#Fantascienza ovvero I futuri possibili
di Emma Pretti
Fino alla prima metà degli anni ’70 la fantascienza scrutava e attingeva principalmente dal terreno delle invenzioni tecnologiche che avrebbero permesso le scoperte di nuovi mondi e nuovi territori planetari da esplorare, incontri con presenze aliene, di volta in volta amichevoli o minacciose. Verso gli anni ’80 l’incredibile accelerazione delle scienze tecnologiche, la rapidità incontenibile con cui le innovazioni si sorpassavano a vicenda hanno creato in questo genere letterario un po’ di sgomento, al punto da ridurne la forza propulsiva, ma nello stesso tempo lo hanno arricchito di sfaccettature e ulteriori problematiche, rendendolo sicuramente più denso di implicazioni. La fantascienza si è trasformata in un luogo di utopie/distopie, considerazioni filosofie ed etiche, paradossi sui nostri possibili futuri – regno delle possibilità, dove ogni direzione è pensabile poiché immaginata, ma non per questo improbabile. Da Philip K. Dick in poi la fantascienza ha inglobato nuove ramificazioni al punto da indurre qualcuno a definirla un sottogenere, intendendo come molte delle sue narrazioni fossero proiezioni in chiave avveniristica di questioni più pertinenti a disamine politico/sociali, psicologiche o extrasensoriali, e comunque più intimistiche. Anche se meno immaginifico e visionario, il genere resta comunque una proiezione al futuro di echi e tematiche presenti in nuce. Oserei dire che, sommersa da uno sviluppo tecnologico impensabile, la produzione si trova un po’ annichilita e sembra aver perso un certo numero di frequentatori, sia tra gli autori che tra i lettori, ma le opere presenti offrono contenuti densi di approfondimenti.
La Delos Digital ha da poco inaugurato una collana in e-book di racconti di fantascienza, curata da Sandro Battisti, e siamo alla seconda uscita. Presentando e commentando il racconto di Michele Nigro, intendo proporre un assaggio dell’intero volume che raccoglie altri due interventi rispettivamente di Helena Velena e Franco Ricciardiello, e si presenta col titolo di Delle eloquenti distopie 2
Il racconto di Michele Nigro, dal titolo Anatcometaverso prende il via dall’intervista che un giovane giornalista di una testata di rilievo rivolge al giudice nel carcere metaversale di Levytown. L’intervista riguarda La Riforma della giustizia che ha finalmente reso operativo il nuovo metodo detentivo in cantiere da anni, che fonde condanna e riabilitazione, di cui il giudice si definisce convinto promotore e sostenitore. Per mezzo di un unico espediente altamente tecnologico si è risolto sia il problema della detenzione che quello della riabilitazione attraverso ciò che si potrebbe definire una condanna riabilitativa; l’esperimento consiste in sessioni di immersione in un metaverso per mezzo di un avatar : “…Tutte le azioni virtuali che lei ha appena elencato – spiega il giudice – sono le stesse, aggiunte a moltissime altre, che i nostri detenuti possono compiere quotidianamente e in piena libertà stando seduti sulle poltrone, qui a Levytown … Vede, Pittygrilli, la corruzione, la predisposizione a delinquere, come lei probabilmente saprà, sono inclinazioni che non risiedono nel corpo bensì nella mente: il corpo non fa nient’altro che attuare le malsane volontà del pensiero. Nei secoli passati, attraverso detenzioni disumane, la giustizia ha sempre cercato di correggere l’animo umano corrotto, offendendo il corpo, ottenendo quasi sempre il risultato opposto. La Storia ce lo insegna e lei dovrebbe leggere più libri. “
Ma il metaverso non esiste solo per imposizione ministeriale, procedendo nel racconto, e quindi nell’intervista, vengono alla luce anche programmi pirata messi in circolazione nel cyberspazio da anarcohaker; questi ultimi frequentano il metaverso per raccogliere adepti che desiderino sfuggire all’irrimediabile controllo della propria mente.
Attraverso domande e risposte l’autore delinea la strada di un futuro distacco dal corpo che rimane incollato alla realtà materica mentre la mente, proiettata nel metaverso, completa una sorta di liberazione insurrezionale contro una condizione di vita limitata dalla materia, pilotata da autorità e potere centralizzato per mezzo di paraventi sociali.
