di Roberto Bugliani
“La crisi del movimento operaio ha influenzato in maniera eccentrica la poesia italiana che ha poco discusso il chiudersi di un’epoca pur così ricca e intensa come quella segnata dalla lotta di classe. Tra le eccezioni figura l’esperienza di Gianfranco Ciabatti, sindacalista, quadro politico e autore di cinque raccolte poetiche” (Giuseppe Andrea Liberti, “Nel riflusso. Gianfranco Ciabatti tra poesia e critica politica”, abstract; 2002).
Sono trascorsi tre decenni dalla prematura scomparsa di Gianfranco Ciabatti. Questi trent’anni hanno pesato come il proverbiale masso di Sisifo sopra ogni ambito della realtà socio-politica e culturale italiana; in sostanza, essi hanno rappresentato un cruciale lasso di tempo nel corso del quale sono stati portati a termine processi di progettazione strutturale e di ri-configurazione capitalistica, processi le cui peculiari caratteristiche l’opposizione di classe (o quel che ne restava dopo il suo riflusso politico) non aveva saputo cogliere.
xxxxOra, se nella “presentazione” del primo volume di poesie di Ciabatti, Preavvisi al reo (1985), Romano Luperini riteneva “necessario partire dalla biografia” di Ciabatti per avviare una riflessione sul suo verso, e se Fortini, nella sua “Prefazione” a Niente di personale, scriveva degli “scorsi [siamo nel 1989] tre decenni”, durante i quali “Ciabatti è vissuto in un giusto e duro conflitto con la società e dunque in termini etici e politici”, questo medaglione artigianale su Gianfranco Ciabatti inizierà parlando invece, sia pure per sommi capi, di taluni dei principali lineamenti che hanno informato la fisionomia complessiva di questi trent’anni senza Gianfranco; lineamenti allora già in embrione, di cui Ciabatti sapeva leggere con lucida intelligenza politica i punti di forza e le aperte contraddizioni.
xxxxNel 1994 l’Italia si trovava sotto l’effetto devastante della serie di inchieste giudiziarie iniziate nel febbraio 1992 e mediaticamente raggruppate sotto il nome di ”Mani pulite”, le quali terremotarono tutti i partiti che avevano governato il paese per quasi cinquant’anni, ma che in quello specifico frangente storico si rivelavano inadatti alle nuove “attitudini” geopolitiche richieste dai temporamores in fase di monopolarismo; terremoto che, con l’”affare” Greganti, lambì soltanto il PDS, il fiducioso Partito democratico della sinistra sorto nel 1991 dalle disiecta membra del PCI a seguito della caduta del muro (già marcio da un pezzo) di Berlino e alla vigilia della dissoluzione (ufficiale) dell’URSS. Il 1994 è inoltre l’anno dell’entrata in politica di Silvio Berlusconi, che col raggruppamento politico di sua proprietà, “Forza Italia”, vinse le elezioni politiche ridimensionando le decennali aspirazioni a partito di governo del PCI-PDS, salvo poi, nel novembre dello stesso anno, il suo governo venire sfiduciato, oltreché dall’opposizione, dall’ex alleato: la Lega Nord di Bossi; sfiducia che aprì la strada al governo “tecnico” Dini, il secondo dei quattro governi “tecnici” avuti finora, la cui forza è consistita nell’operare al riparo dal processo elettorale, e per ciò di questo noncuranti. Per cui, se la nascita della c.d. Seconda Repubblica è avvenuta in modo piuttosto tumultuoso, non ritengo che sia a ciò estraneo il persistere tra i poteri dominanti di contrastanti vedute su quali fossero le forze politiche sulle quali contare, ossia quali le più adeguate a supportare l’Italia nel suo cammino verso la globalizzazione produttiva, commerciale e finanziaria.
