6 pensieri su “CUORE DI TENEBRA CON PREMIO DI CONSOLAZIONE?”
SEGNALAZIONE
Pierluigi Fagan
TABULA RASA. Cosa fa una “altra-egemonia”? Assume la posizione dell’egemone, ma col proprio punto di vista, con la propria visione del mondo. C’è una NON sottile differenza tra l’invitare ad uscire dalla NATO e dall’UE e chiederne lo scioglimento ed è nel riferimento. Nel primo caso il riferimento rimane l’egemone, rispetto ad esso che è e rimarrà tale, si marca una distinzione, ma è una distinzione minoritaria per forza di cose, che non intacca la radice dell’egemone, per certi versi la rinforza prevedendone la continuazione di potere. Nel secondo caso, invece, il riferimento è direttamente il potere, ci si pone in forma competitiva con l’egemone per il potere, si avanza una idea di diverso potere o la posizione dell’egemone o la posizione altro-egemonica cha a questo punto perde la sua origine “contro” e diventa “per”. Per un nuovo assetto di potere.
Con quelle sincronie intellettive che promanano dagli invisibili movimenti dentro le immateriali immagini di mondo, pochi giorni fa, Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, ha invocato con grande tranquillità come fosse evidenza logica improcrastinabile, lo scioglimento dell’alleanza implicita con Israele e lo scioglimento della NATO. Forse Tarquinio candidato PD alle europee, originato in un partitino (DemoS) a suo tempo scisso dai tranquilli Popolari per l’Italia, è diventato un trinariciuto antimperialista? Non necessariamente.
Semplicemente ha preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere il dopoguerra saldato ampiamente il debito e con gli americani e con gli ebrei-israeliani. Quindi Tarquinio non ha chiesto all’Italia di uscire da certe alleanze, ha chiesto di sciogliere quelle alleanze.
Così l’articolo di Agamben da me postato e la cui posizione mi son sentito di far mia e così vedo per altri che si sono espressi qui e lì e non solo in Italia, non ha chiesto di uscire dall’euro e dalla UE in occasione delle ultime elezioni di questo week end, ha chiesto di sciogliere queste istituzioni, negargli il riconoscimento. Cominciando dal mandare a vuoto l’invito a votare
>>(ha votato poco meno del 50% in Italia e poco più in Europa)<<
poiché non partecipi ad una cosa che secondo te non dovrebbe esistere. Forse Agamben o io stesso, siamo diventati “sovranisti” stante che da Macron a Scholz in giù sono tutti sovranisti? Non necessariamente.
Semplicemente s’è preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere, anche qui, il dopoguerra che impose all’Europa di diventare in blocco un sub-sistema americano contrapposto all’URSS. La diade USA-UE andava forse bene nella guerra fredda anche perché Europa non era minimamente in grado di essere e fare alcunché di diverso. Fu questo allineamento a forzare il processo di ripristino della convivenza subcontinentale, vero una qualche forma prima di mercato comune e poi di “unione”, per quanto il termine stesso sia ambiguo. Ma quella storia è finita, ne è iniziata un’altra con la quale siamo fuori sincrono.
In quei decenni ogni stato convergeva verso la NATO che li riceveva passivamente, oggi è la NATO a decidere cosa, come, quando e perché fare una certa strategia e gli stati, in funzione del legame di alleati, debbono seguire. Il che porta, come rilevato dall’ineffabile Tarquinio, a trasformare una alleanza meramente difensiva che non ha sparato neanche un mortaretto per settantatré anni contro un nemico ideologico manifesto, in una alleanza offensiva contro un nemico neanche ideologico, un semplice competitor geopolitico da fase multipolare. Neanche un competitor degli europei che fino a poco tempo fa vedevano reti comuni da Lisbona a Vladivostok mentre scambiavano con reciproco profitto energia vs tecnologia, dei soli americani.
Viepiù se si stanno cambiando i termini dell’alleanza, come fanno gli israeliani trasformandosi nel popolo oggi meno amato delle Terra visto i crimini contro i livelli minimi di umanità reclamati dall’intero parterre delle Nazioni Unite o come fanno gli americani trasformando la NATO in una SuperLeague contro tutto il mondo che si ribella al lungo dominio occidentale volendo dedicarsi ad un proprio futuro di pacifico commercio à la Montesquieu, queste alleanze non possono ritenersi più valide. Come i contratti non sono più validi se si cambiano i termini pattuiti, l’oggetto stesso del patto.
A questo punto, una posizione altro-egemonica deve dichiarare di voler fare tabula rasa, azzerare alleanze, accordi, patti, trattati. Per? Si vedrà, prima si torna all’ora zero, poi si ricomincia a contare daccapo, su altre basi, con altri intenti, chiarendo bene i fini e le proporzioni di potere tra i contraenti nuovi patti. Mi sembra un buon punto da cui ripartire per cercare una strategia adattativa ad un mondo che sta cambiando molto profondamente e molto velocemente. Una posizione altro-egemonica deve dichiarare e pretendere la tabula rasa per poi avanzare una propria idea di come stare nel mondo nuovo. Sciogliere UE, euro e NATO, questo l'inizio delle costruzione di una posizione altro-egemonica. Bisogna cominciare ad aprire spazio per un nuovo pensiero politico.
La natura cataclismatica delle ultime elezioni europee, a livello sistemico quindi europeo, è palese: 1) affluenza di circa solo il 50% aventi diritto, molti paesi sono sotto questo requisito minimo (Germania e Belgio hanno raggiunto Austria e Malta che hanno sfondato l'età minima del voto a 16 anni, hanno avuto quindi nuovi votanti che hanno mantenuto un po' l'indice di partecipazione in quei paesi); 2) partito opposizione in Francia ottiene il doppio dei voti di quello di governo, fatto che porterà a nuove elezioni; 3) partito di opposizione in Germania che arriva allo stesso livello dei tre partiti di governo sommati, il che dovrebbe portare a nuove elezioni, le porti poi effettivamente o meno; 4) a seggi, i due partiti che perdono più vistosamente sono liberali e verdi, cuore del New Green Deal neoliberale; 5) c'è una marcata radicalizzazione sbilanciata verso conservatori e destre notoriamente neanche così entusiaste del format unionista e questo sembra essere l'unico tratto comune di un sistema che in comune non ha altro sul quale fondarsi. Tale situazione è strutturale ovvero non mostra caratteri contingenti, quindi inutile sperare si riequilibri.
