Purtroppo…


da Poliscritture su FB

di Ennio Abate

Purtroppo anche la sua, Adriano Sofri, è retorica. Perché copre una contraddizione ormai conclamata. Tra la sua convinzione/speranza che Israele sia ancora “fino a prova contraria, un paese democratico” e, perciò, “interlocutore dei pensieri e dei sentimenti della gente del mondo” e i fatti di queste settimane che dimostrano – lo scrive lei pure – che “Nethanyahu ha fatto e sta facendo di tutto, oltre ogni misura, per mostrare di non essere un interlocutore”.

Sulla linea del Foglio su Israele e Hamas
Caro direttore, caro fondatore: “stare dalla parte giusta” è un proposito sufficiente a rimuovere la domanda sui mezzi ingiusti? Il dolore e la ribellione alla portata della distruzione di Gaza è il frutto di “uno spirito umanitario lontano da ogni vera umanità”? Rimuovete l’obiezione di coscienza imputandola a un compiaciuto o inconsapevole antisemitismo: “gli unici ebrei buoni sono quelli morti”. Che cosa dite a chi gli ebrei li ami morti e vivi, a chi difenda l’esistenza di Israele, a chi – come tanti israeliani, come tanti ebrei – la senta minacciata irreparabilmente dallo zelo della punizione “senza risparmio”?
A ribadire la vostra posizione, ieri avete citato il rigore del senatore democratico John Fetterman: “Se avete intenzione di protestare chiedendo un cessate il fuoco, perché non chiedete invece che gli ostaggi siano riportati a casa? Perché non chiedete a Hamas di arrendersi?” Io penso che l’inversione della richiesta di interrompere o cessare il fuoco, rivolta al governo israeliano da tanta parte del mondo, per rivolgerla a Hamas: Cessate voi il fuoco, sgherri di Hamas, disarmatevi voi, liberate senza condizioni tutti gli ostaggi! – sia una risorsa retorica. La retorica vuole la sua parte, infatti. Dunque serve a ribadire, per chi l’avesse dimenticato strada facendo, o ad ammonire, chi l’avesse omesso dal vero principio, che all’origine del disastro corrente, del passaggio di qualità del conflitto palestinese-israeliano, c’è l’impresa ripugnante e sadica degli specialisti di Hamas e di loro euforici tifosi. Terrorismo e crimini di pace e di guerra hanno un lungo e fitto catalogo in quel conflitto. Ma il 7 ottobre ha perfezionato i precedenti fino al punto di ostacolare e ritardare il riconoscimento pieno dell’efferatezza da parte delle stesse autorità israeliane, come per il dolorosissimo e rivelatore capitolo delle violenze sessuali. Qualcuno ha ammonito che, per adeguarsi alla portata della razzia del 7 ottobre, occorresse chiamarne gli autori “terroristi”, e chiamare “terrorista” Hamas: ma la qualifica di terrorismo è qui un eufemismo. La brutalità degli incursori del 7 ottobre, la violazione sadica e intima dei giovani del rave e delle famiglie dei kibbutz e dei loro animali domestici, non mirava ad accrescere a dismisura lo spavento e l’intimidazione dei “nemici”, ma realizzava una fame e una sete di sangue e viscere e organi genitali e membra fine a se stessa, paga di se stessa. E’ dura da ammettere, ma si può arrivare a rimpiangere un terrorismo che si accontenti di restare tale. Solo per questo, cruciale, aspetto, è stato appropriato chiamare “pogrom” l’impresa. Nel pogrom (la parola vuol dire una “devastazione”, e si specializza per significare distruzione e saccheggio contro gli ebrei) gli autori, insieme esaltati e istigati, aggrediscono gli ebrei in cui vedono il dominio del denaro e dell’usura, e il retaggio dell’assassinio di Cristo, così da scambiare per una rivolta vendicatrice quella che è in realtà la sopraffazione della maggioranza, armata e assecondata dalla forza pubblica contro una minoranza inerme e discriminata. Guardatele, le immagini dei pogrom, delle donne trascinate. Nel pogrom la componente della violenza sessuale è essenziale, ed è la manifestazione fisicamente esplicita della frustrazione sessuale che sta al cuore dell’antisemitismo, appena mascherata dall’ossessione del denaro. Il 7 ottobre l’ha orribilmente confermato.
Ma proprio per questo, l’inversione – cessate il fuoco voi, Hamas, disarmate, restituite gli ostaggi senza condizioni! – è solo un ricorso retorico. Mi perdoni Paola Caridi, ma Hamas ora non è un interlocutore, se non per l’eccezione dello stato di necessità. E’ un interlocutore solo come lo è il sequestratore di persona che ti è entrato in casa e tiene sotto tiro i bambini: si può concedergli tutto, cedere su tutto, umiliarsi e mortificarsi fino all’abiezione – digrignando i denti. Solo per salvare, e la punizione verrà poi, se, com’è giusto, verrà. Hamas è per definizione tetragono alla pressione del sentimento umano. Può cedere solo alla pressione eventuale del suo pagatore. Israele invece è, fino a prova contraria, un paese democratico. (La prova contraria è già venuta?) E’ comunque uno Stato che si pretende democratico. E’ dunque un interlocutore dei pensieri e dei sentimenti della gente del mondo. A Israele, e al suo malandato governo, si chiede di interrompere o cessare il fuoco, perché una democrazia rispetta sentimenti e convinzioni delle persone. Persone e governi di tutto il mondo hanno avanzato questa richiesta concreta, non retorica. Nethanyahu ha fatto e sta facendo di tutto, oltre ogni misura, per mostrare di non essere un interlocutore. Di fare dell’invocazione di tanta parte del mondo un appello retorico e frustrato.
Per la stessa ragione, argomentata fin dai primi giorni dell’offensiva su Gaza, è inutile dire e ripetere che di ogni morte, ogni ferita, ogni demolizione di Gaza è responsabile Hamas. (Hamas, oltretutto, ci banchetta sopra). Hamas non ha una personalità giuridica né umana né morale che ci permetta di richiamarla a un qualche dovere. E’ fuori legge. Noi no. Noi, come dice la vera umanità, e poi il diritto internazionale, siamo i responsabili di vita e dignità della gente del nostro nemico.