xxxxNel cercare di rinvenire altri fil rouge componenti la trama di quel periodo-chiave che ha concorso a comporre l’odierna raffigurazione neoliberista del sistema-Italia, non va dimenticato che nel 1994 erano trascorsi quindici anni dall’adesione dell’Italia allo SME (Sistema monetario europeo, il padre dell’euro), adesione avvenuta per mutata volontà della DC, inizialmente contraria alla tempistica dell’adesione che si voleva “immediata”, di cui dà conto la Gazzetta ufficiale del 13 dicembre 1978 riportando il memorabile dibattito tenuto alla Camera dei deputati, nel corso del quale l’allora capogruppo del PCI, on. Giorgio Napolitano, pronunciò un discorso duramente critico sull’operazione SME che, pur facendo salvo l’impegno europeista del suo partito, denunciava gli aspetti decisamente negativi e le grosse limitazioni di politica economica posseduti dal nuovo sistema monetario che, mutatis mutandis, puntualmente si sono avverati in questi nostri decenni di moneta unica. Come, ad esempio, il fatto che lo SME avrebbe garantito “il paese a moneta più forte [i.e. la Germania], sospingendo l’Italia alla deflazione”, e che i “vincoli del sistema monetario quale è stato congegnato” avrebbero prodotto “effetti opposti” all’obiettivo d’un “più alto tasso di crescita”, col risultato di “mettere il ‘carro’ di un accordo monetario davanti ai ‘buoi’ di un accordo per le economie”.
xxxxMa non era soltanto il partito di Napolitano contrario allo SME qual era stato concepito in quel di Bruxelles, ma l’intero arco della sinistra parlamentare, da quella liberal-progressista a quella radicale, lo era: da Lucio Magri (“la scelta […] non è tra europeismo e chiusura nazionale, la scelta è se aderire a un certo sistema che per gli attuali rapporti di forze si presenta economicamente diretto dall’intesa tra Giscard d’Estaing e Schmidt”) a Massimo Gorla (con l’assunzione comune d’una moneta forte “la perdita di concorrenzialità […] si distribuirà tra tutti i paesi del sistema monetario europeo anziché gravare sulla sola Repubblica Federale Tedesca. Inoltre […] non va trascurato il fatto che i paesi con alti tasi d’inflazione perderanno concorrenzialità anche nei suoi [della RFT] confronti; cosa, questa, che oggi viene impedita dal movimento dei tassi di cambio”) a Luciana Castellina (“la scelta di aderire allo SME è destinata […] a incidere profondamente sul futuro del nostro paese ed in questo senso è scelta politica […] destinata a mutare gli equilibri stessi su cui si fonda la nostra democrazia”), tutta la sinistra aveva concorso a mettere in luce le forti criticità e la natura di classe dello SME nel comune rifiuto di aderirvi (va detto che il PCI, nella votazione finale, per considerazioni politiche sue proprie, si astenne assieme al PSI, ma non è questo il punto, il punto è la lucida analisi predittiva dell’intervento di Napolitano).
xxxxMai discorsi furono insieme tanto veementi e tanto dimenticati nel giro d’un pugno anni, allorché la moneta unica venne sdoganata in nome della vulgata che “l’euro è solo una moneta”, senza più considerare il fatto che proprio la scomparsa del “cambio flessibile” che l’adesione allo SME avrebbe comportato, era stata uno dei motivi di voto contrario del cartello elettorale della sinistra radicale (DP). Per cui, come ricorda Sergio Cesaratto, “l’adesione al sistema monetario europeo, lo SME, fu il segnale ai sindacati che la politica economica non avrebbe più accomodato il conflitto sulla distribuzione del reddito attraverso il tasso di cambio, in un percorso suicida con cui il paese “s’è legato le mani” prima di gettarsi in acqua” ( qui); e in tal modo la marcia di avvicinamento della “sinistra” a Maastricht poté seguitare senza che nessuno di quegli attori politici s’incaricasse di chiarire le ragioni di tale cambiamento epocale di rotta.
xxxxMa il 1994 è stato anche l’anno in cui s’è levato prorompente, e da un “buco di culo” (copyright Antonio Lobo Antunes) del mondo: lo stato messicano del Chiapas, uno degli stati più poveri e disattesi del Messico benché le materie prime di cui è ricco vadano ad alimentare la ricchezza delle classi dominanti messicane, il grido di “Ya basta!” (Adesso basta) lanciato dalle popolazioni indigene di etnia maya e risuonato mediaticamente nel mondo intero. Cosicché uno dei principali risultati ottenuti dall’insurrezione zapatista è di aver riportato sulla scena storica tanto messicana quanto mondiale un attore sociale altrimenti rimosso: il popolo indigeno.
