Il silenzio e la parola

di Rita Simonitto

Non si poteva dire che camminasse, il che significa mettere un piede dietro l’altro, ma si espandeva. E ciò creava dei problemi perché quella espansione sembrava procedere per conto suo, senza un ordine preciso né una meta. Molti erano i territori toccati in quel movimento espansivo. Lune e soli si alternavano in sequenze stupefacenti ma che gli arrivavano addosso come un’estasi di piacere o una angoscia di cui non riusciva a capacitarsi e tanto meno ad esprimere. Così i giorni si succedevano alle notti. I primi dove la luce sembrava baloccarsi alternando le certezze con gli affanni… i mandorli in fiore e sullo sfondo il gioco del sole fra le colonne del tempio di Segesta. E poi la grandine con i chicchi duri a coprire di un altro bianco quei petali leggermente arrosati. Ed anche le notti delle quali nulla sapeva percependo soltanto un buio che cresceva e decresceva e, in quell’oscuro, gemiti o fruscio rovente di lenzuola accrescevano le ansie. Percezioni e stati emotivi si alternavano in triste sarabanda. Lo struggeva l’impressione di sapere ma poi tutto si ripresentava confuso, impastato di significati multipli, volubili. Enigmi, contraddizioni lo accompagnavano in quell’andare: la bellezza di Medusa che si trasforma nello sguardo che uccide o intuire ? che a volte vince chi perde se del perdere non gliene importa niente…
Una opaca nube lo avvolgeva lasciando comunque emergere squarci di un pulsare simile a quello del respiro, dentro/fuori, e del quale sentiva anche il suono, come quando all’orecchio si mette una conchiglia e si sente lo sciabordio del mare.
Procedeva, dunque, lento, appesantito dal dover fronteggiare senza strumenti quel pervasivo senso di paura che accompagnava ogni momento. Sapeva di quella paura ma non sapeva dire da dove quella provenisse, se da dentro o da fuori. Dentro-fuori, territori di cui percepiva l’esistenza ma non riusciva a definirne ?i confini.
Udì il rumore di uno zampillio ma non ne vedeva l’origine e verso là si diresse. Da una piccola cavità della montagna un fiotto d’acqua si buttava a spume in un bacino da cui poi defluiva ruscellando tra rocce o girovagando tra molli erbe.
La curiosità era forte da annichilire quella paura di osare che lo attanagliava sempre, paura di sperdersi se qualche cosa di sé veniva fuori.
Avvicinatosi alla fonte, gli uscì un gorgoglìo: “Cchi sei? Ccome ti cchiami”
Con lo zampillo di una risata arrivò la risposta: “Targūm”.
Interdetto lui si chiese “Traduzione? Di che? Di che cosa? Oppure tradizione? O tradimento?””
Poi quel ruscellare si fermò fra alcune corolle di Miosotis e a sua volta chiese: “ E tu… no, no, so già come ti chiami. Evidente, no? Sei il Silenzio!”
E così dunque lui aveva un nome! E allora la paura, le ansie e gli stordimenti che lo assalivano all’improvviso avevano a che fare con quel nome? Con voce un po’ più franca, azzardò un “Che significa questo nome?” Ma la domanda si perse nell’aria accompagnata da un lieve profumo di risorgiva di cui però non coglieva più alcuna traccia visiva. Gli rimaneva però il ricordo. Ma poteva fidarsene? Qualcosa di iridescente gli sfiorò il dorso della mano destra e per un attimo lui desiderò che una goccia di quello zampillo fosse venuta a cercarlo. Un sospiro di beatitudine lo colse a quel contatto inaspettato. Ma durò un attimo perché un “Ciao, sono una effimera” lo riportò alla realtà. Poi l’effimera se ne volò via. Sparita anche lei. Gli rimaneva la sensazione che tutto il bello durasse così poco… Aveva scoperto il piacere di sapere che aveva un nome e avrebbe voluto capirne di più. Anche l’effimera si era presentata con un nome e poi si era dileguata. C’era qualche cosa a cui potersi fissare, permettersi una sensazione fiduciosa di continuità o doveva continuare a vagare portandosi dietro quel nome ‘Silenzio’ che gli era stato appioppato? Gli tornò in mente quella risata cristallina che lo aveva tanto affascinato. Oh, no. Non era un ricordo: quella risata stava lì davanti a lui e, paradossalmente, lo guardava, sì lo guardava. Quella sonorità lo ”guardava” dentro. E gli parlò: “Non mi riconosci?”, disse la fanciulla seduta su una pietra davanti a lui. Se ne stava accoccolata, quasi a contenersi le gambe mentre la parte superiore del corpo sembrava ergersi più leggera e flessibile. Pareva una piccola Dea su un piedistallo.
Lui riprese a balbettare “No, non credo. O forse… io mi ricordo una fonte, un ruscello… poi è arrivata una effimera dalle ali trasparenti… eri tu?”
Aveva paura di aver osato troppo con queste supposizioni così strampalate e temeva che, di rimando, gli sarebbe arrivato un riso di scherno. Ma non andò così.
Pacata invece la risposta, accompagnata da una nota quasi di tristezza. “Eh, sì. Io ero in tutte quelle forme che tu hai citato. Io sono la Parola che dice e si lascia dire, quella che dà un nome alle cose, ai pensieri, ai desideri, alle paure e corre ruscellando, anzi scappa come se temesse di rimanere prigioniera di quel nome. La Rosa non è soltanto una rosa. E’ anche altro. E così io corro alla ricerca di quell’altro e a volte sono sfinita, così mi fermo sulla prima pietra che mi sembra più affidabile. E’ una ricchezza che può trasformarsi in prigionia” e finì con un sospiro.
Poi riprese: “So che questa imprevedibilità, la difficoltà nel fissare le cose al loro nome, sono aspetti che ti fanno paura e per questo rimani zitto e non ti fidi di me. Non mi prendi per le potenzialità che ti sto dando ora e mi vorresti così per sempre. Oppure temi che per sempre sia così. Mi temi così come temi il Tempo, mio concorrente e a volte alleato, che produce cambiamenti. Ti ho letto nel pensiero, sai, quando ti ho detto che il mio nome era “Targūm”. Subito hai voluto ‘inquadrarmi: Traduzione, tradizione o tradimento? Certo. Io sono presente in ognuno di questi tre aspetti in una prospettiva dinamica. La traduzione mantiene una parte di originale più qualcos’altro che appartiene alla persona di chi traduce. La tradizione contiene in sè tratti che vanno mantenuti e tratti che vanno trasformati. Quanto al tradimento… il discorso si farebbe un po’ più lungo e complesso e adesso non ho tempo. Devo proprio scappare. Ciao”.
E scomparve improvvisamente così come all’improvviso era apparsa lasciandolo stordito dopo quello svelamento.


06.02.25


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