11 pensieri su “Conversazione 4 con Gianfranco La Grassa”
Ho visto tutt’e quattro i video: molto interessanti per uno come me, che non aveva mai sentito parlare di Gianfranco La Grassa.
Queste le mie impressioni, schematicamente:
1) La classe operaia non ha mai fatto rivoluzioni, al massimo chiede riforme sindacali. Le rivoluzioni comuniste sono state fatte in nazioni contadine, pre-industriali, dice La Grassa. Questo pensiero, ampliato, l’ho sempre avuto. Ampliato nel senso che una rivoluzione (violenta) comunista non è più realistica da decenni nei paesi industrializzati benestanti. Il comunismo può avere chance nei paesi poveri, sottoposti a colonizzazione o imperialismo, ma non in quelli ricchi – se non tramite riforme graduali verso il socialismo.
2) Non credo che il pensiero di Marx si possa ancora ritenere scientifico, ma evitando di soffermarmi su questioni nominalistiche, condivido in pieno l’idea lagrassiana di Marx come Galilei, come fondatore di un metodo che va corretto e aggiornato con l’evolversi della storia. Anche questo l’ho sempre pensato (soprattutto ma non solo in relazione al rapporto tra marxismo e violenza rivoluzionaria), cioè Marx è necessario ma non sufficiente, come dice La Grassa. Credo che oggi ci si possa definire neomarxisti o, meglio, post-marxisti, ma non più comunisti o marxisti tout court, perché il marxismo originario è stato superato (non sconfitto) dalla storia. E lo stesso discorso che vale per Darwin: prima c’è stato il darwinismo (Ottocento), poi c’è stato il neodarwinismo grazie alle scoperte della genetica (1930-50), ora siamo al post darwinismo. Ma non si mette in discussione la teoria dell’evoluzione nelle sue premesse essenziali.
3) Stupito invece che La Grassa faccia saltare i concetti di struttura e sovrastruttura; secondo lui ci sono tre sfere: economica, politica e sociale, in relazione tra loro. Questa mi sembra una critica forte al marxismo, che forse colpisce le fondamenta. La Grassa dà grande importanza alla sfera politica, che mette prima di quella economica. Forse questo suo argomento va in controtendenza rispetto al percepito di molti, ma io sospendo il giudizio. In certi casi, vedi le guerre, i fattori economici sono stati spesso sopravvalutati a scapito di quelli ideologici e religiosi (cioè in fondo sociali e politici).
4) Non c’è stata una domanda sulla lotta di classe, concetto fino a pochi decenni fa irrinunciabile, dirimente per molti comunisti. Ma alla fine La Grassa ne parla en passant facendo capire, se ho inteso bene, che la ritiene superata, non più realistica. Anche su questo mi trovo in sintonia.
5) Sulla caduta del comunismo, anni 1989-91, aggiungo che il crollo economico della Russia è avvenuto non solo per l’economia pianificata, che ha fallito totalmente il suo scopo, come dice La Grassa. Va tenuto conto che la Russia si è messa in competizione con l’Occidente partendo da una condizione molto più primitiva, contadina. Competizione su questioni non indispensabili come la corsa alla Luna e poi la corsa agli armamenti. L’imperialismo russo è stato alimentato dalla continua spesa militare, che è stata decisiva nel crollo dell’economia russa – infatti Gorbacev cercò subito con Reagan di porre fine al riarmo.
6) Sulla fantapolitica. Nel mondo multipolare che ci aspetta c’è una variabile in più da considerare, rispetto alla storia passata: quella ecologica. Lo sviluppo, la crescita economica di Cina, India, Brasile ecc., e il formarsi di blocchi politici contrapposti che porteranno prima o poi alle terza guerra mondiale (previsione di La Grassa) devono essere inseriti all’interno di una crisi irreversibile a livello climatico, agricolo ecc. Davvero l’umanità continuerà con questo sviluppo non sostenibile, fino a provocare carestie, continue emergenze climatiche ecc? Spero di no, perché lo sviluppo illimitato e le guerre non sono più compatibili con la sostenibilità ambientale, che non è un tema solo per anime belle, bensì un tema che col tempo diventerà sempre più tema economico e di sopravvivenza.
in un mondo multipolare dove le vecchie e nuove superpotenze si confronteranno per un sempre maggiore potere e supremazia in tutti i campi, politico sociale economico la lotta di classe si vede sempre meno, è vero…tranne in qualche esemplare fabbrica chiusa e occupata Gkn Firenze, dagli ex operai, licenziati con una mail, che recentemente hanno messo le tende davanti alla Regione a Novoli, dove ben cinque operai hanno perso la vita sul lavoro…Se disoccupazione, precariato e morti bianche cresceranno, un esempio potrebbe tirarne un altro…Aggiungo la forza dei movimenti che coinvolgono classi sociali diverse unite per una causa: movimento studentesco internazionale per il cessate il fuoco nei teatri di guerra e la corsa agli armamenti, movimenti per la difesa ambientale, sempre piu’ urgente e vitale, movimento per la libertà di movimento degli individui, come diritto, il movimento antiimperialista e anticolonialista, il movimento femminista aperto ad agni diritto, personale e collettivo, dell’essere umano in una società piu’ egualitaria e rispettosa…
Si puo’ pensare che tutto quanto dispone di limitata forza di cambiamento reale e che la politica, indifferente, va per conto suo, secondo gli interessi dei potenti…Non sono del tutto d’accordo con Gianfranco La Grassa…intanto anche i potenti saranno travolti dalla loro stessa insensatezza, mentre chi ha lottato potrà tramandare qualcosa che durerà nelle nuove generazioni…siamo tutti mortali, ma se ci apriamo al futuro con dei valori siamo anche natali di una realtà migliore…un concetto, che mi ha colpito perchè pieno di speranza, espresso da Hannah Arendt: “la nascita è sempre un nuovo inizio”
Se fai le guerre, cosa vuoi iniziare?
“Si puo’ pensare che tutto quanto dispone di limitata forza di cambiamento reale e che la politica, indifferente, va per conto suo, secondo gli interessi dei potenti…Non sono del tutto d’accordo con Gianfranco La Grassa…” (Annamaria)
Mi pare che una riflessione sui rischi di guerra mondiale e sull’interesse da parte di una potenza significativa come la Cina ad evitarla è messa in termini più precisi in questo recente articolo di Pierluigi Fagan:
L’argomento del post di oggi è l’ordine del mondo nei prossimi trenta anni. Per “ordine” s’intende geometria e tipo di relazioni principalmente tra stati, mentre i prossimi trenta anni diventano rilevanti perché si presentano molto diversi dai tremila precedenti. Per la prima volta nella storia umana, infatti, abbiamo raggiunto una densità abitativa media del pianeta di gran lunga superiore al passato. Il tema delle regole di “convivenza” quindi, ha una attualità speciale.
Per dare una idea e prendendo la parte del pianeta abitabile, quindi terre emerse non ghiacciate o desertiche etc., se all’inizio della modernità che noi occidentali inaugurammo con il moto all’estroversione delle Grandi Navigazioni cui seguì colonialismo ed imperialismo, ogni essere umano aveva uno spazio teorico di 170.000 mq, già nel 1950 questo spazio si era ridotto a 30.000 mq. Oggi è di soli 9000 mq e si noti quanto è diminuito in sì breve tempo (settanta anni).
Se, come molti pensano ed io tra loro, la guerra non è il risultato naturale di istinto umano (anche perché l’istinto umano è individuale mentre la guerra è un fatto collettivo e non esistono “istinti collettivi” che non siano socialmente quindi culturalmente costruiti) ma -appunto- il portato di dinamiche di convivenza tra gruppi di umani in uno spazio dato, una restrizione così accentuata dello spazio vitale (Lebensraum), prometterebbe guerra totale di tutti contro tutti.
Ma se, come abbiamo detto, il farsi la guerra è una decisione culturale quindi soggetta l’umana intenzione, dobbiamo porre questo odierno ridotto dato di spazio vitale e domandarci -appunto- che “geometria e tipo di relazioni principalmente tra stati ci diamo in questa mutata situazione”, che comunque promette di rimanere tale (anzi arrivare in teoria a 7000 mq/cad) almeno fino al 2050?
Si tratta di quello che potremmo chiamare il “regolamento condominiale planetario” ovvero il set di regole che presiede la comune convivenza nello stesso spazio, spazio che non ha -per la prima volta nella storia umana- altro spazio esterno in cui dilatarsi.
I cinesi, quali maggiore massa demografica planetaria, più longeva civiltà di continuità territoriale ed etnica nel tempo storico di lunga durata, Paese guida della crescita mondiale dal punto di vista economico, hanno presentato la propria idea a riguardo qualche mese fa. Lo hanno fatto il marzo scorso in occasione di un incontro coi russi, ribadito ad aprile, ribadito in questi giorni di incontri tra Putin e Xi, hanno cioè usato il tipo di relazione impiantata coi russi per dare un esempio di cosa intendono con la loro formula.