xxxxQuel 1° gennaio 1994 il Messico era sul punto di festeggiare la sua entrata nel primo mondo dalla porta del Trattato di libero commercio tra Canada, Stati Uniti e Messico, i bicchieri erano in procinto di levarsi nel brindisi augurale quando l’insurrezione indigena chiapaneca guidata dall’EZLN (Esercito zapatista di liberazione nazionale) che in armi, con fucili funzionanti o, chi non li aveva, di legno, nel corso della notte aveva occupato quattro capoluoghi tra cui l’antica capitale San Cristòbal de Las Casas, entrò a gamba tesa nei festeggiamenti, rovinandoli. E dopo trent’anni (o cinquecentotrenta, come contano loro) di resistenza e di lotta contro l’”idra capitalista” (Marcos), gli zapatisti sono ancora lì, a governare e consolidare i territori da loro liberati durante l’insurrezione sfidando quotidianamente il Potere, in barba a tutte le finis historiae preconizzate dai vati del monopolarismo.
xxxx“Nelle terre zapatiste non comandano le multinazionali, né il FMI, né la Banca Mondiale, né l’imperialismo né l’impero, né i governi dell’uno o dell’altro segno. Qui le decisioni fondamentali sono prese dalla comunità. Non so come si chiami tutto ciò. Noi lo chiamiamo zapatismo” (Subcomandante Insorgente Marcos, “La velocità del sogno”; 2004).
Gianfranco Ciabatti, dunque.
xxxx“Nato a Ponsacco (Pisa), nel 1936, Gianfranco Ciabatti si è laureato in giurisprudenza nel 1959. Ha collaborato da prima con Danilo Dolci e successivamente è stato operaio in cantieri edili e insegnante nelle scuole medie. Dal 1969 è redattore presso una casa editrice fiorentina”. Così recita la sintetica nota bio-bibliografica dell’antologia einaudiana Nuovi poeti italiani (1980), nella quale figura una selezione di suoi testi poetici, dal 1960 al 1977.
xxxxSe in quella antologia Ciabatti veniva presentato al grosso pubblico en poète, a quella data però egli aveva già all’attivo una lunga e rigorosa attività di militante politico e di teorico marxista che lo portò nel 1965 a fondare, assieme a Romano Luperini, Franco Petroni e Carlo Alberto Madrignani, la rivista pisana Nuovo Impegno, divenuta in seguito l’organo teorico della Lega dei comunisti, e a intervenire puntualmente nel dibattito politico-culturale degli anni Sessanta e Settanta con articoli e scritti di taglio saggistico (quelli sul movimento sindacale italiano vennero accolti nel 1981 nella miscellanea feltrinelliana Lavoro scienza potere). Tappa successiva del suo impegno politico sempre attestato su più fronti e più prassi, fu la fondazione, assieme a un gruppo di intellettuali e ricercatori marxisti tra cui Gianfranco Pala e Carla Filosa, del bimestrale di netta ispirazione marxista la contraddizione, il cui primo numero uscì nel giugno-luglio 1987.
xxxxNel 1985 le edizioni Manni di Lecce hanno pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Preavvisi al reo, nella cui prefazione Romano Luperini – che in quella sede e altrove ha detto parole importanti sull’uomo-poeta-quadro politico Gianfranco Ciabatti -, ha definito quei versi d’“aspro sentenziare” e di “timbro illuministico” estranei “sia al filone della tradizione simbolista e postsimbolista, sia a quello dello sperimentalismo avanguardistico”, riconducendoli al “solco europeo” di “Brecht, Attila Jòzsef, Auden”, non senza aggiungere che la poesia dell’”isolato” Ciabatti “che tesse solo il filo della propria coerenza”, va a comporre il “romanzo esistenziale” di “uno degli autori più forti e originali della generazione che ha esordito intorno al ‘68”, e che essa, “in un momento come questo di facili riflussi e di compiaciute retoriche”, ha anche grande “valore culturale e politico: il valore d’una alternativa”.
