DISCUTERE DI GAZA

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 3 persone e persone che studiano
UN SUNTO DELLA SERATA  SU GAZA ORGANIZZATA DALL’ANPI DI COLOGNO MONZESE
19 GENNAIO 2024
a cura di E. A.

Domanda
buon pomeriggio Ennio. quella di ieri [19 gennaio 2024) e’ stata una riunione interessante?

Risposta:

Direi di sì. Salone pieno. Introduzione di Violetti breve (una citazione da Etty Hillesum). Presentazione agile di Tagliaferri dei tre relatori: Barbara Archetti di Venti di terra, Stefano Levi Della Torre, Paola Caridi.
Ti riassumo i tre interventi:
– Archetti.
Da operatrice umanitaria ha fatto una fotografia della situazione tremenda di Gaza sotto i bombardamenti israeliani: territorio chiuso per persone, merci e medicinali; morti (arrivati nel frattempo ad una cifra approssimativa di 25-30.000), feriti che non si possono curare; fame; bambini – (già cresciuti in un clima di violenza per loro normale tanto da chiedersi: “Quando arriva quest’anno la stagione della guerra?) – abbandonati a se stessi; i palestinesi della West Bank [sponda occidentale del fiume Giordano, Cisgiordania] multati o visitati dall’IDF [Israel Defense Forces, esercito israeliano] se aiutano o sono in contatto con abitanti di Gaza; impossibilità di quantificare il fabbisogno per ricostruire Gaza ormai già ridotta a un cumulo di macerie.
– Levi Della Torre.
Un inquadramento approfondito, lucido e chiarificatore del conflitto israelo-palestinese. Lo riassumo così. Siamo ad un crinale della storia. In Israele abbiamo il governo di Netanyahu di destra estrema, alla Orban. Il 7 ottobre di Hamas ha trovato Israele divisa e sono saltati gli accordi di Abramo con i paesi arabi. C’è stata una sottovalutazione grave della questione palestinese: Netanyahu la dava per sedata con l’apartheid a Gaza e la West Bank sottomessa. Che ci fosse una percezione sbagliata della ituazione lo dimostra anche il rave dei giovani ebrei vicino al confine con Gaza.
La risposta di Israele all’attacco devastante di Hamas del 7 ottobre poteva imboccare due strade: o, con un’autocrtica politica, riprendere la via abbandonata del riconoscimento di un’autonomia dei palestinesi; o una nuova Nakba. Netanyahu ha scelto la seconda via. Di terrore e di violenza. E sono emerse preoccupanti analogie tra i discorsi fatti contro i palestinesi dai governanti della destra israeliana in questi mesi (“mandiamoli in Congo”) e quelli che fecero negli anni Trenta del Novecento i nazisti contro gli ebrei (“ mandiamoli in Madagascar”).
Cosa avrebbe dovuto fare il governo israeliano? Puntare soprattutto sulla liberazione degli ostaggi, non impantanarsi in questa guerra contro Hamas che è diventata immediatamente una guerra contro tutti i palestinesi.
Siamo di fronte ad un disastro per Israele e al successo di Hamas. Perché Gaza ridotta dall’IDF a un cumulo di macerie è una simbolo che a livello mondiale dice in modo semplificato una sola cosa: i palestinesi sono i martiri, gli israeliani sono i carnefici.
Lo scontro si fa anche sui simboli. E il simbolo della vittima ha grande impatto emotivo. Appropriarsi del simbolo della vittima è importante oggi come lo fu in passato. Non dobbiamo dimenticare che negli anni Trenta il nazismo si affermò in Germania anche utilizzando una ideologia vittimistica: il popolo tedesco vittima del Trattato di Versailles che l’aveva voluto punire e umiliare.
Cosa diremo, dunque, il 27 gennaio, il Giorno della memoria? E’ certamente sbagliato di fronte al massacro dei palestinesi lo slogan: gli ebrei da vittime si fanno carnefici. Eppure, se prima del 7 ottobre la distanza tra lo sterminio della Shoah e le continue uccisioni dei palestinesi da parte dell’IDF era enorme, oggi c’è un forte imbarazzo a sostenerlo.
Anche perché sempre più negli ultimi decenni lo Stato israeliano ha voluto presentare la Shoah come un suo scudo e uno scudo contro l’antisemitismo. Si è offuscata l’immagine della Shoah come crimine contro l’umanità, che è l’interpretazione più giusta. Israele ha, invece, imposto la sua interpretazione, per cui, se sono vittima (7 ottobre), qualunque cosa io faccia per difendermi è giustificata. Perché noi israeliani siamo gli eredi delle vittime della Shoah.
Bisogna correggere questa visione: dare solidarietà a tutte le vittime del passato ma allo stesso tempo combattere qualunque atrocità di massa. E bisogna anche chiedersi quanto la nostra passività di spettatori rispetto alla tragedia di Gaza ci mette dalla parte dei carnefici, perché è ritrovarsi dalla loro parte senza neppure saperlo.
– Caridi.
Ha ricordato che il processo intentato dal Sudafrica contro Israele per genocidio andrà per le lunghe e che sarà difficile dimostrare l’accusa di genocidio. Però, sembra che questo ricorso del Sudafrica possa essere lo strumento più veloce per fermare i bombardamenti. Il processo ha anch’esso un grande impatto simbolico, perché per la prima volta Israele è sul banco degli imputati ed in una posizione di debolezza agli occhi dell’opinione pubblica mondiale dopo la reazione militare all’attacco di Hamas, da molti ritenuta sproporzionata.
Ha poi ricordato: – le vicende che vanno dalla morte di Arafat all’affermazione della “linea territorialista” di Hamas, organizzazione che ha scelto di concentrare la propria azione politica e militare su Gaza abbandonando il tentativo dell’OLP di imporre, anche con attentati (ad es. alle Olimpiadi estive di Monaco nel 1972), la questione palestinese a livello internazionale; – la stagione degli attentati suicidi di Hamas nelle città israeliane; la sua partecipazione “pragmatica” alle elezioni del 2006 indette dall’ANP [Autorità Nazionale Palestinese], partecipazione accettata sia dagli Usa che da Israele che non prevedevano una vittoria così schiacciante di Hamas; – il ruolo preponderante che in Hamas si sono conquistate nell’ultimo periodo le Brigate Izz al-Din alQassam ponendo al primo posto l’obiettivo della liberazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane [Secondo Addameer, organizzazione per i diritti umani che si occupa proprio di fornire supporto ai detenuti palestinesi, il numero totale nelle carceri israeliane è attualmente di circa 7mila persone: di queste, 62 sono donne, 200 minori e 2.070 detenuti amministrativi, cioè senza un capo di accusa noto]. La liberazione dei prigionieri palestinesi mediante la cattura di ostaggi israeliani è una delle ragioni principali della crescente popolarità di Hamas presso le popolazioni arabe. Si tratterà di capire ora se ad un cessate il fuoco si arriverà con o senza l’espulsione dei palestinesi.

