di Ennio Abate
Un problema rimane: quale è stata l'influenza di Gemma su Dante, di Helena su Cartesio, per non dire delle tantissime altre mogli di cui la storia tace? E se tutte le opere di Aristotele le avesse scritte in realtà Erpillide? Non lo sapremo mai. La Storia, scritta dai mariti, ha condannato le mogli all'anonimato.” (MARITI DI MOGLI IGNOTE “Bustina di minerva” pubblicata su l’ Espresso il 20 agosto 2010 di Umberto Eco)
Chi era Ruth Leiser? Per chi non ne avesse mai sentito parlare è facile recuperare alcune notizie elementari per cominciare ad inquadrarne la figura. E’ nata a Bienne (Svizzera) nel 1923. E’ vissuta in Italia dal secondo dopoguerra. E’ stata la moglie dello scrittore, poeta e marxista critico Franco Fortini. In più di cinquant’anni di matrimonio con lui ha collaborato al suo lavoro letterario e soprattutto alle sue traduzioni dal tedesco, lingua madre per lei. Dopo la morte del marito (1994), ha curato che il suo lascito – libri (circa seimila), lettere, inediti, disegni, pitture, foto, ritagli, registrazioni – fosse conservato presso il Centro Studi Fortini di Siena, evitandone la dispersione. E’ morta a Milano nel 2003.
Io non posso dire di averla veramente conosciuta. L’ho vista una prima volta, intorno al 1988, mentre ero in visita a Fortini nella loro casa di Via Legnano 28 a Milano. E ho scambiato qualche parola con lei a Fiesole, dove arrivò con dei quadri del marito (era in preparazione la mostra dei suoi disegni e dipinti che si tenne poi a Siena nel novembre 2001). Nel 2003, subito dopo la sua morte, cercai di capire qualcosa in più di lei e della sua vita, delle sue competenze, del suo lavoro, del suo carattere e delle qualità che la distinguevano dal marito in un lungo colloquio con Franca Gianoli Grandinetti, un’amica sia di Ruth Leiser che di Franco Fortini (qui).
Altri, commentando più o meno gli stessi episodi toccati nel colloquio tra me e Franca Gianoli, l’hanno poi ricordata in un primo libretto di testimonianze, “Per Ruth” (Quodilibet, 2005). E, di recente, a 20 anni dalla sua scomparsa, hanno preparato – sempre in edizione fuori commercio – un altro libretto, “Ruth” (AWAK Studio di Arianna Del Ministro, 2023). Le 170 pagine di questo secondo rispetto alle 93 del primo, contengono molte belle foto, una più ampia antologia delle poesie dedicate da Fortini alla moglie. i disegni di Ruth fatti da Fortini e nuove testimonianze, arrivate a 48 dalle 32 presenti nell’edizione 2005.
Il nuovo omaggio alla sua memoria dà l’occasione per riflettere ancora su di lei, su Fortini e su un’epoca ormai conclusa.
I tratti principali che hanno in comune le testimonianze – brevi o lunghe, emotivamente partecipi e argomentate ma qualche volta anche distratte e sbrigative – sono l’eterogeneità aneddotica e il ripiegamento mesto verso un culto affettuoso, amicale e ormai quasi impolitico delle figure di Ruth Leiser e di Franco Fortini.
Vi ho scorto, perciò, soprattutto i segni della sconfitta politica e culturale del “mondo della sinistra”, a cui Ruth Leiser e Franco Fortini parteciparono intensamente e criticamente. E ho notato anche, qua e là, qualche consolatorio cedimento a una sorta di retorica mitizzante della fase “eroica” della coppia Leiser-Fortini nell’Italia povera e dura del dopoguerra. Non ho trovato, insomma, una sintesi critica delle loro figure, un discorso nuovo, capace di ricomporre questi frammenti delle loro vite, anche preziosi, sottraendoli alla cornice oggi egemone dell’individualismo e del narcisismo postmoderno.
