di Eugenio Grandinetti
Recupero dal vecchio sito di Poliscritture 2005-2010 non più aggiornato e inaccessibile queste poesie di Eugenio Grandinetti con due sue note. Comparvero mercoledì 11 febbraio 2009. [E. A.]
Flamen dialis O Giove ottimo massimo che diventi pessimo quando adirato scagli le tua folgori e rendi esecrabile tutto ciiò che colpiscie la tua folgore non sempre uccide l’assassino e il ladro rimasti impuniti per potere ristabilir la giustizia oltre l’errore, ma più spesso colpisce il contadino, sorpreso da improvviso temporale, che cerca riparo sptto un albero. Ma i tuoi voleri sono imprerscrutabili e anche la tua giustizia non coincide con quella di noi poveri mortali, ed è proprio per questo che io flamine non ti obbligo con voti e non ti sfido co animo ostile ed osservo con giusto timore i dettami che il tuo servizio mi impone : non mi lascio portare da carrozze e cavalli per non perdere il contatto con la terra,no porto anelli,collane ed armille per non vere legami profani,indosso d’inverno e d’estate vestiti di lana e non mi allontano per più di tre notti dal letto con i piedi spalmati di fango come è stato prescritto al tempo dei tempi e casto mi astengo nei tempi dovuti dal cibo e dal sesso. E tu ascolta benevolo le richieste del popolo e scendi come pioggia feconda sui campi. Però non eccedere, non farti alluvione che inonda le piane e che smotta e corrode i declivi dei monti e li rende sterili e instabili. E per renderti a noi più propizio io ti sacrifico un toro candido,ancora nel pieno vigore della tua forza geniale,che il suo sangue si sparga sull’ara e renda feconda ogni cosa : le greggi,gli armenti, i campi,i prati e le genti. Flamen Martialis O padre Marte, ti chiedo e ti prego :proteggi le case,i campi,le greggi, allontana da me,dai miei cari dai miei servi i morbi e la morte, discaccia i mali evidenti e quelli nascosti : l’isterilimento,la devastazione le calamità e la mala stagione, che la la crudele ruggine risparmi le mie messi,e il lupo vorace non assalti le mie greggi e non sgozzi le pecore. E difendimi o padre dai predoni che cerchino di discacciarmi dai campi,e non farmi diventare a mia volta predone che attenti alla terra e alla vita degli altri. Sii padre di pace,o Marte, che greggi e vigneti e frumento rende lieti e fecondi. Per questo io flamine ti offro come ostie gradite un porco un vitello e un agnello di latte e siano le loro vite il riscatto della vita e dei beni di tutti. Flamen Quirinalis Quirino,Romolo fatto dio o dio sabino, fatto romano certo nume benevolo agli uomini a cui insegna opere di pace,come costruire case ed acquedotti e strade,o fondare nuove città,squadrate dai gromatici ed ordinate,ed a dividere equamente i campi tra le genti,e rendere il popolo più prospero,proteggi le nostre fatiche convincendo Larenta a far germinare il grano,che cresca uniforme e folto nei campi,ed ingiungendo a Robigo di non intaccare i tenui steli ma attaccarsi al duro ferro delle armi,perché è meglio distruggere ciò che distrugge,non ciò che aiuta la vita e l’accresce,ed assistendo la mite Opiconsivia a conservare il lavoro dell’anno che è trascorso a favore dell’anno che verrà. A te sul tuo colle io flamine immolo un ariete già pronto per la monta perché col tuo aiuto sia fecondo il nostro lavoro,e la vita continui negli anni sempre attiva e pacifica. Flamen Falacer Falacer,non sappiamo più se dio eroe,del quale si è persa l’immagine nel corso del lungo viaggio da terre lontane fin quasi alla foce del fiume Rumone, di te non resta che un nome senza volto e un flamine inutile, senza un tempio in cui conservare il tuo simulacro,senza un’ara sulla quale sacrificare le offerte siano esse cruente o incruente da offrirti per rendere il tuo nume benevolo al popolo. Flamen Cerialis Cerere, non grande madre dell’Ida che arriva col suo carro trainato da leopardi e circondata da un seguito di sacerdoti sterili, ma umile dea contadina,tu vieni a piedi nei campi insieme accompagnata da poveri dei braccianti, stagionali e precari,e curi il grano ancora in erba estirpando col tuo sarchiello le erbe che l’infestano ed accarezzi con lo sguardo il morbido ondeggiamento degli steli quando la brezza lieve sparge per i campi nubi di polline.A te non s’addicono sacrifici