Vecchie polemiche. Fortini su “Doppio Diario” di Giame Pintor


NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI (14)

di Ennio Abate

Ricontrollare ancora questa “querelle”. Senza scandalizzarsi. Senza ritrarsi. Per interrogarsi ancora. Su di essa ora possiamo leggere anche quanto emerge dal CARTEGGIO FORTINI-ROSSANDA* (pagg. 102-104 in particolare): https://media.fupress.com/files/pdf/24/15077/42913

*scaricabile gratuitamente

APPENDICE. DA POLISCRITTURE SU FACEBOOK 4 DICEMBRE 2016

Sulle critiche di Giovanni Falaschi alla recensione di Fortini a «Doppio diario» di Giaime Pintor

*Riprendo dopo un lungo intervallo questa rubrica con uno scambio tra me e N. G. a proposito di una recensione di Fortini a «Doppio diario» di Giaime Pintor (apparsa, dopo la rottura tra lui e Luigi Pintor, allora direttore de «il manifesto», sul n. 70-71, maggio 1979 di «Quaderni piacentini»). So che l’argomento fu molto controverso e il tempo trascorso ne ha ulteriormente appannato il significato che io vi ho continuato ad attribuire. Perciò invito i lettori interessati a leggere sia quella recensione di Fortini che altri scritti in merito. [E. A.]

8 .7. 2007

Caro N. G.

non mi sento custode di ortodossie, ma ti segnalo, nel caso ti fosse sfuggito, questo passaggio di un articolo di Giovanni Falaschi, chiedendoti di valutare se è il caso che tu dica qualcosa in merito.
Un caro saluto

Ennio

Giovanni Falaschi, Sguardi attuali su Giame Pintor, in «IL MANIFESTO» 7 lug. 2007, pag.13:

«[…] Negli anni Settanta poi, in occasione della pubblicazione del suo diario insieme a molte lettere familiari e no («Doppio diario», 1978), un livoroso intervento di Fortini cercò di abbattere il monumento che gli era stato costruito. Da Fortini ci si poteva aspettare di più e meglio, per esempio una più acuta comprensione del rapporto fra intellettuali e fascismo, anche con uno scritto che fosse allo stesso tempo un saggio e una testimonianza. Lì per lì la sua stroncatura non ebbe molto seguito, ma più tardi è stata il punto di riferimento del nostro misero «revisionismo», un revisionismo che di fatto ha toccato ben poche questioni, fra cui questa, arcinota: Pintor avrebbe aderito tardissimo all’antifascismo, senz’altro dopo l’ottobre del 1942, quando partecipò al Convegno degli Scrittori a Weimar. Problema affrontato in modo pretestuoso, a cui offre ora adeguata ri-sposta Maria Cecilia Calabri nel, suo «Il costante piacere di vivere. Vita di Giaime Pintor» (Utet 2007, pp. 640, euro 24) in cui ricostruisce in modo eccellente la biografia di questo grande intellettuale.[…]»

4 agosto ‘07

caro Ennio Abate, non mi era sfuggita la recensione di Giovanni Falaschi, che conosco bene di persona. Purtroppo Giovanni è stato negli ultimi anni colpito da una grave serie di dolori personali (la morte della moglie, e altro), che l’hanno inasprito e che rendono difficili i rapporti con lui anche a chi lo conosce da molti anni e ha cercato di stargli vicino. Per questo, e, francamente, anche per non risollevare antiche “querelles”, che giovano solo all’andazzo giornalistico di ridurre le tragedie della storia a beghe personali, non ho ritenuto opportuno rispondere, come invece ho fatto in altre occasioni. Aggiungi che ho sempre considerato l’intervento di Fortini su Pintor come infelice (anche se esiste una tradizione memorialistica, da Bianca Ceva ad altri, in cui si colloca: vedi il libro della Calabri, in cui la questione mi sembra trattata con finezza ed equanimità).
Un caro saluto.
[N. G.]