Spero, tuttavia, che queste testimonianze torneranno utili in futuro, se si scriverà quella storia-biografia di Ruth Leiser e Franco Fortini, che ora manca ma che nella Lettera del 24 marzo 1992, riportata in entrambi i libretti, Fortini stesso auspicava.i O che, perché no, qualcuna – una sorta di “ragazza del secolo futuro”? – scriverà la storia di Ruth Leiser – “la moglie di Fortini”, un’altra “ragazza del secolo scorso, come Rossana Rossanda – adoperando “i libri di Ruth (in più lingue: russo, francese, tedesco)”, e “il suo archivio privato, con le lettere da lei ricevute da Franco quando era in viaggio da solo (una cinquantina), ma anche di numerosi suoi corrispondenti, come Elio Vittorini, Rossana Rossanda, Andrea Zanzotto, Cesare Cases o Paul Lawton; e insieme i diari di viaggio (in Turchia, in Thailandia, Cina, Russia…), i ritagli delle traduzioni per “l’Avanti!” (da Roland Barthes tra queste), le testimonianze raccolte in Germania nel 1949 dai rifugiati dell’Est, il dossiere sulla Palestina” (dalla testimonianza di Luca Lenzini, pag.115 del secondo libretto).
A me piacerebbe che eventuali e possibili ricerche su Ruth Leiser o sulla coppia Leiser-Fortini fossero il più complete e problematiche possibili e che affrontassero almeno tre temi che considero essenziali ma che affiorano in modi incerti o vengono solo accennati nei ricordi e nelle testimonianze:
1. Il tema dello scarto tra due epoche o – meglio – tra la giovinezza e l’età adulta di Ruth Leiser e Franco Fortini, per entrambi così carica di speranze e impegnata a favore di un marxismo militante o comunismo critico e le loro vecchiaie segnate dall’isolamento e dalla sconfitta. Basti pensare a quel finale, allarmato e quasi disperato ”proteggete le nostre verità” di Composita solvantur del 1994, venuto dopo le Insistenze del 1985, la voce Comunismo del 1989 (qui) , le Note per un buon uso delle rovine di Extrema ratio del 1990. E alle dichiarazioni cupe e nichiliste degli ultimi anni di lei, Ruth Leiser, registrate da alcuni di questi testimoni; e non certo dovute soltanto alla caduta nel “buco” dopo la morte del marito, ma ribadite nel giudizio drastico che diede sul Novecento, riportato da Edoarda Masi: “un’epoca orribile, di sangue e di massacri insensati.” (Che, tra l’altro, tuttora proseguono e si moltiplicano).
2. La questione del “riserbo” sulla vita privata di entrambi. Ne aveva parlato Michele Ranchetti nel 2008 (Sul riserbo di Fortini) con nettezza quasi spietata ma non denigratoria, toccando esplicitamente un argomento controverso e delicato,ii che, per convenzione o pigrizia o ipocrisia, non viene di solito indagato nelle trattazioni accademiche e, in queste testimonianze, è aggirato in modi reticenti ed elusivi. (Mi viene in mente, invece, come possibile modello d’indagine, La Famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg, 1983).
3. La questione dell’autonomia di Ruth rispetto al marito. Da interrogare, secondo me, anche attraverso il filtro in apparenza scandaloso del femminismo, forse una sorta di temuto convitato di pietra in queste testimonianze e che fa appena capolino, ad esempio, nell’ intervento del giovane Luca Mozzachiodi.iii
Ruth Leiser è per molti aspetti l’antitesi dei modelli canonici (e a volte stereotipati) di donna femminista o parafemminista, quella di successo, indipendente, che sta in carriera senza marito o con il marito al seguito o come appendice. E fece bene Edoarda Masi a ricordare “la sua formazione di donna libera e spregiudicata: lontanissima dal provincialismo di tante donne italiane di sfera colta e magari femminista, vera cittadina del mondo, capace di parlare e scrivere cinque lingue, ha saputo coltivare pura una propria sfera indipendente di rapporti e di conoscenze e ha inventato un proprio lavoro di terapeuta, oltre quello di traduttrice in collaborazione col marito” (il manifesto, 15 marzo 2003).
