“Filottete” di Paolo Puppa

di Angela Villa

Filottete di Paolo Puppa, da lui stesso rappresentato al Teatro Olimpico di Vicenza il 9 novembre del 2024, ci mostra un uomo, stanco, amareggiato, deluso dall’ambiente universitario, una riscrittura del mito, apparsa per la prima volta nei “Quaderni Veneti” del 2.1.2013.
Paolo Puppa è stato ordinario di storia del teatro e dello spettacolo alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Venezia, nonché direttore del dipartimento delle arti e dello spettacolo. Ha insegnato in università straniere – Londra, Los Angeles, Toronto, Middlebury, Budapest, Parigi, Lilles. È condirettore della rivista «Archivio D’Annunzio». Nelle sue performance teatrali, anima i suoi personaggi e dà loro nuova vita, dalla parola scritta alla parola orale. E costoro prendono anima, vigore, come nel monologo Filottete, ispirato al personaggio mitico.
Filottete nella tragedia greca viene abbandonato su un’isola deserta dall’esercito greco che naviga verso Troia, perché malato. Al decimo anno di guerra, un oracolo predice ai Greci che la città potrà cadere solo quando Filottete e il suo arco verranno riportati sotto le mura di Troia. Ed ecco che l’eroe inutile, dimenticato da tutti, diventa elemento fondamentale per vincere la guerra.
Ambientato negli anni Ottanta del secolo scorso, il testo di Paolo Puppa, propone un tema attuale: il senso di solitudine ed emarginazione di chi non cede al potere delle caste universitarie.
Perché ricorrere al mito? Perché il mito racconta non tanto la sconfitta dell’individuo, quanto la capacità di resistenza del singolo contro la massa. Guardando il monologo ho pensato alla sua celebre frase «Io son poi da soloe loro sono tutti» del grande narratore russo Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo, dove racconta la discesa nel sottosuolo dell’anima del suo protagonista.
Allo stesso modo il Filottete di Paolo Puppa racconta di un degrado individuale, perché il linguaggio del professore universitario è crudo e scarno, non lesina su parole volgari, anch’egli sta compiendo una discesa agli inferi per raccontare le ingiustizie che ha dovuto subire nel sistema universitario. In altre parole, il rifiuto dell’uomo in rivolta contro il sistema afferma l’esistenza di una moralità che non può essere valicata, afferma il valore della dignità e della sopravvivenza civile ed etica, rispetto ad un ordine universitario ingiusto e corrotto. Una cruda denuncia del nepotismo e baronismo universitario. Un uomo che va in pensione anticipatamente, un uomo che potrebbe ancora dare tanto ai suoi allievi, non riesce a vincere la delusione dell’ennesima dimostrazione di come il potere vinca sulla cultura.
Anche in questa versione contemporanea Filottete si scontra con Ulisse, che non ha pudore a chiedergli aiuto per l’ennesima pubblicazione. Questa la trama molto sinteticamente.
Sorgono delle domande. Filottete e Ulisse appartengono comunque allo stesso sistema e quale battaglia conduce Filottete? Perché volge le spalle al sistema ma non lo combatte realmente. Forse è un rinunciatario in realtà.
Seconda domanda: ha senso ricorrere ai personaggi epici per narrare in un monologo una “normale” lotta di potere tipica dell’ambiente universitario? Perché Filottete non ha denunciato pubblicamente la lotta di potere? Lui avrebbe fatto la stessa cosa al posto di Ulisse? Fa parte di quel sistema o è una pedina impazzita?
Forse Filottete in parte lo accetta e non denuncia il “baronato” universitario con tutto il suo favoritismo, familismo, nepotismo, perché sa che il sistema è più grande di lui e perché sa che è un uomo solo.
Altro tema centrale del monologo è rappresentato dal sentimento di amicizia: l’amicizia è un’illusione? Soprattutto in ambiente universitario? O meglio soprattutto in certi ambienti lavorativi dove la competizione e la concorrenza sono pratiche dominanti…Forse allora occorrerebbe chiedersi se in ambienti simili possono nascere dei legami di amicizia sinceri e leali. Forse no. Se la pratica sociale prevalente è quella della competizione e del narcisismo.
L’amicizia forse è un legame che si può coltivare in altri ambienti sociali, cioè in luoghi che fanno della “cooperazione” l’aspetto prevalente.
Paolo Puppa recita in modo accorato con cambi di tono e espressioni del viso che raccolgono amarezza di anni. Il monologo ci permette di riflettere sull’importanza dei miti che varcano i secoli e raccontano ancora, oltre i secoli, il genere umano nella sua molteplice varietà. Noi siamo prismi e gli antichi lo avevano già capito millenni fa.

 

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