La formula o regola che danno come proprio principio fondativo della convivenza planetaria è tripartita: (in inglese) non-alignment, non-confrontation and non-targeting of any third party, (in italiano), nessuna alleanza, nessun confronto aggressivo, nessuna messa sotto aggressione di terze parti nelle relazioni bilaterali. In pratica, la seconda e terza formulazione declinano la prima.
Già ai tempi della Guerra Fredda, la Cina era l’attore principale del movimento dei Non Allineati. Essere “non allineati” significava sia non esser schierati con l’Occidente/USA o il Patto di Varsavia/URSS, sia non essere alleati tra non allineati. In sostanza, il principio prevede che ogni soggetto statale sia un attore a sé, mai legato o condizionato o forzato a decidere la propria politica internazionale da altri soggetti a cui si è legati per trattato.
Potremmo definirlo un principio di disarticolazione ovvero evitare che nel gioco planetario delle relazioni interstatali, si formino blocchi poiché la logica del blocco porta a sensibili maggiori rischi conflittuali di quanto non si dia tenendo autonomi i singoli paesi. Inoltre, la logica del blocco, subordina per via logica l’interesse dei paesi minori con quello maggiore poiché è di solito il maggiore ad avere più problemi o desideri di aggressione e conflitto. La logica del blocco ha una aggressività implicita, anche se si presenta come forma difensiva.
Così, i cinesi presentano la loro idea di principio di convivenza, nessuna alleanza con partner bilaterali, nessun mettersi assieme a confronto con altri, nessuna messa in comune dell’intenzione di isolare o aggredire parti terze. Attenzione, i cinesi dicono questo ma come conseguenza del principio di non alleanza a priori. Va da sé che se si dovessero presentare comunque conflitti, ogni parte sarebbe libera di schierarsi a favore o contro l’altra parte o non schierarsi affatto. Solo, questa sarà libera valutazione caso per caso e non conseguenza automatica di una alleanza a priori.
Si può dire, credo, che il principio si basa su una volontà generale di stabilizzare pacificamente la trama delle relazioni interstatali a dimensione di un pianeta sempre più denso.
Da notare qui come la parte occidentale -di solito- declina la sua visione della convivenza planetaria o invocando una diffusione di quella che chiamano “democrazia” o di un cerro modo di intendere l’attività economica di mercato o la libera circolazione dei capitali o invocando una diffusione del rispetto ed applicazione dei diritti umani o -di recente- invocando una consapevole cautela e condivisione dei problemi ambientali o climatici. Tuttavia, sono due piani logici diversi poiché il piano occidentale, che è di contenuto, non specifica se e quanto questi contenuti se non condivisi possano portare a conflitto. Il piano cinese invece, prima di entrare nella definizione di qualsivoglia contenuto, dice “a priori” comunque sia minimizziamo i rischi di guerra e conflitto, creiamo un comune ambito di pace.
Trattandosi di “principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio, va da sé che specificare a monte una preferenza forte per la pace è di statuto logico superiore allo scendere in dettagli sulle forme valoriali delle singole civiltà che ovviamente differiscono e possono anche portare a contenziosi se non governate e soprattutto imposte.
I cinesi, con questa formuletta tripartita, si presentano come leader valoriali del nuovo assetto mondiale. Il loro principio, infatti, è condiviso -più o meno- da qualunque altro stato dei 195 quanti ne abbiamo alle NU, ad eccezione degli Stati Uniti d’America che infatti sono l’unico paese che comanda la più grande, agguerrita ed armata alleanza militare del mondo. La stragrande maggioranza dei paesi del mondo è oggi nel flusso di potenti correnti di crescita e sviluppo economico e l’ultima cosa a cui pensano è la guerra. I BRICS+, ma non solo, mostrano appunto la voglia semmai di alleanze commerciali ed economiche e decisamente non militari. Ma, come detto, anche ci fossero casi di conflitto, ad esempio la Russia che invade l’Ucraina, la regola non esclude certo che caso per caso, si formino schieramenti di forze in aiuto ad uno dei due contendenti. Solo, la regola dice che questo non deve esser automatico, deve essere una libera scelta caso per caso.
Nel caso citato (Russia vs Ucraina) chissà se e quanti paesi europei avrebbero seguito la decisione americana di scendere in campo a fianco di Kiev se non forzati da principi di coerenza NATO nella quale non hanno alcun potere decisionale effettivo. E come avrebbe retroagito ciò sulla guerra? Uno schieramento meno forte avrebbe consigliato Kiev di arrivare alla pace subito dopo l’inizio del conflitto? O addirittura avrebbe consigliato Kiev e Washington di cercare si evitare la stessa occasione di conflitto a priori ovvero adoperarsi negli otto anni dopo Euromaidan o nei due tentativi di pacificazione portato avanti coi due Protocolli di Minsk (1 e 2), per trovare un accomodamento che allentasse le tensioni locali? Senza una logica NATO, lo stesso lungo movimento del suo allargamento in Europa a seguire il 1989-91, non ci sarebbe stato.
A livello di principi fondativi la nuova obbligata convivenza planetaria, ci sembra di poter dire che i cinesi si stanno ponendo con ampie possibilità di ottenere il riconoscimento mondiale di una leadership etico-morale con rilievi molto pragmatici. Gli Stati Uniti, al contrario, stanno sperperando a piene mani ogni loro capitale etico-morale accumulato nel Novecento. Gli europei, al momento, sono come i roditori artici detti lemmings, per quanto la storia che racconta che questi vadano soggetti a suicidi di massa pare sia stata del tutto inventata dalla Disney. La Disney è americana ed evidentemente a gli americani il principio di come governare il comportamento di masse decerebrate è ben noto.
In metafora, infatti, essa esplicita un caso per altro previsto delle stesse relazioni internazionali, il c.d. “bandwagoning” (effetto carrozzone alla base del principio NATO ed UE) ovvero l’effetto gregge, l’istinto conformista, l’”argumentum ad populum”, qualcuno con forti intenzioni che trascina tanti altri che hanno intenzioni deboli o non le hanno affatto o hanno paura ad averle e prendersene la responsabilità, meglio se dentro una già prevista alleanza formalizzata che per molti versi “obbliga” all’allineamento di molti anche quando deciso da pochi, anzi proprio perché deciso da pochi.
Per noi italiani, la separazione degli occidenti (europeo ed americano) o quantomeno il tornare a domandarsi seriamente quale sarebbe il nostro “interesse nazionale”, dovrebbe esser una priorità invece che avere governi che mandano navi da guerra nel Pacifico. I tedeschi, a quanto pare, cominciano a domandarselo. La civiltà che pensò la “Pace perpetua” di Kant potrebbe anche porre la domanda più generale se la NATO o forme di alleanza militare formalizzata, vadano escluse e vietate in via di principio a livello planetario.
sicuramente, Ennio…Condivido molte riflessioni di Pierluigi Fagan: in primo luogo il fatto che non esiste l’istinto collettivo della guerra e che, come individui saremmo, a parte eccezioni, pacifici. Se partecipiamo alle guerre, sostenute sempre da molte argomentazioni retoriche, è perchè trascinati collettivamente da patti politico economico militari in sfere di influenze perverse, dove spesso si perde il senso della realtà, arrivando a scelte suiciditarie…Anche il riferimento a come la sovrappopolazione del pianeta abbia ristretto lo spazio individuale a 7000 mq (se si pensa alle diseguaglianze, molto meno per l’individuo comune) e che questo fatto comporterebbe nuovi ‘regolamenti del condominio mondiale’, mi sembra ottimo ragionamento. Per cui, in effetti, a priori, prendere ad esempio la Cina come modello economico emergente per quanto riguarda il ‘non allinearsi’ militarmente prendendo parte ai giochi di potere tra superpotenze, mi sembra poter sperare di uscire dall’attuale situazione di guerra infinita, potenzialmente nucleare e distruttiva dell’umanità e del pianeta…Per il resto credo che comunque non sia possibile garantire una pace duratura senza quei valori, le nostre virtu’, che aiutano a tenere in equilibrio i rapporti umani secondo giustizia…
L’analisi di Fagan la posso condividere finché si sofferma sulla differenza tra Usa (Occidente) e Cina, non mi convince quando vuole tracciare un giudizio di valore (la visione della Cina avrebbe uno “statuto logico superiore” rispetto a quella dell’Occidente) né tanto meno quando ricerca le cause di questa differenza.
Fagan ha la capacità di spiegare con ordine certi meccanismi dell’agire cinese o della geopolitica mondiale che io non saprei cogliere con una simile chiarezza, ma quando afferma:
“Si può dire, credo, che il principio si basa su una volontà generale di stabilizzare pacificamente la trama delle relazioni interstatali a dimensione di un pianeta sempre più denso…. Il piano cinese invece, prima di entrare nella definizione di qualsivoglia contenuto, dice “a priori” comunque sia minimizziamo i rischi di guerra e conflitto, creiamo un comune ambito di pace. Trattandosi di “principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio, va da sé che specificare a monte una preferenza forte per la pace è di statuto logico superiore allo scendere in dettagli sulle forme valoriali delle singole civiltà che ovviamente differiscono e possono anche portare a contenziosi se non governate e soprattutto imposte”
penso che ci sia qualcosa che non torna.
