger Gedichte [Poesie di Svendborg], in cui i versi del poeta di Augusta si misurano con la dura realtà dell’esilio, rappresentando così anche una concreta testimonianza degli anni trascorsi a Svendborg, la cittadina danese che gli ha garantito un rifugio dal 1933 al 1939

        Gli Svendborger Gedichte segnano una svolta sia nella forma sia nella sostanza e condensano in un vero e proprio ciclo, con sezioni e corrispondenze tematiche, le tragiche e drammatiche esperienze della dittatura, dell’esilio e della guerra. Della raccolta colpisce il carattere sperimentale e didattico dei componimenti scritti in una lingua che non indulge mai a vuoti artifici retorici. Per Brecht, infatti, il comporre poesia si trasforma in una pratica sociale, un’attività che ben si inserisce all’interno delle nuove circostanze storico-sociali
        Non va dimenticato che questa parte degli Svendborger Gedichte, un breve manuale introduttivo alla quotidianità del nazismo, in cui propaganda e ideologia sono ribaltate e smascherate con lucida e amara ironia, viaggiano sulle onde dell’emittente verso un pubblico lontano, un uditorio disseminato nello spazio.
        Gli Svendborger Gedichte hanno infatti una storia editoriale piuttosto complessa, determinata dalla situazione storica dell’Europa negli anni Trenta e aggravata dalla contingenza dell’esilio dello scrittore. La raccolta, concepita come tale nel 1937, avrebbe dovuto recare il titolo Gedichte im Exil 1937 e comprendere, secondo le intenzioni dell’autore, poesie scritte in un lungo arco di tempo (dal 1926 fino a quel momento). Originariamente Brecht aveva strutturato il volume in sei parti (primo dattiloscritto) aggiungendo, sempre nello stesso anno, un cospicuo numero di testi al corpus, la cui stesura era ormai definitiva (secondo dattiloscritto). Contrariamente a questo primo abbozzo di raccolta, egli aggiungerà altre poesie, scritte nel 1938, a quello che poi sarà il volume definitivo.
        È importante rilevare come Brecht, negli Svendborger Gedichte, abbia attuato una sperimentazione ad ampio raggio sulla lingua della poesia, cosciente della necessità di un nuovo tono, di una nuova prosodia adeguata a una delle epoche più buie della storia della Germania. Questa raccolta rappresenta un documento, unico nel loro genere, di sperimentazione poetica con finalità pratiche.

        2.

        https://www.sinistrainrete.info/cultura/9455-donatello-santarone-guerra-alla-guerra-brecht-e-fortini.html

        Al momento di marciare molti non sanno
        che alla loro testa marcia il nemico.
        La voce che li comanda
        è la voce del loro nemico.
        E chi parla del nemico
        è lui stesso il nemico. (p. 20)

        In tutte queste poesie – fulminanti epigrammi scritti tra il 1936 e il 1937 – emerge anzitutto la lucida previsione della strategia guerrafondaia del Reich nazista e poi il nesso dialettico tra chi sta in basso e chi sta in alto, il conflitto di classe come motore della storia. Nella prospettiva di un pacifismo rivoluzionario che vede nella guerra sempre un vantaggio per i ricchi e una fregatura per i poveri: la “gloria” degli uni è la “fossa” degli altri. La guerra serve ai profitti dell’industria capitalistica, della finanza, del complesso militare-industriale. Brecht insiste, inoltre, sulla contraddizione tra le menzogne delle classi dominanti che proclamano a parole la pace ma che continuamente preparano la guerra. Nel mentre si costruisce un servile apparato mediatico fatto di discorsi ecumenici sulla cooperazione tra le nazioni, si aumentano le spese per gli armamenti, si rafforzano gli eserciti che inevitabilmente dovranno prima o poi essere impiegati. Avvenne così alla vigilia della Prima Guerra Mondiale poi nella Seconda e oggi, ancora, avviene con le cosiddette “guerre umanitarie e preventive”, su cui si esercita il massimo dell’ipocrisia, che così ha lucidamente sintetizzato un ex generale della Nato: «in un mondo pervaso dal mantra della pace, l’ipocrisia permette di credere che le operazioni di guerra siano “operazioni di pace” o di supporto alla pace e gli interventi militari diventano più accettabili se vengono declinati il tutte le salse inglesi usando il prefisso peace: keeping, making, enforcing, building, enhancing, support operations, ecc.».18
        La prospettiva di Brecht è quella classica dell’internazionalismo di matrice marxiana che ha denunciato, ad esempio, i massacri dei fanti nelle trincee della Prima Guerra Mondiale come – per usare le parole del pontefice di allora, Benedetto XV – «una inutile strage», in cui venivano messi gli uni contro gli altri contadini, braccianti, operai italiani e austriaci, russi e francesi. All’odio nazionalista che serve a legittimare le ambizioni imperiali di questa o quella nazione e delle rispettive borghesie, l’internazionalismo marxista oppone l’unità degli oppressi di tutti i paesi contro le guerre e contro lo sfruttamento. Un obiettivo difficile che storicamente dividerà la sinistra e che sarà rivendicato nella sua radicalità – «pace, pane, terra» – da Lenin e dalla Rivoluzione d’Ottobre nel 1917.

