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di Donato Salzarulo
POESIE DEL VENERDI
I versi di Viola Vocich, interiorizzati, mi aiutano a scacciare via le grida deliranti della guerra di coppia, le urla e gli insulti che arrivano dal fondo del corridoio, attraverso la porta della camera, rimasta aperta tutta la notte.
I versi sembrano dirmi: se accarezzo la mia pelle, la brace della passione amorosa cambia colore, da nera si fa arancio. Soprattutto mi regalano le palpebre chiuse, l’incoscienza del sonno.
Addormentatomi con questo sollievo, la mattina del venerdì comincia con un flusso poetico. Dura un po’ tutta la giornata. Sono onde che sintetizzano i pensieri e le emozioni di questi primi giorni fuori casa.
PRONTO SOCCORSO
Le notti non si dorme. Almeno qui.
Cosa farai dipende da te. Meglio,
da come ci arrivi. Io sono arrivato
assai malconcio, con un livello di
saturazione vicino ai novanta
e con una bella polmonite addosso.
Ho poco da fare. Mi mantengo
appena in piedi, non riesco a mangiare
quasi nulla. La nausea mi perseguita.
Non riesco a leggere una pagina
o a disegnare l’iride azzurro
dei tuoi occhi. Quindi percezione,
solo percezione. I muri non sono
statici. A fissare un’ombra, dopo un po’,
la vedo muoversi. Cosa insegue non so.
Si perde continuamente dietro a un’altra.
UN VOLO
Sto cercando di volare
di assumere il tempo radicale.
Non posso più vivere
in affanno, col fiato corto,
prolungando il danno.
Non sono un mestierante
d’amore, che raccapezza
ogni giorno un bacio
un pezzo di storia,
un articolo per ancorare
la memoria. Sono al bivio:
vivere nella vigna di maggio
o restare sull’orlo del pozzo
con l’angoscia della notte
che m’ingoia.
PASQUALE
Pasquale è l’infermiere che stamattina
veglia su di me. Cerca delicato
il punto migliore per il prelievo.
E poi mi infligge inevitabile
la tortura di due tamponi.
Mi misura la pressione:
settanta / centoventicinque
e la saturazione: novantacinque.
Quando si parla d’amore
sarebbe opportuno non dimenticare
questa fraternità sociale;
qualcosa dice sulla nostra specie.
È quest’amore che mi dona ossigeno,
che si sta prendendo cura del mio corpo.
CORPO D’AMARE E CORPO DA RISANARE
Noi si vive sempre tra mille contraddizioni.
Per lo sguardo di chi mi cura sono
un corpo da risanare, da riportare
nella migliore condizione possibile.
Per lo sguardo di chi mi ama
sono un corpo d’amore.
Penso a come ieri sera la moglie
del mio silenzioso compagno
di stanza gli curava le ferite
del suo corpo scheletrito. Nulla
di paragonabile a quanto
con mani pietose e indubbia tenerezza
aveva fatto la mattina un gruppo
di quattro ragazze.
I NOMI DELLE DOTTORESSE
Non ricordo più i nomi delle
dottoresse che dal pomeriggio
del ventidue settembre si sono
prese cura di me. Mi hanno dato
ossigeno e letteralmente respiro,
hanno consentito ai miei polmoni
di continuare a tenere vivo
lo scambio essenziale con il cuore.
LEI
Lei ad un certo punto del giorno
mi abbandona. Mi ha chiesto poco.
Tipo: Come si sente? Oppure può
portarmi l’ultima relazione del
cardiologo – va bene anche se
fotografata dalla moglie – Oppure
ci siamo integrati sulle due terapie.
Io sto lì e intanto m’invita a mettermi
sul letto a mezzo busto per auscultarmi
il torace («Fai un bel respiro e trattieni…»)
«Prova, prova tu…» e la studentessa
in camice bianco sente i rumori
che vengono o non vengono
dai miei polmoni. Poi con la mano
quasi disegna sulla mia schiena
una mappa dei crepitii sordi
della polmonite.
NIENTE COLAZIONE
«Niente colazione stamattina. Sei a digiuno.
Forse sei segnato per qualche esame.»
Le novità del giorno arrivano così,
con le parole della ragazza addetta
alla cucina, che – bontà sua! – m’interpella
pure con un “caro”. Ma i giovani un “caro”
non lo negano a nessuno.
Le poesie del venerdì, finiscono qui. Il loro tono mi soddisfa. Sono quadretti, ritratti, vita ospedaliera, riflessioni, pensieri di gratitudine e affetto per chi si sta prendendo cura del mio corpo, lavora a risanarlo, a rivederlo in piedi.
Sono sette sorelle scritte quasi di botto. La più misteriosa è “Un volo”. Mi ha reso inquieto e insoddisfatto fin dal primo momento, fin dalla prima rilettura.
Stamattina, 24 gennaio 2025, a distanza di quattro mesi, mi sono svegliato col volo radicale in testa. Digiuno, alle sette sono andato a fare il prelievo di sangue per il controllo del colesterolo LDL, quello negativo, che la dottoressa di famiglia e il cardiologo mi raccomandano di tenere al di sotto di 70, meglio vicino ai 50.
Nella sala d’attesa la voce che mi parla dentro mi ha donato i primi quattro versi. Il resto è venuto fuori al ritorno a casa, subito dopo il tè e le tre fette biscottate della colazione.
Inutile andare in chiesa
se non si crede
alla venuta imminente
del Regno di Dio.
Inutile pregare
se ci si consegna
integralmente alle nebbie
di questo mondo.
Neanche la bella giornata
dovrebbe del tutto soddisfarci,
neanche un pranzo felice
tra parenti e amici.
Serve un volo,
un volo radicale della mente
e del cuore, serve riprendere
i sogni di mio padre
e di tanti come lui
che lottavano per l’amore,
il paradiso in terra,
giustizia e fraternità
il comunismo dei liberi
e uguali.
Non siamo pecore,
non abbiamo bisogno
di delegare al buon pastore
o alla pastorella di turno
con la frangetta bionda
i nostri pensieri e i nostri
sentimenti. Osa ragionare,
diceva Kant, osa mettere
tutto in discussione, osa
ribellarti a chi vuol farti
credere che sia un merito
sfruttare e opprimere
i propri simili. Osa
guardare le tue malattie,
corporali e mentali.
Ricordatelo!… Parlano
una lingua sociale.
L’individualismo non è male
del singolo. È norma,
un’aspirazione di chi vorrebbe
controllare i tuoi desideri,
di chi vorrebbe ridurre
tutto a capitale umano,
così la tua vita sarebbe
un investimento razionale
e tu un imprenditore
col cuore centrato
sul profitto da realizzare
la meta agognata
il successo sperato
o forse disperato.