Commenti (fino alle ore 16.10 del 24 febbraio)

 

Ezio Partesana

È la tua sineddoche, caro Ennio, che non regge.

Ezio Partesana Perché Netanyahu non è Israele.

Alberto Rizzi
Ezio Partesana Purtroppo, prima di ragionare sul fatto se Netanyahu sia o non sia Israele (conta poco, ormai se Israele si definisca o meno “democratico”, visto come si comportano ormai gli Stati democratici, per non parlare degli standard di rispetto dei diritti umani, che ci sono in Medio Oriente), occorre far mente locale su quanto quel popolo sia impregnato di Monoteismo, con tutte le conseguenze deteriori del caso. Conseguenze che riguardano pure la controparte islamica, sia chiaro.

Di fronte al sempre più concreto rischio di processo, Netanyahu ha giocato la carta del fanatismo religioso, così che il sospetto che l’aggressione del 7 Ottobre sia stata lasciata avvenire, è ragionevole; anche se sono convinto che i Servizi israeliani abbiano sottostimato il problema, un po’ come accadde all’epoca della Guerra dello Yom Kippur.
Per questo, oltre a sdoganare gli integralisti locali e a tentare una sorta di colpo di Stato, con le note misure sulla Giustizia, ha colto la palla al balzo e gli israeliani hanno subito abboccato: anche perché la reazione a centinaia di assassinii e di rapimenti non poteva che essere istintiva.
Quindi, anche se quasi tutte le forze politiche locali giurano che, dopo la guerra, vogliono sbarazzarsi di lui, è chiaro che proprio per questo Netanyahu non ha alcun interesse a trattare, né a fermare il massacro; e ciò anche al netto delle speculazioni non solo immobiliari, che si annunciano dopo aver ripulito l’area da quei fastidiosi, inutili Palestinesi.
Ci troviamo quindi di fronte all’ennesimo danno da quello che chiamo “pensiero bipolare”: una delle parti in causa dev’essere “buona” (o prevalentemente tale), l’altra “cattiva”; tertium non datur.
Abbiamo invece due gruppi criminali (Hamas da una parte, il Governo israeliano dall’altra), che si scontrano come sempre sulla pelle degli altri. Ma vallo a far capire…