Infine, c’è stato purtroppo poco tempo – neppure 20 minuti – per gli interventi dal pubblico e non c’era l’audio ma la serata è stata buona e interessante. Insomma, potevi venire.

5 pensieri su “DISCUTERE DI GAZA

  1. Faccio alcune aggiunte, visto che c’ero.

    Paola Caridi sostiene una linea, sulla questione “genocidio a Gaza: sì o no?”, che mi sembra minoritaria tra gli esperti del diritto. Vale a dire: il Sud Africa secondo lei ha fatto una causa che giuridicamente non sta in piedi alla Corte penale internazionale, con il fine politico di fermare il massacro – infatti, se la sentenza per genocidio dovrà attendere anni, l’intervento della Corte per il cessate il fuoco potrebbe avvenire a breve. Caridi ritiene più opportuno il Tribunale penale, che si occupa di crimini contro l’umanità o crimini di guerra, per Gaza, e non la Corte, che si occupa di genocidi. Per lei l’accusa di genocidio è impropria, e fatta per uso strumentale, politico: fermare il massacro.
    Linea legittima, sia chiaro, che ho sentito sostenere anche da alcuni esperti del diritto (Paola Caridi non è una giurista).
    Però mi pare che la maggior parte dei giuristi ritenga la decisione del Sud Africa giusta sia nel merito giuridico sia a livello politico, vale a dire: a Gaza è effettivamente in atto un tentativo, o un rischio di genocidio, che va sanzionato dalla Corte penale internazionale (che sanziona anche i rischi, i genocidi potenziali, se si va a vedere il diritto). E inoltre, la Corte può a breve chiedere il cessate il fuoco, per cui la tempestività dell’atto del sud Africa ha anche valore politico (e umanitario) immediato.

    Stefano della Torre ha fatto presente un fatto importante in modo esplicito, che va evidenziato perché così come l’ha detto lui non lo avevo mai sentito: se Israele volesse dare la West Bank ai palestinesi per farne uno stato andrebbe incontro a una “guerra civile” (questa l’espressione testuale) con i coloni, essendo i coloni una vera a propria forza armata (“sono armati”).
    Da questa situazione sul campo, mai così esplicitata, ripeto, nella mia esperienza (l’affrontare una vera e propria “guerra civile”), parte la battaglia di molti progressisti e pacifisti israeliani a favore dello stato unico binazionale, ritenuto più fattibile, “sul campo” (ma non politicamente, non direi umanamente, al momento).
    Insomma, la situazione che si è creata è senza alcuno sbocco per i palestinesi, almeno nel breve-medio periodo.

