Pescine, una località che si trova nel comune di Figline e Incisa Valdarno – disegno di Konrad Dietrich, febbraio 2017.
di Angelo Australi
xxxxxQuando il pomeriggio non c’era la possibilità di giocare con gli amici, Spartaco si faceva un giro fuori paese con la Legnano di suo padre. Lo attirava da morire allontanarsi dall’abitato in bicicletta, inventare delle scampagnate senza l’obbligo di una meta. Aveva dodici anni e gestire al meglio quella bici da uomo costava una gran fatica, ma quando la inforcava si dirigeva automaticamente verso il punto dove i campi coltivati s’interrompevano e appariva improvvisa la boscaglia fitta e impenetrabile dalle quale, ad accentuare il significato di un’avventura che più sentiva suo, emergevano come dolmen gli speroni argillosi delle balze, testimoni memorabili dell’antico mondo che aveva ospitato i mammut. Per orientarsi nel nulla di quei giri seguiva il corso dei torrenti e ogni tanto si fermava ad ascoltare i rumori del bosco portati dall’eco che risuonava nelle tante insenature della valle. Era buffo vederlo pedalare per quei viottoli seduto sulla canna, con il mento che nella spinta sbatteva spesso e volentieri nel manubrio. Sembrava un esserino fatto solo di testa, di mani e di braccia, mentre il resto del corpo scompariva in un contrasto senza proporzioni con quella bicicletta nera.
xxxxxAnche se esteticamente era inguardabile, la Legnano funzionava ancora in tutto e per tutto. Rispetto al tempo infinito che l’avevano usata suo padre e il nonno, a Spartaco erano bastati pochi mesi per trasformarla in un mostruoso catorcio. È vero però che a lui piaceva così: il telaio pieno di ammaccature e poi, di sua iniziativa, aveva tolto i parafanghi perché rispecchiasse un po’ i modelli che andavano per la maggiore in quegli anni. Con la dinamo staccata di netto invece non era stata un’opzione suggerita dalla moda, un giorno si era lanciato all’inseguimento di un gatto e per non sbattere contro una cancello fu obbligato a scendere di slancio, al momento del salto la bicicletta aveva proseguito barcollando sulla strada per oltre venti metri in balia di se stessa, l’impatto fu così violento che la dinamo schizzò tra le aiuole fiorite di una villetta dove un bischero di cane lupo, abbaiando e digrignando i denti inferocito, addirittura gli impedì di accostarsi alla recinzione. A questo punto anche il suono del carter somigliava sempre più a quello di un mezzo cingolato, tanto che, a differenza dei suoi amici, per imitare il rumore dei motorini dei ragazzi più grandi, alla forcella della ruota davanti non c’era fissata una carta da gioco che strisciava sui raggi.
xxxxxFu per puro caso che immaginò quel gioco di trovarsi su di un’astronave lanciata verso lo spazio, il giorno che con la bicicletta stava discendendo il tratto più ripido della strada di fronte alla sua abitazione. Conosceva tutto di quella strada sterrata, l’aveva percorsa un’infinità di volte in compagnia del nonno, perché in cima alla collina c’era il convento dei Cappuccini dove lui faceva i capelli ai seminaristi. Ormai non gli restava estraneo niente di quel tragitto visitato in tutte le stagioni, di mattina, pomeriggio e al tramonto, quando le ombre diventano lunghissime, prima di sparire. Anche con la bicicletta ormai aveva fatto una certa pratica, sapeva che in quei due chilometri di discesa così ripida e priva di curve doveva allenarsi a trovare il modo di trattenere il manubrio e scendere in corsa, se non voleva rompersi l’osso del collo frenando bruscamente nella fase di arrivo. Al ritorno dalle sue escursioni cercava sempre di provare il brivido di lanciarsi all’impazzata giù per quella pendenza che attraversava dei terrazzamenti coltivati a olivi, dove si era disegnato mentalmente il tracciato meno scosceso.