 

 

Ennio Abate

Non è tutta Israele, ma parla, decide e fa a nome di tutta Israele. (Come da noi Meloni).

Lorenzo Galbiati

Ezio Partesana non è Netanhyau ad aver indetto il bombardamento e l’invasione di Gaza (che sta portando a un “plausibile genocidio” secondo la CPI) in un contesto di opposizione generale del resto della Knesset e della popolazione. C’è anzi un governo di unità nazionale in Israele, governo che sostiene quel che sta facendo l’esercito israeliano a Gaza – e la società civile è in larghissima parte d’accordo.

Ezio Partesana

Alberto Rizzi Temo che chi scrive che il popolo di Israele sia “impregnato di monoteismo” non abbia mai avuto a che fare con gli israeliani.

Ezio Partesana

Lorenzo Galbiati Se in Giordania o nei Territori palestinesi ci fosse anche solo una frazione dell’opposizione interna all’attuale governo israeliano, una pace giusta sarebbe molto meno lontana.

Alberto Rizzi

Ezio Partesana Difficile da sostenere, visto che il Monoteismo lo inventarono loro; ad ogni modo la fetta di integralisti ebraici non è meno pericolosa di quella di matrice cristiana, o islamica. E con lo sdoganamento da parte di Netanyahu, non meno pericolosa.

Alberto Rizzi
Lorenzo Galbiati Ezio Partesana È un’affermazione che sconfina nelle questioni di lana caprina: potremmo salomonicamente affermare che Netanyahu ha voluto quanto sta accadendo e che il governo è d’accordo; o che il Parlamento ha preso questa decisione e che Netanyahu, nipotino dei fondatori di quell’organizzazione terrorista e filonazista che fu l’Irgun, ne è stato ben lieto. E in fondo il genocidio va avanti in forma “sotterranea” da decenni, adesso hanno intrapreso la strada – da loro ben conosciuta – della “soluzione finale”.
Col che è anche lecito chiedersi se sia corretta la definizione di “società civile”, per un popolo che di fatto sta permettendo questo.
Tale ultimo ragionamento mi permette anche di collegarmi al commento di Ezio, che sostiene come non ci sia nel mondo arabo coinvolto in questa guerra di sterminio una parte “pacifista”. Si sente spesso, in effetti, la domanda: “Ma perché i Palestinesi non insorgono contro Hamas e non se ne liberano?”.
La risposta che do in questi casi è: “Siete in grado di indicarmi una controparte politica in Israele, sufficientemente forte da assicurare un percorso di pace negoziato?”. Ricordo che l’unico politico che tentò una seria apertura con i Palestinesi, fu assassinato proprio da quelle forze politiche che ora appoggiano Netanyahu.
Ma bisogna ammettere che in generale nemmeno il Partito Labourista (che dovrebbe essere l’ala moderata della politica israeliana) ha mai fatto granché, per fermare il lento processo di pulizia etnica portato avanti da decenni: come nel caso della “destra” e della “sinistra” italiane, nel progetto di demolizione della nostra società, si possono trovare differenze nel metodo, non nei fini e nei risultati.
E senza una controparte pacifista credibile, l’unica soluzione rimane purtroppo morire con le armi in pugno, mandandone avanti il più possibile.

