Ritratto di Romano Luperini da giovane

di Giuseppe Muraca

Questo ritratto fa parte di un testo più ampio scritto nel 2011 e ora rivisto, che riguarda l’attività e l’opera dello studioso lucchese

Nel 2010 Romano Luperini ha lasciato l’università per raggiunti limiti di età; i suoi amici e i suoi allievi gli hanno dedicato un grosso volume curato da uno dei suoi più stretti collaboratori, Pietro Cataldi (Per Romano Luperini, Palumbo, Palermo 2010), con saggi dedicati a momenti della sua lunga attività politica e letteraria e a vari autori della letteratura italiana su cui lui ha esercitato la sua attività di studioso, trascurando però quasi del tutto la sua fase giovanile, su cui si sofferma solo Giuseppe Corlito nel suo saggio su «Nuovo impegno» e la questione degli intellettuali. Il libro contiene anche una bibliografia molto utile e abbastanza esaustiva. Quindi, questa mi è parsa l’occasione giusta per effettuare un bilancio della sua prima attività di politico e di studioso letterario completamente trascurata dalla critica.

Nato a Lucca nel 1940, Romano Luperini compì la sua formazione tra la metà degli anni cinquanta e la prima metà del decennio successivo, tra boom economico, avvento del centro-sinistra, della società di massa e della coesistenza pacifica, cioè in un periodo in cui incominciavano a nascere i primi fermenti del rinnovamento politico e culturale da cui nacquero le culture della nuova sinistra, il marxismo critico e il ’68.

Padre maestro elementare, partigiano in Jugoslavia e di fede socialista, e madre casalinga, Luperini frequentò il Ginnasio a Pontedera e il Liceo classico a Pisa, viaggiando in treno dalla cittadina della Piaggio dove risiedeva con la famiglia. Il suo esordio risale alla fine degli anni cinquanta. Infatti, nell’estate del 1959 con alcuni compagni di scuola fondò il giornalino «Voci di giovani» e cercò di promuovere la rinascita del Circolo culturale giovanile fondato da Giancarlo Ferretti che da qualche anno si era trasferito a Milano. Proprio in quel periodo conobbe il poeta Gianfranco Ciabatti con cui si legò da profonda amicizia. Nello stesso anno si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa. I giovani di Pontedera promossero varie iniziative politiche e culturali: dibattiti, proiezioni di film e inchieste sociali ed entrarono in contatto con Roberto Roversi, Paolo Volponi e il gruppo bolognese di «Officina». Luperini mosse così i primi passi nel campo dell’attività culturale: scrisse di politica, di questioni sociali e di letteratura e già i suoi primi tentativi giornalistici denotano in lui un certo grado di spregiudicatezza e di volontà di cambiamento. Tra l’altro, un’inchiesta sulle organizzazioni neofasciste di Pisa e provincia, pubblicata sulla rivista «La voce dei maestri», fondata e pubblicata dal padre, allora sindacalista della scuola, procurò a Luperini minacce di morte. Alla fine degli anni cinquanta collaborò anche alla rivista «Il Paradosso» e alla fiorentina «Quaderni della crisi», d’indirizzo federalista ed europeista cui Luperini per un certo periodo si avvicina. All’università conobbe Luigi Russo e frequentò le sue lezioni, accarezzando l’idea di preparare con lui la tesi su Giovanni Verga. In seguito alla sua morte egli familiarizzò con Silvio Guarnieri che venne chiamato all’Università di Pisa per insegnare Letteratura italiana moderna e contemporanea proprio dal Russo. Fu un incontro decisivo. Su consiglio del Guarnieri compì infatti le prime letture fondamentali per la sua formazione culturale e politica: Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, Mimesis di Auerbach (che contribuirono a rafforzare la sua vocazione alla critica letteraria e a indirizzarla in senso materialistico) e le prime opere di Marx ed Engels.