xxxxxScendendo quell’erta canina Spartaco era padrone del mondo, andava così veloce che i pedali da un certo punto in poi finivano per anticipare la sua spinta, quel giorno però, poco prima di raggiungere il punto in cui dai suoi calcoli avrebbe dovuto saltare, la ruota davanti incocciò un vecchio lavandino di granito incastrato nel terreno. Non che lui avesse cambiato traiettoria rispetto alle altre volte, con molta probabilità il lavandino era arrivato la mattina stessa, quando lui era a scuola, mescolato ai detriti scaricati dagli operai di un cantiere che per costruire una schiera di villette bifamiliari stavano demolendo i resti di alcune abitazioni lasciate in quello stato pietoso dall’epoca dei bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Non interrandosi del tutto, all’improvviso Spartaco aveva sentito le ruote perdere aderenza con il terreno. Tentò in tutti i modi di mantenersi in equilibrio, ma perse il controllo della bici e trovò un impatto così improvviso e violento che quando si rialzò da terra era un miracolo non avesse niente di rotto. Tutto indolenzito e scioccato per la caduta, si voltò a guardare il lavandino che sporgeva dal terreno. Non avrebbe potuto notarlo altrimenti, perché negli ultimi metri la pendenza si faceva così ripida e lui doveva tenere costantemente d’occhio l’imbocco sulla statale, per scegliere il tempo giusto e saltare prima che una macchina rischiasse di investirlo. Sulla sorpresa di quel volo non vinse la paura ma la voglia di giocare a rifare un tentativo, così immaginò che il lavandino poteva diventare il trampolino dal quale lanciare la sua astronave verso i confini dell’universo. Però, anche con la seconda prova, non avendo calcolato seriamente l’aumento di velocità che si dava con la spinta, la bicicletta lo trascinò fino a sbattere sul muro di casa sua. La Legnano di suo padre ne uscì con la ruota davanti piegata ad angolo retto, mentre lui si alzava di scatto, sorpreso e indolenzito, ma senza neppure un modesto graffietto.
xxxxxImparò a fermarsi nel modo giusto solo gradualmente, nel frattempo, quando non ci riusciva, preferiva cadere perché non era sano confidare solo nella prontezza di riflessi. Salti, capriole, in solitaria o abbracciato alla bicicletta, prima di trovare l’attimo propizio per scavalcare con il piede destro la canna del telaio e poggiarli a terra entrambi, stringendo il manubrio con tutte le sue forze. Così tante cadute che ci si poteva creare un film di Ridolini. Una volta per esempio aveva bocciato la catasta di tronchi che una fabbrica di mobili metteva a stagionare a lato dello sterrato, quelli sistemati precariamente iniziarono a ruzzolare fino a invadere il marciapiede della strada principale, ostacolando il passaggio delle auto almeno per mezz’ora. In un’altra occasione aveva finito per andare a sbattere sui motorini degli operai in sosta davanti al mobilificio, causando una sequenza infinita di bestemmie da parte dei proprietari. Il rischio più grosso lo corse quando, sbandando in fondo alla discesa perse l’attimo di fermarsi contro qualche ostacolo e urtò l’Ape del fruttivendolo in sosta davanti alla sua bottega, in questa circostanza aveva avuto la fortuna sfacciata che non transitassero delle auto.
xxxxxIl proprietario del mobilificio era un carabiniere in pensione che pur seguendo l’organizzazione del lavoro riusciva a tenere d’occhio anche tutto quello che succedeva all’esterno. Non era chiaro come potesse riuscirci, ma quando arrivava Spartaco con la sua Legnano lui si affacciava sulla porta e lo copriva di ingiurie. – Bestia scappata dallo zoo! Mezzo cannibale! Svalvolato dalla nascita! – … Appellativi di questo tipo, tutti inventati pur di non bestemmiare Gesù, la Madonna o l’esercito dei santi. La volta che di proposito si fermò sulla sua Giulia successe un gran baccano perché gli operai uscirono dalla fabbrica per sincerarsi sulle condizioni di salute del ragazzo. Con quel volo poteva a dir poco essersi maciullato braccia e gambe, invece si ritrovò disteso sul tettino dell’auto, imbambolato ma illeso, mentre la bicicletta aveva ammaccato vistosamente la bauliera. Allora l’ex carabiniere si affacciò imprecando come un forsennato – questa volta bestemmiando senza ritegno anche contro chi nella fede stava per importanza un gradino sopra tutti gli altri, poi prese Spartaco per l’orecchio e lo trascinò fino alla sua abitazione.
