da Poliscritture su FB
di Ennio Abate
Purtroppo anche la sua, Adriano Sofri, è retorica. Perché copre una contraddizione ormai conclamata. Tra la sua convinzione/speranza che Israele sia ancora “fino a prova contraria, un paese democratico” e, perciò, “interlocutore dei pensieri e dei sentimenti della gente del mondo” e i fatti di queste settimane che dimostrano – lo scrive lei pure – che “Nethanyahu ha fatto e sta facendo di tutto, oltre ogni misura, per mostrare di non essere un interlocutore”.
Commenti (fino alle ore 16.10 del 24 febbraio)
Ezio Partesana Perché Netanyahu non è Israele.
Alberto Rizzi
Ezio Partesana Purtroppo, prima di ragionare sul fatto se Netanyahu sia o non sia Israele (conta poco, ormai se Israele si definisca o meno “democratico”, visto come si comportano ormai gli Stati democratici, per non parlare degli standard di rispetto dei diritti umani, che ci sono in Medio Oriente), occorre far mente locale su quanto quel popolo sia impregnato di Monoteismo, con tutte le conseguenze deteriori del caso. Conseguenze che riguardano pure la controparte islamica, sia chiaro.
Alberto Rizzi
Lorenzo Galbiati Ezio Partesana È un’affermazione che sconfina nelle questioni di lana caprina: potremmo salomonicamente affermare che Netanyahu ha voluto quanto sta accadendo e che il governo è d’accordo; o che il Parlamento ha preso questa decisione e che Netanyahu, nipotino dei fondatori di quell’organizzazione terrorista e filonazista che fu l’Irgun, ne è stato ben lieto. E in fondo il genocidio va avanti in forma “sotterranea” da decenni, adesso hanno intrapreso la strada – da loro ben conosciuta – della “soluzione finale”.
Col che è anche lecito chiedersi se sia corretta la definizione di “società civile”, per un popolo che di fatto sta permettendo questo.
Tale ultimo ragionamento mi permette anche di collegarmi al commento di Ezio, che sostiene come non ci sia nel mondo arabo coinvolto in questa guerra di sterminio una parte “pacifista”. Si sente spesso, in effetti, la domanda: “Ma perché i Palestinesi non insorgono contro Hamas e non se ne liberano?”.
La risposta che do in questi casi è: “Siete in grado di indicarmi una controparte politica in Israele, sufficientemente forte da assicurare un percorso di pace negoziato?”. Ricordo che l’unico politico che tentò una seria apertura con i Palestinesi, fu assassinato proprio da quelle forze politiche che ora appoggiano Netanyahu.
Ma bisogna ammettere che in generale nemmeno il Partito Labourista (che dovrebbe essere l’ala moderata della politica israeliana) ha mai fatto granché, per fermare il lento processo di pulizia etnica portato avanti da decenni: come nel caso della “destra” e della “sinistra” italiane, nel progetto di demolizione della nostra società, si possono trovare differenze nel metodo, non nei fini e nei risultati.
E senza una controparte pacifista credibile, l’unica soluzione rimane purtroppo morire con le armi in pugno, mandandone avanti il più possibile.
dimostrabile. Però non può portare nulla a livello di azioni politiche di Israele a sostegno di questa sua ipotesi. Le ricordo che nel 2004 Israele (Sharon e i suoi collaboratori) hanno deciso di eliminare politicamente Arafat, l’unico leader palestinese di prestigio, discutendo pubblicamente anche sulla possibilità di eliminarlo fisicamente. E sempre nel 2004, mesi prima che Arafat morisse, Sharon e i suoi collaboratori festeggiavano il voto al congresso Usa che congelava ogni richiesta di stato palestinese, dicendo apertamente ai giornali che la questione “stato palestinese” era stata congelata a tempo indefinito, e nel frattempo avevano avuto dagli Usa il via libera alla colonizzazione della West Bank, dopo aver evacuato i 7mila coloni da Gaza. Il consigliere di Sharon dichiarò ai giornali che i coloni non potevano sperare di meglio. Bene, dopo meno di due anni, Hamas vinse le elezioni del 2006, e Israele si rifiutò di riconoscerlo come interlocutore. Con il pacifico Abu Mazen, Israele iniziò a vedersi per il fantomatico processo di pace senza dargli assolutamente nulla, e questo finiì quando Abu Mazen chiese almeno la fine della colonizzazione per andare avanti negli incontri di pace, ricevendo il No di Netanhyahu, che rivendicava di incontrarsi senza precondizioni cioè senza ottemperare alla richiesta di fermare la colonizzazione. E cos’ finirono anche gli insulsi incontri del cosiddetto “processo di pace”. In definitiva, Aarafat eliminato, Hamas manco riconosciuto, con l’effetto di radicalizzarlo, Abu Mazen preso in giro. Ci vuol molto ottimismo e forse anche molta fantasia per pensare che Israele voglia fare una pace giusta ma purtroppo chissà perché i capi palestinesi non vanno mai bene.