Nel grigiore culturale dell’ambiente”, scriverà più tardi Luperini, “che si accentuò dopo la morte di Russo, la semplice presenza di una disciplina più attuale e meno accademica bastò ad interessare i giovani più svegli e intraprendenti. Guarnieri, poi, aveva, ai miei occhi due qualità che mi attiravano: si proclamava marxista in un ambiente che aveva in forte sospetto il marxismo, e aveva una notevole spregiudicatezza intellettuale, che lo induceva a dare giudizi drasticamente negativi su alcuni degli scrittori che pure allora andavano per la maggiore (come Cassola, Bassani, Tomasi di Lampedusa, Moravia), ai quali contrapponeva i “suoi” autori, (che poi, a vero dire, sono in effetti i maggiori del secolo): Palazzeschi, Montale, Svevo, Gadda. In realtà, il suo marxismo era una forma di storicismo e di moralismo intransigente, e tuttavia bastava a distinguerlo, a renderlo vicino al nostro ingenuo radicalismo1 .

Infatti Guarnieri fu per un certo periodo per Luperini e per molti studenti un maestro e un amico, un fondamentale punto di riferimento, i cui stimoli lo indussero ad allontanarlo dalle generiche simpatie per il PSI e a farlo misurare con la politica culturale del PCI. Grazie al suo interessamento Luperini collaborò a «Il Contemporaneo» su cui recensì La vita agra di Luciano Bianciardi e Il venerabile Orango di Antonielli. Tra il 1960 e il 1963 egli diresse anche il supplemento letterario domenicale de «Il corriere di Lodi» (intitolato «La voce dell’Adda»), un incarico ricevuto per l’interessamento del direttore di «Quaderni di crisi», Gianfranco Draghi. Durante l’ultimo anno di università conobbe Franco Petroni, che insieme a Gianfranco Ciabatti divenne l’amico di una vita intera. Avverso al centro-sinistra, cominciò a seguire l’attività delle riviste del marxismo critico: «Quaderni rossi», «Rendiconti», «Quaderni piacentini», «Giovane critica» e «Classe operaia» che avevano iniziato a gettare le basi di una nuova cultura e di un nuovo pensiero marxista. Nel febbraio del 1964 si laureò, appunto, con Silvio Guarnieri con una tesi intitolata Fra romantici e decadenti: il verismo e la testimonianza di Giovanni Verga, poi rielaborata e pubblicata nel 1968. Intanto da qualche mese aveva iniziato ad insegnare. Il 21 agosto, giorno dei funerali di Togliatti, lui e Ciabatti furono invitati da Guarnieri a una tavolata in Versilia dove conobbero Franco Fortini, ricevendone una forte impressione e con cui iniziarono un intenso confronto che durerà sino alla morte del poeta fiorentino. Questo avvenimento rappresentò una vera e propria svolta nella loro vita, perché tramite Fortini ebbero la possibilità di entrare in contatto con un retroterra teorico e culturale di straordinaria importanza. In questo modo ebbe inizio per Luperini e i suoi amici un periodo di incontri e di letture importanti e decisive, di appassionate discussioni e di fondamentali esperienze culturali e politiche. Proprio a metà degli anni sessanta uscirono quattro libri che influenzarono profondamente la formazione di Luperini e dei suoi amici: Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa, Classicismo e illuminismo nell’ottocento italiano di Sebastiano Timpanaro, Verifica dei poteri e Profezie e realtà del nostro secolo di Franco Fortini, letti e discussi in gruppo, molto importanti per quella generazione di intellettuali marxisti, che contribuirono ad avviare una nuova fase di ricerche, a rinnovare profondamente la cultura marxista italiana e gli strumenti della critica letteraria sulla base di una visione antistoricistica della storia, di un nuovo rapporto dialettico tra teoria e prassi, tra politica e cultura, tra intellettuali e società. Alla fine del 1965 Luperini, Ciabatti e Petroni fondarono la rivista «Nuovo impegno» che diventerà ben presto uno dei periodici e dei laboratori politico-culturali più importanti della Nuova sinistra. Come ha scritto Giampaolo Borghello,