Tra cinque mesi, un altro terremoto di qualche tipo investirà l’egemone primario ovvero quegli Stati Uniti d’America che stanno torcendo l’intero Occidente alla loro isteria da perdita di potenza effettiva sul mondo. Il sistema occidentale scricchiola vistosamente, crollerà sotto la pressione di eventi che si è fatto finta di non riconoscere, negando realtà e buonsenso, va posto il problema del dopo e chi lo fa prenderà un forte vantaggio egemonico.
L'UE è arrivata al capolinea della sua traiettoria storica, va sciolta.
(DA https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid02XP3Eempy8rDmTeJ8fR8D8mLmVgZooAJh5mLjbMTMJhzJSoNcLXQcYj4fWgBgeKmQl)
Belle queste raffinate analisi basate su una gran mole di dati!
Vogliamo sciogliere la UE? Benissimo, sono tutti d’accordo..a casa mia; gli altri non si sa perchè non emerge nè dal voto nè dal non voto.
Interessante anche l’isteria da perdita di potenza effettiva degli USA: siccome nessuno vede questa ‘perdita di potenza’ (anche se è diventata di moda in alcuni ambienti darlo per scontato, quasi parola d’ordine per entrare nel convivio segreto..), anzi quello che si manifesta è l’opposto: distruzione dell’alleato potenziale concorrente Europa, messa in stallo dell’oppositore storico prima ideologico poi energetico Russo, sganassone sotto la cintola con le sanzioni ai chip alla potenza (non imperialista) emergente Cina, del resto circondata da un centinaio di basi militari USA e alleate in piena forma. Quindi un imperialismo USA all’apice della forma, che si può permettere di altelenare senza scomporsi tra due presidenti diversamente dementi…
Ma i dati interessano sempre poco. anche perchè non fanno ridere, più spiritose le analisi junghiane del non detto e dell’invisibile.
E va detto che dopo queste elezioni di un poco di battute di spirito abbiamo proprio bisogno.
I conti elettorali veri, insegnavano una volta i maestri di politica e di giornalismo, vanno fatti sui voti assoluti, non sulle percentuali. Tanto più se le percentuali sono falsate dalla discesa libera del numero dei votanti. Esempio: Fdi vanta da due anni un 26,5% ottenuto alle politiche del 2022, ma tenendo conto dell’astensione quel valore equivale al 17% dell’intero corpo elettorale. Lo stesso vale adesso per le europee: le percentuali di tutti i partiti andrebbero ricalcolate, e scenderebbero di conseguenza, sulla base di quell’implacabile 50% di astenuti che continua a segnalare l’agonia della democrazia rappresentativa senza che nessuno se ne preoccupi granché.
A maggior ragione i conti cambierebbero se si avesse la pazienza di aspettare i valori assoluti invece di fare la gara a chi azzecca per primo le percentuali nelle maratone televisive. Perché poi, con i valori assoluti, arrivano le sorprese. Infatti, sorpresa! Guardando i valori assoluti si scopre che Giorgia Meloni detta Giorgia, nel frattempo proclamata urbi et orbi titolare di un salto dal 26,5 al 29% che proverebbe un aumento dei consensi rispetto al 2022, in realtà rispetto al 2022 di consensi ne ha persi seicentomila: Fdi passa infatti dai 7 milioni e 300.000 voti delle politiche ai 6 milioni e 704.000 delle europee. Idem per Forza Italia e Lega, che perdono 400.000 voti ciascuno. Aumentano invece di 250.000 voti il Pd, e di 500.000 AVS, mentre il M5S ne perde ben 2 milioni e 300.000. Non solo. Nel suo insieme, la coalizione di centrodestra mantiene ma non aumenta il suo bacino di voti, come del resto è avvenuto anche nel 2022 e avviene dal 1994 in poi, mentre la somma dei partiti d’opposizione sarebbe teoricamente superiore a quella della maggioranza di governo. Ma com’è noto il centrodestra si avvale da sempre di un vantaggio coalizionale su un centrosinistra perennemente diviso.
Questi dati non smentiscono, sia chiaro, l’egemonia politica e culturale che la destra può rivendicare oggi rispetto alla sinistra, ma ridimensionano l’entità numerica dell’”onda nera” che attraversa l’Italia. Così come andrebbe correttamente dimensionata – cosa tutt’altro che semplice data la disparità dei sistemi politici nazionali che convergono nelle elezioni europee – quella che attraversa l’intero continente.
Sul piano storico e simbolico l’avanzata delle destre più o meno radicali, soprattutto in Francia, Germania e Austria – ma la destra cresce anche in Bulgaria, Lussemburgo, Belgio e guadagna poco o nulla in Spagna, mentre l’Europa del Nord va in controtendenza e premia socialisti e Verdi – è un dato disperante che riporta le lancette della storia a un secolo fa, con la differenza che un secolo fa a contrastare il fascismo e il nazismo c’erano un socialismo e una socialdemocrazia forti della Rivoluzione russa del 1917, mentre oggi a contrastare sovranismi, nazionalismi, razzismi, tradizionalismi e autoritarismi di varie gradazioni ci sono sinistre pallide e riplasmate dal neoliberalismo e dall’abiura della propria tradizione. Se a questo si aggiungono gli effetti devastanti dell’onda nera sull’asse franco-tedesco fin qui pilastro dell’Unione, effetti che si sommano ai molteplici effetti disgreganti dell’Unione stessa indotti dalla guerra d’Ucraina, è evidente che la costruzione europea rischia un balzo all’indietro più che una battuta d’arresto, tanto più se i venti di guerra continueranno a spirare trasversalmente da destra e da sinistra.