        Su chi sia questo nemico « “alla nostra testa” [Hamas? Israele? Gli Usa? L’Iran? Putin? XiJjping?] (ma anche dentro la nostra testa) [e qui un po’ di Freud e di psicanalisi non guasterebbe] » (Partesana) stiamo qui amabilmente discutendo…

  25. Non so a chi si riferisca Partesana, anche se dubito che sia quello che lui chiama un ‘democratico occidentale’
    Ma vorrei sottolineare un punto, da un articolo del Bulletin of Atomic Scientist su armi e intelligenza artificiale:
    “The Israel Defense Forces (IDF) have been using an AI targeting platform known as “the Gospel.” According to reports, the system is playing a central role in the ongoing invasion, producing “automated recommendations” for identifying and attacking targets. The system was first activated in 2021, during Israel’s 11-day war with Hamas. For the 2023 conflict, the IDF estimates it has attacked 15,000 targets in Gaza in the war’s first 35 days. (In comparison, Israel struck between 5,000 to 6,000 targets in the 2014 Gaza conflict, which spanned 51 days.) While the Gospel offers critical military capabilities, the civilian toll is worrisome. One source describes the platform as a “mass assassination factory” with an emphasis on the quantity of targets over the quality of them. There is also the risk that Israel’s reliance on AI targeting is leading to “automation bias,” in which human operators are predisposed to accept machine-generated recommendations in circumstances under which humans would have reached different conclusions”
    Chioso in base a interviste di militari israeliani: il sistema ‘Gospel’ per individuare e colpire i bersagli da parte di Israele fa un numero di vittime civili assai alto, di cui si può stabilire il ‘raggio’; in questa fase è stato scelto di non dare alcun limite, per cui anche un solo miliziano di Hamas (o altri) può provocare centinaia di vittime civili (ad esempio con un missile su di un edificio in cui si valuta si nasconda il suddetto miliziano/partigiano). Questa è la scelta di civiltà di Israele. E non faccio paragoni con altri, dato che la civiltà haè una morale propria, che non dipende da quello che fanno gli altri..almeno credo.

  26. Non avendo fonti da privilegiare o sicure a me pare importante uscire dalle conversazioni inter nos e leggere (valutando criticamente) anche le posizioni dei difensori di Israele, quando portano dati, argomentano e fanno ipotesi non puramente propagandistiche. Perciò riporto qui questo articolo di uno storico militare amico dello storico Brunello Mantelli. I punti principali mi paiono questi:
    1. I dati che circolano da noi verrebbero (prevalentemente) dall’”Ufficio Stampa di Hamas”;
    2. Se volesse il genocidio, l’esercito israeliano non informerebbe la popolazione sugli obiettivi che decide di colpire. (Ma è  tutta da dimostrare l’esattezza di questi avvertimenti, il rispetto della consegna da parte di chi spara, la praticabilità della fuga da parte dei civili palestinesi);
    3. Torna insistente l’accusa: Hamas ha usato  gli aiuti internazionali per  minacciare Israele fortificandosi e  usando la popolazione civile come scudi umani;
    4. Torna anche l’accusa alle organizzazioni internazionali di complicità con Hamas;
    5. Viene fatto un confronto Mariupol/Gaza, per sottolinearela  “differenza tra guerra punitiva di distruzione (di Putin) e attacco selettivo ad obiettivi militari innestati con intento criminale in un tessuto civile (IDF)” ( a tutto vantaggio dell’IDF);
    6. Vengono contestati “I morti reclamati da Hamas e ripresi acriticamente con continuità dalla larghissima maggioranza dei media”.
    Interessanti i commenti (li ho selezionati).

    SEGNALAZIONE
    dalla pagina FB di Brunello Mantelli
    (https://www.facebook.com/brunello.mantelli/posts/pfbid026aL5NuZ1SvEXGDgYDo8Dgv6igNjfVpdVK45Kvkhti4u3fcTBcQPk8WFgfsMGhiSil)

    Totalmente d’accordo con le valutazioni del collega (ed amico) Marco Di Giovanni, uno dei migliori storici militari e studiosi del fenomeno “guerra” che io conosca.