C’è ricorrente nei primi saggi della rivista pisana il senso di un punto zero da cui partire, la netta sensazione che una stagione (storica e ideologica) è finita, che è necessario confrontarsi con una realtà politica e culturale nuova, diversa, più complessa […] rispetto all’immediato dopoguerra e agli anni cinquanta, […] tanto che le vecchie certezze e i tradizionali canoni di interpretazione appaiono di giorno in giorno sempre meno in grado di comprendere e spiegare le nuove trasformazioni2 .

Per cui alla necessità e all’esigenza di mettere tutto in discussione viene coniugata la ricerca di nuovi strumenti di analisi e di interpretazione della realtà, di una cultura antagonista e di un marxismo che recuperi la prospettiva rivoluzionaria, in netta contrapposizione alla visione evoluzionistica e storicistica della storia che è tipica del marxismo ufficiale, un nuovo rapporto fra letteratura e politica. Come viene spiegato dallo stesso Luperini, “È arrivato il momento di recuperare le autentiche esigenze del ’45, di preparare una nuova letteratura di opposizione”3 .

Con la rivista «Nuovo impegno» Luperini e i suoi amici s’inserirono subito nel dibattito letterario e politico di quel periodo, contrassegnato da un grande spirito di rinnovamento ideale e politico. Infatti, ciò che ispirava sin dall’inizio la loro attività è una volontà di rottura culturale e politica. Ciò nasceva dalla consapevolezza che la cultura della vecchia sinistra era ormai integrata nel sistema e che era necessario costruire una nuova cultura rivoluzionaria e una nuova teoria marxista, assegnare all’intellettuale radicale una nuova funzione. In effetti, senza voler sminuire l’importanza del suo apprendistato, il periodo più importante dell’attività intellettuale di Luperini iniziò proprio con la fondazione di questa rivista. Intanto, egli aveva iniziato a collaborare alla rivista veneziana «La città», diretta da Marcello Pirro – su cui ha pubblicato una serie di saggi su Vittorio Sereni, la rivista «La Voce» di Prezzolini e Jahier – grazie al quale conobbe il pittore Vespignani e Leonardo Sciascia. Di quel periodo è anche la fondamentale lettura di opere di Lukács, Della Volpe, Brecht, Adorno, Benjamin, Marcuse e Gramsci che contribuiranno ad orientarlo teoricamente e politicamente. Nel 1965 si sposò e si iscrisse al PCI, anche se in precedenza aveva votato PSI, senza però grande convinzione. In quel periodo conobbe a Pisa e frequentò altri due intellettuali di eccezione: Luciano Della Mea e Sebastiano Timpanaro. Il primo era rientrato da Milano nel ’62, dopo aver maturato una serie di esperienze al fianco di Franco Fortini, Gianni Bosio e Raniero Panzieri; il secondo di lì a poco inizierà a collaborare ai «Quaderni Piacentini» con alcuni dei suoi saggi sul materialismo che susciteranno un vasto interesse. Un’altra conoscenza importante di quel periodo fu quella con Ferruccio Rossi Landi, che lo invitò a collaborare alla sua rivista «Ideologie». A partire dall’inizio del 1966 Luciano Della Mea entrò nella redazione di «Nuovo impegno» (n. 4-5, 1966) che nel biennio successivo, sotto la spinta del nuovo clima politico internazionale e delle lotte studentesche e operaie, abbandonò gradualmente gli interessi letterari trasformandosi in periodico teorico-politico. Così per una serie di fortuite coincidenze Pisa divenne nel corso degli anni sessanta uno dei centri più importanti del rinnovamento politico e culturale italiano.