L’allarme va dunque tenuto alto più di quanto lo farebbero suonare i dati elettorali nudi e crudi. Sul piano numerico, infatti, i danni dell’onda nera sembrano più contenuti. I due raggruppamenti di destra, Conservatori e riformisti (Meloni) e Identità e democrazia (Le Pen e Lega), guadagnano rispettivamente 4 e 9 seggi, ma l’attuale maggioranza tiene con i Popolari che guadagnano 10 seggi e malgrado i Socialisti e democratici ne perdano 4 e i liberali di Renew ne perdano ben 23. Formalmente dunque Ursula von der Leyen ha i numeri per puntare a un secondo mandato all’insegna di una continuità “pro-Europa, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto”, come lei la definisce. Ma in realtà si sa che i giochi sono già aperti per un allargamento o ai Verdi o alla destra di Conservatori e riformisti, cui i Socialisti hanno però opposto un “giammai”. È un quadro perfetto per i giochi di Giorgia Meloni ma aperto anche a quelli di Marine Le Pen, giacché sulla carta è possibile anche una maggioranza di centrodestra (Popolari, Liberali, Conservatori, Identità e democrazia), ancorché più risicata di quella attuale. Ma se anche la maggioranza attuale fosse confermata, è evidente che l’onda nera la condizionerebbe dall’esterno e sui contenuti (immigrazione, questione sociale, politiche di bilancio) molto più di quanto non sia già accaduto negli ultimi anni, tanto più che agli equilibri del parlamento di Strasburgo vanno aggiunti quelli del Consiglio europeo, già ben presidiato da destra da Meloni e Orbàn ma destinato a spostarsi ancor più a destra se Le Pen (da oggi ufficialmente sostenuta dai gollisti) vincerà le elezioni francesi indette repentinamente da Macron o se Scholz dovesse cedere lo scettro a un popolare.
Mai come oggi tuttavia il quadro elettorale non basta a fare luce sul quadro politico reale. Non solo per i tassi di astensionismo sempre più elevati in tutto il continente. Ma soprattutto perché resta forte l’impressione che le urne abbiano dato sì entità e contorno ai venti di destra, ma non abbiano né dissipato né profilato con maggior precisione i venti di guerra. Rimossa o evitata dalla campagna elettorale, la guerra – d’Ucraina soprattutto – resta rimossa e evitata nei commenti postelettorali. Nicola Fratoianni fa bene a sottolineare che l’asse guerrafondaio di Scholz e Macron è stato pesantemente penalizzato dal voto. Ma che dire del consenso riconfermato a Donald Tusk, quello che poche settimane fa ci ha informato che siamo in una fase prebellica da un paese come la Polonia, che nell’Europa di oggi (e per volontà degli Usa) conta più della Germania? E come interpretare il crollo dei Verdi a livello continentale e segnatamente in Germania: come un no alla transizione ecologica, o come uno schiaffo alla loro posizione ultra bellicista?
Tutto lascia presumere che malgrado i mal di pancia filo-putiniani della destra più radicale l’allineamento atlantista sull’escalation ucraina resterà quello che è almeno fino alle presidenziali americane, e che l’Europa continuerà a restare senza voce sul massacro di Gaza e sulla sempre possibile estensione del conflitto mediorientale. Curiosamente, e malgrado Giorgia Meloni, per una volta potrebbe essere proprio l’Italia a fare una qualche differenza. La lista di Santoro com’era prevedibile non ha raggiunto il quorum, ma abbiamo eletto candidati pacifisti nel Pd, in Avs e nel M5S, che si spera facciano sentire la loro voce a Strasburgo. Avs è la forza politica più premiata dal voto, non solo per la sacrosanta difesa dello Stato di diritto rappresentata dalla candidatura di Ilaria Salis, ma anche per il no all’invio delle armi in Ucraina, per il no all’Europa-fortezza rappresentato dalla candidatura di Mimmo Lucano, per un programma orientato al rilancio del welfare e dei diritti sociali e civili. Sarebbe l’abc di un rilancio della sinistra, se anche Elly Schlein, più sicura della propria leadership, cominciasse a osare di più di quanto non abbia saputo o potuto fare finora, disallineandosi dal mainstream atlantista. Il laboratorio politico italiano non dorme mai, come ben sappiamo. Dopo decenni di sperimentazioni a destra, chissà che non si rimetta a girare a sinistra.
“resta forte l’impressione che le urne abbiano dato sì entità e contorno ai venti di destra, ma non abbiano né dissipato né profilato con maggior precisione i venti di guerra. Rimossa o evitata dalla campagna elettorale, la guerra – d’Ucraina soprattutto – resta rimossa e evitata nei commenti postelettorali. Nicola Fratoianni fa bene a sottolineare che l’asse guerrafondaio di Scholz e Macron è stato pesantemente penalizzato dal voto. Ma che dire del consenso riconfermato a Donald Tusk, quello che poche settimane fa ci ha informato che siamo in una fase prebellica da un paese come la Polonia, che nell’Europa di oggi (e per volontà degli Usa) conta più della Germania?
E come interpretare il crollo dei Verdi a livello continentale e segnatamente in Germania: come un no alla transizione ecologica, o come uno schiaffo alla loro posizione ultra bellicista?”
Il consenso del polacco Tusk non è in contraddizione con il crollo di Scholz, Macron e dei verdi, penalizzati dalla loro politica avventurista (Macron) o atlantista/guerrafondaia ogni oltre limite di decenza per essere di sinistra (Scholz e Verdi). La Polonia è un paese dell’Est che vorrebbe una guerra aperta alla Russia. Per fortuna che a ovest non siamo ancora arrivati a quel livello di degradazione – ci siamo limitati a incamerare i paesi nazionalisti, tendenzialmente razzisti o xenofobi dell’Est nella UE, facendo in modo di autoboicottarci, dato che sono più fedeli agli Usa.