Lorenzo Galbiati

Ezio Partesana beh, questa è una sua opinione. Come ogni opinione non è falsificabile né

dimostrabile. Però non può portare nulla a livello di azioni politiche di Israele a sostegno di questa sua ipotesi. Le ricordo che nel 2004 Israele (Sharon e i suoi collaboratori) hanno deciso di eliminare politicamente Arafat, l’unico leader palestinese di prestigio, discutendo pubblicamente anche sulla possibilità di eliminarlo fisicamente. E sempre nel 2004, mesi prima che Arafat morisse, Sharon e i suoi collaboratori festeggiavano il voto al congresso Usa che congelava ogni richiesta di stato palestinese, dicendo apertamente ai giornali che la questione “stato palestinese” era stata congelata a tempo indefinito, e nel frattempo avevano avuto dagli Usa il via libera alla colonizzazione della West Bank, dopo aver evacuato i 7mila coloni da Gaza. Il consigliere di Sharon dichiarò ai giornali che i coloni non potevano sperare di meglio. Bene, dopo meno di due anni, Hamas vinse le elezioni del 2006, e Israele si rifiutò di riconoscerlo come interlocutore. Con il pacifico Abu Mazen, Israele iniziò a vedersi per il fantomatico processo di pace senza dargli assolutamente nulla, e questo finiì quando Abu Mazen chiese almeno la fine della colonizzazione per andare avanti negli incontri di pace, ricevendo il No di Netanhyahu, che rivendicava di incontrarsi senza precondizioni cioè senza ottemperare alla richiesta di fermare la colonizzazione. E cos’ finirono anche gli insulsi incontri del cosiddetto “processo di pace”. In definitiva, Aarafat eliminato, Hamas manco riconosciuto, con l’effetto di radicalizzarlo, Abu Mazen preso in giro. Ci vuol molto ottimismo e forse anche molta fantasia per pensare che Israele voglia fare una pace giusta ma purtroppo chissà perché i capi palestinesi non vanno mai bene.

Lorenzo Galbiati

Alberto Rizzi quello che ho scritto, cioè il sottolineare che non è solo Netanhyau ma gran parte dei politici e della società civile a voler la carneficina in atto a Gaza è un modo per ribattere a quanti, molti, a sinistra, credono che Israele sia uno stato molto democratico, con tanti giornalisti che fanno pelo e contropelo al governo ecc. Per quel che ci capisco io, balle. Gli israeliani sanno ben poco di quel che succede a Gaza, giornali e tv sono molto schierati con il governo, come succede a tutti i paesi impegnati in una guerra perenne, Haaretz è formato da pochi giornalisti davvero radicali come Gideon Levy, che non a caso è stato minacciato di morte e gira con la scorta, la maggior parte sono dei semplici riformisti, l’opposizione ebraica è praticamente assente sia a livello politico che di società civile, solo gli attivisti pacifisti, che sono meno di una piccola nicchia si oppongono. Come dice da anni uno di loro, quello che conosco meglio, ossia Jeff Halper, per ogni carneficina di Gaza, il 90% degli israeliani è d’accordo, anche perché così come non ha la più pallida idea di come vivono i palestinesi a Gaza in tempo di “pace” (si fa per dire), sono convinti che Israele faccia di tutto per non colpire civili, ma i cattivoni di Hamas, si sa, usandoli come scudi umani e nascondendosi negli ospedali…. Aver creduto in massa alla centrale operativa dei capi di Hamas sotto l’ospedale di Al Shifa è del tutto analogo all’aver creduto alla provetta del generale Colin Powell sventolata all’Onu prima di far la guerra all’Iraq.