xxxxQuattro anni dopo l’editore Sansoni darà alle stampe la raccolta Niente di personale prefata da Franco Fortini (“le sue [di Ciabatti] poesie nascono […] da una sovrabbondante e indignata energia di prosa. Le sue figure sono quelle della scansione epigrafica e della iterazione, ma più da orante che da oratore”), mentre l’anno prima, Ciabatti aveva dato affidato alle piccole “edizioni di contraddizione” le sue “non-poesie civili o refutabili 1959-1988”, inizialmente facenti parte della raccolta destinata a Sansoni, ma in seguito da lui estrapolate e riunite sotto il titolo Prima persona plurale; vicissitudine editoriale, questa, che renderà il libro del 1989 matrice di quello del 1988. Quindi, nel 1997, a cura di Sebastiano Timpanaro, sono uscite per i tipi della Città del Sole le poesie di taglio epigrammatico Abicì d’anteguerra, corredate da foto in b/n di personaggi politici dell’epoca e tratte dall’omonima rubrica che Ciabatti teneva nel periodico “la contraddizione”. Nel 1998, infine, Marsilio ha pubblicato In corpore viri, dove “la vile cosa che è il corpo”, ha osservato Giovanni Commare, diviene per Ciabatti “l’unico bene certo”, mentre sulla dialettica nobile vs ignobile già Fortini aveva rilevato che, anche “a correttivo d’una certa cadenza sacerdotale” del verso, la poetica di Ciabatti ha necessità di “far cozzare il nobile e l’ignobile”, ma siffatto scontro non avviene “fra il letterato e il colloquiale, bensì fra due livelli di linguaggio parimenti alti, quello che Brecht chiama ‘ignobile’, dell’economia politica e dei saperi tecnici, e quello ‘nobile’, e dunque schernevole degli arcaismi e dei latinismi”.
xxxxOra, se la veste en poète a Ciabatti andava stretta, l’”antilirismo” (Luperini) della sua poesia “in rotta con l’eredità della lingua alta” (Fortini) non ha mai trovato sbocco nella poesia-volantino (semmai i volantini a contenuto politico-sindacale lui li distribuiva) o nel verso-messaggio; del resto, come ha dichiarato Sebastiano Timpanaro nella “premessa” ad Abicì d’anteguerra “la poesia non è stata mai per Ciabatti mera invettiva” (il che non toglie che, come per Giovenale, anche per lui facit indignatio versus), ma è “nell’elaborazione stilistica la ragion d’essere dei suoi epigrammi”. Ciabatti sa bene che la poesia non è solamente comunicazione, che il grumo del suo dire non si scioglie nel ‘voler dire’, ma che in essa permane un residuo, un di più, un qualcosa di marginale e strutturale insieme, inesauribile nel, e di irriducibile al messaggio: fonosimbolismi, valori metrico-ritmici e semantici non mediati dalla grammatica.
xxxxA questo proposito, e a titolo esemplificativo, nella poesia Funzione della poesia (inclusa nel regesto sottostante), Ciabatti, con sottile ironia ‘dialettica’ e robusta vis polemica, denuncia come propria dell’ottica riduttiva del nemico di classe, la valutazione del testo poetico (“il canto”) unicamente in ragione del messaggio politico da esso veicolato: “quando si combatteva, le poesie / vergate dal pugnante / erano didascaliche, retoriche, propagandistiche”, delle “non-poesie”, insomma (termine che Ciabatti provocatoriamente assumerà nel sottotitolo che definisce la raccolta), mentre adesso, nella sconfitta del pugnante (e nella valutazione ideologica del nemico), “il guerriero, dalle riserve, / si dice mandi versi migliori” (c.n.). Cosicché la coppia di versi in chiusa, con tono icastico e beffardo, porta a compimento la diagnosi: “Saremmo apologetici se cantiamo vittorie / e solo da sconfitti ci gradiscono: autentici”
xxxxRiconoscere tuttavia l’alterità del linguaggio poetico, la sua collocazione altra rispetto a quella del linguaggio comunicativo di qualsivoglia natura, non significa accettare altresì l’alterità (sociale) del poeta. Contro “la collocazione eccentrica del poeta nei confronti del reale” Ciabatti ha condotto una “critica radicale”, ricorda Fabrizio Bagatti nell’”Introduzione” a Prima persona plurale. Critica radicale e incessante, perché l’auréole non è caduta una volta per tutte (1869) dalla testa del poeta, ma ha una spiccata propensione a riposizionarsi, generazione dopo generazione, in capo ai “poeti laureati”, ogni volta assumendo la forma più consona all’epoca data, compresa quella del c.d. “mandato sociale” dell’artista, che altro non è (stato) che il tentativo ‘democratico’ e post-moderno di recupero dell’auréole nella sua più piena autorevolezza.
