I nostri morti: Gianmario Lucini

di Ennio Abate

Penso  ogni tanto ai dialoghi interrotti con amici che non ci sono più. A quanta fatica  è necessaria per riprendere in mano e  rileggere qualcuno dei loro libri o articoli pubblicati sui blog che curo da almeno  vent’anni. Alla pena che mi afferra se vado a vedere qualcuna delle mail che mi scambiai con loro. Fatica e pena necessarie. Ripensarli. Fosse pure per pochi minuti. Stavolta dedicati a Gianmario Lucini.

IN MEMORIA

Come ho ricordato altre volte, nel breve periodo in cui abbiamo collaborato assieme in Poliscritture, io e Gianmario ci siamo parlati da sponde filosofiche diverse e per certi versi contrastanti, riferibili – almeno in partenza e con approssimazione – ad Heidegger le sue e a Marx in versione critica fortiniana le mie. Interrotto purtroppo quel nostro confronto a causa della sua morte, anche questa mia lettura di «Hybris» non può essere più controllata in dialogo con lui e resta – bene o male – soltanto la mia interpretazione. Tuttavia penso che non gli sarebbe dispiaciuto leggerla. Mi sono anche chiesto se, a tenere presenti le nostre differenze anche nel momento in cui m’interrogo su questo suo libro da solo, non rischio di essere troppo severo verso un amico che non c’è più. Non credo, poiché il confronto con il suo pensiero e la sua poesia continua sul piano di parità e di rispetto di quando Gianmario era vivo ed entrambi avevamo consapevolezza dello stato di crisi in cui agivamo. Anzi sono convinto che, come io avevo colto che egli si dibatteva nella crisi del cristianesimo di fronte al mondo moderno e postmoderno, lui era altrettanto attento nei confronti della mia crisi rispetto al marxismo

(Da E. A., “Su «Hybris» di Gianmario Lucini” , qui )

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