5 agosto 2007

Caro N.,

ti ringrazio della ragionevole risposta che mi hai mandato sulla recensione di Falaschi, ma pur essendo le vacanze poco propizie a discussioni approfondite e specie su antiche *querelles*, come tu dici, mi sento di insistere e chiederti soprattutto un chiarimento. Perché devo dirti sinceramente che io ho sempre simpatizzato e trovato interessante la recensione di Fortini a «Doppio diario» di Giaime Pintor, che tu giudichi invece «infelice».
Non trovo quell’intervento «livoroso» o addirittura il punto di riferimento del revisionismo storico italiano, come sostiene Falaschi.
La mia memoria conservava l’impressione di un’analisi di «Doppio diario» senza compiacenze, tutta tesa a smantellare a proprio rischio (e si sono viste le conseguenze) «l’immaginetta devota del giovane geniale e del lucido combattente» (p.128 Q.P.) che Falaschi ripropone rafforzata nella recensione di cui parliamo.
Ora, messo sull’avviso dal tuo giudizio, sono andato a rileggermelo quell’intervento, rispolverando la copia dei «Quaderni piacentini» che conservo (n.70-71, maggio 1979) e che penso sia l’unica traccia dell’«incidente» di Fortini con «il manifesto». E, in tutta sincerità, mi viene da confermare l’importanza di quella antica «querelle», derubricata troppo facilmente da Rossanda, nella prefazione a «Disobbedienze», a «una di quelle efferatezze concettuali che verso la fine [Fortini] ammise, e perdipiù gratuita».
Leggerò appena possibile il libro di Maria Cecilia Calabri. E posso ammettere in partenza che una biografia, a differenza di una recensione a caldo di «Doppio diario», ricostruendo minuziosamente la vita di Giaime Pintor, evidenzi ulteriori meriti della sua figura. Ma ha smentito in modo argomentato le puntuali considerazioni critiche che fece Fortini su quel testo di Giaime Pintor?
Falaschi sostiene che di fronte a casi simili a quelli di Giaime Pintor «le vecchie categorie di fascismo/antifascismo non bastano più da un pezzo». Ma anche Fortini l’ha sostenuto e forse prima di lui.
Il fatto è che Falaschi (non so la Calabri) si adagia sull’autobiografismo («lo stesso Giame aveva offerto acutamente una chiave di lettura del senso storico della propria generazione»), Fortini invece mostra i “limiti di classe” di tale autobiografismo generazionale.
Esagera? Concima la sua critica con il «risentimento» giovanile di quando era «marginale alle “Giubbe Rosse”» o con la sua «incertezza in quella stagione, certo non recuperata con l’essere stato in Svizzera durante la resistenza», come insinua Rossanda?
Può darsi. Ma quel Fortini che, sempre a detta di Rossanda, «sospettava in quel giovane [Giaime Pintor] che gli era apparso, prima del diluvio, tanto più accettato e forte, la stoffa d’un futuro «gran commis d’état», classe illuminata ma padrona» («Disobbedienze I», p. 13) si sbagliava davvero? Era solo accecato dal risentimento piccolo-borghese di fronte al giovane medio-alto borghese o documentava le sue affermazioni con dati “di classe” incontestabili. Qualcuno le ha smentite? La ricerca della Calabri le smantella?
Che poi Pintor sarebbe saltato su una mina tedesca mentre cercava di raggiungere il fronte alleato dimostra che la sua destinazione cominciava ad essere un’altra, ma questo non cancella di botto la precedente.
E poi Fortini non sviliva affatto «il lucido e generoso impulso all’azione responsabile» (125) di Giame Pintor. Non gli riconosceva però il « passaggio di cultura e di classe» e metteva in risalto – cosa che non trovo disdicevole – la «distanza fra il piccolo-borghese che ero e dunque sono… e il giovane alto-borghese che Giaime era» (p.125 «Quaderni piacentini»).
La cosa a prima vista può apparire fastidiosa e quasi personalistica, ma non lo è. La misurazione del grado di potere che ci deriva dal ruolo e dall’estrazione sociale non è irrilevante nella valutazione dei meriti culturali, almeno per dei marxisti.
Falaschi che fa le lodi di Giaime Pintor («giovane coltissimo, dotato di grande eleganza mentale, di voglia di vivere e di lucida comprensione del contesto») trascura proprio quello che Fortini aveva ancora il coraggio di rilevare e dire nel 1979: che quelle indiscutibili qualità personali avevano un legame saldissimo con i comportamenti e le condizioni di privilegio della classe dirigente d’allora.
Oggi queste cose non si vedono più o non si dicono più. Ma chi s’è avvantaggiato di questa cecità o di questo silenzio? E la crisi in cui oggi versa la sinistra non ha a che fare anche con questa cecità e questo silenzio?
E la reazione di Luigi Pintor e degli altri redattori de «il manifesto» che Rossanda rivendicò («Come che sia, Luigi Pintor non capì e non perdonò – perché avrebbe dovuto?» (p.14 «Disobbedienze I») insistendo anche impietosamente sulla goffaggine con cui Fortini «tentò di rimediare» non porta anch’essa quel segno di classe medio-alta che Fortini imputava a Giaime Pintor?
Gli inviti che in quello scritto Fortini faceva – leggere la storia nazionale degli ultimi quarant’anni (di allora) impiegando come filtro il rapporto e conflitto fra ceti piccolo-borghesi e ceti medio-alto borghesi (p. 126 Q.P.) ; studiare la «circolazione tra fascismo e antifascismo» e il loro illusorio «superamento» nella scuola (p. 127) – non mi sembrano sociologicamente e storicamente irrilevante o inattuali. Solo ardui e scomodi ancora oggi per moltissimi intellettuali di sinistra. La Calabri ne discute?
Mi fermo qui. Ma devo confermarti la mia propensione (non inutile, credo) per antiche “querelles”.

Un caro saluto
Ennio

P.s.
Questa lettera la mando solo a te. Valuta in piena libertà se è il caso di farne conoscere il contenuto ad altri.

[Nota 4 dic. 2016. Il mio interlocutore non mi rispose più.]

1 pensiero su “Vecchie polemiche. Fortini su “Doppio Diario” di Giame Pintor

  1. DAL CARTEGGIO

    ROSSANDA A FORTINI (pag. 112)

    Cosi sono le cose. E dunque non scrivermi “tirati fuori, tu pulita, da quella merda” e
    “scrivi per i compagni di domani”. Non scrivero nulla per domani se non vedo quel
    che succede oggi. Non mi salvero per un’altra guerra. Non sono buona a nulla, se non a quella desueta virtu che e la lealta, e il senso di essere inferiore a quel che dovrei –altrettanto desueto. Mi amm‹a›estrano, infatti, tutti; specie coloro che mi lasciano.
    E tu, ti ricordi che mi dicesti che mi avresti aiutato? Sgridato, corretto? Non sospettato e invitato a “lasciare”‹?› E finisci di dirmi che non lo puoi fare per colpah del mio condirettore [Luigi Pintor]. Intanto eri gia abbastanza grande da sapere, nell’animo tuo, quel che facevi ferendolo cosi acutamente la dove la piaga piu doleva; e poi sai anche, quando vuoi, come aggiustare un guasto, lenire una ferita, capire e farti capire. Ma soprattutto, a che vale quella vecchia storia? Tu puoi scrivere quando vuoi su questo giornale. Se prima vuoi delle scuse, significa che tu, io, le nostre persone campeggiano al centro dell’universo, anche se fractus illabitur orbisi

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