di Angelo Australi
L’otto gennaio è morto Walter Nesti, un amico di vecchia data. Mi ha telefonato questa mattina Lorenzo Mercatanti, prima di recarsi al lavoro. Levataccia in tutti i sensi, soprattutto per la triste notizia. Però ha fatto bene a chiamarmi, era stato proprio Walter a metterci in contatto, nel 2014, quando mi consigliò di leggere il suo romanzo Il babbo avrebbe voluto dire ti amo ma lo zio ne faceva anche a meno.
Walter era nato a Poggio alla Malva (Firenze) nel 1933 dove, tranne alcuni anni di lavoro in Lussemburgo presso un’agenzia specializzata in notizie politico economiche, ha sempre vissuto lavorando come responsabile dell’Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni di una struttura sanitaria del territorio.
Walter Nesti ha esordito nel 1962 con la raccolta di poesie Calvario d’uomo, alla quale fa seguito il romanzo Un’automobile lunga sei metri (Prato,1972), il Poemetto La Protesta e il cuore (Prato 1976) e il libro per ragazzi Estate di fuoco (Giunti Marzocco, 1979), dove lui undicenne racconta come vide il passaggio del fronte da Poggio alla Malva nel 1944 – libro importante, a mio giudizio, che purtroppo non ha avuto l’attenzione della critica che avrebbe meritato; e poi altre raccolte di poesie: La foresta e il cuore (1976); il Poemetto Bollettini dell’ultimo delirio (quaderni di Logos poesia, Milano 1988); il poemetto Itinerario a Calu (premio internazionale della città di Pomezia del 1989); Diletto (Masso delle Fate edizioni, 1993); Prima del Potere (Save As, Barcellona 2000); Calu perduta (I quaderni della valle, 2002).
Oltre ad occuparsi di ricerca storica locale e di tradurre poeti francesi, ha fondato e diretto Pietraserena, una rivista di critica militante molto aperta alla collaborazione, dove si auspicava di trovare un punto di incontro tra una riflessione storica dei fatti avvenuti nel territorio e una sperimentazione più specificamente letteraria.
Vorrei ricordarlo con qualche suo verso, estratto da Prima del Potere, raccolta uscita in un’edizione bilingue italiano/spagnolo.
Incipit All’angolo forse un carro ci attende e non sappiamo quale sarà la destinazione il potere potrebbe sorprenderci in un attimo stupido di abbandono poesia 47 Il sogno troppo forte può accecare immobilizzare a lungo la coscienza annullare la luce del giorno ammorbidire in mantelli di velluto lo spasimo angoscioso della notte Veglia oltre l’albero scosso dal vento l’uccello immerso in bioccoli d’azzurro tenue nel suo lamento lascia scorrere fili di desideri inappagati Muore così spezzato dal rifiuto di realtà proterve minacciose quel grumo pertinace di speranza l’anello che si salda all’altro anello il grido imploso che non dà vittoria Rimane a soggiogare la coscienza il tarlo incandescente del ricordo testimone lascivo di rovine o d’estasi improvvise di fulgori dall’uccello affogati col suo canto con l’insistito lungo aggrovigliarsi delle penne fra i rami della pianta e il gelo che diffonde il suo silenzio. Poesia 53 Strade voci copioni gridati affastellati contro i marciapiedi dove diedi di calcio all’impazienza e tu arrostisti ai limiti del parco sgocciolante d’acqua la rosa trascinava la bava lucida del ragno e sopportava la tua mano il tremore del mio corpo Sarà così ricordo la panchina verde bandiera umido di pioggia steli avvizziti gli ombrelli giù nell’erba recitavano strani rosari alle formiche impantanate al copione del giorno accartocciato come un vecchio foglio biondo di date inutile e straniero Non guardare dall’alto dell’ossario l’imbecille corteo che ingrandisce di grida gli spezzoni delle mura ogni altra alterità ora è negata e la rosa si scuote dolcemente la bava del ragno sulla zolla Inacidiscono gli ultimi deliri non trema più il mio corpo e la tua mano stringe solo la nebbia del viale.