Il gruppo di «Nuovo impegno» seguì con sempre maggiore attenzione l’evolversi della situazione politica nazionale e internazionale e con il n. 4-5 (luglio-ottobre 1966) lanciò l’Inchiesta sui gruppi minoritari della sinistra marxista, con l’ipotesi di costruire una piattaforma unitaria e dei momenti di coordinamento e di collaborazione fra i vari gruppi della Nuova sinistra italiana. Per vari motivi il progetto di Luperini e dei suoi amici non raggiunse gli esiti sperati, ma esso rivestì una particolare importanza perché in questa maniera loro ebbero la possibilità di entrare in contatto e di confrontarsi con le altre riviste e con vari gruppi del neo-marxismo. A partire dalla seconda metà degli anni sessanta Luperini ha via via iniziato a collaborare a «Giovane critica», «Ideologie», «Che fare», «Problemi», «Belfagor» e «Rendiconti». In occasione di un convegno nazionale dei Rettori italiani, l’8 febbraio del 1967 a Pisa ci fu l’occupazione della Sapienza da parte degli studenti, da cui nacque la stesura delle famose “Tesi della Sapienza”, scritte da un gruppo di studenti coordinato dal giovane filosofo Gian Mario Cazzaniga, di cui facevano parte Vittorio Campione e Umberto Carpi. Fu una delle prime importanti anticipazioni del sessantotto italiano che scoppiò di lì a pochi mesi. E proprio a causa della sua partecipazione al movimento studentesco e della sua costante polemica nei confronti del Pci e della sua politica culturale, nel 1967 Luperini fu costretto a dimettersi dal quel partito, mentre Franco Petroni ne fu espulso. Altri componenti del gruppo scelsero di allontanarsi volontariamente dai partiti di appartenenza. All’inizio del 1967 venne fondato da Adriano Sofri e Gian Mario Cazzaniga il giornale e il gruppo del Potere Operaio toscano (da non confondere con il gruppo di Potere operaio fondato successivamente da Antonio Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone), sulla base della parola d’ordine “operai e studenti uniti nella lotta”, con Luciano Della Mea direttore responsabile.

La nuova esperienza politica da Massa e da Pisa si allargò rapidamente, perché incalzante era il no internazionale delle nuove generazioni agli assetti di vita codificati, alle ingiustizie sociali, alle discriminazioni soprattutto razziali, alle prepotenze militari e poliziesche […]4 .

La nuova generazione di giovani e i gruppi di militanti della nuova sinistra, ormai in netta contrapposizione alla sinistra storica, stavano mettendo in atto un nuovo modo di fare politica, di concepire la militanza e la pratica sociale sotto l’influenza del nuovo clima politico nazionale e internazionale, della rivoluzione culturale cinese e del pensiero di Mao e di Che Guevara, della lotta antimperialista in Vietnam, in America latina e nei paesi del cosiddetto “terzo mondo”. Svanita ormai l’illusione che una politica nuova potesse venir fuori dalle organizzazioni tradizionali della sinistra, anche Romano Luperini e la redazione di «Nuovo impegno» parteciparono in blocco e criticamente all’attività di Potere Operaio, che si stava allargando a macchia d’olio espandendosi in varie città della Toscana: Livorno, Pistoia, Piombino, Lucca, Firenze, Grosseto e Siena. Seguirono mesi di crescente mobilitazione politica e l’università di Pisa divenne uno dei principali centri della contestazione che innescò un processo di radicali cambiamenti. E difatti, con il 1968 ritornò all’ordine del giorno il tema della rivoluzione comunista. Fu un momento veramente straordinario, di rottura con il passato e con la generazione dei padri: tutto venne messo in discussione, non solo l’autoritarismo accademico e l’istituzione scolastica e universitaria, ma anche il potere delle istituzioni e dello stato, i rapporti di classe, le vecchie gerarchie e i valori consolidati. “La nuova rivoluzione doveva andare più in là, cambiare il mondo come il padre e la sua generazione non erano riusciti a fare”5 . Ciò che animava la ribellione di quei giovani era infatti la fede in un comunismo diverso da quello staliniano e togliattiano, nel quadro di una rivoluzione planetaria che stava emergendo in maniera dirompente. Per alcuni mesi quel sogno sembrava tradursi in realtà mettendo in moto un’onda che stava travolgendo il vecchio sistema e modificando radicalmente i rapporti sociali e il legame tra i sessi, la mentalità collettiva. “Tutto si trasformava, in pochi giorni la gente cambiava, cambiava con una velocità sorprendente, pronunciava nomi nuovi fino a poco tempo prima sconosciuti…” 6. Immersa nel vivo delle lotte sociali di quei mesi la redazione di «Nuovo impegno» scrisse un editoriale che è utile citare per meglio comprendere quel particolare momento politico e la portata della contestazione studentesca:

