La bottega di Rutilio

di Angelo Australi

La bottega era stata chiusa ormai da qualche anno ma Spartaco ricordava ancora le espressioni felici e l’euforia di Rutilio a parlare di ogni argomento, perché di fatto il negozio di suo nonno non era frequentato solo da chi si faceva la barba o i capelli, ma da chiunque avesse voglia e tempo di leggere il giornale. Il fondo era lungo sei, massimo sette metri, e largo quel tanto da consentire alla gente di infilarsi a discutere tra le sedie e le poltroncine dove lui gestiva la clientela. Era un corridoio, un semplice budello dove si finiva accecati dalla luce al neon riflessa sugli specchi. Poi, alla fine di questa sorta di androne utilizzato per fare barba e capelli, lo spazio veniva interrotto da un enorme tendone verde, dietro al quale Rutilio svolgeva la seconda professione di sarto e la sera, dopo cena, si dilettava nel passatempo di scrivere poesie o immaginarsi le scene di una nuova commedia da mettere in scena con la compagnia teatrale della parrocchia.

Dietro il tendone di canapa sembrava esserci un magazzino messo nella più totale confusione, regnava un certo ordine solo su alcuni scaffali fissati alle pareti, dove raccoglieva in bella mostra tutto il suo sapere. Uno di questi scaffali era interamente dedicato ai libri di teologia e a varie edizioni delle sacre scritture, uno a tutti i suoi autori preferiti di teatro, dove per lo più si trattava di commedie comico brillanti capaci di far ridere le persone che frequentavano la parrocchia. Su altri due scaffali, messi in posizione sfalsata rispetto agli altri, in modo ampiamente accatastato si trovavano romanzi e libri di poesia. Un altro scaffale, sormontato dalla foto del figlio morto nel 1945, avevano trovato posto i filosofi e gli scrittori greci e latini utilizzati da lui studente in seminario. Nello stesso scaffale, quasi interamente mimetizzata dai libri, una vecchia gavetta di metallo dell’esercito italiano raccoglieva lettere e cartoline risalenti alla seconda guerra mondiale, scritte dal figlio che prestava servizio come infermiere in un treno della Croce Rossa. Lettere e cartoline spedite dalle più belle città italiane non ancora devastate dai bombardamenti aerei, ma anche da Parigi, Vienna, Praga, e dalla Russia.

Il nome di quel figlio alla nascita era passato al nipote, così in quel modo Rutilio aveva scoperto nuovi impulsi da trasmettere alle sue idee. – Ha i capelli biondi come i suoi – si compiaceva a dire. – Gli somiglia, sono come due gocce d’acqua caduta da cielo-. E ogni persona che incontrava per strada la informava sull’importanza di questa nascita. Qualche vicino riusciva anche a comprendere e giustificare un entusiasmo così esagerato, altri invece subivano il fanatismo di quei ragionamenti come vere e proprie aggressioni.

Molti dei libri del retrobottega non stavano mai al loro posto, a volte, preso da una discussione se ne serviva per dimostrare la fondatezza di un suo pensiero, che finito lo appoggiava distrattamente sul piano della macchina da cucire o sopra le scatole colme di tessuti e di modelli di carta. Ma quando Rutilio maneggiava un libro, tutte le persone presenti in bottega lo ascoltavano immerse in un rispettoso silenzio. In una mano teneva il volume dal quale leggeva alcune frasi con enfasi, nell’altra il rasoio o il pennello sbandierato nel vuoto per essere più credibile, incurante se la persona sulla sedia fosse con la barba fatta a metà. Poi la frase o il brano estrapolato dal libro finivano per espandersi in un fiume di parole che era tutta farina del suo sacco. Dopo un paio di clienti, cambiato il pubblico in platea, un altro argomento confermato da qualcuno dei suoi libri determinava un nuovo flusso inarrestabile di gesti e di parole. L’uomo con la barba insaponata o i capelli bagnati per il taglio, sconvolto fissava quello specchio che insieme alla sua faccia rifletteva, a seconda della posizione, uno o più barbieri. – Sì sindaco, ti abbiamo capito – gli diceva il cliente ridendo, – adesso finisci quello che hai cominciato.

Lo chiamavano sindaco per simpatia, non per altro, anche se in molti, rispetto alla sua filosofia di vita con il pensiero stavano all’estremità opposta.

Nonostante l’affetto così grande, Rutilio consentiva raramente al nipote di curiosare da solo nel suo retrobottega e Spartaco, spinto dalla curiosità, si intrufolava di nascosto, nei momenti più impensati. Il rischio di essere sgridato era ripagato in pieno dalla scoperta di tante cose strane che il nonno conservava in quella specie di laboratorio fantastico.