xxxxDal punto di vista strettamente biografico non saprei dire quanto d’impulso istintivo o di carattere maturato nella prassi, di sfida e/o di meditata scelta intellettuale abbia consentito a Ciabatti di coniugare militanza politica, lavoro teorico e prassi poetica, ma so che la critica serrata di quell’io che la psicoanalisi vuole scisso e la letteratura novecentesca decentrato, congiuntamente al netto rifiuto di vestire i panni del soggetto lirico chiuso nei confini della propria individualità, hanno reso possibile al suo dire poetico di esprimersi nelle forme del “noi” collettivo e di classe, e al suo verso di aprirsi alla tensione dialettica modellata sull’universalità dei destini generali muovendo anche dalla dimensione epigrammatica di situazioni ed episodi di taglio spicciolo, di quotidiana conflittualità.
Propongo qui di seguito un piccolissimo regesto di poesie di Ciabatti, pur con la consapevolezza della difficoltà, se non dell’impossibilità, di dar conto con limitati exempla dell’opera poetica di un autore.
Da Preavvisi al reo (poesie 1958-1984) “OTRA COSA…” Se si va via, se si parte, senza piangere bisogna andarsene. Ci crescerà la barba, i denti la carie li scaverà, le mani s’enfieranno d’acqua putrida, ma presto sarà pietra di callo. Attenti, però: partire non è come scrivere un verso. Muratore Andar per aria. Mi è sempre piaciuto. Dai miei alberi di un tempo hanno segato tavoloni per i ponti dei cantieri. Ma c’è anche la terra, l’acqua marina, l’ombra e il sonno. Mi piace anche questo. La corsa sulla sabbia rassodata della battigia, il tuffo, la salita che regola il polso, il riposo nell’erba. Preavviso al reo La forza che ti serve nel momento decisivo è quella di chi è solo con la sua speranza di rimanere solo sempre più. I limiti che lo dividono dal resto del mondo hanno inizio laddove il suo fiato finisce. Tutto quanto li varca per venire a lui è l’assoluta dimenticanza. E quando la pena si sconta nel corso del sangue, ride tutto il difuori con la sua tremenda innocenza d’infante. Autodifesa a Romano Luperini Se è vero che siamo inumani non è solo perché trascurammo l’omaggio di un mazzo di rose, ma anche perché assolvendo la nostra parte d’obblighi non domandammo doni. Ci rinfaccia la nostra scortesia soltanto chi dimentica che nuda è l’aratura del dolore sui nostri campi dove anche il suo ferro come quello degli altri ha inciso il solco. L’inumanità nostra cacciò dai boschi l’uomo col peso del suo sapiens, attributo di pena che sconta la colpa della fame indifferente, la negligenza dei duri perché. Chi cerca garbati consensi rituali in noi, oppure compagni d’innocui trastulli, chiede poco alla pianta contorta del cuore che pretende per sé ogni nostra cura perché i frutti perdonino la sua ingratitudine. (ordine di necessità) Per l’ennesima volta trascrivi in pulito I superstrati delle correzioni, come se il lavoro manuale riscattasse la povertà della materia. Puoi dire, molto necessariamente, rosa alla rosa macchina alla macchina, finché viene in questione la stessa necessità della rosa, la stessa necessità della macchina, e vedi che la scelta decisiva non è fra l’uno o l’altro dei tuoi discorsi, ma fra l’una o l’altra delle loro premesse. Vigilia di guerra Nel posto che tiene è prelevato ognuno da un lampo impreveduto nei suoi occhi di bimbo innocente. Era dolce menare la vita sui verdi viali Sputando indifferenti nel fiume che trascorre Da un ponte all’altro, ignorando la foce. Come quando drappelli di danze rincasano nel freddo dell’alba e incredule ravvisano il silenzio che inatteso compare dietro un angolo lontano pedalando alacremente sul triciclo del