Io non credo che la Cina voglia “a priori” [minimizzare] i rischi di guerra e conflitto, [creare] un comune ambito di pace.”
Non credo che ciò che fa la Cina si possa descrivere come voler portare ““principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio” caratterizzati dalla “preferenza forte per la pace”.
Sinceramente, non penso questo né potrei pensarlo per alcuno stato.
Di solito non faccio la parte del cinico, ma qui mi tocca dire che se la Cina pensa a minimizzare i conflitti mondiali io credo lo faccia per suo interesse, perché al momento può permetterselo (è un colosso commerciale, demografico ecc. come dice lo stesso Fagan), non per portare “principi di civiltà planetaria”.
L’idea di Fagan che “i cinesi si stanno ponendo con ampie possibilità di ottenere il riconoscimento mondiale di una leadership etico-morale con rilievi molto pragmatici” mi sembra dettata da giudizi di valore sull’etica cinese versus l’etica occidentale. Non sono queste considerazioni moralistiche?
Certo, per Fagan l’etica cinese è più funzionale alla sopravvivenza dell’intera umanità rispetto a quella occidentale, giudizio legittimo, e forse per certi versi vero, ma manca di dialettica. Io non ce la farei a dare un giudizio così netto senza “se e ma”. Mi sembra quasi ingenuo, questo giudizio. Proprio perché secondo me idealizza la visione cinese.
Per esempio, a livello logico, per come pone il discorso Fagan, io darei ragione all’Occidente: la pace non si può imporre a priori, non funziona così, la pace può esserci solo laddove c’è giustizia (sociale, economica ecc.), la pace è l’effetto di una serie di pre-condizioni, non la premessa, non un “a priori”. Minimizzare per principio ogni conflitto può voler dire legittimare e mettere a tacere le oppressioni in corso. Per cui la lotta occidentale per i diritti civili, la democrazia ecc. a livello teorico può portare alla pace, l’idea di minimizzare come premessa ogni conflitto no. La pace non è solo assenza di guerra.
Senonché, entrando nel merito, sappiamo bene come l’Occidente NON voglia portare diritti e democrazia per tutti ma solo in modo selettivo in base al proprio interesse ecc.
Per cui, ben venga il prendere in considerazione i tre principi proposti dalla Cina, ben venga la ricerca di un’etica planetaria sostenibile, ma da parte mia senza illusioni sui moventi della Cina. Prendere in considerazione in modo sempre molto vigile e dialettico, senza buttare via tutto del portato occidentale.
Non entro nel merito dell’analisi di Fagan. (Non ho il tempo per rifletterci.)
Ma obiezioni simili alle tue gli ha fatto sulla sua pagina FB anche Alberto Rizzi, da un cui commento copio questo brano:
[A. Rizzi] come si comporteranno questi Stati, pur desiderosi di un minor livello di guerra(?), coi loro cittadini. Perché vivere in uno Stato che si sbraccia per un maggior pragmatismo politico estero ed alleanze fluide, ma che mi toglie lo stipendio e mi blocca l’accesso ai miei conti correnti, se non mi metto a 90° davanti ai suoi diktat, non mi piace per nulla.
E proprio la Cina è all’avanguardia in ciò, con molti Stati occidentali “diversamente democratici” che la stanno seguendo su questa strada.
E io pure ho perplessità simili. Vi ho accennato in un commento sulla pagina FB di Alessandro Visalli:
Ennio Abate
“Nemmeno Limes saprà rispondere a tale domanda finché resterà ancorata al dogma liberista della presunta superiorità delle “società aperte” rispetto alle economie miste ad alto intervento pubblico (il punto è che si pensa ancora alla Cina come a una variante del modello sovietico, ignorando l’alto tasso di flessibilità che le riforme della fine dei Settanta hanno introdotto nel meccanismo della pianificazione socialista (7)). ” (Formenti)
Nessuna difesa della “superiorità delle “società aperte rispetto alle economie miste ad alto tasso d’intervento pubblico” ma restano i dubbi sul fatto che ” l’alto tasso di flessibilità che le riforme della fine dei Settanta hanno introdotto nel meccanismo della pianificazione” possa essere classificato come ‘socialista’.
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Alessandro Visalli
Ennio Abate tutto dipende da cosa si chiama “socialista”. O meglio da che grado di purezza idealtipica si pretende dal socialismo (mentre magari si accetta, non è il tuo caso, qualunque cosa dalla ‘democrazia’). Comunque i dubbi sono del tutto leciti, ci mancherebbe. Io ho dubbi su tutto.
Ennio Abate
Alessandro Visalli E’ discorso complicato e si rischia di impantanarsi in sottigliezze da scolastica o vecchi clichè. E, tuttavia, tutta la riflesione che state facendo mi pare di grande interesse.
Sono andato, perciò, a rileggermi il saggio di Formenti, L’ENIGMA DEL “MIRACOLO” CINESE E LA NECESSITA’ DI RIDEFINIRE IL CONCETTO DI SOCIALISMO pubblicato sul suo blog il 29 ottobre 2023. E mi resta la sensazione che “l’abbandono dell’opposizione dicotomica fra formazioni sociali socialiste o non socialiste (di qui l’adozione del termine socialist oriented”, come lui scrive, rischi di portare a un eccessivo annacquamento del discorso. Per cui – sarò grossolano – forme di keynesismo (“il mercato stesso è plasmato in larga misura dallo Stato e la pianificazione non è morta ma si è fatta flessibile, articolandosi per settori e progetti”) vengono accreditate come socialiste o socialist oriented.
Né mi sentirei di dare troppo credito a chi mi dice che le economie socialiste “sono caratterizzate: a) dal fatto che il meccanismo dei prezzi di mercato e la legge del valore sono la forma prevalente di regolazione (almeno nel breve medio termine); b) dal fatto che il ruolo diretto e indiretto dello Stato e il suo controllo sull’economia sono qualitativamente e quantitativamente assai superiori rispetto ai Paesi capitalisti; c) dal fatto che il governo rivendica come obiettivo a lungo termine la realizzazione del socialismo”. (Il punto c) fa davvero sorridere: che ne diremmo di chi ci chiedesse di considerare democratici i nostri governi perché essi rivendicano di essere democratici)).
P.s.
Spero che queste obiezioni non siano solo fastidiose. Le faccio a te perché Formenti in passato mi ha bannato dalla sua pagina FB.
la pace cinese che sa silenziosamente inserirsi nei settori tecnologici, edilizi, commerciali… di ogni continente da una parte sorprende, quanto un po’ preoccupa. D’altra parte molto di piu’ spaventano le armi, ormai quasi fine a se stesse nei conflitti, delle guerre occidentali che provocano effetti rumorosissimi e sanguinosi…Secondo me, a mancare è la capacità di trattare, di scendere a compromessi, di preferire la giustizia sociale e la vita alla morte per l’Occidente competitivo e capitalistico sfrenato, mentre per la Cina il pragmatismo, pure capitalistico e armato, evita per ora un dialogo aperto e sottace sui valori, oltre alla pace dichiarata, alla base del proprio agire …Eppure se si potesse mettere in comune le nostre grandi tradizioni e il pensiero, occidentale e orientale, avremmo molto da imparare gli uni dagli altri…
Per cominciare l’Italia farebbe bene ad uscire dalla Nato, li’ nè dialogo nè valori nè pace, poi passo dopo passo…Duro compito per le nuove e future generazioni
Magnifico rimando di La Grassa al Caso!, se è impossibile leggere, oggi, direttive di azione e cambiamenti. Niente altro che conflitti a venire. Uh, che antico splendore del Fato, che aspettarsi, nell’impotenza, di apparizioni!
” Gli ideali dei poveri e degli angariati l’uomo-massa li sa a memoria. Idem l’uomo casta, che li elogia, li critica, e ogni tanto ci scrive sopra un libro. L’ideale ispira l’azione dei rivoluzionari troppo giovani o troppo vecchi, movimenta le filosofie dell’attesa, attribuisce un ruolo alle vite fuori corso o fuori contesto, giustifica gli stermini di nemici veri o presunti, non di rado li provoca. Insomma, l’ideale, sia sostantivo che aggettivo, è una bella parola”
( Dal romanzo incompiuto di Franco Tagliafierro, “L’ANTITRATTA”)
1.
una rivoluzione (violenta) comunista non è più realistica da decenni nei paesi industrializzati benestanti.
Quando mai le rivoluzioni sono “realistiche”? Vanno, semmai, contro le “realtà” preesistenti. Se poi si vuole parlare della possibilità che avvengano, che siano ‘realizzabili’ nei paesi industrializzati – (sul “benestanti” ci sarebbe da precisare…) – il fatto che nel Novecento non siano riuscite – (tentativo fallito degli spartachisti in Germania, biennio rosso in Italia) – non le rende impensabili o da escludere. In un futuro che non vediamo? Sì, in un futuro che non vediamo.