Le ragioni oggettive della vitalità di queste lotte risiedono nella contraddizione tra le strutture arcaiche e feudali dell’università e della scuola in generale e le stesse strutture capitalistiche della società, e nel carattere di massa, e non più di élite, che la scuola va assumendo, nonostante la massiccia selezione classista. […] Al sistema burocratico e totalmente inefficiente degli organismi rappresentativi viene sostituito il metodo assembleare. L’assemblea, organo collettivo di lavoro, assume tutto il potere escludendo ogni forma di delega: con il risultato, non solo della maggiore efficienza e della assoluta democraticità, ma della rapidissima presa di coscienza da parte di tutti i partecipanti dei problemi comuni, della formazione di una volontà politica non sottoposta ai condizionamenti e alle remore delle organizzazioni politiche tradizionali. […] Gli studenti lottano contro l’autoritarismo accademico, contro il potere cattedratico; lottano per il diritto allo studio e per l’autogestione dell’università; con la consapevolezza però che il prepotere delle autorità accademiche non è che un aspetto del prepotere capitalistico, e che il diritto allo studio esteso a tutti, il controllo degli studenti sulla propria formazione, l’autogestione dell’università resteranno dei miti finché non verranno cambiate le strutture sociali […]”7 .

Dunque, con questa consapevolezza, il movimento studentesco aveva ormai assunto una valenza rivoluzionaria volta al radicale cambiamento della società capitalistica. L’esplosione della contestazione non colse quindi di sorpresa Luperini e il gruppo della rivista pisana. Anzi, bisogna dire che con la loro attività essi avevano contribuito, insieme agli altri gruppi e alle altre riviste della Nuova sinistra, a prepararne il terreno. In poco tempo si creò un clima di grande tensione politica, di intensa passione ideale, di fraternità e di permanente mobilitazione e Luperini partecipò attivamente agli avvenimenti e divenne uno dei maggiori protagonisti del ’68 pisano. Il 15 marzo di quell’anno, al ritorno da Roma, dove si era recato per partecipare alla prova finale del concorso a cattedra, egli prese parte all’occupazione della stazione di Pisa e di conseguenza venne arrestato. L’episodio causò la rottura con Silvio Guarnieri, legato rigidamente ancora al Pci, e col padre che lo accusò di velleitarismo e di voler “giocare alla rivoluzione”. Luperini rimase in carcere tre mesi, durante i quali concluse la stesura del libro Pessimismo e verismo in Giovanni Verga, una rielaborazione della sua tesi di laurea, che contribuì a gettare le basi della nuova critica letteraria marxista e di un nuovo punto di vista su Verga. Anche se ancora non lo conosceva, egli inviò il dattiloscritto a Giuseppe Petronio, che pur con qualche riserva lo fece pubblicare dalla casa editrice Liviana di Padova. All’inizio del nuovo anno scolastico egli venne assegnato al Liceo classico di San Miniato, ma a causa dei suoi guai con la giustizia era stato sospeso per due anni dall’insegnamento. Nel mese di settembre del ’68 all’interno di Potere operaio toscano si svolse il dibattito sull’organizzazione: le relazioni di Luciano Della Mea e di Adriano Sofri e gli interventi di Romano Luperini e di Lia Grande vennero pubblicati sul n. 20 della rivista catanese «Giovane critica» (fondata e diretta da Giampiero Mughini) ed ebbero una risonanza internazionale. In sostanza, mentre Sofri proponeva un modello di partito di matrice luxemburghiana, Della Mea e Luperini, pur con alcune differenze, proponevano invece la costruzione di un tipo di organizzazione che