pane. Alla sua compagna Il rischio non è che tu rompa con me. C’è il caso che tu te ne vada guardando la mia schiena diminuire lenta, e indietro tu ritorni per ripassare il limite che varcò il nostro amore. Più difficile è prendere con te gioia più ardente o più fredda coscienza e così provveduta lasciarti alle spalle quel limite che è il nostro amore, e me con lui. III. Conoscenza materialistica postuma 1. (agli amici putativi) Come siete buoni! Tollerate tutto, tollerate tutti, tranne quelli che non possono tollerare e a tollerare sono costretti. 2. (conoscenza materialistica postuma) Quando combatti, pensi di color che sbagliano: giorno verrà che anch’essi capiranno. Ma quando i fatti smisurati mostrano dei loro errori intera la misura, da erranti essi si mutano in furfanti, e allora tutto è chiaro: eri tu che non capivi, sei tu che ora capisci. 3. (epoca) I compagni hanno scoperto la poesia e della poesia la teoria fondabile su materiale incerto e segno inaccessibile. Dio, come siamo caduti in alto! 4. (agli amici putativi) Da una parte il potere. Dall’altra (si fa per dire) la magia, la demenza, il gioco, la pietà. Io non sto né di qui né di là. 5. (in via subordinata) Per voi niente è serio, per me è serio tutto, compreso il fatto che niente è serio. E ora, se potete, datemi un punto di contatto. 6. (ai tolleranti) Stando ai tolleranti, avere ragione non ha importanza. Si appagano del torto di tollerare la ragione dei potenti. 7. (et pour cause) Idearono il riflusso, cosicché prima sono rifluiti e poi sono confluiti. 8. (corso di perfezionamento) Solo ai buoni darai spiegazioni, soprattutto quando non le chiedono. Ai cattivi mai, specialmente se le chiedono. Allora soltanto potrai diventare il peggiore di tutti. 9. (ecco) Cosa vi ho dato? Niente. Che potere vantarvi di avermi regalato le più alte sofferenze. Ecco cosa vi ho dato. E che vi ho tolto? Molto. Io le ho prese e le ho scritte così com’erano e me ne sono liberato. Ecco cosa vi ho tolto. 10. (frammento di canzone razionale) Mi chiedono perché non mi rattristano le vostre offese. E’ tanto tempo che vi ho detto addio: è per questo che vi amo, mi rallegra la vostra compagnia. Da Prima persona plurale (1959-1988) Riti Prima o poi giungeranno a confondervi, citandovi davanti a un giudice imparziale. Sciameranno dai sordi pianori nei sussulti del sole col secco scroscio delle cavallette. La polvere scuotendo dai coperchi delle loro tombe riservate, memorandum segreti, carogne riesumeranno, che rovesciano il gioco delle colpe levando una babele di ragioni. Sciacca Si vive sotto la lama delle chiglie azzurre profumate di pesci marci? Dove il colpo sfugge di mano ai fanciulli. I grassi capelli del servo assassino. Sotto il volo indifferente dei gabbiani Sul filo teso del vento marino. Conato normativo Volgarità: concetto ausiliario nel difetto di epiteti apponibili alle variabili della perversità, ricorso d’emergenza per respingere merce che il nemico contrabbanda sotto il vuoto di un nome, criterio integrativo del bisogno negatore illetterato per riconoscere l’alimento di cattiva qualità. Bocca che sbava senza un abbozzo di motivazione, logorrea cristiana che risucchia liquido seminale in senso inverso, beccaio che commisera la bestia, e ne metta chi più ne ha della brigata esemplare. Intifada Noi, bastardi seguaci della scienza dialettica delle terrene guerre, chiedemmo molto, lo riconosciamo: che dietro i loro volti quindicenni la merce e le classi si mostreranno nel vero groviglio dirimibile delle colpe occultate dai simboli, la stella di Davide, la mezza luna, la croce, in filigrana del dollaro l’ordito dei vessilli. Ma