Dietro la tenda la stanza era ampia ma priva di luce, non aveva niente dalla bottega di barbiere, almeno fino a quando faceva giorno ne prendeva un po’ da una corte sul retro oppressa dalle case, attraverso una piccola finestra posta in alto, a ridosso del soffitto. La finestra, che stranamente formava un angolo con la fotografia dello zio, era quadrata e aveva una protezione di spesse sbarre in ferro battuto. In quello scaffale, insieme agli altri libri di greco e di latino, c’era un’edizione del 1930 di Storie della storia del mondo che sempre più spesso Spartaco si soffermava a leggere. Dietro il tendone la stanza era così grande da starci un tavolo appoggiato a ridosso di una parete, e c’era spazio per due vecchie macchine da cucire, un manichino a mezzo busto, fatto in stecche, per mettere in prova le giacche da uomo, due stufe a gas utilizzate per riscaldare gli ambienti durante l’inverno, tutte le scatole piene di stoffe e di modelli accalcate una sopra l’altra, fin quasi a toccare il soffitto. In tutta questa confusione Spartaco si muoveva dappertutto senza trovare intralci. La cosa che più lo affascinava era il piano del tavolo dove regnava il caos totale: forbici, fogli numerati con le misure di qualche cliente, nomi e pagine di conti fatti in fretta e furia, scarti di stoffe distrattamente ammucchiate, abiti già messi in prova, ancora con l’imbastitura. E poi libri, pennelli da barba, rasoi, occhiali da sole, lozioni per capelli confezionate in scatole da dieci bottigliette, un fornello ad alcool per scaldare l’acqua. Di fianco al tavolo si trovava la porta di un sottoscala che il nipote non aveva mai avuto il coraggio di aprire. Per non rischiare di essere scoperto, prima di uscire in fretta e furia si tratteneva solo il tempo necessario a guardarsi un po’ intorno e a sfogliare il libro di Omero nella versione per ragazzi e fissare qualche istante la foto dello zio per capire se ci fosse davvero tutta questa somiglianza decantata da Rutilio. Alla porta del sottoscala, un vecchio manifesto fissato con delle puntine annunciava alla cittadinanza, a nome del podestà del paese, la rappresentazione della commedia L’uragano, scritta da un cittadino illustre morto da eroe durante la Prima Guerra Mondiale. La commedia era andata in scena nel 1936. Spartaco era pieno di orgoglio a vedere tra gli attori anche il nome di Rutilio, segno tangibile che il più delle volte il nonno riportava alla sua clientela fatti realmente accaduti.

Se un temporale primaverile non avesse allagato il negozio, Rutilio avrebbe continuato la sua professione ancora per qualche anno. Era vecchio, ma ce l’avrebbe comunque fatta, visto il buono spirito che lo sorreggeva nel guardare al giorno dopo. Il violento acquazzone giunse all’improvviso e si protrasse l’intero pomeriggio senza consentire a nessuno di arginare la rabbia. In appena dieci minuti le fogne intasate dalle foglie secche avevano respinto sulla strada maestra il fiume d’acqua che scendeva dalla collina. In meno di un quarto d’ora l’acqua era salita di trenta centimetri, in mezz’ora cinquanta, poi quasi un metro. Rutilio aveva speso le sue ultime energie cercando di ostacolare tutta quell’acqua melmosa, alla fine si era rassegnato alla catastrofe e non aveva più mosso un dito nei giorni successivi a togliere via il fango. A ripulire si erano sfiancati sua moglie, suo figlio, la nuora e Spartaco, mentre lui osservava impassibile dalla vetrina, con le mani in tasca. Alla gente che passava raccontava che era un segno del destino, dopo sessant’anni di lavoro e di sacrifici quella bottega per lui non aveva più alcun significato.

Cessò l’attività ma i suoi clienti si ostinarono a presentarsi in casa a tutte le ore. Spartaco ormai ne conosceva diversi, se non per nome almeno per la fisionomia. Se stavano pranzando Rutilio era costretto a smettere per dargli una tosata alla militare, con i capelli che finivano un po’ ovunque, anche nel cibo. In un primo momento sembrava scocciato, ma in fondo gli piaceva scambiare due battute con quei personaggi che fuori dal tempo e da ogni moda lo portavano sul palmo della mano. Tra di loro c’era addirittura qualcuno a cui Rutilio durante il fascismo aveva insegnato a leggere e a scrivere nella sua bottega, e questo non lo avrebbero mai dimenticato. Lamentava che avrebbe mangiato il cibo freddo, però cominciando a parlare non li avrebbe mandati più via.

* Il disegno all’inizio del racconto è di Nilo Australi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *