di Fabio Dainotti
Mareggiata Verde smeraldo al largo, color sabbia verso la riva; mare, ti divide la striscia bianca che vieta il sorpasso. Agropoli, 1964
Ricordi di scuola Per Aldo Ruocco Allegoricamente aperto il Libro parlavi della tua compagna bionda, che volevi “fermare”, della bruna sua amica che mi aveva rifiutato. (S’udiva a tratti lo sciacquio del mare). Con uno spicchio giallo di limone portava il the tua madre, verso sera, mater mediterranea, e lungamente s’incantava a guardarci bere quella calda bevanda e agra dolcemente. Con le labbra dipinte, ma in vestaglia di già, la tua sorella liceale celiava: studere studere post mortem quid valere? Poi ancheggiava fino alla credenza indugiando davanti alla specchiera. O mare amaro, su e giù per le rive deserte, stritolavi ghiaia, giorni, anni fatti di sogni traditori. Nella striscia ferita del tramonto un passero volò sul davanzale; tu coniugavi, o compagno di scuola, thnesko (morire), poi vivere, amare. (Ti rispondeva, solo a tratti, il mare). Effe Pianto di donna seduta angoscia delle sue spalle nude, guardava il cielo. Se fossi morta adesso con la luna non laveresti i piatti nell’acquaio mentre il giornale squallido appassito col supplemento manda a memoria un omino, tuo marito, e la radio fragorosa vomita l’ultimo notiziario. San Marco Amaramente soffia e spinge il vento le onde sul litorale abbandonato; pare il suono di un corno desolato. Quanto tempo è passato, un anno, cento. Sindacale Per Aldo Bruzio Quasi un sonetto (e siamo nel Duemila); questa è la mia tastiera malinconica: non affondo la sonda nel sociale, non celebro il tuo impegno sindacale. Scrivo: “Piovaschi scrosciano monotoni”. E tu cosa dipingi quando piove in questa primavera un po’ invernale, se insegui su un opposito crinale la giustizia sociale che sempre ti commuove?. A che scopo venire (già a che scopo), tutte le sere o quasi al sindacato? L’ellisse non diverrà lineare. Mondo è, mondo sarà, è sempre stato! dice zia Giulia, che abita in Costiera. E io non so, non lo so più; m’affaccio, piove ancora sul mare, alla ringhiera. Piove M’affaccio alla finestra: piove, piove. e lei chissà che cosa fa? Si muove svelta in cucina col grembiule o guida il suo fuoristrada arancione pieno di figli che accompagna a scuola con l’inseparabile cagna sul sedile posteriore e poi rimane sola a Battipaglia e traffica bellissima col fruttaiolo le mele, si bagna i capelli sottili quella trama preziosa la pelle del suo viso che sembra la réclame di un bagno schiuma ma è un’antica bellezza, levigata dai secoli, dal tempo. Lungomare San Marco C’è ancora nel tempo invernale quel cercatore di conchiglie solo sul litorale abbandonato? Coi resti lasciati dal mare intarsiava le soglie delle case: diventavano navi. Maliardaria È mia la mano o la coscienza vede solo una rem extensam, arto, piede? Corpo di donna. Fumo. Da un oblò. Il mare – rotte acque di basalto. Il gabbiano ha il suo nido, ora lo so, su spiagge mattutine. Dietro una linea d’ombra che si muove corpo di donna al sole. Ti scompiglia le chiome fuga d’aria. Battello ebro, scalo da una lenta, annoiata maliardaria. Novecento Chi l’avrebbe mai detto che i tavolini dei caffè all’aperto sono muti e senz’anima nei pomeriggi deserti, quando la ghiaia celeste ha qualcosa da dire alle statue, quando i passeri incerti salutano la morte dell’estate (ogni giorno più breve inavvertitamente) e gli amori impossibili per le belle sconosciute sono storie narrate a mezza voce davanti a un boccale di birra in angiporti fumosi, dove gli uomini col moncherino sputano al passaggio degli uomini vuoti che dicono sempre di sì a pescecani col sigaro dalla cenere così incredibilmente appesa al filo del morire – trame di seta materia di sogni, una tromba solista attacca a suonare tre note solamente, chissà dove. Cane e padrone Il mio cane si chiede certamente se sia saggio passare le giornate chiuso nel mio studiolo, sul mezzanino triste. Fuori, la vita celebra i suoi trionfi, in questa foresta innaturale. A noi sembra degrado, ma qualcuno più giovane, cresciuto, se ne ricorderà.