“La lista di Santoro com’era prevedibile non ha raggiunto il quorum, ma abbiamo eletto candidati pacifisti nel Pd, in Avs e nel M5S, che si spera facciano sentire la loro voce a Strasburgo. Avs è la forza politica più premiata dal voto, non solo per la sacrosanta difesa dello Stato di diritto rappresentata dalla candidatura di Ilaria Salis, ma anche per il no all’invio delle armi in Ucraina, per il no all’Europa-fortezza rappresentato dalla candidatura di Mimmo Lucano, per un programma orientato al rilancio del welfare e dei diritti sociali e civili.”
Direi troppo ottimista, Ida. Ricopio quel che ho scritto su facebook: Il caso Salis ha portato AVS a prendere a Milano i voti di Forza Italia, più o meno. Per cui, manovra notevole, efficace, quella di AVS. Fratoianni e Bonelli però non devono illudersi. Finito il caso Salis, e col ritorno di Potere al popolo, che ha fatto endorsement per AVS, il loro risultato perderà a mio parere almeno l’1,5-2%. Quindi vero fino a un certo punto che il successo sia dovuto al loro no alla guerra. In ogni caso, sommato AVS con Pace Terra Dignità, che ha avuto l’endorsement di Rifondazione Comunista, i partiti di sinistra che hanno fatto del No al supporto Nato alla guerra (Ucraina e Israele) il loro leit motiv, ottengono circa l’8,5%. Avrebbero ottenuto qualcosa di più senza la candidatura di Strada e Tarquinio nel Pd, che temo prima o poi si renderanno conto di aver fatto da “utili idioti”.
“Sarebbe l’abc di un rilancio della sinistra, se anche Elly Schlein, più sicura della propria leadership, cominciasse a osare di più di quanto non abbia saputo o potuto fare finora, disallineandosi dal mainstream atlantista. Il laboratorio politico italiano non dorme mai, come ben sappiamo. Dopo decenni di sperimentazioni a destra, chissà che non si rimetta a girare a sinistra.”
Qui più che ottimista, Dominijanni finisce nel wishful thinking. Basta pensare che la Schlein si trattenga, non sia capace di osare: il suo pensiero è quello, atlantista e bellicista. E si è dimostrata anche pronta a giocare la propria integrità morale candidandosi (cosa che ha scandalizzato Prodi) e servendosi di due pacifisti pur di raggranellare qualche voto in più da parte di chi non è allineato con il Pd.
Ma ogni nodo verrà al pettine.
Va bene segnalare che l’avanzata di destra estrema Francia/Germania – mettendo in scacco l’asse Macron/Scholz – potrebbe rallentare, forse e chissà per quanto, l’escalation iperatlantica: è una considerazione realistica. Va benissimo segnalare che l’avanzata dell’estrema destra è essa stessa una ricaduta del regime di guerra globale sicuramente prevedibile; è esatto segnalare che il regime di guerra sposti l’asse europeo verso destra/estrema destra, non la politica contingente della commissione ma proprio l’asse della costituzione materiale europea. E quindi non c’è modo di lottare contro le destre se non su una posizione di critica della guerra globale. E’ un pezzo fondamentale dell’analisi politica.
Ma stop qui. Le Pen e Adf sono le espressioni del peggio del peggio del regime di guerra, anche se possono rcuperare pezzetti di contestazione alla guerra usa. Ma che “qualunque” contestazione della guerra USA sia di per sé contestazione al regime di guerra è una malattia dello spirito e dell’analisi che si chiama campismo, e dell’elogio populista della “novità” francese ne farei anche a meno. Invece cose davvero nuove sono i segni di resistenza in Italia, nel buon voto a candidature schierate su antifascismo, diritti, migrazioni, pace. Cose davvero nuove sono la tenuta francesce di FI a partire dalla banlieu, la rapida discesa in piazza dell’attivismo a sperimentare subito e immediatamente “coalizione”, la ricerca immediata di un fronte popolare “in faccia al fascismo. Il voto alla destra non è nuovo, ma ampiamente previsto, e non è un voto “progressista” sbagliato , ma una roba reazionaria, che se si mette di lato all’accelerazione di questa guerra, è solo in attesa della guerra civile “dall’alto”.
Di questo impiccio politico del “sapere del governo” ne sa qualcosa la sinistra che sdoganata dopo il crollo del Muro di Berlino s’è trovata a dover dire o gestire cose che ignorava del tutto, l’economia, la finanza, la politica internazionale in base a conoscenze che non aveva se non nel dolce vagheggiare di astratte ideologie un tanto al chilo. Per questo hanno abbracciato il neoliberismo, non capivano proprio di cosa stessero parlando.
Va bene, delle destre sappiamo che piace meno green e meno africani, meno libertinaggio e meno tasse ok, ma questo non è un programma politico è una lista di desideri compulsivi.
Destre forti che però non si sa come vogliono governare stante che probabilmente non ne sono neanche capaci per mancanza di training e sinistre che stanno uguali ma sono senza forza alcuna. Al centro, si ripresenta il grande blob in grado di dire e fare tutto il suo contrario, in modalità “gestione provvisoria”.
Sarebbe il momento di fare dei progetti sul mondo, su come stare al mondo, su come prendere seriamente responsabilità per la nostra diffusa insipienza, mancanza di realismo, idee confuse scambiate per pezzi di realtà, ma chi ne è capace? Passata la vita in modalità destruens, chi sa più fare il costruens?
Meglio rassicurarsi, non è successo niente, andrà tutto come al solito. Cioè sempre peggio.