d’animali pacifici,che certo tu rifuggi dal sangue e dalla morte. Io ti offrirò, quando verrà il momento i gladioli selvatici raccolti tra le messi e le prime spighe dai chicchi ancora lattescenti. Flamen Lucularis Sive deus,sive dea, Luculo o Lucula, io non so chi tu sia: se tu sei luce nascente oppure ombra del bosco, se sei nascita o sei nascondimento, se sei ancora un dio o se il tuo nume dopo lungo diluculo è ora esausto, ed io flamine adespota ora sono incerto pure di me stesso e cerco se qualcuno mi mostri un tuo santuario in evidenza in cima a una collina oppure anche nascosto nel più folto del bosco, dove latita sia la luce del sole che dall’alto scocca raggi di luce che colpiscono ogni cosa in ogni angolo segreto sia quella della luna che s’adagia sopra le fronde ma non le attraversa. Ma orma nessuno ti conosce e io resto sacerdote del nulla,senza un’ara sulla quale riporre le mie offerte e senza la speranza di ricevere un segno della tua benevolenza. Flamen Furrinalis Furrina è una dea, ma non si dice dea di chi o di che cosa. Il nome certo fa pensare ai ladri, ma non è ladro solo chi s’intrufola nelle case degli altri e fa razzia di ogni cosa che vale, chi, approfittando della ressa, ruba il borsello a chi vede distratto : ci sono pure ladri rispettabili, come chi specula sull’altrui bisogno chi approfitta dell’altrui fiducia per prendere il potere e poi gestire a suo vantaggio il pubblico denaro. Ma Furrina può anche essere la dea che si pone al servizio della Furie ed agita i cuori e li tormenta e sconvolge le menti e rende insani fa morire quelli che vuol perdere come nel bosco a te sacrato Gracco proprio perché colpevole d’essere ostile ai ladri rispettabili per ingraziarsi la plebaglia ignobile. Io che sono il tuo flamine,pensandoci, dovrei vergognarmene, ma essere al servizio dei potenti rende potenti,ed essere potenti è il modo migliore per rubare restando impuniti e rispettabili. Perciò, chiunque tu sia, Furrina, io sono tuo seguace fedele e ti rivolgo suppliche e ti dedico il sacrificio della mia coscienza. Flamen Virbialis Virbio, anima inquieta che ti sposti dal mare dell’attica nei boschi albani e lasci il brillio della corte e le veloci corse dei carri sulla spiaggia per quiete passeggiate nei forteti, Ippolito già morto per colpa di un dio e poi risorto per volere del nume di una dea, tu che eri negli anni giovani sdegnoso delle grazie muliebri e che invece negli anni anziani fosti sposo e padre felice e re del bosco, a te che godi ora dell’alternanza del desiderio e dell’appagamento, io,flamine di poco conto non so cosa offrire e cosa chiedere, se non che aiuti,se lo puoi, la gente a vivere accettando ogni momento della sua vita, anche se la sorte appaia ostile, sperando che alla furia dei cavalli segua la pace umbratile del bosco, dove segreto ci accompagni il sogno di scorgere nel folto delle fronde l’incerto luccichio di un ramo d’oro. Flamen Pomonalis Pomona, i tuoi seni son profumati e sodi come poponi maturi, i tuoi capezzoli sono come le fragole selvatiche del sottobosco, sono come i corbezzoli che rosseggiando tra le fronde chiamano gli uccelli a frotte, le tue labbra sono turgide e rosse come fette di cocomero e hanno il sapore buono del vino genuino, del pane fatto in casa,di ogni cosa semplice e non adulterata. Non c’è tempio che possa contenerti : tu sei immensa ed ubiqua e non chiedi sacrifici ma offri castagne e ghiande agli uccelli dei boschi, ed ai cinghiali delle foreste, e more nere dai rovi e bacche rosse dai biancospini nelle siepi e spighe e silique e follicoli nei campi e nei frutteti drupe,bacche ed esperidi, e legumi e cocomeri negli orti. Ma in questo nostro mondo è solamente la supponenza a renderci visibili e la distonestà, l’egoismo e la furbizia a darci potere ed importanza. La generosità non vale niente perciò tu sei una dea di poco conto ed io sono soltanto il flamine ultimo. Flamen Volcanalis Nascosto sottoterra un nume scaglia fuoco e fiamme sui campi sulle città,sugli uomini : dall’alto Giove e Vulcano dal basso incendiano case alberi,coltivi e sconvolgono il mondo. Gli dei sono spietati ma ci insegnano che la paura è il solo modo agevole per tenere la gente in soggezione. Sapere e riflettere potrebbero renderci tutti liberi, ma