2.
Il comunismo può avere chance nei paesi poveri, sottoposti a colonizzazione o imperialismo, ma non in quelli ricchi – se non tramite riforme graduali verso il socialismo.
E’ visione eurocentrica o occidentalista. E limitata. Perché una rivoluzione non è mai opera solo dei “poveri” o degli “ultimi”. Vede la partecipazione più o meno teorizzata e coordinata (magari nel corso degli eventi ) di attori diversi e distribuiti in tutte le strutture – economiche, politiche, culturali – di una società.
3.
Non credo che il pensiero di Marx si possa ancora ritenere scientifico, ma evitando di soffermarmi su questioni nominalistiche, condivido in pieno l’idea lagrassiana di Marx come Galilei, come fondatore di un metodo che va corretto e aggiornato con l’evolversi della storia.
E perché mai non dovrebbe esserlo (magari in tutto o in parte o relativamente ad altri pensatori della sua epoca o di quelle precedenti o successive)? Semmai non scientifico negli stessi modi in cui usiamo il termine quando parliamo di fisica, biologia, ecc.
La questione – complicata e che ha visto in passato una contrapposizione forse troppo drastica proprio tra Gianfranco La Grassa e Costanzo Preve – sarebbe da approfondire, ma con la liquidazione di Marx e dei marxismi dal dibattito pubblico, dalle università e dagli ambienti imbevuti di cultura postmoderna appare oggi davvero bizantina e incomprensibile.
Appendice
Come esempio dell’aria (liberdemocratica) che oggi tira indico questo trovato stasera sulla pagina FB
La Frusta Letteraria – Alfio Squillaci https://www.facebook.com/frustaletteraria/posts/pfbid031CwKbrsHx41UA4LpWsPw1GkuW1qasqoPq28XQF8bNb7Bc7uq6s6bMwJLEd27CAdql
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«A un vecchio compagno»
È il titolo che raccoglie le lettere di Aleksandr I. Herzen (da pronunciare Ghercen, spesso traslitterato in Herzen e adesso vedo anche Gercen) a Bakunin in cui Herzen che pure da giovane aveva con l’amico rivoluzionario, in una cornice di struggente idealismo romantico, giurato nella “Collina dei passeri” a Mosca, di liberare la Santa Russia dalla servitù morale ed economica in cui versava, prendeva le distanze dall’amico che in ogni aspetto della lotta occupava sempre la posizione più estrema. (Si vedano la bellissima prefazione e le note di Vittorio Strada, un altro intellettuale che lentamente e silenziosamente prese le distanze dal “Dio che ha fallito”). Libro che appartiene a epoche geologiche pregresse della mia vita intellettuale e che giace, insieme a “Compagni addio” del 1987 del mio concittadino Giampiero Mughini, nei piani alti della mia libreria pur avendo determinato in me una svolta, essa sì radicale, verso il moderatismo liberal- democratico alla Herzen. Ciò dico per quanto le idee politiche ricevano ancora (pochissimo devo dire) un investimento libidinale nel mio sistema intellettuale-emotivo: sono un uomo postumo dopotutto e vivo cerebralmente solo di inezie estetiche, di consolante e stordente bellettristica.
È davvero singolare riprendendo oggi in mano il volumone biografico di Michael Wreszin “A rebel in defense of tradition” su Dwight Macdonald scoprire che anche per Dwight la lettura di Herzen fu motivo di svolta e di abbandono del marxismo. Ciò potrà destare nessun interesse presso le coscienze dei più, ma nel mio mondo mentale, in cui le idee politiche ormai sbattono come le palline dei flipper d’antan, scoprire percorsi analoghi con un gigante delle Lettere come è per me Dwight è motivo di sorpresa e di piccolo conforto dopotutto.
Dwight da giovane fu un acceso trotzkista (leggesi innanzitutto “antistalinista”, è un piccolo alert per gli “stalinisti nell’anima” come il prof Canfora, amatissimo e rispettatissimo da molti proprio PER QUESTO), Dwight dicevo, aveva creduto profondamente nel potere delle idee, ma ora, in piena Guerra fredda, le sue idee politiche, incentrate sul socialismo, sul pacifismo e sull’anarco-individualismo, gli sembravano datate, inefficaci, persino pericolose. Come scriverà in seguito, <> Dwight era tormentato dalla necessità di formulare le sue idee, di spiegare ad amici, colleghi, compagni le dimensioni della sua disillusione. Il 19 maggio del 1949 tenne perciò una conferenza (talk) in cui dichiarò “Addio all’Utopia” e in cui spiegò i motivi della sua delusione e del suo revirement intellettuale.
Proprio un anno prima Dwight aveva pubblicato estratti da Aleksandr Herzen “Passato e Pensieri” libro in cui il russo rifiutava la “grande teoria”, ovvero il radicalismo rivoluzionario dell’amico Bakunin e quello di matrice tedesca (Marx) che vedeva da vicino essendo entrambi a Londra. In “My Past and present” curato da Dwight, nella introduzione alla selezione di questi scritti di Herzen, egli scrisse che gli uomini un secolo dopo erano nello stesso stato d’animo in cui si trovava Herzen dopo il fallimento della rivoluzione del 1848: <>.
L’allusione all’approccio sistemico va chiarita. Lo faccio con parole mie. Ciò che detesto ormai dal più profondo dell’anima è proprio questo: contrapporre un sistema mentale ad un altro, frontalmente, una “religione” all’altra. Musil diceva a tal proposito nel suo grande romanzo che <>. Ecco, contro questo approccio sistemico meglio quello selettivo, l’esprit de finesse direbbe Pascal che lo scontro frontale (l’esprit de géometrie) dove si finisce solo con lo sbattere una testa contro l’altra, rompendole entrambe.
Qui Dwight, il radicale, il cercatore, l’entusiasta, abbraccia la visione politica che diventerà di poi la “fine dell’ideologia”, momento che riguarderà tutti i “New York Intellectuals” che sono una legione (Anti-Stalinist Left: Mary McCarthy, Lionel Trilling, Daniel Bell, Edmund Wilson, Hannah Arendt, Irving Howe ecc). Ma non si unì a coloro che, appoggiarono lo “statu quo” e iniziarono a celebrare l’american way of life come il migliore dei mondi possibile. Tutt’altro, resterà in posizioni di sospetto e di fronda verso gli atteggiamenti più estatici e oltranzisti di conservatori o neocon (posizioni in cui confluiranno molti ex radicali come lui, cioè coloro che “left the left”) fino ad appoggiare la rivolta studentesca del ’68. Ma adesso in piena “Cold war” Dwight argomenta che se Marx è stato <>, Herzen è più attuale oggi: <>.
Ennio,
ti faccio notare che le tue obiezioni non mi pare contraddicano quel che ho scritto, lo precisano meglio (“realizzabile” al posto di “realistico”, la proiezione in un futuro oggi impensabile, il fatto che non sono solo i poveri a far la rivoluzione), lo contestualizzano meglio.
Non ho nessun problema ad accoglierle.
Sul punto tre, onde evitare che mi si attribuiscano intenzioni che non ho: dire che il marxismo non è scientifico per me non costituisce un modo per criticarlo o togliergli credito. Non conosco la disputa politica sulla sua scientificità o meno. Penso soltanto che è stato considerato scientifico in un tempo ormai remoto, quando anche il concetto di scienza (e di cosa sia scientifico) non è più quello, controverso, di oggi. Gli scienziati hanno parecchi problemi a circoscrivere il metodo scientifico: quello biologico e soprattutto evoluzionistico ed ecologico è molto diverso da quello matematico e fisico. Io mi attengo al dire che una affermazione è scientifica se può essere contraddetta – ma appunto non è facile confermare né smentire in termini empirici la biologia evoluzionistica, che ha un approccio storico-narrativo. Non a caso, matematici, fisici e genetisti non vanno d’accordo con evoluzionisti ed ecologi (io sono tra questi ultimi) su molte questioni dirimenti (nucleare, OGM, agricoltura biologica, a volte anche surriscaldamento globale e medicina). In conclusione, non avrei problemi a considerare il marxismo come scientifico, in senso lato, ma non è che sostenendolo il marxismo ci “guadagni”: vorrebbe dire che tutto quanto sostenuto da Marx è passibile di essere smentito dalle fondamenta – dal mio punto di vista.
Alfio Squillaci: se ricordo bene mi ha bannato dopo alcuni miei commenti critici su Palestina e Ucraina – lui è un fan del Marchesini filosionista.
Ho visto tutt’e quattro i video: molto interessanti per uno come me, che non aveva mai sentito parlare di Gianfranco La Grassa.