SEGNALAZIONE
Pierluigi Fagan
TABULA RASA. Cosa fa una “altra-egemonia”? Assume la posizione dell’egemone, ma col proprio punto di vista, con la propria visione del mondo. C’è una NON sottile differenza tra l’invitare ad uscire dalla NATO e dall’UE e chiederne lo scioglimento ed è nel riferimento. Nel primo caso il riferimento rimane l’egemone, rispetto ad esso che è e rimarrà tale, si marca una distinzione, ma è una distinzione minoritaria per forza di cose, che non intacca la radice dell’egemone, per certi versi la rinforza prevedendone la continuazione di potere. Nel secondo caso, invece, il riferimento è direttamente il potere, ci si pone in forma competitiva con l’egemone per il potere, si avanza una idea di diverso potere o la posizione dell’egemone o la posizione altro-egemonica cha a questo punto perde la sua origine “contro” e diventa “per”. Per un nuovo assetto di potere.
Con quelle sincronie intellettive che promanano dagli invisibili movimenti dentro le immateriali immagini di mondo, pochi giorni fa, Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, ha invocato con grande tranquillità come fosse evidenza logica improcrastinabile, lo scioglimento dell’alleanza implicita con Israele e lo scioglimento della NATO. Forse Tarquinio candidato PD alle europee, originato in un partitino (DemoS) a suo tempo scisso dai tranquilli Popolari per l’Italia, è diventato un trinariciuto antimperialista? Non necessariamente.
Semplicemente ha preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere il dopoguerra saldato ampiamente il debito e con gli americani e con gli ebrei-israeliani. Quindi Tarquinio non ha chiesto all’Italia di uscire da certe alleanze, ha chiesto di sciogliere quelle alleanze.
Così l’articolo di Agamben da me postato e la cui posizione mi son sentito di far mia e così vedo per altri che si sono espressi qui e lì e non solo in Italia, non ha chiesto di uscire dall’euro e dalla UE in occasione delle ultime elezioni di questo week end, ha chiesto di sciogliere queste istituzioni, negargli il riconoscimento. Cominciando dal mandare a vuoto l’invito a votare
>>(ha votato poco meno del 50% in Italia e poco più in Europa)<< poiché non partecipi ad una cosa che secondo te non dovrebbe esistere. Forse Agamben o io stesso, siamo diventati “sovranisti” stante che da Macron a Scholz in giù sono tutti sovranisti? Non necessariamente. Semplicemente s’è preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere, anche qui, il dopoguerra che impose all’Europa di diventare in blocco un sub-sistema americano contrapposto all’URSS. La diade USA-UE andava forse bene nella guerra fredda anche perché Europa non era minimamente in grado di essere e fare alcunché di diverso. Fu questo allineamento a forzare il processo di ripristino della convivenza subcontinentale, vero una qualche forma prima di mercato comune e poi di “unione”, per quanto il termine stesso sia ambiguo. Ma quella storia è finita, ne è iniziata un’altra con la quale siamo fuori sincrono. In quei decenni ogni stato convergeva verso la NATO che li riceveva passivamente, oggi è la NATO a decidere cosa, come, quando e perché fare una certa strategia e gli stati, in funzione del legame di alleati, debbono seguire. Il che porta, come rilevato dall’ineffabile Tarquinio, a trasformare una alleanza meramente difensiva che non ha sparato neanche un mortaretto per settantatré anni contro un nemico ideologico manifesto, in una alleanza offensiva contro un nemico neanche ideologico, un semplice competitor geopolitico da fase multipolare. Neanche un competitor degli europei che fino a poco tempo fa vedevano reti comuni da Lisbona a Vladivostok mentre scambiavano con reciproco profitto energia vs tecnologia, dei soli americani. Viepiù se si stanno cambiando i termini dell’alleanza, come fanno gli israeliani trasformandosi nel popolo oggi meno amato delle Terra visto i crimini contro i livelli minimi di umanità reclamati dall’intero parterre delle Nazioni Unite o come fanno gli americani trasformando la NATO in una SuperLeague contro tutto il mondo che si ribella al lungo dominio occidentale volendo dedicarsi ad un proprio futuro di pacifico commercio à la Montesquieu, queste alleanze non possono ritenersi più valide. Come i contratti non sono più validi se si cambiano i termini pattuiti, l’oggetto stesso del patto. A questo punto, una posizione altro-egemonica deve dichiarare di voler fare tabula rasa, azzerare alleanze, accordi, patti, trattati. Per? Si vedrà, prima si torna all’ora zero, poi si ricomincia a contare daccapo, su altre basi, con altri intenti, chiarendo bene i fini e le proporzioni di potere tra i contraenti nuovi patti. Mi sembra un buon punto da cui ripartire per cercare una strategia adattativa ad un mondo che sta cambiando molto profondamente e molto velocemente. Una posizione altro-egemonica deve dichiarare e pretendere la tabula rasa per poi avanzare una propria idea di come stare nel mondo nuovo. Sciogliere UE, euro e NATO, questo l'inizio delle costruzione di una posizione altro-egemonica. Bisogna cominciare ad aprire spazio per un nuovo pensiero politico. La natura cataclismatica delle ultime elezioni europee, a livello sistemico quindi europeo, è palese: 1) affluenza di circa solo il 50% aventi diritto, molti paesi sono sotto questo requisito minimo (Germania e Belgio hanno raggiunto Austria e Malta che hanno sfondato l'età minima del voto a 16 anni, hanno avuto quindi nuovi votanti che hanno mantenuto un po' l'indice di partecipazione in quei paesi); 2) partito opposizione in Francia ottiene il doppio dei voti di quello di governo, fatto che porterà a nuove elezioni; 3) partito di opposizione in Germania che arriva allo stesso livello dei tre partiti di governo sommati, il che dovrebbe portare a nuove elezioni, le porti poi effettivamente o meno; 4) a seggi, i due partiti che perdono più vistosamente sono liberali e verdi, cuore del New Green Deal neoliberale; 5) c'è una marcata radicalizzazione sbilanciata verso conservatori e destre notoriamente neanche così entusiaste del format unionista e questo sembra essere l'unico tratto comune di un sistema che in comune non ha altro sul quale fondarsi. Tale situazione è strutturale ovvero non mostra caratteri contingenti, quindi inutile sperare si riequilibri. Tra cinque mesi, un altro terremoto di qualche tipo investirà l’egemone primario ovvero quegli Stati Uniti d’America che stanno torcendo l’intero Occidente alla loro isteria da perdita di potenza effettiva sul mondo. Il sistema occidentale scricchiola vistosamente, crollerà sotto la pressione di eventi che si è fatto finta di non riconoscere, negando realtà e buonsenso, va posto il problema del dopo e chi lo fa prenderà un forte vantaggio egemonico. L'UE è arrivata al capolinea della sua traiettoria storica, va sciolta. (DA https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid02XP3Eempy8rDmTeJ8fR8D8mLmVgZooAJh5mLjbMTMJhzJSoNcLXQcYj4fWgBgeKmQl)
Belle queste raffinate analisi basate su una gran mole di dati!