chi ha il potere e vuole mantenerlo deve far conto sull’altrui ignoranza e deve coltivarla col terrore. E a me che sono flamine conviene mantenere il mio piccolo potere e pregarti Vulcano di non essere infausto al popolo e di mantenere a freno il tuo fuoco,anche se so che non servono a nulla le preghiere né i sacrifici e che quando è il momento la terra s’apre e sgorgano dal fondo fuoco e vapori e cenere e distruggono tutto quello che incontrano. Flamen Volturnalis Volturno,un tempo dio potente di un fiume situato oltre il confine di paesi lontani e a volte ostili, ora che abbiamo imposto il nostro nome alle genti limitrofe tu non hai più l’alone del mistero a renderti terribile,ma pure resti per qualcuno un dio di qualche conto io flamine ormai fievole non so cosa possa aspettarmi dal restare al tuo servizio,se non solo sperare che si liberi presto un qualche posto migliore a cui concorrere. Da te i rivieraschi però sperano che tu risparmi loro le alluvioni devastanti,ma pure gli assicuri l’apporto dell’acqua perché possano irrigare d’estate i campi e gli orti. In cambio essi ti offrono gli scoli fognari ed i rifiuti che tramite tuo vengon portati lontano dai paesi fino al mare. Flamen Palatualis Che tu sia Palatua o l’una o l’altra Pale guidi il bestiame che dal Palatino scende alla piana dove il dio Rumone deviando il corso forma un’ansa fertile d’erba tenera quando la stagione arida inaridisce le pendici dei colli intorno. Mi piace saperti tra le mandrie attenta a ogni pericolo :o che i buoi s’avvicinino troppo a un precipizio, che sbuchi dal bosco all’improvviso un lupo e si avventi sulle greggi creando scompiglio ed isolando la pecora da uccidere. Per te si suscita nelle bestie l’estro che accende d’amore arieti e tori che cozzando si disputano l’onore di trasmetter la vita ad una prole prospera e forte.E tu assisti ai parti nel buio delle stalle o negli stazzi al chiarore malcerto della luna che le mandrie si rinnovino. Dea degli inizi e degli accrescimenti un tempo eri importante e io flamine un tempo ero potente al tuo servizio,quando gli antichi re ancora si vestivano con vesti di pelle,e dopo aver riunito nella curia i padri delle genti ritornavano a pascolare il gregge a mungere il latte ed a cagliarlo ed a pressare i caci nelle fiscine, ora diventato flamine di poco conto da quando il bestiame dei romani è lasciato alla cura degli schiavi e la nostra ricchezza ormai ci viene dalla guerra e dalla predazione, pure rimango ancora fiero d’essere addetto a te,dea,che ricordi a tutte le genti il giorno sacro in cui i padri tracciarono il pomerio sacro dell’Urbe, io ti offro una sacra libagione di latte appena munto e sul tuo altare brucio una caciotta ancora tiepida e un bioccolo candido di lana strappato dal vello di una pecora. Flamen Carmentalis Cantami i carmi magici,o Carmenta, che donano la forza o che la tolgono, insegnami le formule che legano e disciolgono, e siimi propizia col tuo nume che può salvare o perdere. Insegnami l’inganno e la potenza della suggestione,e non limitare i tuoi poteri solamente a dire quale sarà il futuro. Sul Palatino dove trascorresti con Evandro una vita senza sfarzo tra capanne di paglia ed are misere fatte solo di pietre ammonticchiate, ora si leva una città potente che signoreggia sopra tutto il mondo, e il popolo che la abita non è più un gruppetto di pastori venuti dall’Arcadia che vivevano di latte e di zampogne e che,mentre le donne raccontavano coi loro canti antiche nuove favole e sanavano il gregge ed i bambini con le erbe selvatiche e le formule magiche,gli uomini al fuoco dei bivacchi stabilivano che la divisione dei pascoli fosse demandata alla saggezza inerme degli anziani. Ora ci sono onori e decisioni ben più importanti,e occorre controllare popoli diversi,sparsi per paesi lontani : Ci sono ora altri che hanno il compito di mantenere sottoposti i popoli con altri timori e divisioni : Io che sono un flamine mi limito a compiere ritualmente i sacrifici, a indire sellisterni e ad elevare a te,dea le suppliche che possano renderti propizia al popolo romano. Flamen Portunalis (Et pater ipse manu magna Portunus euntem impulit.