Queste le mie impressioni, schematicamente:
1) La classe operaia non ha mai fatto rivoluzioni, al massimo chiede riforme sindacali. Le rivoluzioni comuniste sono state fatte in nazioni contadine, pre-industriali, dice La Grassa. Questo pensiero, ampliato, l’ho sempre avuto. Ampliato nel senso che una rivoluzione (violenta) comunista non è più realistica da decenni nei paesi industrializzati benestanti. Il comunismo può avere chance nei paesi poveri, sottoposti a colonizzazione o imperialismo, ma non in quelli ricchi – se non tramite riforme graduali verso il socialismo.
2) Non credo che il pensiero di Marx si possa ancora ritenere scientifico, ma evitando di soffermarmi su questioni nominalistiche, condivido in pieno l’idea lagrassiana di Marx come Galilei, come fondatore di un metodo che va corretto e aggiornato con l’evolversi della storia. Anche questo l’ho sempre pensato (soprattutto ma non solo in relazione al rapporto tra marxismo e violenza rivoluzionaria), cioè Marx è necessario ma non sufficiente, come dice La Grassa. Credo che oggi ci si possa definire neomarxisti o, meglio, post-marxisti, ma non più comunisti o marxisti tout court, perché il marxismo originario è stato superato (non sconfitto) dalla storia. E lo stesso discorso che vale per Darwin: prima c’è stato il darwinismo (Ottocento), poi c’è stato il neodarwinismo grazie alle scoperte della genetica (1930-50), ora siamo al post darwinismo. Ma non si mette in discussione la teoria dell’evoluzione nelle sue premesse essenziali.
3) Stupito invece che La Grassa faccia saltare i concetti di struttura e sovrastruttura; secondo lui ci sono tre sfere: economica, politica e sociale, in relazione tra loro. Questa mi sembra una critica forte al marxismo, che forse colpisce le fondamenta. La Grassa dà grande importanza alla sfera politica, che mette prima di quella economica. Forse questo suo argomento va in controtendenza rispetto al percepito di molti, ma io sospendo il giudizio. In certi casi, vedi le guerre, i fattori economici sono stati spesso sopravvalutati a scapito di quelli ideologici e religiosi (cioè in fondo sociali e politici).
4) Non c’è stata una domanda sulla lotta di classe, concetto fino a pochi decenni fa irrinunciabile, dirimente per molti comunisti. Ma alla fine La Grassa ne parla en passant facendo capire, se ho inteso bene, che la ritiene superata, non più realistica. Anche su questo mi trovo in sintonia.
5) Sulla caduta del comunismo, anni 1989-91, aggiungo che il crollo economico della Russia è avvenuto non solo per l’economia pianificata, che ha fallito totalmente il suo scopo, come dice La Grassa. Va tenuto conto che la Russia si è messa in competizione con l’Occidente partendo da una condizione molto più primitiva, contadina. Competizione su questioni non indispensabili come la corsa alla Luna e poi la corsa agli armamenti. L’imperialismo russo è stato alimentato dalla continua spesa militare, che è stata decisiva nel crollo dell’economia russa – infatti Gorbacev cercò subito con Reagan di porre fine al riarmo.
6) Sulla fantapolitica. Nel mondo multipolare che ci aspetta c’è una variabile in più da considerare, rispetto alla storia passata: quella ecologica. Lo sviluppo, la crescita economica di Cina, India, Brasile ecc., e il formarsi di blocchi politici contrapposti che porteranno prima o poi alle terza guerra mondiale (previsione di La Grassa) devono essere inseriti all’interno di una crisi irreversibile a livello climatico, agricolo ecc. Davvero l’umanità continuerà con questo sviluppo non sostenibile, fino a provocare carestie, continue emergenze climatiche ecc? Spero di no, perché lo sviluppo illimitato e le guerre non sono più compatibili con la sostenibilità ambientale, che non è un tema solo per anime belle, bensì un tema che col tempo diventerà sempre più tema economico e di sopravvivenza.
in un mondo multipolare dove le vecchie e nuove superpotenze si confronteranno per un sempre maggiore potere e supremazia in tutti i campi, politico sociale economico la lotta di classe si vede sempre meno, è vero…tranne in qualche esemplare fabbrica chiusa e occupata Gkn Firenze, dagli ex operai, licenziati con una mail, che recentemente hanno messo le tende davanti alla Regione a Novoli, dove ben cinque operai hanno perso la vita sul lavoro…Se disoccupazione, precariato e morti bianche cresceranno, un esempio potrebbe tirarne un altro…Aggiungo la forza dei movimenti che coinvolgono classi sociali diverse unite per una causa: movimento studentesco internazionale per il cessate il fuoco nei teatri di guerra e la corsa agli armamenti, movimenti per la difesa ambientale, sempre piu’ urgente e vitale, movimento per la libertà di movimento degli individui, come diritto, il movimento antiimperialista e anticolonialista, il movimento femminista aperto ad agni diritto, personale e collettivo, dell’essere umano in una società piu’ egualitaria e rispettosa…
Si puo’ pensare che tutto quanto dispone di limitata forza di cambiamento reale e che la politica, indifferente, va per conto suo, secondo gli interessi dei potenti…Non sono del tutto d’accordo con Gianfranco La Grassa…intanto anche i potenti saranno travolti dalla loro stessa insensatezza, mentre chi ha lottato potrà tramandare qualcosa che durerà nelle nuove generazioni…siamo tutti mortali, ma se ci apriamo al futuro con dei valori siamo anche natali di una realtà migliore…un concetto, che mi ha colpito perchè pieno di speranza, espresso da Hannah Arendt: “la nascita è sempre un nuovo inizio”
Se fai le guerre, cosa vuoi iniziare?
@ aNNAMARIA [LOCATELLI]
“Si puo’ pensare che tutto quanto dispone di limitata forza di cambiamento reale e che la politica, indifferente, va per conto suo, secondo gli interessi dei potenti…Non sono del tutto d’accordo con Gianfranco La Grassa…” (Annamaria)
Mi pare che una riflessione sui rischi di guerra mondiale e sull’interesse da parte di una potenza significativa come la Cina ad evitarla è messa in termini più precisi in questo recente articolo di Pierluigi Fagan:
Pierluigi Fagan
PRINCIPI DI CIVILTA’ PLANETARIA.
https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid02fBhy7N3tGq1KsJXXqYiFT6ie3cztyYGteMf28TPbb8Lc52mz3Bn52nKktUn7594Fl
L’argomento del post di oggi è l’ordine del mondo nei prossimi trenta anni. Per “ordine” s’intende geometria e tipo di relazioni principalmente tra stati, mentre i prossimi trenta anni diventano rilevanti perché si presentano molto diversi dai tremila precedenti. Per la prima volta nella storia umana, infatti, abbiamo raggiunto una densità abitativa media del pianeta di gran lunga superiore al passato. Il tema delle regole di “convivenza” quindi, ha una attualità speciale.
Per dare una idea e prendendo la parte del pianeta abitabile, quindi terre emerse non ghiacciate o desertiche etc., se all’inizio della modernità che noi occidentali inaugurammo con il moto all’estroversione delle Grandi Navigazioni cui seguì colonialismo ed imperialismo, ogni essere umano aveva uno spazio teorico di 170.000 mq, già nel 1950 questo spazio si era ridotto a 30.000 mq. Oggi è di soli 9000 mq e si noti quanto è diminuito in sì breve tempo (settanta anni).
Se, come molti pensano ed io tra loro, la guerra non è il risultato naturale di istinto umano (anche perché l’istinto umano è individuale mentre la guerra è un fatto collettivo e non esistono “istinti collettivi” che non siano socialmente quindi culturalmente costruiti) ma -appunto- il portato di dinamiche di convivenza tra gruppi di umani in uno spazio dato, una restrizione così accentuata dello spazio vitale (Lebensraum), prometterebbe guerra totale di tutti contro tutti.
Ma se, come abbiamo detto, il farsi la guerra è una decisione culturale quindi soggetta l’umana intenzione, dobbiamo porre questo odierno ridotto dato di spazio vitale e domandarci -appunto- che “geometria e tipo di relazioni principalmente tra stati ci diamo in questa mutata situazione”, che comunque promette di rimanere tale (anzi arrivare in teoria a 7000 mq/cad) almeno fino al 2050?
Si tratta di quello che potremmo chiamare il “regolamento condominiale planetario” ovvero il set di regole che presiede la comune convivenza nello stesso spazio, spazio che non ha -per la prima volta nella storia umana- altro spazio esterno in cui dilatarsi.
I cinesi, quali maggiore massa demografica planetaria, più longeva civiltà di continuità territoriale ed etnica nel tempo storico di lunga durata, Paese guida della crescita mondiale dal punto di vista economico, hanno presentato la propria idea a riguardo qualche mese fa. Lo hanno fatto il marzo scorso in occasione di un incontro coi russi, ribadito ad aprile, ribadito in questi giorni di incontri tra Putin e Xi, hanno cioè usato il tipo di relazione impiantata coi russi per dare un esempio di cosa intendono con la loro formula.
