Narratorio 9
di Ennio Abate
Chiero nacque in piena guerra e gracile:
E fu pe chesta paura [1] ca Nannìne avette na minaccie r’aborte e tutto rieste. Pecché tu quanne nasciste, ire piccirille cumm’a ché. Nunn’arrivave manche a duie chile. Ca si o fisiche e Nannine nunn’ere forte, tu manche nascive. Appene sì nate, t’amma mise attuorne panne e lane e buttiglie r’acqua calde. Ca, allore, nun se truvavane manche e borse e gomme. Tu ire pelle e osse. E o miereche diceve: chiste nunn’aveva proprie nasce. Po ricette ca avive bisogne e latte materne, si no murive. Mo Nannine teneve cumm’a certi piaghe attuorne e capezzole e, quanne tu succhiave, nge favevene male. E allora ie e zi Assuntine a teneveme strette pe braccie pe te fa succhià….
Per varie cause – carenze alimentari e stenti della vita in tempi di guerra, il fatto che la prima gravidanza di Nannìne, nata nel 1901, fosse avvenuta in età non più giovane, difficoltà nell’allattamento – Chiero nei primi mesi rischiò di morire:
L’avevene vestute ra munacielle pe veré si Sant’Antonie Abate, ca è patrone ra famiglie e e chille ca stanne pe murì, o puteve sarvà. O nge facessee fa almene na bona morte. Po sta nutizia ca o primme figlie e Nannìne, appena nate, steve pe murì a venettere a sapé pariente e cunuscenti. E Allore ra ‘Ntessane, sott’a neve, arrevaie sta zia Luigia, ca era a sora e Mìneche e cunesceve a merecine chiù antiche, chelle ca e cuntadine facevene cull’erbe.
Glielo raccontò varie volte Nannìne. Ma glielo ripeté anche zia Luigia, a sore e M’ineche, quando veniva da Antessano portando in dono qualche canestro di ciliegie o di gelsi o di fichi. Dopo essersi seduta e dissetata con un bicchiere d’acqua, rifaceva lo stesso racconto. Che belle ra zia, tu stive pe muri’ piccirille. Che lei era arrivata a piedi, in pieno inverno e sotto la neve. Da Antessano a Casalbarone. E mettendogli attuorno ao cuolle gonfie st’impacche fatte cu e foglie cotte re fiche r’india, con questo suo medicamento l’aveva salvato.
Era stato un miracolo? Mo vuie putite pensà chelle ca vulite. Ca chelle erene stregonerie e ca chella zia era na mezza streghe. A cosa certa è ca chelle ca facette funzionaie. Un sapere contadino più efficace di quello dei medici? Nun vo saccie ricere, ma è sicure ca chesta zia nu vuleve sentì parlà e prievete e nun jeve manca a messe a rumeneche. Lei e altre zie di campagna – come zi Assuntine o zi Felolla, l’altra sorella di Mìneche, dai preti stavano alla larga e li sfottevano pure. Nannìne, invece, era religiosissima e ossequiosa verso preti, suore, monaci.
Di che malattia stesse poi morendo Chiero non si capì mai bene. Pare che avesse avuto un’infiammazione delle ghiandole linfatiche. Nè Nannìne né zia Luigia sapevano spiegare di più. Ma la zia era orgogliosa di quel che aveva fatto. Lei aveva salvato il nipote mentre tutte le altre donne erano disperate. E il medico stesso aveva dato Chiero per spacciato e si era arreso dinanzi alla morte. A forza di ripeterlo, il racconto di quell’episodio, accaduto pochi anni prima, diventava leggenda di famiglia e quasi fiaba. C’era una volta nu piccirille ca steve murenne…Pò arrivaie na zia sotte ’a neve…
[Zia Luigia quasi strega? Contadina, sì. E per tutta la vita. Era rimasta vedova ma, a differenza di zi Assuntine, zi Rafiluccia o Zi ‘Ntunetta, s’era risposata. E dal nuovo matrimonio, però, aveva avuto tre figlie femmine: Nannìnella, ‘Ntunetta e Carmelina. Ma non per questo era una mater dolorosa. Lo era per altro. E ogni tanto veniva a lamentarsi col fratello Mìneche per quel miezze delinquente ro figlie nato dal suo primo matrimonio. Che di mestiere pare facesse il carrettiere ed era uscito dal carcere dopo una condanna per furto. Di cosa? E quanto grave penalmente? Chiero e Eggidie non lo capirono mai. Capirono, invece, che per zia Luigia il fratello Mìneche era tante cose. Il primo maschio di di una famiglia numerosa di quattro maschi e due femmine. Il giudice nelle liti tra parenti,. Il consigliere quando c’erano da combinare fidanzamenti e matrimoni delle nipoti. E, comunque, un ex maresciallo dei carabinieri che ne sapeva più di loro delle cose di Legge. Ma zia Luigia per Chiero e Eggidie era anche la zia contadina umiliata dai medici di Salerno. Perché una volta, mentre nella sua terra raccoglieva le pere da un albero, era caduta ra o treppete e s’era fratturata un braccio. Ricoverata agli Ospedali Riuniti di Salerno in Via Vernieri e ingessata per vari giorni, i medici di turno, quando le avevano tolto il gesso, l’avevano dimessa alle quattro o alle cinque del mattino, cacciandola in strada. E senza ascoltare ragioni. Pur sapendo che la filovia per tornare ad Antessano a quell’ora non funzionava ancora. Mortificata e infreddolita, lei era arrivata a piedi, che era ancora buio, a bussare a casa di Mìneche e Nannìne in via Sichelgaita svegliando tutta la famiglia in anticipo.]
Versione del brano in dialetto
Fu per questa paura [dopo il suicidio della vicina. Cfr. qui] che Nannìne ebbe una minaccia d’aborto e alre complicazioni. Perché tu, quando nascesti, eri piccolo di corporatura. Non pesavi neppure due chili. E se il fisico di Nannìine non fosse stato forte, tu neppure saresti nato. Appena nato, ti abbiamo circondato con panni di lana e botiglie piene d’acqua calda. Perché, allora, non si trovavano neppure le borse di gomma [per l’acqua calda]. U eri pelle e ossa. E il medico diceva: queso non doveva proprio nascere. Poi disse che avevi bisogno di lae maerno, se no morivi. Ma Nannìne aveva le ragadi al seno e, quando tu succhiavi, gli faceva male. E allora io e zia Assuntina la tenevamo ferma per le braccia per farti succhiare…
Foto di copertina. La nonna paterna di Chiero, Antonietta, con Luigia e Mìneche bambini.
curare, e i medici lo sanno, vuol dire prendersi cura
—mi sono persa un po’ con i nomi…in questa foto scrivi che Antonietta era la nonna materna di Chiero, mentre mi sembrava si chiamasse nonna Vittoria, nel racconto precedente…
Zia Luigia, bambina nella foto con il fratello Mineche, sembra indossare un guanto nero: per gioco o una sorta di fasciatura? Interessante la sua storia di curatrice…
Grazie, Annamaria. Errore mio di battitura: Antonietta, nonna paterna. La materna era nonna Fortunata.
No, non mi pare un guanto nero. Credo sia un effetto d’ombra della foto che dovrebbe risalire al 1901.