Domenico Melillo: un soffio di parole

di Donato Salzarulo

Nel pomeriggio tardi di ieri ci è giunta la notizia della morte di Domenico Melillo. Con me, seduti intorno al tavolo della cucina, c’erano Franco Arminio e Giuseppina, mia moglie. Mimmo, come familiarmente lo chiamavamo è, tra l’altro, cugino – in seconda o in terza, i conti genealogici non so farli bene – della mia consorte.
L’ultima volta che l’abbiamo visto è stato prima del Ferragosto. Veramente io, nelle prime due settimane d’agosto ero andato più volte a visitarlo a casa sua. Sapevo lo sforzo che aveva fatto per venire a Bisaccia. Lui ci teneva molto. Voleva salutare parenti ed amici. Voleva salutare piazza Duomo e tutte quelle strade e quei luoghi che l’avevano visto nascere e crescere fino alla terza media, quando, per studiare, si trasferì a Roma, città dove è rimasto fino agli ultimi giorni della sua vita. Voleva salutare il cielo azzurro di Bisaccia.
Era un bravissimo medico e conosceva lo stato del suo corpo. Era consapevole del fatto che sarebbe stata l’ultima volta. Veramente già nell’agosto del 2023 ci aveva salutati con una frase latina, che ora non ricordo, la cui sostanza era: se ci vedremo ancora, sarò fortunato, altrimenti addio per sempre. Ha avuto la fortuna di vivere più di un altro anno, ma le sue condizioni di salute sono gradualmente peggiorate.
Io lo sapevo e proprio ieri pomeriggio, quando Franco Arminio è arrivato a casa per la serata che dovevamo tenere insieme a Cologno, serata promossa da Cologno Solidale e Democratica, gli ho detto: «Chissà come sta Mimmo. Speriamo che non sia agli sgoccioli.» E Franco allora ha pensato: mandiamogli un abbraccio. Neanche a farlo apposta, questo abbraccio gli è giunto sul cellulare un po’ prima della sua morte. Sicuramente non l’ha letto. Tra l’altro mi dispiace moltissimo non poter andare al suo funerale. Sono stato da poco dimesso dall’ospedale dove ho avuto diverse gatte da pelare col mio corpo…
Comunque, Domenico Melillo è conosciuto da chi frequenta con attenzione questo blog. Qualche anno fa pubblicai le sue poesie più recenti. Chi lo desidera può rileggerle (qui).
Io e Franco da ieri sera abbiamo ripreso in mano «Alianti canòpi», il suo libretto di poesia (Pagine, 2004), introdotto da Elio Pecora.
Prima di cominciare la serata, Franco ne ha letta una che parlava dell’emigrazione. Mimmo, era come me e tanti altri bisaccesi, un emigrato, anche se abbiamo avuto la fortuna di emigrare in Italia e non come i nostri genitori in Germania, Svizzera o Inghilterra.
Io ve ne propongo una che in parte spiega il titolo del libro, in parte affronta uno dei temi ineludibili di ciascuno di noi. Che ne sarà di ognuno dopo la morte?
La risposta del mio amico è questa:

Mi piacerebbe vedere la faccia
del dissotteratore, archeologo o becchino,
quando, trovato il sito e aperto il fosso,
troverà parte di me nel quinto vaso
canòpo. Io già da ieri, infatti,
sulla porta di casa sbreccio e scavo
il mio contenitore, il vaso esubero
per chiudervi dentro la mia voce,
un respiro, segni del mio tempo
che mi lascia reliquia; non l’effetto
di un chirurgo disassemblatore.
E, scoperchiando il vaso, un frullo estremo,
uno scompiglio di sillabe e fonemi
prenderà il volo. E io, ancora io,
soffio di parole.

26 ottobre 2024

 

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