- Aen.V-241/2) La grande mano di Portuno spinge la nave in pericolo nel placido riparo del porto.Ma non piace agli uomini l’acqua immobile della rada : Vorrebbero vivere un’avventura di lotte e di vittorie senza pericoli. Ma la vita che ci è stata donata è come il mare aperto,le cui le onde ci trascinano al largo,ove ci aspettano arsura e solitudine o ci spingono ad arenarci sulla sabbia o a infrangerci contro gli scogli. E tu,Portuno,che sei dio dei porti e delle porte,dove si entra o si esce, dove si arriva o dove si riparte proteggici anche dai nostri desideri e fa che le une e gli altri siano aperti agli incontri amichevoli,ai commerci equi,favorendo lo scambio dei saperi e delle merci in modo che nei popoli s’accrescano la civiltà e il benessere in un mondo pacifico ove pure concorrere non sia correre a gara l’un contro l’altro al fine di contendersi un’unica posta indivisibile, ma sia correre insieme per poi giungere tutti insieme ad una stessa meta. Questo ti prego io,flamine, inascoltato spesso dalla gente. Fa in modo che i popoli si ribellino alle voci ingannevoli e che ognuno capisca alla fine che soltanto in un mondo di uguali possono esserci pace,giustizia,libertà,progresso. Non ho però per renderti propizio niente da sacrificarti.Ma tu scendi benevolo nel nostro mondo,prenditi invidia,egoismo,supponenza e bruciali sul tuo altare e disperdine le ceneri venefiche.Poi stendi la grande mano su di noi e proteggici per sempre da noi stessi. Flamen Floralis Flora,che inondi di fiori i prati,i giardini,i frutteti, che chiami con i tuoi colori le api perché si perpetui la vita ;Flora dagli occhi celesti dei fiordalisi dei campi,dai capelli dorati dei ranuncoli,delle gote rosate come i petali dei peschi nei frutteti, dalle labbra più rosse dei papaveri e dalle braccia vellutate e candide come i fiori dei mandorli, Flora che sorridendo porti sulla terra dal cielo tutti quanti i colori dell’iride :il rosso dei tulipani dei giardini,il giallo delle celidonie sparse tra gli incolti delle crocifere degli orti,delle ginestre dei boschi,e ancora l’arancio dell’anagallide e il verde delle euforbie diffuse e l’indaco dell’ireos e l’azzurro dei myosotis minuscoli e delle veroniche amiche e il violetto delle mammole umili e delle verbene sacre. Io flamine resto a guardarti estatico mentre procedi lieve accompagnata dai soffi dello zefiro e dai voli amorevoli delle api e di quelli palpitanti delle farfalle e mi dimentico di elevarti suppliche e dedicarti sacrifici devoti. Ma tu non te ne adonti :sei l’amore che dona senza chiedere,che rinunzia ad uno ad uno ai petali per essere sostentamento e nascita, e che muori perché si continui e si rinnovi la favola infinita che è la vita.
Due note dell’autore
1.
Caro Ennio, allego le poesie sui flamines. Naturalmente corrispondono a un mio modo di sentire, anche se la cornice (flamini e loro attribuzioni) è assolutamente corrispondente a
quanto sappiamo di questi sacerdoti,salvo l’interpretazione di furrina come dea dei fures.
2.
Caro Ennio, continuo a pensare che imiei flamines non interessino nessuno o quasi. Li ho mandati a te e ad altri pochissimi amici per condividere con loro un mio capriccio. Se però tu vuoi mettere alla prova la pazienza dei lettori, puoi farlo.
Continuo a pensare che una poesia deve essere capace di comunicare pensieri ed emozioni per suo conto, senza bisogno di presentazioni e spiegazioni, e credo che le attribuzioni dei flamini si capiscano dalla lettura delle poesie.
Aggiungo solo che i flamini costituivano uno dei collegi sacerdotali dell’antica Roma, forse il
più antico (perciò per indicare il Tevere uso il nome arcaico di Rumone),risalente agli antenati indoeuropei del periodo precedente alla diaspora, se, come sembra, il loro nome debba collegarsi con quello dei bhrahaman anticoindiani (Bhrahman-Flamen). Anche il nome dello stesso flamine principale (dialis) è legato all’antico indoeuropeo diaws (poi modificato in deva nel sanscrito, zeus/dios nel greco e Diaus – da cui diaus pater-diuspiter-Juppiter, in latino), e se i flamini minori erano collegati a divinità molto attenuate o addirittura dimenticate in epoca
classica.
Un’ultima cosa: per l’interpretazione di Marte come divinità legata al mondo agrario mi sono rifatto alla preghiera recitata durante la lustrazione dei campi riportata da Catone nel suo De agricoltura (cap 141).