Né, peraltro, potrebbe essere incasellata nel cliché della figura “accessoria” all’ingombrante marito, della segretaria o “aiutante” nei lavori di traduzione dal tedesco”.iv Semmai la sua autonomia rientra nello schema di parità comunista col compagno. (Si vedano, in proposito, anche i miei Appunti politici (12):Kraus, Fortini, il dibattito sulle “molestie sessuali”, qui).
Anche se oggi ad interrogarsi e a confrontarsi con Ruth Leiser e Franco Fortini fossero gli appartenenti alle generazioni successive, che hanno con tutta probabilità fatto esperienza della crisi o della “morte della famiglia” (David Cooper, 1971), uno scavo più a fondo sulla realtà di questa coppia “all’antica” permetterebbe loro non solo di riconoscere in che misura la parità sia stata veramente praticata in questa coppia e di intendere più a fondo quella loro sintonia profonda (ricordava Franca Gianoli Grandinetti: “Una volta mi disse: «Mi sarei fatta ammazzare per lui…»”) e la qualità dell’autonomia di lei, sottolineata da quasi tutti i testimoni, ma anche di confrontare i mutamenti e le nuove crepe nella vita amorosa d’oggi.
Note
i
” è proprio dei biografi che ci sarebbe bisogno; di gente che ricostruisse quel che siamo stati, con una voce diversa dalla nostra. Di storici insomma, La nostra spiegazione è nella storia del mondo” (Ruth, pag. 35).
ii
“ Delle sue sofferenze sappiamo da altri, dei suoi mesi di ospedale vissuti da povero per non voler accedere a un trattamento più umano grazie alla corruzione di qualche mancia. Così della sua vita difficile per l’apparente disastro della sua pedagogia familiare. Dei suoi affetti, in generale, nel senso delle sue affezioni, degli affectus; che pure lo avranno colpito, come si percepisce da qualche ragazza di troppo nelle sue prose narrative della giovinezza: che appare, fra le righe della riflessione, quasi a distrarre chi scrive e chi legge con una apparizione non prevista di brevissima durata. Un riserbo, dunque, quasi assoluto” (Michele Ranchetti, Sul riserbo di Fortini).
iii
Luca Mozzachiodi si chiede: “Chissà se piacerebbe al femminismo di oggi Ruth Leiser?” (Ruth, pag. 129). Sarebbe da chiedersi, piuttosto, perché una coppia come questa ha potuto durare, anche con le sue contraddizioni. O se, sotto il manto del “riserbo” (Ranchetti) o persino grazie ad esso, il loro rapporto di coppia sia stato davvero positivo e nente affatto sacrificato ad una morale ipocrita.
iv
Fortini stesso nella Lettera del 24 marzo1992 ironizzava e respingeva “la figurina della donna devota e in penombra, che copia i manoscritti del coniuge barbuto e geniale” e parlava di condivisione piena con lei: “Non c’è stato passaggio dell’accordo o disaccordo col mondo che non sia stato vissuto da tutti e due…tutto è stato condiviso” (Ruth, pag. 35).
Condivido i tuoi interrogativi. Mi piacerebbe che fossero approfonditi.
“sintonia profonda” e “autonomia di lei” (e di lui!): un segreto che, ieri come oggi, è al fondo del riserbo di ogni rapporto di coppia, nei momenti alti e nel buco della mancanza. E’ un fatto banale, la coppia permane nel tempo e nello spazio, se ne accetta la realtà e la diffusione ( e l’aspirazione…) ma non si sa in che cosa consiste. Anche perché probabilmente ogni rapporto di coppia è diverso da qualunque altro.
Le mie scarse conoscenze letterarie non mi permettono di sapere se esistono narrazioni “interne” di rapporti di coppia, dove parlano i protagonisti, o uno dei due. Si vive in coppia (molti lo fanno), sanno che va bene così, temono la morte del partner, ma non c’è un manuale della coppia, non ci sono regole, non c’è un modello. E’ solo un fatto diffuso, non suscita problemi, è naturale, come crescere, fare figli, invecchiare, ammalarsi… vivere insomma.