Vogliamo sciogliere la UE? Benissimo, sono tutti d’accordo..a casa mia; gli altri non si sa perchè non emerge nè dal voto nè dal non voto.
Interessante anche l’isteria da perdita di potenza effettiva degli USA: siccome nessuno vede questa ‘perdita di potenza’ (anche se è diventata di moda in alcuni ambienti darlo per scontato, quasi parola d’ordine per entrare nel convivio segreto..), anzi quello che si manifesta è l’opposto: distruzione dell’alleato potenziale concorrente Europa, messa in stallo dell’oppositore storico prima ideologico poi energetico Russo, sganassone sotto la cintola con le sanzioni ai chip alla potenza (non imperialista) emergente Cina, del resto circondata da un centinaio di basi militari USA e alleate in piena forma. Quindi un imperialismo USA all’apice della forma, che si può permettere di altelenare senza scomporsi tra due presidenti diversamente dementi…
Ma i dati interessano sempre poco. anche perchè non fanno ridere, più spiritose le analisi junghiane del non detto e dell’invisibile.
E va detto che dopo queste elezioni di un poco di battute di spirito abbiamo proprio bisogno.
SEGNALAZONE
Ida Dominijanni
EUROPEE, LUCI NEL VENTO
I conti elettorali veri, insegnavano una volta i maestri di politica e di giornalismo, vanno fatti sui voti assoluti, non sulle percentuali. Tanto più se le percentuali sono falsate dalla discesa libera del numero dei votanti. Esempio: Fdi vanta da due anni un 26,5% ottenuto alle politiche del 2022, ma tenendo conto dell’astensione quel valore equivale al 17% dell’intero corpo elettorale. Lo stesso vale adesso per le europee: le percentuali di tutti i partiti andrebbero ricalcolate, e scenderebbero di conseguenza, sulla base di quell’implacabile 50% di astenuti che continua a segnalare l’agonia della democrazia rappresentativa senza che nessuno se ne preoccupi granché.
A maggior ragione i conti cambierebbero se si avesse la pazienza di aspettare i valori assoluti invece di fare la gara a chi azzecca per primo le percentuali nelle maratone televisive. Perché poi, con i valori assoluti, arrivano le sorprese. Infatti, sorpresa! Guardando i valori assoluti si scopre che Giorgia Meloni detta Giorgia, nel frattempo proclamata urbi et orbi titolare di un salto dal 26,5 al 29% che proverebbe un aumento dei consensi rispetto al 2022, in realtà rispetto al 2022 di consensi ne ha persi seicentomila: Fdi passa infatti dai 7 milioni e 300.000 voti delle politiche ai 6 milioni e 704.000 delle europee. Idem per Forza Italia e Lega, che perdono 400.000 voti ciascuno. Aumentano invece di 250.000 voti il Pd, e di 500.000 AVS, mentre il M5S ne perde ben 2 milioni e 300.000. Non solo. Nel suo insieme, la coalizione di centrodestra mantiene ma non aumenta il suo bacino di voti, come del resto è avvenuto anche nel 2022 e avviene dal 1994 in poi, mentre la somma dei partiti d’opposizione sarebbe teoricamente superiore a quella della maggioranza di governo. Ma com’è noto il centrodestra si avvale da sempre di un vantaggio coalizionale su un centrosinistra perennemente diviso.
Questi dati non smentiscono, sia chiaro, l’egemonia politica e culturale che la destra può rivendicare oggi rispetto alla sinistra, ma ridimensionano l’entità numerica dell’”onda nera” che attraversa l’Italia. Così come andrebbe correttamente dimensionata – cosa tutt’altro che semplice data la disparità dei sistemi politici nazionali che convergono nelle elezioni europee – quella che attraversa l’intero continente.
Sul piano storico e simbolico l’avanzata delle destre più o meno radicali, soprattutto in Francia, Germania e Austria – ma la destra cresce anche in Bulgaria, Lussemburgo, Belgio e guadagna poco o nulla in Spagna, mentre l’Europa del Nord va in controtendenza e premia socialisti e Verdi – è un dato disperante che riporta le lancette della storia a un secolo fa, con la differenza che un secolo fa a contrastare il fascismo e il nazismo c’erano un socialismo e una socialdemocrazia forti della Rivoluzione russa del 1917, mentre oggi a contrastare sovranismi, nazionalismi, razzismi, tradizionalismi e autoritarismi di varie gradazioni ci sono sinistre pallide e riplasmate dal neoliberalismo e dall’abiura della propria tradizione. Se a questo si aggiungono gli effetti devastanti dell’onda nera sull’asse franco-tedesco fin qui pilastro dell’Unione, effetti che si sommano ai molteplici effetti disgreganti dell’Unione stessa indotti dalla guerra d’Ucraina, è evidente che la costruzione europea rischia un balzo all’indietro più che una battuta d’arresto, tanto più se i venti di guerra continueranno a spirare trasversalmente da destra e da sinistra.