Alberto Rizzi quello che ho scritto, cioè il sottolineare che non è solo Netanhyau ma gran parte dei politici e della società civile a voler la carneficina in atto a Gaza è un modo per ribattere a quanti, molti, a sinistra, credono che Israele sia uno stato molto democratico, con tanti giornalisti che fanno pelo e contropelo al governo ecc. Per quel che ci capisco io, balle. Gli israeliani sanno ben poco di quel che succede a Gaza, giornali e tv sono molto schierati con il governo, come succede a tutti i paesi impegnati in una guerra perenne, Haaretz è formato da pochi giornalisti davvero radicali come Gideon Levy, che non a caso è stato minacciato di morte e gira con la scorta, la maggior parte sono dei semplici riformisti, l’opposizione ebraica è praticamente assente sia a livello politico che di società civile, solo gli attivisti pacifisti, che sono meno di una piccola nicchia si oppongono. Come dice da anni uno di loro, quello che conosco meglio, ossia Jeff Halper, per ogni carneficina di Gaza, il 90% degli israeliani è d’accordo, anche perché così come non ha la più pallida idea di come vivono i palestinesi a Gaza in tempo di “pace” (si fa per dire), sono convinti che Israele faccia di tutto per non colpire civili, ma i cattivoni di Hamas, si sa, usandoli come scudi umani e nascondendosi negli ospedali…. Aver creduto in massa alla centrale operativa dei capi di Hamas sotto l’ospedale di Al Shifa è del tutto analogo all’aver creduto alla provetta del generale Colin Powell sventolata all’Onu prima di far la guerra all’Iraq.
Lorenzo Galbiati
La risposta di Gandhi evidenzia alcune questioni: 1) Un popolo colonizzato ha il diritto alla resistenza verso i colonizzatori, diritto che si tende a negare ai palestinesi 2) il sionismo legittimava in qualche modo l’espulsione degli ebrei dalla Germania nazista e dagli stati arabi, e infatti i sionisti tedeschi collaborarono con Eichman per l’emigrazione in Palestina e gli stati arabi espulsero gli ebrei nel 1948, espulsioni gradite a Israele, e a volte fatte con il consenso degli ebrei stessi 3) uno stato ebraico pone il problema della doppia lealtà degli ebrei che vivono in altri stati: basti pensare a Fiamma Nirenestein, entrata in Parlamento italiano per sua ammissione per sostenere la causa israeliana 4) Per vivere in pace, gli ebrei avrebbero dovuto cercare il consenso degli arabi palestinesi a installarsi in quelle terre, invece la storia parla di soprusi e colonizzazione. In altre parole: il sionismo statuale, che riserva ai soli ebrei uno stato, impone giocoforza uno scontro con i palestinesi. Altra cosa sarebbe stato un sionismo che prevedesse l’emigrazione e l’integrazione degli ebrei con gli indigeni, senza pretese di uno stato ebraico, come sostenevano i sionisti alla Martin Buber. 5) Gandhi, forse deviato dalla sua impostazione religiosa, vedeva il sionismo come movimento religioso: all’epoca in apparenza era laico, ,ma Gandhi vide giusto quando scrisse che gli ebrei volevano uno stato secondo i confini della Bibbia: gli stessi ebrei laici hanno favorito le colonie, vedi Sharon, perché quelle terre ora le chiamano Samaria e Giudea, rifacendosi quindi ai confini biblici. Insomma, il sionismo è un movimento religioso, e Israele uno stato confessionale, prima tutto questo era latente, ora è palese.
* La foto di copertina è ripresa da PAGINE ESTERI
Esiste un popolo italiano? Un popolo occidentale? Un popolo cristiano? Sono domande insensate, credo.
Dall’Enciclopedia Treccani: “In generale, il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione, indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate. Nella terminologia giuridica, il complesso degli individui cui sono attribuiti i diritti di cittadinanza nello stato.”
Bene, esisteva un popolo italiano nel sedicesimo secolo? Esiste un popolo occidentale identificabile oggi, che i movimenti fisici e la conoscenza delle lingue e la divisione politica in nazioni diverse rendono indeterminabile? Cioè: se vado a vivere, o viaggio, in Cina, o nella penisola Kamčatka, sarò riconoscibile in quanto membro del popolo occidentale?
Non sembra una questione ridicola?
Proprio oggi, su Avvenire, tre articoli insistono sul popolo ebraico. Per esempio, dall’articolo di Massimo De Angelis: “L’ebraismo è l’esperienza teologica e storica del popolo ebraico. E il sionismo è la tappa più recente di quella storia millenaria. Tale affermazione si regge, come è chiaro, su un presupposto: sul riconoscimento che il popolo sia soggetto di storia. La mia convinzione è che proprio tale presupposto fatichi a essere accettato e compreso in Occidente. Questo è il motivo della incomprensione, freddezza o ostilità verso il popolo ebraico. Quel che fa scandalo è che l’ebraismo si concepisca come popolo con identità, memoria, storia. In Occidente l’insofferenza al passato, alle radici, alla memoria, alla comunità, infine all’identità e alla cultura è quel che impedisce di cogliere l’unicità dell’odio e della aggressione al popolo ebraico, nel Novecento così come oggi da parte dei nazionalismi intolleranti.”
Il popolo come soggetto di storia. L’ebraismo come popolo con identità, memoria, storia.
Sarà vero che in Occidente c’è insofferenza per il passato, le radici, memoria, comunità? O in Occidente si procede per la costruzione continua di una cultura comune nuova?
Se la storia dell’occidente è il formarsi di identità nazionali, con una (?) lingua e tradizioni comuni (?) (in Europa da alcuni secoli, non di più) per gli ebrei questo non vale, essi hanno una identità, religiosa, che li differenzia da sempre, da ogni altro stato o raggruppamento sociale. La separatezza, la differenza, sono gli ebrei che le fanno valere. Io sono italiana, ma se vado a vivere in Germania e dopo un po’ acquisisco la cittadinanza, sarò tedesca… o belga, o americana, o finlandese. Questo succederà anche agli ebrei, ma essi hanno una identità primaria, non personale ma di popolo, che altre identità politiche e sociali non cancellano.