Concidenze. Letto adesso sulla pagina FB di Lea Melandri.
Un tocco di “concretezza” non guasta…
SEGNALAZIONE
Lea Melandri
·
“E vissero felici e contenti”
Uno scritto di Laura Kreyder: “La coppia perfetta”
(da “Lapis. Sezione aurea di una rivista”, Manifestolibri 1998)
“Ancora è stato detto molto poco di questo legame in cui sentimenti all’altezza dell’eden e del lager si vivono tra il geranio sul davanzale e l’igiene del cesso.”
(…)
“Nella coppia c’è posto per una sola persona. Si annette l’altro, ci si annienta nell’altro, non c’è pace nella ricerca, anzi nella pretesa dell’unità, mentre c’è posto per molte recriminazioni, rancori, torti subiti e abissi d’indifferenza. Tutte le posture del due in uno sono buone per l’amore occidentale: creatore-creatura, carnefice-vittima, servo-padrone, forte-debole, maschio-femmina, madre-figlio, gemelli, finché la coppia perfetta non si disfa nel fallimento, l’ultimo, quello scongiurato dai soli Filemone e Bauci, la morte di uno dei due.
Infatti le fantasie necrofile vertebrano la coppia. “Finché morte non ci separi” è la frase che suggella, dal suo inizio, l’unione nel sacramento. Siccome bisogna dimenticare per vivere, dell’amore duraturo non si parla. Forse perché, contro ogni apparenza, è più disperante dell’amore effimero. Innamorarsi periodicamente, di frequente, ricominciando da capo, costa meno di quanto non costi rinunciare al sogno e continuare. Anche se, “ti amo per sempre”, o “ti amerò tutta la vita”, sono frasi stradette e sussurrate, alla resa dei conti, l’avverarsi di questo augurio sembra noioso e patetico. Sembra un lavoro, uno sforzo, un logorarsi nei dettagli, laddove, in arte come in amore, illusione esige entusiasmo e spontaneità.
(..)
Dopo la morte dell’amica, che Marguerite Yourcenar ha assistito e accompagnato fino alla fine, a qualcuno che le chiedeva cosa era stato il loro rapporto, lei rispose: “All’inizio è stata una passione, poi un’abitudine, infine una donna che cura un’altra donna”
(…)
La realtà della nostra condizione sembra indicare che non ne esiste un altro: prima la passione, e poi la malattia; prima l’amore e poi la cura; prima la noia e poi la morte.
Meglio quindi non esaminare quel che, nel migliore dei casi, viene dopo la fine delle favole, la realizzazione del sogno, l’incontro con la persona amata. Eppure (…) non c’è avventura più varia e profonda di quella di conoscere un altro in tutte le sue età, le sue ore, i suoi errori, i suoi orrori, con tutta la sua libertà, la sua dipendenza, la sua nullità, la sua totalità, in quel rapporto, l’unico, in cui viene concessa anche la conoscenza carnale.
Ancora è stato detto molto poco di questo legame in cui sentimenti all’altezza dell’eden e del lager si vivono tra il geranio sul davanzale e l’igiene del cesso.”
“non c’è avventura più varia e profonda di quella di conoscere un altro in tutte le sue età, le sue ore, i suoi errori, i suoi orrori, con tutta la sua libertà, la sua dipendenza, la sua nullità, la sua totalità, in quel rapporto, l’unico, in cui viene concessa anche la conoscenza carnale” nemmeno con i figli si può avere questa profondità, perché volano via e si fanno una vita propria.
Molto interessante questo spaccato su Ruth Leiser. Mi piacerebbe avere il tempo per cliccare sui vari “qui”. Lo farò appena potrò. Intanto ringrazio Ennio Abate e condivido le parole di Cristiana Fisher sull’unicità di un rapporto di coppia durato moltissimi anni.