Ezio Partesana

Commissione Peel, 1937. Perché i paesi arabi rifiutarono questo piano di spartizione?
Potrebbe essere un contenuto grafico raffigurante mappa e il seguente testo "PALESTINE Partition Proposal 1937 French Mandate Syria Acre Sea Haifa Nazareth Pl Tel TelAviv State Jenin Jewish Ramla Mandated Gaza Khan Yunis Hebron Beersheba Nablus Jerusalem Bethlehem Dead fTrans-Jordan of Mandate British Arab State Egypt"
Ezio Partesana Per come vedo le cose io, il motivo è il fondamentalismo religioso, che viene prima di ogni altra ragione in controversie come questa. Dando per scontato che la parte di arabi (e di ebrei) convinti che fosse possibile una convivenza pacifica fosse anche allora minoritaria, la logica vincente era sempre quella che chi non accetta la mia Fede è “il Nemico” e può essere solo eliminato. E ribadisco che questo modo di pensare era – ed è – speculare.
C’è poi la questione di Gerusalemme, che per lo stesso motivo doveva essere loro, o di nessun altro.

Lorenzo Galbiati

Ezio Partesana Giusto per guardare in faccia la realtà:
Potrebbe essere un'immagine raffigurante mappa e testo

Ezio Partesana

Lorenzo Galbiati What does this have to do with my question?

Lorenzo Galbiati

Ezio Partesana per farti vedere, stando a quel sondaggio israeliano, come Israele non voglia uno stato palestinese, né a livello di classe dirigente né a livello di società civile (poi c’è anche un dato sui palestinesi che però non corrisponde a quanto so io, ma non trovo il link per capire da dove venga). Se invece ti aspettavi una risposta sulla commissione Peel, bisognerebbe vedere cosa dicono gli storici, ricreare il contesto. Ora, io ti ribalto la domanda: mi chiedo semmai perché gli stati arabi nel 1937 avrebbero dovuto accettare l’idea di uno stato di coloni ebrei appena arrivati, netta minoranza, che di certo non si integravano con gli indigeni (palestinesi) e anzi sottraevano loro la terra. Pochi anni prima c’erano stati scontri anche armati tra palestinesi e coloni sionisti. Uno stato ebreo per di più che si sarebbe preso tutti i porti principali e città a stragrande maggioranza palestinese come Giaffa. Da quando i popoli colonizzati sono disposti a regalare la terra ai colonizzatori appena arrivati?

Ezio Partesana

Lorenzo Galbiati Ne deduco che secondo lei Israele non sarebbe mai dovuta sorgere. Mi sbaglio?

Lorenzo Galbiati

Ezio Partesana questa domanda di solito la fanno i filosionisti per poi accusare chi risponde che la fondazione di Israele è stata una grande ingiustizia storica per i palestinesi, di non ammettere il diritto all’esistenza di Israele e poi di essere antisemita ecc. Ne ho esperienza ventennale. Però, supponendo che qui invece si voglia ragionare, io rispondo che la penso esattamente come Gandhi, per citare una risposta d’epoca, o, al presente, come i vari Ilan Pappé o Jeff Halper. Vediamo il contesto storico: riassumo quel che scrive Ilan Pappè nel suo La pulizia etnica della Palestina: Nel 1917 Balfour promette un focolare ebraico in Palestina, “aprendo la porta all’interminabile conflitto che avrebbe presto divorato il paese”. Balfour, fa notare Pappé, parlava dei Palestinesi, che all’epoca erano circa l’80% della popolazione, come di “popolazione non ebraica”: strano modo, dice Pappé di chiamare la popolazione indigena. La dichiarazione di Balfour scatena il conflitto tra palestinesi e coloni ebrei, nel quale l’Inghilterra agisce difendendo gli ebrei, e così si ha una prima insurrezione nel 1929, e poi la grande insurrezione palestinese del 1936, poco prima della commissione Peel, insurrezione che costrinse il governo britannico a spedire truppe e a reprimere la rivolta con la forza, espellendo gran parte della leadership palestinese. Scrive Pappé che questa repressione favorirà nel 1947 la pulizia etnica dei palestinesi, rimasti senza leaders e senza valide unità di combattimento. Si assiste insomma fin da subito alla contraddizione del movimento sionista, che vorrebbe cercare una patria sicura agli ebrei dopo la Shoah salvo poi cercare di imporre colonie ebraiche in Palestina con la forza (e usando anche gli agganci diplomatici), con l’effetto di scatenare rivolte violente. Il conflitto israelo palestinese, insomma, ha inizio nel 1917, e trova negli anni Trenta una prima deflagrazione e sconfitta dei palestinesi da parte del governo britannico. “Il movimento sionista elabora intanto i suoi piani per una presenza esclusivamente ebraica nella Palestina” e qui si inserisce la commissione Peel. Questo per dire del contesto storico, senza il quale non ha senso a mio parere la domanda Perché gli stati arabi non accettarono la commissione Peel. Venendo a Gandhi, credo che nel 1938 scrivesse cose di tale acutezza da intravedere tutti i problemi che sarebbero nati dal sionismo. Lo scrivo tra poco.