    Marco Di Giovanni Marco Di Giovanni

    Sulla presunta “inaccettabile sproporzione” delle vittime civili palestinesi a Gaza provocate dall’azione militare di Israele. Una guerra distruttiva e una punizione collettiva? Qualche considerazione e numero
    Da tre mesi siamo tempestati dai ripetitori dell’Ufficio stampa di Hamas a proposito delle vittime civili a Gaza. E’ opportuno, nella indiscutibile drammaticità del quadro, fare un po’ di chiarezza sulla linea di IDF in questo scenario di guerra. Non si è mai visto un attore con intenzioni genocidiarie informare la popolazione degli obiettivi che sarebbero stati colpiti, operare per creare zone di sicurezza in cui esfiltrare – secondo il dettato del diritto internazionale – i civili e informarli per quanto possibile sulle vie di accesso alle risorse, tutto questo anche a scapito della sicurezza del proprio personale nel difficilissimo scenario di un combattimento urbano. Un terreno operativo tanto più velenoso e ibrido perché allestito da Hamas costruendo – con le risorse degli aiuti internazionali, miliardi e miliardi di dollari evidentemente sfuggiti al controllo di chi se ne doveva occupare – una inedita Sparta sotterranea che integra la protezione dei tunnel allo schermo rappresentato delle strutture civili. Ospedali, scuole, sedi delle organizzazioni internazionali divenute vie di accesso al mondo sotterraneo e/o depositi di rapido impiego di armi per la guerriglia urbana. Uno scudo umano perenne e criminale sul quale il silenzio di molte organizzazioni internazionali – embricate da anni nel sistema di controllo di territorio e risorse allestito da Hamas è – assordantemente – tombale.
    Di fronte a tutto questo allora è necessaria una valutazione dell’impatto presuntivo calcolabile delle operazioni militari di IDF e del suo significato. Un approccio ragionato impone dei metri di valutazione e lo scenario del combattimento urbano e assedio di Mariupol, nel febbraio – maggio 2022, rappresenta un buon parametro perché anche i non esperti – in buona fede – si misurino con la differenza tra guerra punitiva di distruzione (di Putin) e attacco selettivo ad obiettivi militari innestati con intento criminale in un tessuto civile (IDF).
    Le stime sui morti civili a Mariupol, nonostante le clamorose amnesie del segretario generale dell’ONU, sono ampiamente variabili e collocano i numeri tra un minimo di 25 mila a un max di 117 mila (Meduza ad ottobre 2023). L’ultima cifra appare eccessiva se riferita al solo bacino esteso di Mariupol (600 mila abitanti). Tenendo conto del quadro disponibile, dei dati satellitari sulle fosse comuni e di diverse testimonianze le cifre possono aggirarsi cautelativamente intorno ai 35 mila uccisi fra i civili. La durata delle operazioni si sovrappone sostanzialmente agli attuali tempi delle operazioni su Gaza, riflettendo però l’approccio punitivo/distruttivo delle forze della federazione russa e la tipologia dei mezzi impiegati: zero armi di precisione: interessava il terrore e la pulizia del terreno contro una resistenza intollerabile; prevalenza del fuoco stand – off (a distanza) dell’artiglieria e dei mezzi di saturazione d’area e non è mancato l’impiego del bombardamento aereo massiccio del centro urbano (il famoso – un tempo – teatro rifugio palese dei civili devastato a metà marzo).
    I 35 mila morti presunti per 600 mila abitanti, proiettati sulle dimensioni demografiche di Gaza – 2,4 milioni di civili (e sulla sua densità) avrebbero prodotto 140 mila morti civili come minimo, presumibilmente 180 mila vista la densità dell’area.
    I morti reclamati da Hamas e ripresi acriticamente con continuità dalla larghissima maggioranza dei media arrivano a 23 mila, senza distinzione tra civili e combattenti.
    Credibilità di Hamas pari a zero, sarebbe doveroso ricordarlo, ma una stima di circa 8-10 mila civili è plausibile a fronte di circa altrettanti miliziani e fiancheggiatori di Hamas (tenendo conto di un parametro di 1 a 50 per ogni caduto IDF). La stima sui fiancheggiatori è molto cauta: Hamas ha coinvolto migliaia di “civili” nell’orgia di sangue del 7 ottobre. Lucia Annunziata sulla base di documentazione catturata e resa pubblica per ora a selezionate figure – ci parla di una infinità di materiali documentari catturati ad Hamas, video e registrazioni, che illustrano l’intenzionale coinvolgimento di palestinesi, non direttamente miliziani ma evidentemente accoliti, nella fase seguita allo sfondamento. Decine di varchi aperti e centinaia o migliaia di palestinesi impegnati a “finire il lavoro” e ad iscriversi alla schiera degli eroi, mozzando a colpi di badile le teste degli ultimi feriti vivi sul campo o partecipando allo stupro e al ludibrio trionfale che ha accompagnato i corpi, vivi e morti, degli ostaggi, verso i tunnel di Gaza in mezzo a cortine urlanti di folla. L’antropologia politica e la riflessione storica ci aiuteranno a decifrare i molti strati di intenzioni e significato che su questo coinvolgimento si intersecano
    Qui lo riprendiamo solo per dire che il tessuto dei fiancheggiatori – e dei responsabili – è denso e rende molte posizioni dubbie. Il fiume di DNA che IDF sta raccogliendo in queste settimane accompagna il percorso verso una giustizia che identifichi e distingua.
    In termini di vittime civili, circa 1 a 20 è la differenza che distingue i due approcci che risultano anche sul piano etico-giuridico sostanzialmente diversi pur nello scenario drammatico della guerra. Una guerra di aggressione che si trasforma in meccanismo punitivo e distruttivo, e una risposta militare selettiva rivolta a demolire le capacità offensive di un nemico assoluto che ha varcato tutte le soglie simboliche della violenza per cancellare ogni possibilità di mediazione e scatenare una “vendetta” che in realtà è esattamente ciò che non si sta verificando.

    Commenti:

    Giovanni Scirocco

    Idf ammette 10 mila vittime civili e 5mila miliziani. Non commento perché non sono in grado di valutare. Noto solo che dall’inizio della guerra (100 giorni) IDF non fa entrare la stampa internazionale. Li faccia entrare e forse ne sapremo qualcosa di più.

    Brunello Mantelli
     Marco Di Giovanni è un rinomato storico militare. Né tu, né io lo siamo. Ovviamente nemmeno Marco è infallibile, si deve però tener conto di ciò che dice. Del resto,, il suo ragionamento va ben più in là delle cifre (fermo restando che Marco ipotizza 16.000/20.000 vittime, il 50% delle quali miliziani. Cifre quindi intermedie tra quelle delle IDF e quelle di Hamas. Il trucco [sporco!] è che Hamas fa passare TUTTE le vittime per civili!).

    Giovanni Scirocco
    non dubito che sia un bravo storico militare. C’è comunque un problema di fonti terze ps ieri repubblica (che dubito possa essere definito propal….) elenca una serie di episodi di civili palestinesi con bandiera bianca cecchinati da idf. In alcuni casi ci sono anche video. Questi episodi come li vogliamo definire?

    Brunello Mantelli
    Ci possono sicuramente essere stati atti contrari al diritto internazionale di guerra. Non si può tuttavia fare di ogni erba un fascio. Tanto più in un contesto di guerra dispiegata in cui una delle parti non si fa scrupolo di usare civili come scudo, in mille modi.

    Giovanni Scirocco
    diciamo che gli episodi di atti contrari al diritto internazionale di guerra si stanno moltiplicando. Comprendere tutto non vuol dire giustificare tutto

    Paola Traverso
    consiglio tuttavia la lettura di haaretz, non credo sospetta di sostenere hamas. riferisce quotidianamente le cifre (supposte) dei morti da entrambe le parti. e riferisce anche di calcoli secondo i quali nel prossimo periodo le vittime palestinesi potrebbero aumentare esponenzialmente per i problemi sanitari e igienici causati dalla guerra. l’articolo che pubblichi dimezza il numero delle vittime con argomenti demagogici.

    Brunello Mantelli
    Esatto. Compreso ciò che fa Hamas utilizzando strutture civili come basi militari. Cosa che non viene mai sottolineata.

    Brunello Mantelli
    a) il testo che ho fatto circolare è di uno storico militare di vaglia, e non parla SOLO del numero delle vittime; b) Haaretz non è l’oracolo di Delfi, è un giornale. Il ragionamento sulle vittime future causate dai problemi sanitari e igienici dovuti alla guerra è capzioso: Hamas liberi gli ostaggi e si arrenda, e la guerra finirà. Non chiederlo è ambiguo; c) il ragionamento di Di Giovanni si può contestare, certo, ma con argomenti puntuali. Definire i suoi discorsi “demagogici” è modalità retorica degna de “Il fatto quotidiano” (o di certi articoli apparsi su “Il manifesto”). Stammi bene.

    Giovanni Scirocco
    viene detto un giorno sì e l’altro pure… io non discuto le ragioni di Israele. Discuto soltanto la propaganda (perché di questo si tratta: mi ricorda quella del “bravo italiano”) dell’idf come “esercito più morale del mondo”. Idf è un esercito come tutti gli altri, ne’ meglio, né peggio. E come tale si comporta

    Brunello Mantelli
    Su questo concordo, così come sul fatto che Israele sia uno Stato (democratico!) come gli altri Stati (democratici!), e quindi possa avere governi di me*da, come è capitato e capita ad altri Stati (democratici!). La pretesa che Stato d’Israele e forze armate israeliane che siano e si comportino quali puri, incorporei e santi spiriti dell’Empireo non sono io ad avanzarla, ma buona parte dei commentatori e dell’opinione pubblica, non solo italiota, mi pare.

    Paolo Broggio
    Il vero nodo è la possibilità concreta di distinguere i miliziani dai civili. Leggendo il post verrebbe da pensare che una distinzione netta sia nei fatti impossibile perché la categoria del “fiancheggiatore” rischia di essere molto estesa. La popolazione palestinese paga anni di connivenze. Tristissima e drammatica situazione.

    Brunello Mantelli
     Resta ovvio che anche dando per buona la cifra di 20.000 vittime, sarebbe sempre il caso di precisare, cosa che i giornali non fanno MAI, che una quota assai alta, potenzialmente pari al 50%, è costituita da miliziani, NON da civili.

  27. Non so perchè questi cosiddetti esperti mi sembrano accanitamente impegnati ad arrampicarsi sugli specchi, quando sono gli stessi soldati israeliani (interviste dirette, non opinioni di Haaretz) a definire la tattica di Israele a Gaza :’una fabbrica di assassinio di massa’, o a dire che loro sono assai precisi, quindi quando per colpire un partigiano ammazzano 50 o 100 civili la cosa era voluta, perchè l’ordine all’AI che regola il tutto è quello.
    Ma forse è rivelatore il riferimento a Mariupol: qui è al lavoro ancora Radio Europa Libera che smaschera le bugie dei rossi….ovunque siano;
    il fatto di essere esperti non esclude di essere faziosi

  28. Gli argomenti di Mantelli e dello storico Di Giovanni (che non credo sia un esperto di Israele-Palestina) sono quelli della propaganda israeliana che circolano da mesi. Con questo non voglio dire che siano falsi a prescindere: hanno delle pezze di appoggio, che poi usano per confondere il quadro generale, che è inoppugnabile.

    Tra quelli che seguo su facebook, i giornalisti Lorenzo Forlani e Cosimo Caridi (e altri) hanno già risposto a tutte quelle obiezioni:

    1) I dati dei morti li dà il ministero di Hamas, come è sempre successo nelle carneficine di Gaza. Ci sono archivi con nomi. Che la credibilità di Hamas sia zero (Mantelli) è semplicemente il pre-giudizio islamofobo di chi fa propaganda filosionista scambiando la sua idealizzazione di Israele per realtà. Come scritto da Forlani, i dati di Hamas sono stati sempre molto attendibili in questi 15 anni e lo sostengono tutti gli enti terzi sul posto, compreso l’Onu – pure la Cia. Del resto, i palestinesi sono circondati da funzionari Onu, giornalisti (1 su 10 è stato ucciso), volontari internazionali, medici della Mezzaluna rossa o di Medici senza frontiere, insomma, è inverosimile pensare che Hamas si sbagli di molto senza che gli osservatori internazionali non se ne accorgano (anche perché periscono pure loro: circa 200 vittime tra personale Onu e personale sanitario, cioè 2 al giorno). La volta della bomba ad Al-Shifa resta il caso che più autorizza i dubbi: pensare a 500 morti dichiarati così velocemente era molto probabilmente un grande eccesso – propaganda di Hamas, insomma.
    Vorrei far notare che l’Occidente il 7 ottobre ha preso acriticamente il dato inventato di 1400 civili israeliani uccisi da Hamas in modo efferato: si son rivelati 1200 di cui massimo 800 civili, di cui almeno un centinaio ucciso da fuoco amico di Israele. In definitiva, il numero di civili ucciso da Hamas è stato raddoppiato (erano probabilmente non più di 700, è stato detto 1400). Ma Israele è una democrazia, e allora è affidabile, gli altri sono terroristi islamici.