tenesse sì conto delle indicazioni leniniste, ma anche delle sollecitazioni provenienti dalla rivoluzione culturale cinese e dal pensiero di Mao e del grado di consapevolezza espresso dalle lotte di massa degli ultimi anni. Così in autunno il fronte del movimento incominciò a dividersi e nei mesi successivi nacquero i primi gruppi extraparlamentari. Di conseguenza all’interno di Potere operaio toscano sorsero aspre polemiche che provocarono la rottura di amicizie e di rapporti di collaborazione che duravano da anni. Le strade dei protagonisti del ’68 pisano si divisero: Sofri fondò Lotta continua, Gian Mario Cazzaniga e Vittorio Campione il «Centro K. Marx», mentre Luperini – che non condivideva né la posizione di Sofri, da lui giudicata troppo avventurista e spontaneista, e né il leninismo ortodosso e dogmatico di Cazzaniga, – insieme a Luciano della Mea, a Franco Petroni, a Gianfranco Ciabatti e ad altri esponenti di Potere operaio toscano e della contestazione – diede vita alla Lega dei Comunisti, una piccola organizzazione di matrice marxista-leninista molto attiva a Pisa e in altre città della Toscana. Luciano della Mea, che inizialmente aveva aderito alla Lega, dopo qualche mese abbandonò questa organizzazione e per alcuni anni partecipò alle vicende di Lotta continua. Fra Luperini e Della Mea si arrivò così a una rottura “dolorosa”. A partire dal n. 17-18 (agosto 1969-gennaio 1970) «Nuovo impegno» da rivista indipendente fu trasformata in organo indiretto della Lega dei Comunisti, con l’intenzione però di avviare un dibattito e un confronto fra le varie componenti della sinistra rivoluzionaria. Dopo aver rifiutato, su invito di Petronio, per ben due volte questa opportunità, Luperini nel 1971 superò l’esame per la libera docenza e accettò l’incarico presso l’Università di Siena della cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea. Si presentò lo stesso giorno di Franco Fortini che aveva ricevuto l’incarico di insegnare Storia della critica letteraria.

Iniziammo la nostra avventura universitaria contemporaneamente […], un po’ spauriti ci eravamo dati appuntamento in precedenza, in modo da andare insieme alla Facoltà di Lettere e da aiutarci l’un l’altro a superare l’impaccio di un nuovo ambiente e di un nuovo lavoro (anche Fortini veniva dalla media superiore)8 .

Assorbito sempre di più dall’impegno politico, Luperini avvertiva nei confronti del mondo accademico una certa estraneità, ma svolse il suo ruolo di docente universitario con rigore e serietà, sforzandosi di coniugare l’attività didattica e di ricerca con la pratica sociale e politica.

La storia politica italiana della prima metà degli anni settanta fu, tra l’altro, segnata dalla presenza dei gruppi della sinistra extraparlamentare, caratterizzata da dogmatismi, ideologismi, divisioni e contrapposizioni, ma che, pur con molti limiti, contribuirono senza dubbio al rinnovamento della società italiana. Luperini partecipò intensamente alle vicende politiche di quel periodo, e i suoi saggi e i suoi libri, legati indissolubilmente all’impegno politico nella Lega, risentono senza dubbio del clima politico del tempo, da lui considerato in seguito con un certo distacco critico. Furono infatti anni

di infinite riunioni, di meschine lotte fra gruppi, di letture scolastiche di Lenin, Troztskij, Stalin, Luxemburg, Mao-Tse-Tung, Gramsci. Conobbi Ugo Rescigno, allora dirigente a Roma di Unità operaia, e fondemmo le nostre due organizzazioni. […] Diventammo amici e cercammo di fare il possibile per far sì che il nostro gruppo non seguisse le derive praticistiche e avventuriste di altri 9.