loro, che senza saperlo Erano della dialettica corpi costitutivi, molto meno domandarono alla mansuetudine dei fedeli legittimi del nume oltremondano: solo che l’apparenza adolescente fosse riconosciuta come una realtà. II. Prima persona plurale Di necessità noi proletari virtù non si può fare: delle nostre virtù gli sfruttatori hanno già fatto necessità. Non siamo quei capaci produttori che siamo al solo fine di campare: che si campi è un altro risultato delle nostre abilità. La destrezza che incorpora nel pezzo finito il processo distinto d’ideazione non a torto la ascriverete alla coercizione: ma lo stato di schiavi salariati della nostra sagacia non è che una scoria. Alla nuda pazienza nostra non imputate la coazione dell’arbitrio vigente, ma i vincoli pure che lo impastoiano considerate come ordì lungamente la nostra tenacia. Siamo la classe che sa raddrizzare i rovesci. Sono oggi la nostra debolezza le virtù che preparano il domani dove saranno la nostra forza. Funzione della poesia Quando si combatteva, le poesie vergate dal pugnante erano didascaliche, retoriche, propagandistiche press’a poco, pur della rissa segnalando i dolori. E, se proprio dir vuoi, non-poesie. Ora, il guerriero, dalle riserve, si dice mandi versi migliori. Del vinto (che non sottoscrisse la resa) si apprezza meglio il canto, se non quanto le gioie postsalmodiate dei vecchi monaci ai vincitori. Saremmo apologetici se cantiamo vittorie E solo da sconfitti ci gradiscono: autentici. Da Niente di personale In morte di una compagna Dicono che non sia da nominare quanto non è comune a tutte le creature, ma piango il manto rosso che avvolge la tua bara mentre la poesia diserta pavida il canto, e fugge nell’universale che dalla nostra guerra la ripara. Sette parole postume di spiegazione Perché la distrazione ti urta con la folla, perché sono smarriti gli strumenti comuni dai destinatari dei loro benefici, perché le arti che a noi filano il filo delle vite vengono trasmesse per approssimazione, perché i nostri appartamenti sono disseminati di vestiti il cui cassetto a chi competa è dubbio ma a chi incombe è certo, scelsi la poesia per amore di precisione. Sicut in principio L’arte essendo una parte delle cose, è proprio all’arte quanto è proprio alle cose. E quello che è impossibile alle cose, è impossibile all’arte. Referenze in corpo 8 Attraverso la selva dei confronta, degli ibidem, dei vedi, delle interpolazioni, degli indici analitici, dei corsivi che levano nebbie alludenti, delle indebite appropriazioni di anteriore bellezza sanate dalle doppie virgolette che addensano di numeri l’impasto dei paragrafi e in calce l’occhialuta debolezza della vista rimandano, lungo le invalicabili distanze dei saggi critici fuggono i malfattori e si nascondono, e la vita non è mai stata così breve, e il tempo manca, e bisogna far presto a dire tutto. Celle d’isolamento Dati in balia degli alberi e del sole che nessuna mansione vi commettono, né ingiungendo si sollevano né rispondendo si rassicurano, abbandonati al vostro arbitrio che nulla vi elargisce e tutto di quanto è oscuro esige, vi dà il panico la vuota tenerezza dei regni creaturali, voi che il detenuto restringeste entro un castone cubico di buio ricavato nello sterminio della luce bianca dalle terrazze dei mediterranei, senza vangelo senza risonanza Declinando un’offerta di collaborazione Non ho con l’arte il tuo stesso rapporto. Te l’arte diverte, me deride. A yte dà di che vivere, a me ne toglie. Pensiero debole Ambizione delusa della debole mente non avere princìpi, dei quali ti è concesso il minimo di uno: a lui non puoi sfuggire. Non avere princìpi