xxxxxL’ex carabiniere tenne il dito premuto con rabbia sul campanello, fino a quando la madre di Spartaco non si fece sentire al citofono. Nel frattempo il ragazzo scalpitava come un indemoniato, stringeva i denti nel tentativo di liberarsi in tutti i modi dalla presa, ma era quando sentiva acutizzarsi il dolore all’orecchio.
xxxxx– … Si?
xxxxx– Giulia, tuo figlio è proprio la rovina del mondo!!!
xxxxx– Scusi, lei chi è?
xxxxx– Sono Marcello. Quante volte vi ho suggerito di far sparire quella dannata bicicletta…
xxxxxSentendolo così alterato, Giulia aveva sceso le scale di corsa. Quell’uomo le restava antipatico per una serie di motivi, prima di tutto perché se c’era un problema che lo riguardava si atteggiava ancora a difensore della legge solo quando ne traeva vantaggio.
xxxxx– Oggi che ha combinato, il mio bambino?
xxxxxAveva fatto la faccia rossa e parlava balbettando.
xxxxx– Non gli ho fatto niente di male, mamma. Te lo giuro sulla vita di nonno Rutilio!
Il proprietario del mobilificio Lazzi & Mozzi però continuava ancora a trattenerlo per l’orecchio.
xxxxx– Lo lasci, gli sta facendo male!
xxxxx– Giudichi lei che cosa mi ha fatto, questo serpente!
xxxxxSenza voltarsi indicò il punto dove sostava la sua macchina con intorno gli operai che vagliavano l’entità del danno.
xxxxx– Lo dico sempre a suo marito, dovete stargli più addosso, cercare di mettergli un freno.
xxxxx– Di un ragazzo secondo lei, che faccio? Debbo forse legarlo alla gamba della tavola?
xxxxx– Lo leghi dove ti fa comodo legarlo, basta che non girelli più con la bicicletta su questa discesa. Io non ce lo voglio, … chiaro? … È più pericoloso lui di quando qui, al posto della mia fabbrica, una volta c’era piazzato il cannone tedesco.
xxxxx– È solo un ragazzo…
xxxxx– Un mezzo delinquente, semmai.
xxxxx– Spartaco, gliel’hai proprio rovinata, la sua auto?
xxxxx– No mamma, l’ammaccatura non mi sembra così grave.
xxxxx– Se lo ricorda, non è vero, il cannone che i tedeschi avevano piazzato sull’imbocco della strada sterrata? Abbiamo vissuto circa un mese nel terrore che prima o poi ci sparasse addosso dei colpi, ma lui e quella madonna di bicicletta sono cento volte peggio, glielo posso garantire. Non passa giorno che non voli addosso a qualcosa o a qualcuno.
xxxxxMarcello indicava la macchina in modo automatico, e la sua rabbia sembrava non avere limiti.
xxxxx– Sta facendo dei paragoni assurdi tra la guerra e la vivacità di un bambino – disse Giulia, cercando di farlo ragionare.
xxxxxIntanto Spartaco aveva iniziato a voltarsi in tutte le direzioni, pur di non guardare negli occhi quell’uomo così inviperito contro i suoi lanci nello spazio. Osservò che un operaio aveva appoggiato la bicicletta al muro della fabbrica, mentre gli altri si godevano una sigaretta ridendo e parlando intorno all’automobile.