Nel 1973 Luperini conobbe anche Carlo Muscetta, allora docente presso l’Università di Catania, che lo invitò a collaborare al progetto della Letteratura italiana da lui curata per l’editore Laterza.

Nel 1975-76 la Lega dei comunisti si fuse con Avanguardia operaia e il PdUP; da quella unione nacque il cartello elettorale denominato Democrazia proletaria, che dopo aver ottenuto alle elezioni amministrative del 1975 un risultato incoraggiante, alle elezioni politiche dell’anno seguente subì un’inattesa e dolorosa sconfitta. Luperini, che era stato candidato nella Circoscrizione Toscana di Nord-Ovest, non venne eletto. Tuttavia, da quel momento iniziò per lui l’impegno di dirigente politico, anche se scelse di proseguire nell’insegnamento universitario rifiutando l’incarico di funzionario di partito. Dal 1977 partecipò ai lavori della Costituente di fondazione di Democrazia proletaria, la nuova organizzazione politica della sinistra alternativa nata dalla fusione di vari spezzoni dei gruppi della sinistra extraparlamentare nella primavera del 1978, nei giorni del sequestro Moro. Nella seconda metà degli anni settanta l’Italia attraversò uno dei periodi più bui della sua storia, fra recrudescenza del fenomeno terroristico, crisi politica, degrado morale, crisi della militanza e ritorno al privato, ecc. ecc. Luperini si dedicò con grande passione all’impegno politico e dalla nascita di DP visse prevalentemente a Roma.

Per cinque anni ho letto e studiato quasi soltanto in treno: partivo da Pisa il lunedì mattina per l’Università di Siena, dove rimanevo sino al mercoledì, quando ripartivo per Roma. Il sabato sera o la domenica mattina tornavo a Pisa. Così ogni settimana. Ma spesso il venerdì o il sabato dovevo andare a tenere un comizio o a fare un’assemblea, magari in Veneto o in Sicilia, ed erano ancora ore di treno o, più raramente, di aereo. Ero diventato un dirigente politico. Ho fatto parte ininterrottamente della segreteria del partito e, per un certo periodo, anche della direzione del «Quotidiano dei lavoratori». Mi è accaduto persino di partecipare alle ridicole passerelle delle televisive Tribune elettorali. Lavoravo con compagni generosi, profondamente onesti, ma fra loro eterogenei per formazione politica e soprattutto incapaci – come d’altronde anch’io – di superare la logica del piccolo gruppo. Fra noi solo Vittorio Foa aveva la statura – l’intelligenza politica, il rigore dell’analisi e la flessibilità pragmatica – del vero dirigente; e a lui mi legai anche affettivamente, come spesso mi succede con figure che finiscono con l’esercitare su di me un fascino paterno. Ma, in quell’ambiente di giovani, così diversi da lui, Foa non resse a lungo, e [nel 1980] abbandonò DP10 .

Alle elezioni politiche del 1979 la sinistra alternativa si presentò con il cartello Nuova Sinistra Unita; Luperini venne candidato, come capolista, alla circoscrizione di Catania, ma neppure questa volta venne eletto. Fu una vera e propria debacle, “un fallimento su tutta la linea […]. Un così grande dispendio di energie […], dieci anni bruciati, per un pugno di mosche”11 . Dalle parole di Luperini traspare una profonda amarezza, per la fine di un’utopia, di un sogno di cambiamento radicale. Egli fu così costretto a un doloroso bilancio.