L’allarme va dunque tenuto alto più di quanto lo farebbero suonare i dati elettorali nudi e crudi. Sul piano numerico, infatti, i danni dell’onda nera sembrano più contenuti. I due raggruppamenti di destra, Conservatori e riformisti (Meloni) e Identità e democrazia (Le Pen e Lega), guadagnano rispettivamente 4 e 9 seggi, ma l’attuale maggioranza tiene con i Popolari che guadagnano 10 seggi e malgrado i Socialisti e democratici ne perdano 4 e i liberali di Renew ne perdano ben 23. Formalmente dunque Ursula von der Leyen ha i numeri per puntare a un secondo mandato all’insegna di una continuità “pro-Europa, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto”, come lei la definisce. Ma in realtà si sa che i giochi sono già aperti per un allargamento o ai Verdi o alla destra di Conservatori e riformisti, cui i Socialisti hanno però opposto un “giammai”. È un quadro perfetto per i giochi di Giorgia Meloni ma aperto anche a quelli di Marine Le Pen, giacché sulla carta è possibile anche una maggioranza di centrodestra (Popolari, Liberali, Conservatori, Identità e democrazia), ancorché più risicata di quella attuale. Ma se anche la maggioranza attuale fosse confermata, è evidente che l’onda nera la condizionerebbe dall’esterno e sui contenuti (immigrazione, questione sociale, politiche di bilancio) molto più di quanto non sia già accaduto negli ultimi anni, tanto più che agli equilibri del parlamento di Strasburgo vanno aggiunti quelli del Consiglio europeo, già ben presidiato da destra da Meloni e Orbàn ma destinato a spostarsi ancor più a destra se Le Pen (da oggi ufficialmente sostenuta dai gollisti) vincerà le elezioni francesi indette repentinamente da Macron o se Scholz dovesse cedere lo scettro a un popolare.
Mai come oggi tuttavia il quadro elettorale non basta a fare luce sul quadro politico reale. Non solo per i tassi di astensionismo sempre più elevati in tutto il continente. Ma soprattutto perché resta forte l’impressione che le urne abbiano dato sì entità e contorno ai venti di destra, ma non abbiano né dissipato né profilato con maggior precisione i venti di guerra. Rimossa o evitata dalla campagna elettorale, la guerra – d’Ucraina soprattutto – resta rimossa e evitata nei commenti postelettorali. Nicola Fratoianni fa bene a sottolineare che l’asse guerrafondaio di Scholz e Macron è stato pesantemente penalizzato dal voto. Ma che dire del consenso riconfermato a Donald Tusk, quello che poche settimane fa ci ha informato che siamo in una fase prebellica da un paese come la Polonia, che nell’Europa di oggi (e per volontà degli Usa) conta più della Germania? E come interpretare il crollo dei Verdi a livello continentale e segnatamente in Germania: come un no alla transizione ecologica, o come uno schiaffo alla loro posizione ultra bellicista?
Tutto lascia presumere che malgrado i mal di pancia filo-putiniani della destra più radicale l’allineamento atlantista sull’escalation ucraina resterà quello che è almeno fino alle presidenziali americane, e che l’Europa continuerà a restare senza voce sul massacro di Gaza e sulla sempre possibile estensione del conflitto mediorientale. Curiosamente, e malgrado Giorgia Meloni, per una volta potrebbe essere proprio l’Italia a fare una qualche differenza. La lista di Santoro com’era prevedibile non ha raggiunto il quorum, ma abbiamo eletto candidati pacifisti nel Pd, in Avs e nel M5S, che si spera facciano sentire la loro voce a Strasburgo. Avs è la forza politica più premiata dal voto, non solo per la sacrosanta difesa dello Stato di diritto rappresentata dalla candidatura di Ilaria Salis, ma anche per il no all’invio delle armi in Ucraina, per il no all’Europa-fortezza rappresentato dalla candidatura di Mimmo Lucano, per un programma orientato al rilancio del welfare e dei diritti sociali e civili. Sarebbe l’abc di un rilancio della sinistra, se anche Elly Schlein, più sicura della propria leadership, cominciasse a osare di più di quanto non abbia saputo o potuto fare finora, disallineandosi dal mainstream atlantista. Il laboratorio politico italiano non dorme mai, come ben sappiamo. Dopo decenni di sperimentazioni a destra, chissà che non si rimetta a girare a sinistra.
Scrive Dominijanni:
“resta forte l’impressione che le urne abbiano dato sì entità e contorno ai venti di destra, ma non abbiano né dissipato né profilato con maggior precisione i venti di guerra. Rimossa o evitata dalla campagna elettorale, la guerra – d’Ucraina soprattutto – resta rimossa e evitata nei commenti postelettorali. Nicola Fratoianni fa bene a sottolineare che l’asse guerrafondaio di Scholz e Macron è stato pesantemente penalizzato dal voto. Ma che dire del consenso riconfermato a Donald Tusk, quello che poche settimane fa ci ha informato che siamo in una fase prebellica da un paese come la Polonia, che nell’Europa di oggi (e per volontà degli Usa) conta più della Germania?
E come interpretare il crollo dei Verdi a livello continentale e segnatamente in Germania: come un no alla transizione ecologica, o come uno schiaffo alla loro posizione ultra bellicista?”
Il consenso del polacco Tusk non è in contraddizione con il crollo di Scholz, Macron e dei verdi, penalizzati dalla loro politica avventurista (Macron) o atlantista/guerrafondaia ogni oltre limite di decenza per essere di sinistra (Scholz e Verdi). La Polonia è un paese dell’Est che vorrebbe una guerra aperta alla Russia. Per fortuna che a ovest non siamo ancora arrivati a quel livello di degradazione – ci siamo limitati a incamerare i paesi nazionalisti, tendenzialmente razzisti o xenofobi dell’Est nella UE, facendo in modo di autoboicottarci, dato che sono più fedeli agli Usa.