La formula o regola che danno come proprio principio fondativo della convivenza planetaria è tripartita: (in inglese) non-alignment, non-confrontation and non-targeting of any third party, (in italiano), nessuna alleanza, nessun confronto aggressivo, nessuna messa sotto aggressione di terze parti nelle relazioni bilaterali. In pratica, la seconda e terza formulazione declinano la prima.
Già ai tempi della Guerra Fredda, la Cina era l’attore principale del movimento dei Non Allineati. Essere “non allineati” significava sia non esser schierati con l’Occidente/USA o il Patto di Varsavia/URSS, sia non essere alleati tra non allineati. In sostanza, il principio prevede che ogni soggetto statale sia un attore a sé, mai legato o condizionato o forzato a decidere la propria politica internazionale da altri soggetti a cui si è legati per trattato.
Potremmo definirlo un principio di disarticolazione ovvero evitare che nel gioco planetario delle relazioni interstatali, si formino blocchi poiché la logica del blocco porta a sensibili maggiori rischi conflittuali di quanto non si dia tenendo autonomi i singoli paesi. Inoltre, la logica del blocco, subordina per via logica l’interesse dei paesi minori con quello maggiore poiché è di solito il maggiore ad avere più problemi o desideri di aggressione e conflitto. La logica del blocco ha una aggressività implicita, anche se si presenta come forma difensiva.
Così, i cinesi presentano la loro idea di principio di convivenza, nessuna alleanza con partner bilaterali, nessun mettersi assieme a confronto con altri, nessuna messa in comune dell’intenzione di isolare o aggredire parti terze. Attenzione, i cinesi dicono questo ma come conseguenza del principio di non alleanza a priori. Va da sé che se si dovessero presentare comunque conflitti, ogni parte sarebbe libera di schierarsi a favore o contro l’altra parte o non schierarsi affatto. Solo, questa sarà libera valutazione caso per caso e non conseguenza automatica di una alleanza a priori.
Si può dire, credo, che il principio si basa su una volontà generale di stabilizzare pacificamente la trama delle relazioni interstatali a dimensione di un pianeta sempre più denso.
Da notare qui come la parte occidentale -di solito- declina la sua visione della convivenza planetaria o invocando una diffusione di quella che chiamano “democrazia” o di un cerro modo di intendere l’attività economica di mercato o la libera circolazione dei capitali o invocando una diffusione del rispetto ed applicazione dei diritti umani o -di recente- invocando una consapevole cautela e condivisione dei problemi ambientali o climatici. Tuttavia, sono due piani logici diversi poiché il piano occidentale, che è di contenuto, non specifica se e quanto questi contenuti se non condivisi possano portare a conflitto. Il piano cinese invece, prima di entrare nella definizione di qualsivoglia contenuto, dice “a priori” comunque sia minimizziamo i rischi di guerra e conflitto, creiamo un comune ambito di pace.
Trattandosi di “principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio, va da sé che specificare a monte una preferenza forte per la pace è di statuto logico superiore allo scendere in dettagli sulle forme valoriali delle singole civiltà che ovviamente differiscono e possono anche portare a contenziosi se non governate e soprattutto imposte.
I cinesi, con questa formuletta tripartita, si presentano come leader valoriali del nuovo assetto mondiale. Il loro principio, infatti, è condiviso -più o meno- da qualunque altro stato dei 195 quanti ne abbiamo alle NU, ad eccezione degli Stati Uniti d’America che infatti sono l’unico paese che comanda la più grande, agguerrita ed armata alleanza militare del mondo. La stragrande maggioranza dei paesi del mondo è oggi nel flusso di potenti correnti di crescita e sviluppo economico e l’ultima cosa a cui pensano è la guerra. I BRICS+, ma non solo, mostrano appunto la voglia semmai di alleanze commerciali ed economiche e decisamente non militari. Ma, come detto, anche ci fossero casi di conflitto, ad esempio la Russia che invade l’Ucraina, la regola non esclude certo che caso per caso, si formino schieramenti di forze in aiuto ad uno dei due contendenti. Solo, la regola dice che questo non deve esser automatico, deve essere una libera scelta caso per caso.
Nel caso citato (Russia vs Ucraina) chissà se e quanti paesi europei avrebbero seguito la decisione americana di scendere in campo a fianco di Kiev se non forzati da principi di coerenza NATO nella quale non hanno alcun potere decisionale effettivo. E come avrebbe retroagito ciò sulla guerra? Uno schieramento meno forte avrebbe consigliato Kiev di arrivare alla pace subito dopo l’inizio del conflitto? O addirittura avrebbe consigliato Kiev e Washington di cercare si evitare la stessa occasione di conflitto a priori ovvero adoperarsi negli otto anni dopo Euromaidan o nei due tentativi di pacificazione portato avanti coi due Protocolli di Minsk (1 e 2), per trovare un accomodamento che allentasse le tensioni locali? Senza una logica NATO, lo stesso lungo movimento del suo allargamento in Europa a seguire il 1989-91, non ci sarebbe stato.
A livello di principi fondativi la nuova obbligata convivenza planetaria, ci sembra di poter dire che i cinesi si stanno ponendo con ampie possibilità di ottenere il riconoscimento mondiale di una leadership etico-morale con rilievi molto pragmatici. Gli Stati Uniti, al contrario, stanno sperperando a piene mani ogni loro capitale etico-morale accumulato nel Novecento. Gli europei, al momento, sono come i roditori artici detti lemmings, per quanto la storia che racconta che questi vadano soggetti a suicidi di massa pare sia stata del tutto inventata dalla Disney. La Disney è americana ed evidentemente a gli americani il principio di come governare il comportamento di masse decerebrate è ben noto.
In metafora, infatti, essa esplicita un caso per altro previsto delle stesse relazioni internazionali, il c.d. “bandwagoning” (effetto carrozzone alla base del principio NATO ed UE) ovvero l’effetto gregge, l’istinto conformista, l’”argumentum ad populum”, qualcuno con forti intenzioni che trascina tanti altri che hanno intenzioni deboli o non le hanno affatto o hanno paura ad averle e prendersene la responsabilità, meglio se dentro una già prevista alleanza formalizzata che per molti versi “obbliga” all’allineamento di molti anche quando deciso da pochi, anzi proprio perché deciso da pochi.
Per noi italiani, la separazione degli occidenti (europeo ed americano) o quantomeno il tornare a domandarsi seriamente quale sarebbe il nostro “interesse nazionale”, dovrebbe esser una priorità invece che avere governi che mandano navi da guerra nel Pacifico. I tedeschi, a quanto pare, cominciano a domandarselo. La civiltà che pensò la “Pace perpetua” di Kant potrebbe anche porre la domanda più generale se la NATO o forme di alleanza militare formalizzata, vadano escluse e vietate in via di principio a livello planetario.
sicuramente, Ennio…Condivido molte riflessioni di Pierluigi Fagan: in primo luogo il fatto che non esiste l’istinto collettivo della guerra e che, come individui saremmo, a parte eccezioni, pacifici. Se partecipiamo alle guerre, sostenute sempre da molte argomentazioni retoriche, è perchè trascinati collettivamente da patti politico economico militari in sfere di influenze perverse, dove spesso si perde il senso della realtà, arrivando a scelte suiciditarie…Anche il riferimento a come la sovrappopolazione del pianeta abbia ristretto lo spazio individuale a 7000 mq (se si pensa alle diseguaglianze, molto meno per l’individuo comune) e che questo fatto comporterebbe nuovi ‘regolamenti del condominio mondiale’, mi sembra ottimo ragionamento. Per cui, in effetti, a priori, prendere ad esempio la Cina come modello economico emergente per quanto riguarda il ‘non allinearsi’ militarmente prendendo parte ai giochi di potere tra superpotenze, mi sembra poter sperare di uscire dall’attuale situazione di guerra infinita, potenzialmente nucleare e distruttiva dell’umanità e del pianeta…Per il resto credo che comunque non sia possibile garantire una pace duratura senza quei valori, le nostre virtu’, che aiutano a tenere in equilibrio i rapporti umani secondo giustizia…
L’analisi di Fagan la posso condividere finché si sofferma sulla differenza tra Usa (Occidente) e Cina, non mi convince quando vuole tracciare un giudizio di valore (la visione della Cina avrebbe uno “statuto logico superiore” rispetto a quella dell’Occidente) né tanto meno quando ricerca le cause di questa differenza.
Fagan ha la capacità di spiegare con ordine certi meccanismi dell’agire cinese o della geopolitica mondiale che io non saprei cogliere con una simile chiarezza, ma quando afferma:
“Si può dire, credo, che il principio si basa su una volontà generale di stabilizzare pacificamente la trama delle relazioni interstatali a dimensione di un pianeta sempre più denso…. Il piano cinese invece, prima di entrare nella definizione di qualsivoglia contenuto, dice “a priori” comunque sia minimizziamo i rischi di guerra e conflitto, creiamo un comune ambito di pace. Trattandosi di “principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio, va da sé che specificare a monte una preferenza forte per la pace è di statuto logico superiore allo scendere in dettagli sulle forme valoriali delle singole civiltà che ovviamente differiscono e possono anche portare a contenziosi se non governate e soprattutto imposte”
penso che ci sia qualcosa che non torna.