    Sempre su Stefano Levi: ha proposto una interpretazione internazionalistica (e non “nazionalistica”) della giornata della memoria, ossia considerare la memoria della Shoah come tramite per ricordare tutti i genocidi. In altre parole la Shoah come genocidio “esemplare” più che “unico”. Ma qui avrei voluto ricordargli che la giornata della memoria è stata fondata proprio per perorare la causa della “unicità” della Shoah, ossia dell’esclusività del ricordo, in opposizione all’idea dell’esemplarità della Shoah. Di questo parlava per esempio lo storico Franco Cardini, che ho ricordato nel mio articolo per Poliscritture di cui sotto metto il link. Per sostenere la linea di Levi, insomma, sarebbe molto più coerente e lineare, senza ambiguità, fondare una giornata contro tutti i genocidi – ma gli ideatori della giornata della memoria sarebbero contrari, non a caso.

    https://www.poliscritture.it/2020/01/25/i-memoricidi-della-memoria-selettiva/

  2. In sintonia con le riflessioni di Stefano Levi Della Torre quelle dello storico e scrittore Carlo Greppi:

    PER UN BUON USO DELLA STORIA. INTORNO AL GIORNO DELLA MEMORIA
    di Carlo Greppi
    https://it.gariwo.net/magazine/editoriali/per-un-buon-uso-della-storia-intorno-al-giorno-della-memoria-26808.html

    Stralcio:

    Ecco: se la storia e la memoria pubblica sono un antidoto dovremmo chiedercelo sempre, dove eravamo e dove siamo. Per provare a non correre il rischio di finire in quel maledetto scantinato stantio, a rifugiarsi nello studio, mentre i bambini gridano nella notte. “La memoria della Shoah è di tutti”, ha sostenuto sul sito di “Gariwo” la storica Anna Foa, e ha ragione: è anche delle donne e dei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente. Sempre che sopravvivano.

    P.s.
    Ringrazio per la segnalazione Mauro Cambia

  3. A proposito di comunità ebraica in relazione a Shoah e Gaza, posto questa riflessione-comparazione:

    Ariel Toaff, storico,

    figlio del rabbino Elio che fu capo-rabbino della comunità di Roma,

    oggi (ieri a esser precisi, 22 gennaio) ha ripubblicato sul suo profilo facebook un vecchio articolo di giornale dedicato al suo libro “Ebraismo virtuale” dal titolo: “L’ossessione per la Shoah fa male alla storia degli ebrei”

    dove si legge:

    “La Shoah rischia di far velo alle millenarie vicende del popolo ebraico sino alla metà del Novecento. E una storia lunga e complessa, con gli ebrei non necessariamente nella parte delle vittime, viene finalizzata a quella dell’antisemitismo. Ecco la tesi politicamente scorretta, a tratti convincente, a tratti sostenuta in maniera troppo veemente e personale, di Ebraismo virtuale (Rizzoli), il pamphlet che Ariel Toaff ha appena pubblicato sull’onda dello scandalo suscitato dal suo Pasque di sangue, il volume edito dal Mulino e ritirato dalle librerie nel 2007, dopo gli attacchi del mondo accademico e religioso, poi ripubblicato nel febbraio di quest’anno in una nuova edizione corretta.

    Lo storico dell’Università Bar-Ilan parte da una domanda: perché Pasque di sangue, libro che parla di «omicidi rituali, infanticidi… tutti avvenimenti di oltre cinque secoli fa, ancora prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America», ha suscitato così aspre reazioni, tanto da essere accusato di favorire l’antisemitismo? La risposta che lo studioso si dà è nell’esistenza di «un ebraismo virtuale e oleografico, fatto di vittime invertebrate e di martiri innocenti… un ebraismo senza macchia, ma con molta paura, anzi ossessionato dalla paura e alla continua ricerca di difensori a buon mercato o di apologeti ignoranti». Un atteggiamento, sostiene Toaff, diffuso soprattutto tra gli ebrei della diaspora, dove vige una visione acritica disposta a sostenere «ogni scelta politica dei governanti israeliani», qualunque sia il partito al comando. Pronta ad appoggiare materialmente le scelte politiche di Gerusalemme, ma ben lontana dalla vita reale e soprattutto dal dibattito intellettuale che si svolge nella Terra dei Padri. Così tra gli ebrei della diaspora, in Italia come negli Stati Uniti, si afferma una cultura che non può allontanarsi dai canoni del politicamente corretto, mentre in Israele si è meno ossessionati dai fantasmi dell’antisemitismo, si è più disposti a scrivere una storia degli ebrei nelle sue luci e nelle sue ombre.
    Anche se in Israele da una ventina d’anni la popolarità degli studi sulla Shoah ha ridotto in posizione marginale le ricerche sulla storia ebraica antica, medioevale, moderna, e persino quella del sionismo, Ariel Toaff afferma che lì la ricerca è più libera e produttiva.”

