Reliquario di gioventù (1)

Riordinadiario

di Ennio Abate

Una poesia scritta tra 1958 e 1961. Appunti di autocommento.

Funerale a Pellezzano
Cielo fiori gente/zitta./Madre, pianto…/Che mancò// Ohi che festa!// E lo sposo quando arriva?/ S’è perduto per la via?// Ti ricordi?/ Eppur ballammo.// Sulle tombe?/ Sulle tombe/ dei parenti/ rassegnati/ ammucchiati/ addolorati.// Ti ricordi?/ Ti ricordi?// Delle bacche dei cipressi/ degli amori non permessi/ delle facce indimenticabili / dei fessi? [del cipiglio di quei fessi?]

[Nota 11 agosto 1975. A Salerno c’erano giovani che rimanevano fidanzati a volte per più di 10 anni. Non potevano sposarsi perché non trovavano un lavoro che permettesse di mantenere la nuova famiglia che dichiaravano di voler formare. Immaginavo vagamente l’ipocrisia, la noia, i drammi che accompagnavano questi rapporti [una mia cugina era stata fidanzata più di dieci anni con un vigile e poi, di botto e senza spiegazioni, era stata abbandonata per un’altra donna]. La poesia si riferisce alla morte e ai funerali di una di queste “promesse spose” avvenuta proprio alla vigilia delle nozze. Vuole dissacrare il funerale che ha preso il posto delle nozze e che chiude una vicenda immaginata tormentosa. Il sarcasmo investe sia quelli che subiscono le norme sociali (i «fessi», cioè gli ex- contadini, il popolo, la piccolissima borghesia che stava tentando di elevarsi socialmente mandando i figli [me compreso] a scuola o addirittura al liceo [c’è un pizzico di disprezzo (e autosvalutazione) classista nel termine].

[Nota 26 dicembre 1977. I morti si sistemano nelle caselle degli anni/ non a loro si rivolge il sarcasmo dell’adolescente/ ma al fatto che la morte non è più rischiarata per quel che è possibile dall’intelligenza/ ed è diventata un oscuro, angoscioso sobbalzo in una routine quotidiana affannosa/ parcellizzata/ imbottita di menzogne/ una morte insignificante/uno squillo di telefono a cui non si risponde/ ipocrisia del teatrino dei funerali (drappi, retroscena delle onoranze funebri: fioristi, pratiche, cerimonia col prete)/ tutta da dimenticare nel volgere di una giornata di pioggia/ solo il ricordo di una candela che si consuma sembra ancora emozionare/ [più della vita di milioni di persone costretta all’insignificanza dai potenti?]

il morto/ doppiamente morto, perché è già scomparso da prima il legame con lui/ o non c’è mai stato davvero/ e a noi adolescenti scappa da ridere/

o siamo già così cinici, vittime anche noi, semplici comparse cui non toccherà – come illudendoci crediamo – un futuro diverso?/

negli infiniti gesti e nelle tante vuote parole si ha la sensazione di una scivolata inarrestabile/ anche noi fessi tra i fessi/ masse tra le masse/ visitatori di cimiteri che arrivano in libera uscita da manicomi o istituzioni ad essi simili/

non c’è bersaglio al nostro odio/ e allora stupidamente si può anche «ballare sulle tombe»/ perché non si è in grado di cogliere la inevitabile/ (senza rivoluzione)/ sorte comune/

fragile in questa situazione è anche l’eco della saggezza dei classici/ un monumento costruito per spiriti possibili solo in corpi ben nutriti, ben vestiti, ben curati e rispettati/ anche quando sono malati o impazziti/ no / la calma dei classici non ci può più parlare

[Nota agosto 1981. Insofferenza per i riti/ tentativo di esorcizzare la morte sovrapponendo al rituale tradizionale/ ormai sentito vuoto/ un [ambiguo, avanguardistico, anarchico, moderno, giovanile?] sarcasmo . Bersaglio diretto il funerale. Ma sullo sfondo l’ambiente sociale: la scuola, la famiglia, il gruppo sociale cui si appartiene malvolentieri.

[Nota dicembre 1983. Irriverenza. Ritmo da girotondo nervoso e angosciato. Attrito tra fervore (o aspirazione) alla gioia e miseria sociale [come ne La ragazza dei preti [1]]. Cattiveria giovanile. Sua necessità per dare spazio alla ricerca di piacere. Ma con rimorso. Da qui esasperazione e irriverenza angosciosa verso la morte.]


* [1] In Salernitudine 2003

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