Io non credo che la Cina voglia “a priori” [minimizzare] i rischi di guerra e conflitto, [creare] un comune ambito di pace.”
Non credo che ciò che fa la Cina si possa descrivere come voler portare ““principi” di civiltà quindi convivenza nello stesso spazio” caratterizzati dalla “preferenza forte per la pace”.
Sinceramente, non penso questo né potrei pensarlo per alcuno stato.
Di solito non faccio la parte del cinico, ma qui mi tocca dire che se la Cina pensa a minimizzare i conflitti mondiali io credo lo faccia per suo interesse, perché al momento può permetterselo (è un colosso commerciale, demografico ecc. come dice lo stesso Fagan), non per portare “principi di civiltà planetaria”.
L’idea di Fagan che “i cinesi si stanno ponendo con ampie possibilità di ottenere il riconoscimento mondiale di una leadership etico-morale con rilievi molto pragmatici” mi sembra dettata da giudizi di valore sull’etica cinese versus l’etica occidentale. Non sono queste considerazioni moralistiche?
Certo, per Fagan l’etica cinese è più funzionale alla sopravvivenza dell’intera umanità rispetto a quella occidentale, giudizio legittimo, e forse per certi versi vero, ma manca di dialettica. Io non ce la farei a dare un giudizio così netto senza “se e ma”. Mi sembra quasi ingenuo, questo giudizio. Proprio perché secondo me idealizza la visione cinese.
Per esempio, a livello logico, per come pone il discorso Fagan, io darei ragione all’Occidente: la pace non si può imporre a priori, non funziona così, la pace può esserci solo laddove c’è giustizia (sociale, economica ecc.), la pace è l’effetto di una serie di pre-condizioni, non la premessa, non un “a priori”. Minimizzare per principio ogni conflitto può voler dire legittimare e mettere a tacere le oppressioni in corso. Per cui la lotta occidentale per i diritti civili, la democrazia ecc. a livello teorico può portare alla pace, l’idea di minimizzare come premessa ogni conflitto no. La pace non è solo assenza di guerra.
Senonché, entrando nel merito, sappiamo bene come l’Occidente NON voglia portare diritti e democrazia per tutti ma solo in modo selettivo in base al proprio interesse ecc.
Per cui, ben venga il prendere in considerazione i tre principi proposti dalla Cina, ben venga la ricerca di un’etica planetaria sostenibile, ma da parte mia senza illusioni sui moventi della Cina. Prendere in considerazione in modo sempre molto vigile e dialettico, senza buttare via tutto del portato occidentale.
Non entro nel merito dell’analisi di Fagan. (Non ho il tempo per rifletterci.)
Ma obiezioni simili alle tue gli ha fatto sulla sua pagina FB anche Alberto Rizzi, da un cui commento copio questo brano:
[A. Rizzi] come si comporteranno questi Stati, pur desiderosi di un minor livello di guerra(?), coi loro cittadini. Perché vivere in uno Stato che si sbraccia per un maggior pragmatismo politico estero ed alleanze fluide, ma che mi toglie lo stipendio e mi blocca l’accesso ai miei conti correnti, se non mi metto a 90° davanti ai suoi diktat, non mi piace per nulla.
E proprio la Cina è all’avanguardia in ciò, con molti Stati occidentali “diversamente democratici” che la stanno seguendo su questa strada.
E io pure ho perplessità simili. Vi ho accennato in un commento sulla pagina FB di Alessandro Visalli:
Ennio Abate
“Nemmeno Limes saprà rispondere a tale domanda finché resterà ancorata al dogma liberista della presunta superiorità delle “società aperte” rispetto alle economie miste ad alto intervento pubblico (il punto è che si pensa ancora alla Cina come a una variante del modello sovietico, ignorando l’alto tasso di flessibilità che le riforme della fine dei Settanta hanno introdotto nel meccanismo della pianificazione socialista (7)). ” (Formenti)
Nessuna difesa della “superiorità delle “società aperte rispetto alle economie miste ad alto tasso d’intervento pubblico” ma restano i dubbi sul fatto che ” l’alto tasso di flessibilità che le riforme della fine dei Settanta hanno introdotto nel meccanismo della pianificazione” possa essere classificato come ‘socialista’.
•
Alessandro Visalli
Ennio Abate tutto dipende da cosa si chiama “socialista”. O meglio da che grado di purezza idealtipica si pretende dal socialismo (mentre magari si accetta, non è il tuo caso, qualunque cosa dalla ‘democrazia’). Comunque i dubbi sono del tutto leciti, ci mancherebbe. Io ho dubbi su tutto.
Ennio Abate
Alessandro Visalli E’ discorso complicato e si rischia di impantanarsi in sottigliezze da scolastica o vecchi clichè. E, tuttavia, tutta la riflesione che state facendo mi pare di grande interesse.
Sono andato, perciò, a rileggermi il saggio di Formenti, L’ENIGMA DEL “MIRACOLO” CINESE E LA NECESSITA’ DI RIDEFINIRE IL CONCETTO DI SOCIALISMO pubblicato sul suo blog il 29 ottobre 2023. E mi resta la sensazione che “l’abbandono dell’opposizione dicotomica fra formazioni sociali socialiste o non socialiste (di qui l’adozione del termine socialist oriented”, come lui scrive, rischi di portare a un eccessivo annacquamento del discorso. Per cui – sarò grossolano – forme di keynesismo (“il mercato stesso è plasmato in larga misura dallo Stato e la pianificazione non è morta ma si è fatta flessibile, articolandosi per settori e progetti”) vengono accreditate come socialiste o socialist oriented.
Né mi sentirei di dare troppo credito a chi mi dice che le economie socialiste “sono caratterizzate: a) dal fatto che il meccanismo dei prezzi di mercato e la legge del valore sono la forma prevalente di regolazione (almeno nel breve medio termine); b) dal fatto che il ruolo diretto e indiretto dello Stato e il suo controllo sull’economia sono qualitativamente e quantitativamente assai superiori rispetto ai Paesi capitalisti; c) dal fatto che il governo rivendica come obiettivo a lungo termine la realizzazione del socialismo”. (Il punto c) fa davvero sorridere: che ne diremmo di chi ci chiedesse di considerare democratici i nostri governi perché essi rivendicano di essere democratici)).
P.s.
Spero che queste obiezioni non siano solo fastidiose. Le faccio a te perché Formenti in passato mi ha bannato dalla sua pagina FB.
(https://www.facebook.com/alessandro.visalli.9/posts/pfbid02dyhq3ABei4J4jjJTe8qJDiP1cDxgJKnB7zkYLYbP91uijV3MiSxTRTfAqjhuU7hGl)
la pace cinese che sa silenziosamente inserirsi nei settori tecnologici, edilizi, commerciali… di ogni continente da una parte sorprende, quanto un po’ preoccupa. D’altra parte molto di piu’ spaventano le armi, ormai quasi fine a se stesse nei conflitti, delle guerre occidentali che provocano effetti rumorosissimi e sanguinosi…Secondo me, a mancare è la capacità di trattare, di scendere a compromessi, di preferire la giustizia sociale e la vita alla morte per l’Occidente competitivo e capitalistico sfrenato, mentre per la Cina il pragmatismo, pure capitalistico e armato, evita per ora un dialogo aperto e sottace sui valori, oltre alla pace dichiarata, alla base del proprio agire …Eppure se si potesse mettere in comune le nostre grandi tradizioni e il pensiero, occidentale e orientale, avremmo molto da imparare gli uni dagli altri…
Per cominciare l’Italia farebbe bene ad uscire dalla Nato, li’ nè dialogo nè valori nè pace, poi passo dopo passo…Duro compito per le nuove e future generazioni
Magnifico rimando di La Grassa al Caso!, se è impossibile leggere, oggi, direttive di azione e cambiamenti. Niente altro che conflitti a venire. Uh, che antico splendore del Fato, che aspettarsi, nell’impotenza, di apparizioni!
A proposito di comunismo….
AL VOLO
” Gli ideali dei poveri e degli angariati l’uomo-massa li sa a memoria. Idem l’uomo casta, che li elogia, li critica, e ogni tanto ci scrive sopra un libro. L’ideale ispira l’azione dei rivoluzionari troppo giovani o troppo vecchi, movimenta le filosofie dell’attesa, attribuisce un ruolo alle vite fuori corso o fuori contesto, giustifica gli stermini di nemici veri o presunti, non di rado li provoca. Insomma, l’ideale, sia sostantivo che aggettivo, è una bella parola”
( Dal romanzo incompiuto di Franco Tagliafierro, “L’ANTITRATTA”)
TRE APPUNTI SUL COMMENTO DI LORENZO [GALBIATI]
1.
una rivoluzione (violenta) comunista non è più realistica da decenni nei paesi industrializzati benestanti.
