Su Fortini docente

Per un buon uso della ricerca di Lorenzo Tommasini su Fortini insegnante

di Velio Abati

Quanti, tra i destinatari ideali – quelli reali sono altri studiosi universitari – dell’ampio lavoro di Lorenzo Tommasini su Fortini docente, ovvero gl’insegnanti delle scuole di vari gradi avranno notizia dell’ esistenza, l’opportunità e l’interesse di leggerlo? Grande sarebbe, al di là di ogni valutazione di merito dell’operato fortiniano, la ferita del divario tra ciò che viene descritto e la condizione quotidiana di chi insegnante lo è o sta diventandolo.
La brutalizzazione del lavoro prodotta dalla restaurazione del capitale nella forma che si suole chiamare neoliberista iniziata nei secondi Settanta del secolo scorso ha raggiunto accentuazioni progressive tali che neppure riusciamo più ad avere notizia di quanto accade nel comparto accanto al nostro, affannato ciascuno a sopravvivere alla corrente che lo trascina e sommerge. E di fronte alla rivolta dispersa che inevitabilmente questo grado di sfruttamento produce, come sempre accade, se le classi subalterne non riescono a imporre cambiamenti o almeno compromessi – il Ventinove del secolo scorso è buon maestro, per chi vuol vedere -, l’unico governo possibile è quello attuale della repressione crescente nelle odierne democrature, con diffuse venature di fascismo e nazismo storici.
Per rimanere alla scuola, i processi avanzati di espropriazione delle risorse pubbliche ai fini del profitto privato, sul versante degli studenti non solo ha aggravato la selezione di classe – con espressione pudica chiamata “abbandono scolastico” che capovolge l’effetto in causa -, non solo la scuola delle “competenze” e dei progetti ha corroso il che cosa della competenza per valorizzare la disponibilità a del futuro precario, indorata dai lustrini dell’innovazione continua di strumenti e metodi tecnologici, ma, non contenti, si è tornati, con il governo Meloni, alla separazione gentiliana tra licei e istituti tecnico-professionali – la legge approvata dovrebbe cominciare a entrare in vigore l’anno prossimo – ai quali studenti è di nuovo precluso l’accesso diretto all’Università, essendo loro graziosamente riservata la strada dell’ITS Accademy di due anni “integrati con esperienze a contatto con le aziende”. Sul versante degl’insegnanti, non solo si è simmetricamente svuotata la competenza e l’orario disciplinare – mi permetto di rinviare a uno studio sui manuali scolastici mio e di Maria Pia Betti, uscito proprio su questa rivista -, ma, tanto per far capire chi comanda, con Meloni è stato abolito il valore abilitante del concorso, trasformando il percorso per raggiungere il contratto a tempo indeterminato a un gioco dell’oca, cui comunque deve aggiungersi il balzello di ulteriore corso universitario a pagamento per conquistare gl’indispensabili Crediti Formativi Universitari.
Delle università, nel cui panorama sono proliferate le privatissime telematiche, mi limito a osservare che entrambe le ricerche accademiche su Fortini insegnante sono condotte da italiani che lavorano all’estero: Chiara Trebaiocchi, autrice di Reschooling Society. Pedagogia come forma di lotta nella vita e nell’opera di Franco Fortini, Pacini, Pisa 2024, che insegna ad Harvard e, appunto, il nostro Lorenzo Tommasini, le cui due pubblicazioni sono frutto del dottorato condotto a Losanna, all’interno di un progetto del Fondo Nazionale Svizzero intitolato Franco Fortini critico letterario e intellettuale europeo: studio e edizione delle raccolte critiche inedite e dell’epistolario.
In effetti, l’importante lavoro del ricercatore italiano approda a due pubblicazioni: Educazione e utopia. Franco Fortini docente a scuola e all’università, Quodlibet, Macerata 2023 e la successiva curatela Corsi universitari, Firenze University Press & USiena Press, 2024, trascrizione dei materiali preparatori delle lezioni universitarie (1971- 1986), conservati presso l’Archivio Franco Fortini della biblioteca umanistica dell’Università di Siena, dove si è svolta la sua intera attività accademica. Lavoro, quest’ultimo, certamente non meno importante del precedente, perché rende fruibili materiali ricchi di potenziali sviluppi intorno alla figura dell’intellettuale fiorentino. Il primo acquisto dello scavo di Tommasini è proprio su questo aspetto. Con Educazione e utopia abbiamo il contributo a riequilibrare la visione che di Fortini è andata prendendo forma nella ripresa degli studi a ridosso e successiva del centenario della nascita, 2017, molto caratterizzata dal rilievo posto sull’attività poetica., certo pour cause. Tommasini parte invece dall’assunto della centralità, non solo quantitativa, non solo professionale, dell’opera pedagogica, prima negl’istituti di scuola secondaria a Lecco e nel milanese (1964-71), poi universitaria “almeno fino al 1989”. Lo studio segue un andamento cronologico e poiché il critico parte dal precedente lavoro di Fortini presso l’Olivetti e dalla consulenza alla casa editrice Einaudi, insieme ai riferimenti alla collaborazione al “Politecnico” di Vittorini, il lettore si trova di fronte a una vera biografia intellettuale il cui effetto salutare è di restituirci la concretezza dell’intellettuale marxista.