Ricordo di aver vissuto il periodo di impegno politico a Roma come una dura necessità. Sono stati cinque anni grigi, senza gioia. Solo lavoro, stento, fatica. Eppure, qualcosa continua a legarmi a quell’ambiente, a quelle immagini di Roma, a quei volti di compagni. E, ancora oggi, non posso incontrare Emilio Molinari o Edo Ronchi o Luigi Vinci o Giovanni Russo Spena senza commuovermi. In anni impossibili mentre tutto ci crollava intorno, abbiamo cercato di difendere – quasi da soli – la speranza di un mondo diverso 12.

Un sogno era finito per sempre, in un mondo che stava crollando. Alla profonda crisi politica si aggiunse una crisi personale, dovuta anche al fallimento del suo primo matrimonio; una profonda depressione che lo costrinse a ricorrere alla cura psicoanalitica e all’aiuto di Giovanni Jervis. L’incontro con la psicoanalisi, avvenuto già qualche anno prima in seguito alla lettura dei libri di Francesco Orlando, lo aiutò ad uscire fuori da quel tunnel, a superare quel momento particolarmente difficile, a cambiare il suo modo di guardare alla vita e al mondo e di fare critica letteraria. Nel 1980 Luperini vinse inaspettatamente il concorso a cattedra di ordinario e dovette trasferirsi all’università di Lecce. Da quel momento decise di abbandonare l’impegno politico e di dedicarsi interamente all’attività di insegnamento e di ricerca. Quella data infatti segna un vero e proprio cambio di rotta, il passaggio alla seconda fase della sua vita e della sua attività, che coincise con la pubblicazione de Il Novecento, che lo pose di nuovo al centro di un vasto dibattito politico e letterario.

Note

1 Id., Minima personalia, in «Belfagor», n. 2, marzo 1990, p. 207.

2 Id., Linea rossa. Intellettuali, letteratura e lotta di classe 1965-1975, Marsilio, Venezia 1982, pp. 10-11.

3 R. Luperini, Dopo la neoavanguardia, in «Nuovo impegno», n. 1-2, 1965, pp. 36-37.

4 L. Della Mea, Introduzione a Adriano Sofri, il 68 e il Potere operaio pisano, a c. di Roberto Massari, Massari editore, Bolsena (VT) 1998.

5 R. Luperini, L’uso della vita. 1968, Transeuropa, Massa 2013, p. 32.

6 Ibidem.

7 Contro la scuola dei padroni, Editoriale, in «Nuovo impegno», n. 9-10, agosto 1967-gennaio 1968, pp. 2-3.

8 R. Luperini, Minima personalia, cit., pp. 214-215.

9 Ivi, p. 212.

10 Ivi, p. 213.

11 Ibidem.

12 Ivi, p. 214.

3 pensieri su “Ritratto di Romano Luperini da giovane

  1. Oltre a condividere con lui (e tanti altri) il “sogno d’una cosa”, ho sempre apprezzato il rigore etico e l’intelligenza politica di Romano Luperini, che sono rimasti una costante del suo lavoro intellettuale anche in ambito accademico.

    1. Ho deciso di scrivere questo articolo (che fa parte di un libro su Intellettuali e Nuova sinistra in corso di stesura) perché sul suo periodo giovanile nessuno ne ha parlato. La cancellazione della “Stagione dei movimenti” è ormai un fatto compiuto. Bisogna coltivare la memoria.

  2. La storia della sinistra marxista, ogni volta che l’osservo con la lente di ingrandimento della biografia di alcuni suoi eccellenti esponenti, mi pare essere contraddistinta – sempre – da un pensiero irriducibilmente intollerante (nel senso che non ammette conciliazione tra il pluralismo di opinioni) a livello ideologico che porta a inevitabili “dolorose rotture”, scissioni ecc.

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