Quando mai le rivoluzioni sono “realistiche”? Vanno, semmai, contro le “realtà” preesistenti. Se poi si vuole parlare della possibilità che avvengano, che siano ‘realizzabili’ nei paesi industrializzati – (sul “benestanti” ci sarebbe da precisare…) – il fatto che nel Novecento non siano riuscite – (tentativo fallito degli spartachisti in Germania, biennio rosso in Italia) – non le rende impensabili o da escludere. In un futuro che non vediamo? Sì, in un futuro che non vediamo.
2.
Il comunismo può avere chance nei paesi poveri, sottoposti a colonizzazione o imperialismo, ma non in quelli ricchi – se non tramite riforme graduali verso il socialismo.
E’ visione eurocentrica o occidentalista. E limitata. Perché una rivoluzione non è mai opera solo dei “poveri” o degli “ultimi”. Vede la partecipazione più o meno teorizzata e coordinata (magari nel corso degli eventi ) di attori diversi e distribuiti in tutte le strutture – economiche, politiche, culturali – di una società.
3.
Non credo che il pensiero di Marx si possa ancora ritenere scientifico, ma evitando di soffermarmi su questioni nominalistiche, condivido in pieno l’idea lagrassiana di Marx come Galilei, come fondatore di un metodo che va corretto e aggiornato con l’evolversi della storia.
E perché mai non dovrebbe esserlo (magari in tutto o in parte o relativamente ad altri pensatori della sua epoca o di quelle precedenti o successive)? Semmai non scientifico negli stessi modi in cui usiamo il termine quando parliamo di fisica, biologia, ecc.
La questione – complicata e che ha visto in passato una contrapposizione forse troppo drastica proprio tra Gianfranco La Grassa e Costanzo Preve – sarebbe da approfondire, ma con la liquidazione di Marx e dei marxismi dal dibattito pubblico, dalle università e dagli ambienti imbevuti di cultura postmoderna appare oggi davvero bizantina e incomprensibile.
Appendice
Come esempio dell’aria (liberdemocratica) che oggi tira indico questo trovato stasera sulla pagina FB
La Frusta Letteraria – Alfio Squillaci
https://www.facebook.com/frustaletteraria/posts/pfbid031CwKbrsHx41UA4LpWsPw1GkuW1qasqoPq28XQF8bNb7Bc7uq6s6bMwJLEd27CAdql
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«A un vecchio compagno»
È il titolo che raccoglie le lettere di Aleksandr I. Herzen (da pronunciare Ghercen, spesso traslitterato in Herzen e adesso vedo anche Gercen) a Bakunin in cui Herzen che pure da giovane aveva con l’amico rivoluzionario, in una cornice di struggente idealismo romantico, giurato nella “Collina dei passeri” a Mosca, di liberare la Santa Russia dalla servitù morale ed economica in cui versava, prendeva le distanze dall’amico che in ogni aspetto della lotta occupava sempre la posizione più estrema. (Si vedano la bellissima prefazione e le note di Vittorio Strada, un altro intellettuale che lentamente e silenziosamente prese le distanze dal “Dio che ha fallito”). Libro che appartiene a epoche geologiche pregresse della mia vita intellettuale e che giace, insieme a “Compagni addio” del 1987 del mio concittadino Giampiero Mughini, nei piani alti della mia libreria pur avendo determinato in me una svolta, essa sì radicale, verso il moderatismo liberal- democratico alla Herzen. Ciò dico per quanto le idee politiche ricevano ancora (pochissimo devo dire) un investimento libidinale nel mio sistema intellettuale-emotivo: sono un uomo postumo dopotutto e vivo cerebralmente solo di inezie estetiche, di consolante e stordente bellettristica.
È davvero singolare riprendendo oggi in mano il volumone biografico di Michael Wreszin “A rebel in defense of tradition” su Dwight Macdonald scoprire che anche per Dwight la lettura di Herzen fu motivo di svolta e di abbandono del marxismo. Ciò potrà destare nessun interesse presso le coscienze dei più, ma nel mio mondo mentale, in cui le idee politiche ormai sbattono come le palline dei flipper d’antan, scoprire percorsi analoghi con un gigante delle Lettere come è per me Dwight è motivo di sorpresa e di piccolo conforto dopotutto.
Dwight da giovane fu un acceso trotzkista (leggesi innanzitutto “antistalinista”, è un piccolo alert per gli “stalinisti nell’anima” come il prof Canfora, amatissimo e rispettatissimo da molti proprio PER QUESTO), Dwight dicevo, aveva creduto profondamente nel potere delle idee, ma ora, in piena Guerra fredda, le sue idee politiche, incentrate sul socialismo, sul pacifismo e sull’anarco-individualismo, gli sembravano datate, inefficaci, persino pericolose. Come scriverà in seguito, <> Dwight era tormentato dalla necessità di formulare le sue idee, di spiegare ad amici, colleghi, compagni le dimensioni della sua disillusione. Il 19 maggio del 1949 tenne perciò una conferenza (talk) in cui dichiarò “Addio all’Utopia” e in cui spiegò i motivi della sua delusione e del suo revirement intellettuale.
Proprio un anno prima Dwight aveva pubblicato estratti da Aleksandr Herzen “Passato e Pensieri” libro in cui il russo rifiutava la “grande teoria”, ovvero il radicalismo rivoluzionario dell’amico Bakunin e quello di matrice tedesca (Marx) che vedeva da vicino essendo entrambi a Londra. In “My Past and present” curato da Dwight, nella introduzione alla selezione di questi scritti di Herzen, egli scrisse che gli uomini un secolo dopo erano nello stesso stato d’animo in cui si trovava Herzen dopo il fallimento della rivoluzione del 1848: <>.
L’allusione all’approccio sistemico va chiarita. Lo faccio con parole mie. Ciò che detesto ormai dal più profondo dell’anima è proprio questo: contrapporre un sistema mentale ad un altro, frontalmente, una “religione” all’altra. Musil diceva a tal proposito nel suo grande romanzo che <>. Ecco, contro questo approccio sistemico meglio quello selettivo, l’esprit de finesse direbbe Pascal che lo scontro frontale (l’esprit de géometrie) dove si finisce solo con lo sbattere una testa contro l’altra, rompendole entrambe.
Qui Dwight, il radicale, il cercatore, l’entusiasta, abbraccia la visione politica che diventerà di poi la “fine dell’ideologia”, momento che riguarderà tutti i “New York Intellectuals” che sono una legione (Anti-Stalinist Left: Mary McCarthy, Lionel Trilling, Daniel Bell, Edmund Wilson, Hannah Arendt, Irving Howe ecc). Ma non si unì a coloro che, appoggiarono lo “statu quo” e iniziarono a celebrare l’american way of life come il migliore dei mondi possibile. Tutt’altro, resterà in posizioni di sospetto e di fronda verso gli atteggiamenti più estatici e oltranzisti di conservatori o neocon (posizioni in cui confluiranno molti ex radicali come lui, cioè coloro che “left the left”) fino ad appoggiare la rivolta studentesca del ’68. Ma adesso in piena “Cold war” Dwight argomenta che se Marx è stato <>, Herzen è più attuale oggi: <>.
Ennio,
ti faccio notare che le tue obiezioni non mi pare contraddicano quel che ho scritto, lo precisano meglio (“realizzabile” al posto di “realistico”, la proiezione in un futuro oggi impensabile, il fatto che non sono solo i poveri a far la rivoluzione), lo contestualizzano meglio.
Non ho nessun problema ad accoglierle.
Sul punto tre, onde evitare che mi si attribuiscano intenzioni che non ho: dire che il marxismo non è scientifico per me non costituisce un modo per criticarlo o togliergli credito. Non conosco la disputa politica sulla sua scientificità o meno. Penso soltanto che è stato considerato scientifico in un tempo ormai remoto, quando anche il concetto di scienza (e di cosa sia scientifico) non è più quello, controverso, di oggi. Gli scienziati hanno parecchi problemi a circoscrivere il metodo scientifico: quello biologico e soprattutto evoluzionistico ed ecologico è molto diverso da quello matematico e fisico. Io mi attengo al dire che una affermazione è scientifica se può essere contraddetta – ma appunto non è facile confermare né smentire in termini empirici la biologia evoluzionistica, che ha un approccio storico-narrativo. Non a caso, matematici, fisici e genetisti non vanno d’accordo con evoluzionisti ed ecologi (io sono tra questi ultimi) su molte questioni dirimenti (nucleare, OGM, agricoltura biologica, a volte anche surriscaldamento globale e medicina). In conclusione, non avrei problemi a considerare il marxismo come scientifico, in senso lato, ma non è che sostenendolo il marxismo ci “guadagni”: vorrebbe dire che tutto quanto sostenuto da Marx è passibile di essere smentito dalle fondamenta – dal mio punto di vista.
Alfio Squillaci: se ricordo bene mi ha bannato dopo alcuni miei commenti critici su Palestina e Ucraina – lui è un fan del Marchesini filosionista.