Contemporaneamente, fa emergere l’ampiezza delle opere pedagogiche, anche se non sempre strettamente didattiche, che attraversano l’intera produzione intellettuale: dalle voci di enciclopedia, a opere rivolte a un pubblico di media cultura, come Profezie e realtà del nostro secolo (Laterza, 1965), o universitario, come I poeti del Novecento, sempre per Laterza (1976), fino al manuale per il biennio delle scuole superiori curato con Vegezzi nel 1969. La messa in parallelo cronologico di questa attività con la produzione poetica e soprattutto saggistica più nota di Fortini è già un elemento che avvalora l’assunto del saggio, secondo cui l’attività didattica e la mira pedagogica vanno studiate insieme con la più nota produzione saggistica e poetica. Intanto la ricerca mostra come per Fortini l’attività didattica non fosse un ‘secondo lavoro’. Le ore aggiuntive volontarie pomeridiane con gli studenti delle scuole, la generosità con cui seguiva la formazione degli allievi messe in evidenza da Tommasini ne sono una prova convincente. L’utilissimo ricorso alle testimonianze di allievi era già compiuto in anni lontani dallo stesso Ennio Abate, come documenta proprio “Poliscritture”, da cui è possibile scaricare il suo Se tu vorrai sapere… Testimonianze per Franco Fortini, del 1996 (https://www.poliscritture.it/2023/09/30/se-tu-vorrai-sapere/) e da poco proseguito con Allora comincerò… Franco Fortini nel ricordo dei suoi studenti, a cura di Lauretta D’Angelo, Paolo Massari e Lorenzo Pallini, postfazione di Donatello Santarone, Bordeaux, Roma 2024. Inoltre, i numerosi prelievi documentali mostrano in modo convincente che l’attività didattica non si è configurata come ‘zona di risulta’ dell’altra produzione considerata maggiore, ma che l’esperienza dell’insegnamento ha posto problemi trattati nella saggistica e che talvolta è stata anticipatrice di riflessioni poi maggiormente sviluppate. La figura che in questo modo ci troviamo davanti ci mostra in modo inequivocabile come le circostanze sociali e politiche in cui Fortini si è trovato a insegnare rendessero davvero possibile – al di là del valore dell’autore – la figura dell’insegnante intellettuale. L’accesso a quella possibilità storica, che il lavoro di Tommaisni indirettamente ci permette, apre a una riflessione ancora più importante della precedente, perché introduce a una certa organizzazione sociale, culturale e politica e a una certa organizzazione e idea della scuola davvero non più comunicabili con l’odierna realtà dell’una e dell’altra. La causa e l’ampiezza della frattura tra i due periodi dà la misura della profondità della restaurazione compiuta dall’odierno capitale della finanzia e delle piattaforme informatiche. Lavori come questo di cui trattiamo fanno sentire quanto sarebbe utile, ai fini di una storia del ceto intellettuale, della scuola e della società, uno studio che indagasse sul rapporto tra intellettuali e istituzioni dell’istruzione nel Novecento.
All’ipotetico insegnante che leggesse lo studio di Tommasini e gli altri intorno al medesimo tema, consiglierei di fuggire dalla tentazione dell’agiografia sempre possibile quando si ricostruisca la figura di un intellettuale o, ancor più, quando le testimonianze siano di suoi ex studenti. Certo si deve lasciar cadere quanto discende dallo stile dell’uomo, dai suoi vezzi e tic, ma neppure possono esser ripetute le determinate strategie pedagogiche, proprio per quanto ho appena detto. Ciò che davvero conta per noi, e non solo ora, non solo qui, è la grammatica che ha presieduto all’azione pedagogica di Fortini. Mi limito a due elementi. La necessità di questa in Fortini non è un tratto caratteriale oppure etico, è l’altra faccia – scolastica o no – di chi sia arrivato alla conclusione della necessità di cambiare lo stato di cose presente, tanto più se, come nel caso di Fortini, si muove in un’ottica marxista. Perché il cambiamento non può non essere un movimento collettivo, che solo con lo schiarimento reciproco può nascere e nutrirsi. Solamente chi si affida o si vende ai dominanti può fare a meno di una consapevole ed esplicita azione pedagogica.
Il secondo elemento è l’ipotesi orientante della civiltà intesa come totalità. Solamente un’azione intellettuale costantemente volta a indagare le relazioni reciproche dei fenomeni sociali, economici, culturali, politici, dei singoli e della collettività permette di avvicinarci alle cause delle manifestazioni particolari e solo l’orizzonte di una nuova totalità dove “l’uomo sia di aiuto all’uomo”, per dirla con Brecht, rende possibile mettere in moto le speranze, le energie morali e intellettuali collettive capaci di approntare i mezzi per renderla reale.

Nota
La foto è ripresa da il manifesto di oggi 3 ottobre 2024

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