Lorenzo Galbiati

Gandhi, 1938: Ho ricevuto numerose lettere in cui mi si chiede di esprimere il
mio parere sulla controversia tra arabi ed ebrei in Palestina e
sulla persecuzione degli ebrei in Germania. Non e’ senza
esitazione che mi arrischio a dare un giudizio su problemi tanto
spinosi.
Tutte le mie simpatie sono per gli ebrei. Li ho conosciuti intimamente in Sud Africa. Alcuni di loro sono stati compagni per tutta la vita. Attraverso questi amici sono venuto a imparare molto circa le loro persecuzioni nel corso della storia. Sono stati i paria del cristianesimo. C’è uno stretto parallelismo tra il modo in cui essi sono stati trattati dai cristiani e il trattamento dei paria da parte degli indù. In entrambi i casi, la sanzione religiosa è stata invocata per giustificare il trattamento disumano a cui sono stati sottoposti. Quindi, a parte gli amici, la mia simpatia per gli ebrei è basata sulla ragione universale più comune —- Ma la simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi
alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Perche’, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?
La Palestina appartiene agli arabi come l’Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Cio’ che sta avvenendo oggi in Palestina non puo’ esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall’ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l’umanita’ costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta e’ di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?
[…]
Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente. La Palestina biblica non e’ un’entita’ geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma messo anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, e’ ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili . Un’azione religiosa non puo’ essere compiuta con l’aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.
[…] Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un’aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell’ingiusto, non puo’ essere detto niente contro la resistenza degli arabi di
fronte alle preponderanti forze avversarie.”
(Gandhi, 26 gennaio 1938)

Lorenzo Galbiati
La risposta di Gandhi evidenzia alcune questioni: 1) Un popolo colonizzato ha il diritto alla resistenza verso i colonizzatori, diritto che si tende a negare ai palestinesi 2) il sionismo legittimava in qualche modo l’espulsione degli ebrei dalla Germania nazista e dagli stati arabi, e infatti i sionisti tedeschi collaborarono con Eichman per l’emigrazione in Palestina e gli stati arabi espulsero gli ebrei nel 1948, espulsioni gradite a Israele, e a volte fatte con il consenso degli ebrei stessi 3) uno stato ebraico pone il problema della doppia lealtà degli ebrei che vivono in altri stati: basti pensare a Fiamma Nirenestein, entrata in Parlamento italiano per sua ammissione per sostenere la causa israeliana 4) Per vivere in pace, gli ebrei avrebbero dovuto cercare il consenso degli arabi palestinesi a installarsi in quelle terre, invece la storia parla di soprusi e colonizzazione. In altre parole: il sionismo statuale, che riserva ai soli ebrei uno stato, impone giocoforza uno scontro con i palestinesi. Altra cosa sarebbe stato un sionismo che prevedesse l’emigrazione e l’integrazione degli ebrei con gli indigeni, senza pretese di uno stato ebraico, come sostenevano i sionisti alla Martin Buber. 5) Gandhi, forse deviato dalla sua impostazione religiosa, vedeva il sionismo come movimento religioso: all’epoca in apparenza era laico, ,ma Gandhi vide giusto quando scrisse che gli ebrei volevano uno stato secondo i confini della Bibbia: gli stessi ebrei laici hanno favorito le colonie, vedi Sharon, perché quelle terre ora le chiamano Samaria e Giudea, rifacendosi quindi ai confini biblici. Insomma, il sionismo è un movimento religioso, e Israele uno stato confessionale, prima tutto questo era latente, ora è palese.