Il racconto progressivamente si addentra, attraverso il metaverso, in una interessante dimensione metafisica (scusate se appare un gioco di parole) che prende in considerazione la nostra comune meta finale: “… Sì, ma cos’è la morte, compagno? Anch’essa, come il corpo, è un grande equivoco metafisico. Quando i nostri cari abbandonano, a causa di una patologia o di un incidente, il loro involucro terreno, l’interruzione dell’abitudine ci corrode; allora piangiamo non vedendoli più accanto a noi, ci disperiamo per la mancanza di interazione, di contatto; vaghiamo tristi in cerca di segni residui della loro presenza quotidiana. Una presenza che mai più sarà ripristinata secondo i canoni dei nostri limitati sensi: la rassegnazione nei confronti di un’assenza irreversibile prende lentamente il sopravvento e non ci concediamo una possibilità alternativa. Se il nostro ricordo di loro e, principalmente, la loro stessa banca mnemonica esistenziale potessero essere salvati e riversati in un avatar, anche la morte smetterebbe di esistere per lasciare spazio non certo a una vita così come noi la concepiamo, ma a una metavita non meno degna di essere vissuta. Avremmo di nuovo i nostri cari, la loro essenza che già ora ci abita sempre al nostro fianco, per l’eternità o almeno fino alla fine tecnologica del cyberspazio. Li avremmo non come corpo, ma sicuramente come voce che ricorda e continua a raccontare, e a imparare. Non una voce meramente sonora ma interattiva, capace di evolvere, viva. Veramente pensate che le gesta di una persona perdano d’intensità solo perché la fonte che le ha generate è sparita? E allora vorreste convincermi che la luce di stelle spente che continuiamo ad ammirare ogni notte – poiché seguita a raggiungerci attraversando lo spazio e a stimolare le retine dei nostri occhi terreni – ha più valore e bellezza perché non sappiamo se appartiene o meno a una stella già morta? Quindi è di un inganno non rivelato che abbiamo bisogno. Di un mistero che ci affascini. Abbiamo bisogno di una fede che ci dica che quella luce appartiene a una stella non morta o che, se anche è morta, continua in un certo qual modo a proseguire la sua esistenza e a dirci cose. Ecco, allora all’umanità sorda e limitata che abbiamo lasciato dietro di noi direi: ‘abbiate fede in questa voce che non deriva da un corpo mortale, abbiate fede nella forza del pensiero che ancora l’ispira, perché è l’unica voce interiore che sentirete in punto di morte; è l’unica cosa che conta mentre il corpo, brillando come una stella, va incontro al suo disfacimento e alla sua luminosa fine.”
Se il cyberspazio può essere manovrato e controllato, si delinea anche come dimensione di infinite e ulteriori possibilità, inattesi varchi mirati alla libertà.
La figura del giudice pian piano si svela più complessa che quella di un semplice applicatore delle leggi, il metaverso in definitiva lo intriga, lo affascina mentre sfuma i confini del mondo quotidianamente conosciuto; ne sente il richiamo perché non ne possiede le risposte, che ogni volta sembrano avvicinarsi per essere spazzate via dal vento caldo che sfiora le mura del carcere di Levytown, situato in una landa desolata molto simile al Deserto dei tartari ( già citato nel racconto ) – e non potrebbe essere altrimenti dal momento che la realtà svanisce per proiettarsi altrove.
Il racconto in sé è intrigante..anche se la realtà l’ha già raggiunto: è di ieri la notizia (il Fatto mi sembra) di una ragazza violentata in un metaverso dove era stata invitata da amici…e la ricerca di un possibile processo..
Ma devo anche aggiungere che la fantascienza già da poco dopo le origini avventurose inizia a percorrere strade complesse, caratterizzate dalla domanda: cosa potrebbe succedere se cambiasse questo aspetto/parametro del nostro mondo?
E in questo modo è diventata una ricchissima fucina di esplorazioni sociologiche, poi arricchite anche da prose più raffinate di quelle delle origini.
Quello che dici è agghiacciante, se vero, ma può essere vero ? come potrebbe esserlo ? Stiamo disintegrando il vero e il reale, trasformandolo in un gioco/incubo di specularità e rifrazioni dove semplicemente proiettiamo le nostre turpitudini ? In qualsiasi dimensione traghettiamo noi stessi ( intesi come umanità) e l’umanità non può essere lasciata a se stessa ma necessita di controllo, ne deriva che una dimensione di libertà non esiste. Mezz’ora fa stavo combattendo contro una perfida cerniera a doppio cursore che mi faceva impazzire; ero così impegnata in questa lotta da dimenticarmi tutte le mie depressioni, angosce, paranoie. La mia inettitudine è forse la mia salvezza.
Purtroppo la notizia è vera, l’ho sentita anch’io, ma non mi stupisce più di tanto dal momento che su Second Life c’è gente che in passato s’è sposata e ha acquistato immobili con conseguenze anche nella “prima vita” quella reale… Consiglio a tutti la lettura del romanzo di Neal Stephenson “Snow Crash” in cui fu usata per la prima volta la parola METAVERSO…
p.s.: cara Emma, teniamoci stretti i nostri impacci umani, le nostre debolezze, i nostri difetti; come dici tu sono le uniche cose che ci salveranno e che faranno la differenza quando ce ne sarà bisogno.
Un grazie infinito a Emma Pretti per questa sua interessante recensione al mio racconto “Anarcometaverso” contenuto nel secondo volume di “Delle eloquenti distopie” della Delos Digital uscito a Natale… e per le sue considerazioni in generale sul destino della fantascienza contemporanea!