    2) Il fatto che ogni tanto l’esercito chieda alla popolazione, con pochissimo anticipo, di prendere i propri beni e mettersi in strada cosa mai dovrebbe significare? Che Israele non ha deciso di sterminare tutta la popolazione. Nient’altro. I casi in cui l’avviso non è arrivato sono infiniti, testimoniati dalle tante fonti terze (tra cui R. Noury di Amnesty International). I casi in cui l’evacuazione fosse impedita sono tanti. Il fatto che siano stati uccisi palestinesi per strada che andavano verso sud dopo aver abbandonato le loro case sono tanti. Insomma, questo argomento vale zero.

    3) A smentire l’argomento sull’uso degli aiuti Onu per fini militari ci ha pensato l’italiana Francesca Albanese, presidente dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Che Hamas usi scudi umani è una accusa ambigua, dal momento che Hamas non ha un esercito, e se avesse basi militari sarebbero distrutte all’istante da Israele anche in tempo “di pace”. In altre parole: non può esistere “resistenza” palestinese che possa scampare dall’accusa di usare i civili come scudi umani.

    4) Su questo punto cosa si può dire? O sono in malafede o dovrebbero curarsi la loro psicosi. Del resto anche il Sud Africa ora sarebbe braccio di Hamas, no? Il complotto internazionale pluto-hamas-sudafrican-massonico pare sia permesso…

    5 e 6) Il confronto con Mariupol non so farlo. So che è crimine di guerra uccidere un centinaio di profughi con la scusa (non dimostrata) che in mezzo c’era un miliziano di Hamas. C’è il principio di proporzionalità, che non viene mai rispettato, perché bombardando prima all’impazzata e radendo case, l’esercito israeliano subisce meno vittime rispetto all’azione di guerra mirata su Hamas.

    Aggiungo qui, preso dai commenti:
    L’unico punto in cui la propaganda israeliana ha qualche ragione è il fatto che Hamas non indica le sue vittime. Allora qui è lecito ipotizzare. E se le vittime militari di Gaza fossero il 50% del totale, come si illude Mantelli, Israele avrebbe le sue ragioni, l’accusa di genocidio sarebbe in effetti a rischio (ma ci sarebbero altri parametri da considerare). Io lo escludo nella maniera più assoluta, ma non ho prove. Credo che le vittime di Hamas siano un buon numero, ma non più di 5mila, stando alle stime che leggo in giro. E del resto, per aver prove di quanti sono ci dovrebbero essere indagini internazionali e giornalisti occidentali nella Striscia. E chi impedisce tutto questo? Hamas o Israele?

    Per inciso, vorrei far notare che anche per la guerra Russia-Ucraina ci sono numeri del tutto inattendibili da parte ucraina (e russa, ovviamente, la Russia mente sempre a spada tratta), ma lì non ci si fa problemi.
    L’insinuazione poi che Hamas avrebbe coinvolto “migliaia di civili palestinesi” il 7 ottobre è un bel modo per far passare i palestinesi come tutti sostenitori di Hamas – Netanhyau disse: Non ci sono civili a Gaza.

    Mantelli in fondo in fondo la pensa così, forse.

  29. @ Galbiati

    1.
    Mantelli è dichiaratamente pro Israele e per l’eliminazione di Hamas. Insieme ad altri hanno scritto un documento, La prima guerra civile mondiale,
    (https://www.storiastoriepn.it/la-prima-guerra-civile-mondiale/

    2. Lo scritto non va attribuito a Mantelli (che lo segnala e condivide sulla sua pagina FB) ma allo storico militare Marco Di Giovanni.

    3. Nei commenti ci sono obiezioni ragionevoli a Marco De Giovanni.

    5. Le etichette (propaganda israeliana), le insinuazioni (sono in malafede o dovrebbero curarsi la loro psicosi) non m’interessano. Ben vengano invece le obiezioni argomentate e dati contrapposti a quelli riportati da De Giovanni.

    @ Di Marco
    “il fatto di essere esperti non esclude di essere faziosi” Ottimo principio critico. A patto che venga fatto valere per tutti.

  30. @Ennio,

    io cerco di rispondere sempre nel merito, e ho faticato per farlo con tanto di dettagli che non trovano corrispettivo nello scritto di De Giovanni. Siamo spesso nell’ambito del totale negazionismo, di un racconto di fantasia.

    Non posso portar dati per dimostrare la non complicità di Medici senza frontiere, Unicef, Onu, Amnesty, Sud Africa con Hamas: toccherebbe a Di Giovanni l’onere della prova. La porta? No. Come è ovvio.

    A Gaza Israele non può garantire la sicurezza a nessuno, lo ha ripetuto il governo israeliano in continuazione, e lo dicono i fatti, leggere che l’esercito Israele “opera per creare zone di sicurezza in cui esfiltrare – secondo il dettato del diritto internazionale – i civili e informarli per quanto possibile sulle vie di accesso alle risorse, tutto questo anche a scapito della sicurezza del proprio personale”
    che effetto può farmi?
    Io mi chiedo davvero dove viva questo De Giovanni per sostenere una cosa del genere.
    Quali dati posso opporre? La stampa di tutto il mondo dall’8 ottobre al 12 gennaio.

    Insomma, se non è propaganda considerare complici di Hamas tutti gli stati, l’Onu e le ONG che criticano l’operato di Israele, cosa mai può esserlo? Se non è propaganda sostenere che l’Idf crea corridori sicuri a scapito della propria sicurezza, cosa mai può esserlo?

    I pochi punti che meritano attenzione, ho cercato di evidenziarli.