Ezio Partesana si potrebbe poi andare avanti a ragionare su come il sionismo (prima minoranza nelle comunità della diaspora, ora maggioranza) e la nascita di Israele abbia modificato l’ebraismo inteso non solo come religione ma come valori culturali ed etici, basti pensare a come l’ebraismo inteso come religione oggi sia diventato strumento di propaganda israeliana, ossia l’asservimento della religione agli interessi di Israele (da leggere le dichiarazioni del capo rabbino Di Segni contro Papa Francesco per il mancato sostegno al “plausibile genocidio” di Gaza”.

 

 

1 pensiero su “Purtroppo…

  1. Esiste un popolo italiano? Un popolo occidentale? Un popolo cristiano? Sono domande insensate, credo.
    Dall’Enciclopedia Treccani: “In generale, il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione, indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate. Nella terminologia giuridica, il complesso degli individui cui sono attribuiti i diritti di cittadinanza nello stato.”
    Bene, esisteva un popolo italiano nel sedicesimo secolo? Esiste un popolo occidentale identificabile oggi, che i movimenti fisici e la conoscenza delle lingue e la divisione politica in nazioni diverse rendono indeterminabile? Cioè: se vado a vivere, o viaggio, in Cina, o nella penisola Kamčatka, sarò riconoscibile in quanto membro del popolo occidentale?
    Non sembra una questione ridicola?
    Proprio oggi, su Avvenire, tre articoli insistono sul popolo ebraico. Per esempio, dall’articolo di Massimo De Angelis: “L’ebraismo è l’esperienza teologica e storica del popolo ebraico. E il sionismo è la tappa più recente di quella storia millenaria. Tale affermazione si regge, come è chiaro, su un presupposto: sul riconoscimento che il popolo sia soggetto di storia. La mia convinzione è che proprio tale presupposto fatichi a essere accettato e compreso in Occidente. Questo è il motivo della incomprensione, freddezza o ostilità verso il popolo ebraico. Quel che fa scandalo è che l’ebraismo si concepisca come popolo con identità, memoria, storia. In Occidente l’insofferenza al passato, alle radici, alla memoria, alla comunità, infine all’identità e alla cultura è quel che impedisce di cogliere l’unicità dell’odio e della aggressione al popolo ebraico, nel Novecento così come oggi da parte dei nazionalismi intolleranti.”
    Il popolo come soggetto di storia. L’ebraismo come popolo con identità, memoria, storia.
    Sarà vero che in Occidente c’è insofferenza per il passato, le radici, memoria, comunità? O in Occidente si procede per la costruzione continua di una cultura comune nuova?
    Se la storia dell’occidente è il formarsi di identità nazionali, con una (?) lingua e tradizioni comuni (?) (in Europa da alcuni secoli, non di più) per gli ebrei questo non vale, essi hanno una identità, religiosa, che li differenzia da sempre, da ogni altro stato o raggruppamento sociale. La separatezza, la differenza, sono gli ebrei che le fanno valere. Io sono italiana, ma se vado a vivere in Germania e dopo un po’ acquisisco la cittadinanza, sarò tedesca… o belga, o americana, o finlandese. Questo succederà anche agli ebrei, ma essi hanno una identità primaria, non personale ma di popolo, che altre identità politiche e sociali non cancellano.

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