    Ariel Toaff fu accusato di antisemitismo in Italia dopo aver pubblicato il suo libro “Pasque di sangue”, che fu praticamente costretto a ritirare dal commercio ancor prima che andasse in vendita. A difendere il libro, all’epoca, solo Sergio Luzzatto (e Franco Cardini), per il resto fu talmente attaccato che pure il padre, allora capo rabbino, chiese il ritiro. Ma Ariel Toaff lo ripubblicò con alcune correzioni. Ora ripubblicando questo articolo di giornale del 2008 ha scritto su facebook altri due post dove constata tra l’altro che “alcuni benpensanti” gli hanno tolto l’amicizia. Una signora gli scrive che “nessun ebreo mette like alla sua pagina”.

    La pagina facebook di Ariel Toaff con questi pezzi è pubblica.

    Il successore di Elio Toaff è il capo rabbino Di Segni, che qualche giorno fa si è lamentato della “regressione teologica” della Chiesa cattolica perché il Papa oserebbe equiparare il 7 ottobre alla guerra di Gaza, che altro non sarebbe se non “eliminarne l’origine”, “la pace non può prescindere dalla sconfitta di Hamas, perché chi fa il male deve essere sconfitto, come accadde con i nazisti”:

    “Gli ebrei additati come vendicativi e senza pietà. La legittimità dello stato d’Israele messa in discussione. Mettere sullo stesso piano le stragi del 7 ottobre con chi sta cercando di eliminarne l’origine. Dai livelli più alti del mondo cattolico, ha affermato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, sono arrivate in questi mesi “un miscuglio di dichiarazioni politiche e religiose che ci hanno reso perplessi e offesi”. Nella giornata dedicata al dialogo tra ebrei e cattolici, il rav ha sottolineato le molte contraddizioni nella Chiesa emerse dopo gli attacchi di Hamas e la guerra a Gaza. Teologi, cardinali, il patriarca latino di Gerusalemme fino al pontefice hanno mostrato, con gesti e parole, “una teologia regredita, un’incomprensione sostanziale della situazione. Sono stati fatti molti passi indietro nel dialogo ed è necessario riprendere il filo del discorso”. Davanti alla platea della Pontificia Università Gregoriana, Di Segni ha analizzato il tema di questa edizione della giornata – il brano tratto dal libro del profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” -, ma ha anche ribadito il malessere del mondo ebraico di fronte a diverse prese di posizione. “C’è la preghiera per la pace, ma non avete il monopolio della pace. La pace la vogliamo tutti, ma dipende da quale”, ha sottolineato il rabbino. La pace non può prescindere dalla sconfitta di Hamas “perché chi fa il male deve essere sconfitto, come accade con i nazisti nel 1945. E non si può accettare l’idea che la guerra sia di per sé una sconfitta per tutti”. Questo, ha aggiunto il rav, “non autorizza qualsiasi cosa, ma non si può mettere sullo stesso piano chi soffre un abuso incredibile e chi cerca di eliminare l’origine e la ripetizione di questo abuso”.

    https://moked.it/blog/2024/01/18/fedi-rav-di-segni-dal-7-ottobre-passi-indietro-nel-dialogo-con-la-chiesa/?fbclid=IwAR1KbPlslyGksvKEwnNPITKpeWrLFKrnUY1-cK26bREFzJH60Yu9686gpRY

  4. SEGNALAZIONI

    Da Claudio Vercelli:
    Seminario online | Dopo il 7 ottobre 2023. La contesa infinita.
    https://www.museoebraicobo.it/eventi/primo-piano/seminario-online-dopo-il-7-ottobre-2023-la-contesa-infinita?fbclid=IwAR0mmgXoWoogjoHgBy_lE5gFLf262T__7H8DzHhjIgNdMQ5mp0pdu-75N3o
    (Costo € 65 iscrizione )

    -STA PER COMINCIARE LA IV EDIZIONE DEL CORSO “UN’IDENTITA’ IN BILICO”, CHE SI SVOLGERA’ DAL 5 FEBBRAIO AL 29 MAGGIO SU PIATTAFORMA ZOOM.
    https://www.progettomemoria.info/unidentita-in-bilico-4-istruzioni-per-luso/?fbclid=IwAR1Qk5IY7w3yi-uMcJLwXyIjIzn2JxAGkC_tHN0vHZiUNN5e_cXVjNm5MG8
    (IL CORSO E’ GRATUITO E APERTO A TUTTI GLI INTERESSATI.)