xxxxxQuando Marcello si accorse che stavano senza far niente, batté le mani e gli andò incontro interrompendo la discussione in modo repentino. Mentre lui si allontanava, Spartaco aveva ancora in testa la storia sul cannone tedesco. Poco prima di accennare vagamente con il braccio il punto in cui poteva trovarsi il cannone aveva urlato, imprecato e smanacciato convulsamente prospettando di pretendere da Giulia, oltre al danno alla carrozzeria, anche l’ora di lavoro che stavano perdendo i suoi dipendenti. Tutto questo non aiutava certo a capire il luogo preciso dove era piazzato il pezzo d’artiglieria, però Spartaco si convinse subito di una cosa, che l’arma poteva tenere sotto tiro obiettivi strategici del paese come ponti, ferrovia e strade di scorrimento, a condizione che non ci fosse stata davanti la sua abitazione, ma in quella casa c’era nato Ernesto, suo padre, e prima il nonno Rutilio, e prima ancora il suo, di padri. Quella fila di case era lì da cento e più anni, o Marcello si era sognato l’esistenza di quel cannone, oppure ne stava parlando semplicemente per raggiungere meglio il suo scopo.
xxxxxChiese a sua madre se non trovava un po’ strana questa storia del cannone, ma lei gli diede uno scappellotto e lo minacciò facendo la voce seria.
xxxxx– Se continui a fare quelle pazzie con la bicicletta, giuro che ti mando a lavorare. Almeno non sarai più così assillato dal problema di come occupare il tempo.
xxxxxSpartaco si immedesimò con alcuni amici leggermente più grandi di lui che già un po’ lavoravano in qualche officina aiutando genitori o parenti, così le rispose che forse quella era la cosa più logica.
xxxxx– Però da grande potresti pentirti – gli disse Giulia.
xxxxx– Da quando nonno Rutilio non ha più la sua bottega sta sempre in salotto a cucire i vestiti, a leggere e a cantare roba di chiesa. Allora cosa faccio, dimmelo mamma, se in casa non ho un posto dove giocare? … Mi metto a fare l’aereoplanino che gli gira intorno?
xxxxx– Che c’è, tutto a un tratto non gli vuoi più bene?
xxxxx– Sì, che c’entra… È solo che non riesco a trovare un posto dove giocare.
xxxxx– Sembravi così innamorato, quando ti raccontava le sue storie.
xxxxx– In questo momento non racconta più le sue storie, dice solo che è vecchio, che la morte si sta avvicinando a cento all’ora.
xxxxx– Tuo nonno, Spartaco, è un gran chiacchierone – disse Giulia ridendo. – Non mi farei troppe fisime con la sua malinconia. È stato sempre al centro dell’attenzione, in famiglia e fuori, tra la gente. Vedrai che basta poco perché si appassioni di nuovo a giocare con te. Quando la mattina si sveglia gli serve solo uscire dalla logica che in fondo tutti i sogni un po’ si somigliano.
xxxxx– Sarà come dici, … ma io non ci credo.
xxxxx– Guarda, ci scommetterei l’anello di fidanzamento che mi regalò tuo padre, che tengo caro come la vita.
xxxxx– Io però qualche volta vorrei aiutarlo.
xxxxx– E tu fallo, che ti costa?
xxxxx– Non costerebbe niente, se solo mi lasciasse spazio per giocare a modo mio. Invece il più delle volte mi costringe a guardarlo fare, così mi annoio.
xxxxx– Non dargli retta, insisti.
xxxxx– Ci metto tanta buona volontà mamma, con il nonno… Però ogni tanto mi preme stare anche un po’ con gli amici.
xxxxx– Senza questa bicicletta però. Vedrai stasera come s’incoccia tuo padre, quando gli comunichiamo la bella novità che ci sono da pagare i danni fatti all’auto di Marcello.
xxxxxPer trattenere dei lucciconi Spartaco si passò una mano sugli occhi, proprio come quando stava per essere raggiunto da un colpo di sonno.