“La lista di Santoro com’era prevedibile non ha raggiunto il quorum, ma abbiamo eletto candidati pacifisti nel Pd, in Avs e nel M5S, che si spera facciano sentire la loro voce a Strasburgo. Avs è la forza politica più premiata dal voto, non solo per la sacrosanta difesa dello Stato di diritto rappresentata dalla candidatura di Ilaria Salis, ma anche per il no all’invio delle armi in Ucraina, per il no all’Europa-fortezza rappresentato dalla candidatura di Mimmo Lucano, per un programma orientato al rilancio del welfare e dei diritti sociali e civili.”
Direi troppo ottimista, Ida. Ricopio quel che ho scritto su facebook: Il caso Salis ha portato AVS a prendere a Milano i voti di Forza Italia, più o meno. Per cui, manovra notevole, efficace, quella di AVS. Fratoianni e Bonelli però non devono illudersi. Finito il caso Salis, e col ritorno di Potere al popolo, che ha fatto endorsement per AVS, il loro risultato perderà a mio parere almeno l’1,5-2%. Quindi vero fino a un certo punto che il successo sia dovuto al loro no alla guerra. In ogni caso, sommato AVS con Pace Terra Dignità, che ha avuto l’endorsement di Rifondazione Comunista, i partiti di sinistra che hanno fatto del No al supporto Nato alla guerra (Ucraina e Israele) il loro leit motiv, ottengono circa l’8,5%. Avrebbero ottenuto qualcosa di più senza la candidatura di Strada e Tarquinio nel Pd, che temo prima o poi si renderanno conto di aver fatto da “utili idioti”.
“Sarebbe l’abc di un rilancio della sinistra, se anche Elly Schlein, più sicura della propria leadership, cominciasse a osare di più di quanto non abbia saputo o potuto fare finora, disallineandosi dal mainstream atlantista. Il laboratorio politico italiano non dorme mai, come ben sappiamo. Dopo decenni di sperimentazioni a destra, chissà che non si rimetta a girare a sinistra.”
Qui più che ottimista, Dominijanni finisce nel wishful thinking. Basta pensare che la Schlein si trattenga, non sia capace di osare: il suo pensiero è quello, atlantista e bellicista. E si è dimostrata anche pronta a giocare la propria integrità morale candidandosi (cosa che ha scandalizzato Prodi) e servendosi di due pacifisti pur di raggranellare qualche voto in più da parte di chi non è allineato con il Pd.
Ma ogni nodo verrà al pettine.
SEGNALAZONE
Giso Amendola
Va bene segnalare che l’avanzata di destra estrema Francia/Germania – mettendo in scacco l’asse Macron/Scholz – potrebbe rallentare, forse e chissà per quanto, l’escalation iperatlantica: è una considerazione realistica. Va benissimo segnalare che l’avanzata dell’estrema destra è essa stessa una ricaduta del regime di guerra globale sicuramente prevedibile; è esatto segnalare che il regime di guerra sposti l’asse europeo verso destra/estrema destra, non la politica contingente della commissione ma proprio l’asse della costituzione materiale europea. E quindi non c’è modo di lottare contro le destre se non su una posizione di critica della guerra globale. E’ un pezzo fondamentale dell’analisi politica.
Ma stop qui. Le Pen e Adf sono le espressioni del peggio del peggio del regime di guerra, anche se possono rcuperare pezzetti di contestazione alla guerra usa. Ma che “qualunque” contestazione della guerra USA sia di per sé contestazione al regime di guerra è una malattia dello spirito e dell’analisi che si chiama campismo, e dell’elogio populista della “novità” francese ne farei anche a meno. Invece cose davvero nuove sono i segni di resistenza in Italia, nel buon voto a candidature schierate su antifascismo, diritti, migrazioni, pace. Cose davvero nuove sono la tenuta francesce di FI a partire dalla banlieu, la rapida discesa in piazza dell’attivismo a sperimentare subito e immediatamente “coalizione”, la ricerca immediata di un fronte popolare “in faccia al fascismo. Il voto alla destra non è nuovo, ma ampiamente previsto, e non è un voto “progressista” sbagliato , ma una roba reazionaria, che se si mette di lato all’accelerazione di questa guerra, è solo in attesa della guerra civile “dall’alto”.
SEGNALAZIONE
Pierluigi Fagan
IL DRAMMA DEL PILOTA AUTOMATICO CON LE CURVE
https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid0y5sKf5tmREzjdkQYAHfc3wA5DWuK9pAqHV8QB4d96uUXtUpQ7pBo5Ncm7ApNaUmpl
Stralcio:
Di questo impiccio politico del “sapere del governo” ne sa qualcosa la sinistra che sdoganata dopo il crollo del Muro di Berlino s’è trovata a dover dire o gestire cose che ignorava del tutto, l’economia, la finanza, la politica internazionale in base a conoscenze che non aveva se non nel dolce vagheggiare di astratte ideologie un tanto al chilo. Per questo hanno abbracciato il neoliberismo, non capivano proprio di cosa stessero parlando.
Va bene, delle destre sappiamo che piace meno green e meno africani, meno libertinaggio e meno tasse ok, ma questo non è un programma politico è una lista di desideri compulsivi.
Destre forti che però non si sa come vogliono governare stante che probabilmente non ne sono neanche capaci per mancanza di training e sinistre che stanno uguali ma sono senza forza alcuna. Al centro, si ripresenta il grande blob in grado di dire e fare tutto il suo contrario, in modalità “gestione provvisoria”.
Sarebbe il momento di fare dei progetti sul mondo, su come stare al mondo, su come prendere seriamente responsabilità per la nostra diffusa insipienza, mancanza di realismo, idee confuse scambiate per pezzi di realtà, ma chi ne è capace? Passata la vita in modalità destruens, chi sa più fare il costruens?
Meglio rassicurarsi, non è successo niente, andrà tutto come al solito. Cioè sempre peggio.