    Più la situazione diventa grave (e stiamo parlando di un inizio di genocidio), più gli argomenti giustificativi diventano non-argomenti, fantastoria. Per lo meno, a questo livello (quello di De Giovanni). Se almeno qualcuno ponesse dei problemi partendo da un terreno minimo condiviso di “fatti sul campo”, sarebbe un altro discorso.

    Io semmai temo che il processo in corso a L’Aia finisca con un “crimini di guerra” sia per Hamas sia per Israele, pari e patta. Nessun genocidio. Che vorrebbe dire legittimazione di quel che sta facendo Israele, via libera a continuare il lavoro. A difenderlo Netanhyau ha chiamato un giurista suo nemico ma con una qualifica essenziale: sopravvissuto alla Shoah: lo scudo di 6 milioni di ebrei potrebbe bastare a determinare il verdetto.

  31. Megan K. Stack, del Los Angeles Times, sezione Medio Oriente:
    ‘il caso presentato dal SudAfrica contro Israele per genocidio è, a parere di molti esperti legali, eccezionalmente forte e ben fondato…anche se per l’amministrazione Biden è ‘senza merito’ e per molti americani medi, abituati all’equiparazione genocidio-olocausto, istintivamente impensabile….eppure tutto prova che lo sia, fatti e dichiarazioni…” “e non sono solo le bombe, ma il blocco dei rifornimenti di cibo, acqua, medicine che costituiscono, secondo i codici, crimine di guerra e genocidio”
    “A Textbook Case of Genocide
    “Israele è stata esplicita rispetto alle sue intenzioni su Gaza. Perchè il mondo non ascolta?”
    Raz Segal, Jewish Currents

  32. SEGNALAZIONE
    dalla pagina FB di Salvo Leonardi di ieri 15 gennaio 2024
    (https://www.facebook.com/salvo.leonardi.338/posts/pfbid0FfGjVQtMJMz2aHnUo5zcc3hWTshmsQ1ix9yt4kxbPbGzmKaS8vmq1yHoyv2ZN8QDl)

    Salvo Leonardi
    Riassunto della situazione a Gaza, secondo fonti palestinesi, dopo 100 giorni di guerra.
    – 65.000 tonnellate di esplosivo, usato da Israele (il Corsera riferisce di una bomba ogni 10′, ininterrottamente dall’8 ottobre a due giorni fa, con effetti nel raggio anche di 350 metri).
    – 24.000 morti (oltre il 70% fra donne e bambini).
    – 7.000 dispersi, sotto gli enormi cumuli di macerie
    – 10.400, fra bambini e minorenni, uccisi.
    – 7.100 donne uccise.
    – 337 caduti tra il personale sanitario, anche internazionale
    – 45 della protezione civile
    – 117 giornalisti uccisi, anche di testate internazionali.
    – 60,317 feriti.
    – oltre 1.000 bambini hanno già avuto un arto amputato.
    – 10.000 pazienti con cancro impossibilitati a curarsi.
    – 1,8 milioni di sfollati su 2,2 milioni di abitanti
    – 95, fra scuole e sedi universitarie, completamente distrutte.
    – 295 strutture scolastiche inagibili.
    – 69.300 abitazioni completamente distrutte.
    – 290.000 abitazioni parzialmente distrutte.
    – 30 ospedali fuori servizio.
    – 53 ambulatori fuori servizio.
    – 121 ambulanze distrutte.
    – 200 siti di valore archeologico distrutti.
    – 145 moschee completamente distrutte.
    – 243 moschee parzialmente distrutte.
    – 3 chiese cristiane distrutte
    – rischi irreprabili per le falde acquifere, per via dell’allargamento del sottosuolo con acqua marina.
    Al netto di qualche (interessato) arrotondamento per eccesso, Israele non ha mai contestato questi dati, o fornitone di significativamente diversi.
    Il Washington Post, due settimane fa, sottolineava come per trovare un’opera devastatrice di queste proporzioni, il solo caso comparabile appare, in tempi recenti, Aleppo. Ma con la “lieve” differenza che, in quel caso, tutto ciò è avvenuto in quasi tre anni; qui in 3 mesi.
    Ultima postilla; oggi 1,8 milioni di esseri umani, vivono stipati in una tendopoli di pochi chilometri quadrati. Circa 1/3 dei 40km della Striscia, per 10-12 km di larghezza. Senza acqua, cibo, luce, gas e pochi farmaci. Ebbene; a 10 giorni dal 27 gennaio, proviamo a ricordare dove e quando, una popolazione di queste proporzioni, ha potuto sperimentare una simile situazione. Completamente sigillata nel perimetro, e massacrata da tutte le parti al suo interno. E, dicono, ne avremo ancora per tutto quest’anno (sic!)

    1. Salvo Leonardi si preoccupa molto, vedo, della coscienza altrui. Forse quando avrete finito con la matematica, potremmo occuparci anche della nostra.

      1. @ Ezio Partesana

        Lascerei perdere le coscienze (altrui o nostra) di cui si preoccupa Salvo Leonardi e ragionerei sui dati davvero tragici che ha riportato, precisando che sono di fonte palestinese.
        Sono veri? Sono falsi? Come vanno intepretati, se veri?