    DA Bruno Montesano:
    – Come LƏA – Laboratorio Ebraico Antirazzistasiamo stati intervistati da Rebus su Rai 3 con la presidente della Unione delle Comunità Ebraiche Noemi di Segni in studio (al min. 40 ma il blocco è dal minuto 30).
    Abbiamo parlato dei cattivi usi della memoria e dell’urgenza di un impegno per il cessate il fuoco permanente e una soluzione politica
    https://www.raiplay.it/video/2024/01/Rebus—Puntata-del-21012024-305bac1b-2754-4435-94ae-f9bd4ed4a173.html?fbclid=IwAR0ZjBrCrugPHJxpMSfS6eT5T9q507J_xveSB45FQ6z7CEd7RbNC2KkKPqM

    RebusPuntata del 21/01/2024
    St 2023/2460 min
    Le nazioni, i leader, la demografia, la geografia. Qual è l’artefice della storia e della politica? Giorgio Zanchini insieme allo scrittore Giancarlo De Cataldi discute con l’analista ed esperto di geopolitica Dario Fabbri degli attuali scenari di scontro fra le grandi potenze e in particolare delle origini profonde dei conflitti che infiammano il mondo di oggi, dalla guerra in Ucraina a quella fra Israele e Hamas. Inoltre, in vista del Giorno della Memoria, Giorgio Zanchini incontrerà Noemi Di Segni, attuale presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Con lei si parlerà di educazione all’antisemitismo, di memoria della Shoah, del conflitto Israele – Hamas e delle reazioni nel mondo dopo l’attacco del 7 ottobre scorso.

    1. La Repubblica continua a parlare di conflitto “Israele – Hamas”, penso che ci sia il tentativo di circoscrivere gli accadimenti. Messa così sembra che ci sia una azione di Hamas ed una reazione di Israele contro Hamas. (Nota: le azioni di Hamas sono state tremende. Purtroppo non più tremende di quelle – ad esempio del FDPLP – che abbiamo cinquant’anni fa sostenuto come “eroiche”. I nostri silenzi).

      “Israele – Hamas”: tutto qui? Purtroppo no.

      E’ stato detto qui sopra chiaramente che reazioni possibili erano diverse.
      Quella presa dal Governo Israeliano “sembra” quella di voler infliggere ad Hamas un colpo decisivo. E’ possibile farlo?
      Hamas è strutturalmente intersecata con Gaza. Lo è per appoggio di buona parte della popolazione. Lo è sul piano urbanistico per via delle strutture militari diffuse. Lo è (o era) per il controllo finanziario.

      Faccio una digressione sulla Bosnia. La guerra di Bosnia è stata feroce: in tre anni le vittime militari, civili o miliziane, con ruoli sovrapponibili a volte, sono state uguali o superiori a quelle di chi viveva in Palestina dal 1948 all’anno scorso. La Bosnia ha comportato la fuga di più di due milioni di persone. Questo si sa.

      Fino all’anno scorso: questa è la chiave.

      Contiamo le vittime di tutte le parti, calcoliamo quelle fino all’attacco di Hamas. Contiamo quelle dopo. Quale percentuale otteniamo?
      Anche la morte ha una sua logica, una sua misura. Necrometrics, la misura numerica della morte. Anche se ogni morte è il dolore di qualcuno, i numeri non sono indifferenti. E parlarne non è indifferenza.
      I numeri dicono che siamo a una svolta.

      Ne ricaviamo che decidere di dare un colpo decisivo ad Hamas militarmente significa dare un colpo decisivo a tutti quelli che vivono a Gaza: “Israele – Hamas” non esiste, purtroppo.

      Non a caso ci sono alcuni calcoli – anche senza i progetti – che prevedono lo spostamento di una parte della popolazione, ma mentre chi viveva in Bosnia è stato in buona parte accolto in Albania, chi vive a Gaza dove andrà? E andrà, perché la situazione è insostenibile.

      Nel pessimismo totale dobbiamo cambiare i numeri dei morti.
      Ma non per avere la pace.

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