Chiàmalo impropriamente tendere omaggio a lui, principio dominante. Il materialismo incompiuto di Giacomo Leopardi L’anima umana, disse, desidera il piacere, unicamente. E come il desiderio è infinito, infinito è il piacere desiderato, e quello solo estingue con la morte infinita non questo con sorsi finti di vita la natura matrigna. Benigna, allora, da misericordia verso noi fatta, ci donò la virtù d’immaginare l’infinito e infinito il piacere e illusioni a saziare lui sitibondo. E misericordioso questo vano sorridere del mondo ai fanciulli, pertanto, illuminava l’anima e, più che ai conoscenti, agl’ignoranti. E proprio così disse, “l’uomo”, “l’anima”. E non vide, il poeta, il plurale indistinto dei corpi dominati, non vide il piacere, disceso da cieli impenetrabili, fermarsi a questa soglia, disperare di raggiungere una qualche soglia d’anima, oltre la piaga torpida del bisogno assordante, un qualche uomo che fosse meno che creatura. Nuove scoperte La scienza ha incontrato la bestia (verso lei procedendo da lungi sulle orme perdute davanti all’umana congrega, ma anche da amore sospinta del corpo di lei con il quale non ebbe commercio mentre ne vagheggiava la coscienza confusa nello stridulo coro delle babeli) accovacciata sopra i nutrimenti del suo sterco, la bestia che la scienza credeva soltanto capace d’ignorare, mentire. Di obliare. Da Abicì d’anteguerra (decifrazione in versi delle immagini del presente; 1987-19949) Omaggio a Bertolt Brecht Analisi Ehi, Bertolt, ricordi La tua sfida? “Parliamo dei rapporti di proprietà”. (Da allora anche la nostra letteratura è cresciuta in sogghigni sotto i baffi, di conserva con le analisi) E il punto resta quello, senza dubbio. Ma un fatto sopravvenne dipoi, che fa le analisi superflue con la sua misura nuda: sono, costoro, ridicoli e volgari. Centro studi confederale Il salario non è una variabile indipendente. Che significa, concretamente? Intendo che il salario non è libero di crescere a suo piacimento. E di diminuire? Questo sì, purché naturalmente lo faccia col sindacato. Ma da cosa dipende il salario? Il salario è soggetto alle leggi Economiche del sistema. E il sistema cos’è? La variabile indipendente, che altro? Nelle foto: (Vittorio Foa) Auspica il compiuto credendolo il daffare, non ricorda più ciò che accadrà, desidera che accada l’accaduto colui che non veniva dal futuro, colui che non andava nel passato. (Giulio Andreotti) Scossi dai palcoscenici di una sinistra assenza siamo caduti ai vertici di questa intelligenza. (Giovanni Agnelli e Carlo De Benedetti) Sono l’Uno, mi servono due scolte che guardino le opposte direzioni a evitare che l’Altro possa imboccarne alcuna. (Silvio Berlusconi) eppure non scrisse il terzo Faust, non seguitò la Nona Sinfonia, non aggiunse ritocchi a sistine figure, né alcun Rubicone varcò. Tuttavia si può non credere ai propri occhi? (Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov) Dove si mostra la democrazia giunta ai vertici delle cervici che diresti ugualmente dementi se tu ignorassi che inegualmente padrone e servo son colludenti. (Bill Clinton) Per postuma legittima difesa da pregresso attentato fallito fatuo assassino coregge all’estero il sondaggio sfavorevole in patria all’imbelle sessantottino pentito. (Boris Eltsin) L’esecuzione di Marx In tal caso è sospeso il loro habeas corpus. Il processo riprende dopo il terzo giudizio. Accertata la morte, si replica l’inizio. A ogni nuova condanna segue l’esecuzione dello stesso fantasma. Omaggio a Gianfranco Ciabatti (Gianfranco Ciabatti) Épitaphe animale caduco, per tutta la vita se la prese con l’assoluto accusandolo di non esistere.