        1. Ennio,
          accatastare pietà e odio sopra le vittime a cosa serve?
          Sono tre mesi che chiedo ai compagni (avrei dovuto mettere le virgolette, lo so) di spiegare, e spiegarmi, la politica di Hamas, del Fronte, di Olp, e via dicendo; non ho avuto una sola risposta. C’è una linea (ricordi?) che non può essere oltrepassata, perché siamo in guerra e il fronte deve essere unito e compatto, a scanso di equivoci.
          Eppure continuo a pensare che non tutti siano miei fratelli, a pensare di riconoscere il nemico non solo di fronte ma anche, come già scritto, alla mia testa.
          Non credo e non spero in una “soluzione”, né vedo alcun compito da portare a termine dalle nostre parti se non quello di una revisione completa della posizione. Non è possibile (o almeno non credevo fosse possibile) confondere lo scempio dell’uomo e delle donne con una lotta di liberazione, e certi sofismi odorano peggio delle battaglie.
          La distruzione di Israele non è una ipotesi, è un proclama militare, così come lo stato di “minorità” nel quale vengono tenuti i palestinesi non è propaganda, ma uno stato di fatto.
          Come vanno interpretate le vittime, mi chiedi. Non lo so. Il sacrificio della ragione, però, non mi pare una vergogna sufficiente.

          1. Mi inserisco nella discussione tra Ennio ed Ezio, in attesa di leggere i links di Ennio, per rivolgermi a Ezio.

            Per quel che capisco io, posso risponderti così:

            1) La politica di Hamas, così come in passato quella di Arafat, cambia in base alla disponibilità di Israele. Anche Arafat proclamava di voler distruggere Israele, poi è arrivato a invitare Rabin a stringergli la mano, a riconoscere Israele senza avere nulla in cambio, nemmeno lo stop alle colonie (errore strategico che ora molti gli rimproverano). Il proclama militare di Khaled Meshaal di voler distruggere Israele dipende unicamente dall’indisponibilità di Israele a concedere uno stato ai palestinesi. Hamas infatti vince quando Sharon libera Gaza per concentrarsi sulle colonie nella West Bank nell’ottica di archiviare ogni ipotesi di stato palestinese (e infatti in contemporanea fa fuori Arafat, in senso politico e forse anche fisico, di certo discute se ucciderlo o meno in pubblico).
            Nel 2017 Khaled Meshaal dichiarava che Hamas era pronto a uno stato entro i confini del 1967, e precisava che era in guerra con Israele, non con gli ebrei:
            https://www.aljazeera.com/news/2017/5/2/hamas-accepts-palestinian-state-with-1967-borders
            Ora, mentre è in atto il genocidio di Gaza, rilancia la distruzione di Israele, come è inevitabile. Non si può distinguere la politica dalla propaganda in questi frangenti.

            2) I fatti contano di più delle parole. Israele ha distrutto gran parte della Palestina storica, l’ha annessa, l’ha occupata, la colonizza, ha ridotto i palestinesi in piccole enclave, sta portando a termine la distruzione di Gaza. In questa situazione, è ovvio che Hamas inneggia alla distruzione di Israele. Preoccuparsi per i proclami di Hamas di voler distruggere Israele è come preoccuparsi del topo in bocca al gatto che proclama di voler distruggere il gatto. Se il Messico dicesse di voler distruggere gli Usa, non credo che Biden ne sarebbe preoccupato. Ma reagirebbe con grandi proclami vittimistici e magari con qualche bomba per “autodifesa”. Insomma, è un nostro riflesso di occidentali che ancora vivono nel passato, con le categorie di fascisti/nazisti/Shoah ecc., preoccuparsi della distruzione degli ebrei: “non è una ipotesi”, scrivi tu, ma tanto meno è un fatto: è pura propaganda. E’ una non-possibilità, se ci confrontiamo con il presente. Il presente è la distruzione in atto della Palestina. Non fa parte del reale la possibilità di distruggere Israele. Fa parte al massimo della paranoia nostra di occidentali ossessionati dall’antisemitismo. Certo, se Hamas e Iran la smettessero di far quei proclami, sarebbero più furbi, ed eviterebbero di inimicarsi l’Occidente. Ma i fanatici vivono al confine tra pragmatismo e irrazionalità messianica (del resto, la Destra sionista è simile).

            3) Le lotte di liberazione, di colonizzazione e di decolonizzazione hanno sempre compreso lo scempio di civili. La pulizia etnica della Palestina del 1948 ha registrato vari stupri, bambini uccisi con colpi in testa e donne violentate ci sono anche oggi a opera dell’esercito israeliano nella West Bank. Solo che le news non ci arrivano perché avvengono a bassa intensità. Chiamare Hamas liberatori o partigiani può sembrar troppo anche a me, ma credo dobbiamo riconoscergli l’attributo di “resistenti” o “combattenti”. Il 7 ottobre non è stata una scampagnata, Hamas ha perso un migliaio o più di guerriglieri con l’esercito israeliano (che a sua volta ha perso quasi 500 militari), le uccisioni di civili non si sa nemmeno quanto fossero previste. Molti oggi ricordano che nella lotta algerina contro la Francia, le “pacifiche” donne algerine lasciavano bombe nei bar che facevano stragi.

            4) La soluzione realistica è quella presente. Ossia i palestinesi a vivere in condizioni subumane sotto controllo israeliano. La soluzione militare cercata da Hamas può solo accelerare questo processo. La soluzione diplomatica internazionale non ha alcuna chance. La soluzione nonviolenta potrebbe essere efficace in modi molto concreti, ma richiede la partecipazione dell’Occidente, come avvenne nel caso del boicottaggio al Sud Africa: il regime crollò soprattutto grazie alla pressione internazionale e al boicottaggio. E non a caso, il Sud Africa è oggi, nel caso di Gaza, il faro di civiltà nel denunciare il genocidio. Mancando però la volontà occidentale di far pressione su Israele, anzi, sostenendolo attivamente, l’Occidente è a tutti gli effetti parte del problema, a dirla tutta è politicamente complice del genocidio in atto.

  33. @ Partesana

    “Come vanno interpretate le vittime, mi chiedi. Non lo so. Il sacrificio della ragione, però, non mi pare una vergogna sufficiente.”

    Neppure io so e cerco di sapere (con quel che mi/ci resta della ragione. Eppure i dati (anche se di parte) sulle vittime ci sono (comprese quelle per mano di Hamas, che io non trascuro).
    E ci sono pure dei ragionamenti con cui misurarsi. Ne cito diversi:

    – Dire la verità sul genocidio di Gaza di Beppe Corlito
    https://laletteraturaenoi.it/2024/01/13/dire-la-verita-sul-genocidio-di-gaza/

    -Il caso legale di genocidio di Chris Hedges
    https://www.sinistrainrete.info/estero/27230-chris-hedges-il-caso-legale-di-genocidio.html

    – Genocidio a Gaza di John Mearsheimer
    https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/27172-john-mearsheimer-genocidio-a-gaza.html

    – Alla Corte dell’Aja l’umanità è al bivio di Roberta De Monticelli
    https://ilmanifesto.it/alla-corte-dellaja-lumanita-e-al-bivio?fbclid=IwAR1XSVZ-5sK41xac5eJuKhVvqxwKDYwxhl5I1d0Jm-lpT0iqqpgloGYgnj8

    – Che cos’è un genocidio? di Claudio Vercelli

  34. Direi che Partesana ha fatto il pieno di faziosità: di fronte ai dati di Leonardi (che poi sono solo un sunto di dati confermati da tutte le fonti internazionali, compresi i pochi giornalisti non intruppati o non ammazzati da Israele) l’unica cosa che risponde sono le solite domande su Hamas e dintorni, ossessivamente, senza alcun non dico moto emotivo ma rispetto per i palestinesi.
    Mi sembra evidente che lo schieramento acceca: iuventino costi quel che costi, occidentale a prescindere. Ma qui siamo oltre l’indecenza.
    Ai tempo antichi c’era un nome preciso per questi personaggi. lascio indovinare: a. p.

    1. @ paolo di marco

      L’accecamento (antioccidentale) a prescindere può essere anche il tuo.
      Non sopporto che si facciano offese personali mascherate da indovinelli su Poliscritture.

  35. Caro Ennio,
    i tempi nei quali scendevamo in piazza (hai qualche anno più di me, ma non così tanti) per Fatah erano segnati, ancora, da una prospettiva di cambiamento radicale rei rapporti umani; così come la simpatia per i kibutzim socialisti, lo fu per la generazione precedente. Oggi mi pare che di tutto ciò non resti più nulla; al fine di far fronte contro l’imperialismo statunitense ci troviamo accanto alle peggiori forme di istituzionalizzazione dell’oppressione e della violenza, con il rischio di esaltare qualunque idiozia purché sia “contro”, ma contro che cosa non è più tanto chiaro. Non pretendo di capire le dimensioni o la forza del fronte arabo, pure ritengo che qualche sforzo in questa direzione (ricordi Valabrega?) vada fatto. Non c’è ideale (chiamiamoli pure così) tra quelli che ci animavano che in quei paesi non venga strapazzato ogni giorno, e sotto la bandiera della “liberazione” marciano uomini con i quali solo trenta anni fa non avremmo voluto avere niente a che fare.
    Per questo continuo a ripetere che la dimensione orribile della ritorsione israeliana contro i palestinesi è un abbaglio ideologico, non per i palestinesi (certo) ma per noi. Inutile, direi, ricordare che cosa le politiche “frontiste” hanno dato di bene, e di catastrofico errore. La coazione a ripetere tutti gli atti di violenza del governo israeliano nei confronti dei palestinesi è tanto giusta quanto rivolta all’interno, molto meno quando si ferma a una pietà che non sa cosa e come fare, che non va oltre il grado zero della biopolitica (visto che il compagno Toni Negri è appena morto).
    Cosa spero allora io, mi chiederai di nuovo? Sussurro una sollevazione, simile a quella alla quale abbiamo assistito nei mesi scorsi in Israele contro Netanyahu, ma più radicale e con meno illusioni. A queste cose abbiamo però smesso anche solo di pensare, non è vero?
    E stia tranquillo Paolo di Marco: se ritiene che svelare la mia segreta alleanza con il Male sia utile faccia pure, e speriamo abbia egli qualche buona ragione e io torto.

  36. @Ennio: offendere e constatare sono due cose diverse
    un’ultima nota :
    una delle cose venuta fuori recentemente, uscita dal NYT e proveniente da fonti ufficiali di Isralele, è che per decenni Isralele, controllando i passaggi di tutto quello che entra in Gaza, aveva messo in atto un piano scientificamente studiato, basato sulla misurazione accurata di tutte le calorie, medicine, beni essenziali che entravano, e razionava gli ingressi in modo che fossero sempre un poco al disotto del limite di sussistenza.
    A qualcuno questo ricorda qualcosa? (risposta parziale : ormai si contano sulle dita di una mano quelli che se lo ricordano direttamente)
    a me sembra che non ci sia più nulla da aggiungere
    e quindi smetto anch’io

    1. “Faziosità” e “indecenza” mi paiono un poco oltre la constatazione, ma per rispetto a altri che sono in guai assai più seri eviterò di litigare, cosa che del resto non sarebbe di alcun interesse.

  37. le ragioni del cuore, direbbe Pascal: puo’ essere immensa incommensurabile la sofferenza per le vittime, piovendo sul bagnato di memorie mai spente di altre vittime innocenti…ma il cuore non puo’ battere solo a metà in vista di una storia presente che replica immani atrocità su nuove vittime innocenti…la reazione giusta ad una inaspettata violenza efferata? una vendetta assolutamente smisurata, sanguinosa e distruttiva che richiamerà altra vendetta è la risposta adeguata?

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