C’è chi dice che il piano di Ursula von der Leyn sia poca cosa, o meglio che sia una grande cosa in termini economici e una piccola cosa in termini politici perché, dicono i contrari, il vero problema è quello dell’Unità politica necessaria per poter procedere alla unità militare.
Si tratta, a mio parere, di una posizione da anime belle tipica di coloro che non capiscono che in qualunque processo l’asse dei tempi sia una cosa importante è che se mai si comincia mai si realizza. È una posizione assolutamente identica a quella di quegli ambientalisti contrari al nucleare con la scusa che ci vorranno anni per arrivarci e dunque non vale la pena di incominciare.
Su un altro fronte vedo la posizione di coloro che osteggiano assolutamente la possibilità di colloqui di pace sulla Ucraina con la scusa che Trump è un porco.
Uso la parola porco a ragion veduta per indicare un personaggio senza scrupoli e senza principi che bada solo all’interesse economico dello schieramento che rappresenta.
Si tratta di un volto nuovo del capitalismo basato sulle economie della informazione, delle nuove tecnologie e del controllo delle materie prime strategiche.
Ci saranno tempi e modi per vedere se sia Trump a comandare su Musk o viceversa.
l’Europa deve incominciare a ragionare anche di armamenti se vuole incominciare a contare sullo scacchiere della politica internazionale. Non sono certo che questo processo riuscirà a funzionare ma è comunque l’unico possibile.
La Russia, anche per effetto degli errori commessi in occidente, si è ristrutturata secondo gli schemi storici dell’imperialismo zarista prima e sovietico poi. Ha bisogno di un contorno di stati cuscinetto che la garantiscano sul piano militare e nel suo isolamento, garantito dalla estensione territoriale enorme e dal patrimonio di materie prime, si avvia ad una fase di sopravvivenza basata sulla autosufficienza.
Sulla questione Ucraina leggo molte superficialità sia da parte di coloro che, con la scusa della Pace, strizzano l’occhio a Putin e dunque sostengono che l’Ucraina sia un paese che, dal punto di vista culturale e linguistico, è affine alla Russia, sia da parte di coloro che sostengono la non esistenza di un problema russofono in Ucraina.
Consiglio in proposito di andarsi a vedere l’andamento delle elezioni in Ucraina dal 91 in poi con risultati spesso contraddittori o all’insegna della instabilità ma che segnano un progressivo ridursi della questione delle nazionalità e un progressivo affermarsi di una unità culturale e linguistica.
Forse ho allargato troppo il discorso e dunque riassumo:
1) favorevole al fatto che l’Europa inizi ad armarsi in maniera più autonoma rispetto agli USA
2) necessità che questo processo non si limiti a realizzare eserciti nazionali più efficienti e più dotati di mezzi ma vada di pari passo a unità politica
3) necessita che all’interno dell’Europa si crei uno zoccolo duro di paesi che ci credono e che impongano il superamento di quella autentica stupidaggine che si chiama decisione alla unanimità
4) Ok allo svolgimento di negoziati diretti secondo lo schema di sblocco posto da Trump ma decisa voce in capitolo da parte della Ucraina. Coinvolgimento dei popoli in qualche modo coinvolti dal riassestamento e garanzia internazionale di esistenza di livelli di autonomia.
5) no all’ingresso dell’Ucraina nella nato, si all’ingresso dell’Ucraina nell’Europa.
SEGNALAZIONE
Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale
di Emiliano Brancaccio
https://ilmanifesto.it/dazi-capitali-e-cannoni-protezionismo-imperiale
«C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. Applicato fino a ieri al solo tema della guerra, oggi viene riciclato nel campo delle politiche commerciali. L’odierno aggressore è infatti Trump, che si è messo a brandire l’arma dei dazi anche contro l’Unione europea. Che provocata reagisce, approvando uguali e contrarie misure protezioniste a danno di una lunga lista di prodotti made in Usa.
A prima vista sembra una classica reazione da manuale. Persino Adam Smith, precursore della dottrina del libero scambio, ammetteva la rappresaglia protezionista contro provvedimenti restrittivi stranieri.
Smith però si premurava di aggiungere che la risposta dell’aggredito dovesse puntare alla «rimozione dei dazi o delle proibizioni che l’hanno originata». La contemplava cioè quale arma tattica, per indurre l’aggressore a ravvedersi e a ripristinare i liberi commerci. Gli sherpa dell’Ue insistono a dire che questo è esattamente l’obiettivo della reazione protezionista europea: metter paura a Trump, per indurlo a più miti consigli. La speranza è che il nuovo presidente americano torni al vecchio friend shoring: imporre dazi a tutti, tranne agli amici europei.
Ma nelle stanze del potere gli scettici ormai sgomitano. Mario Draghi è tra questi. A suo avviso, l’Ue deve elevare barriere commerciali e finanziarie non come tattica contingente ma come strategia di lungo periodo. Il motivo è che l’onda protezionista che viene dall’atlantico non è il capriccio di un altro pazzo al potere ma è la conseguenza di gravi problemi strutturali dell’economia americana, di competitività e di debito verso l’estero. Per questa ragione, la guerra economica mondiale è destinata a durare e si annuncia come una lotta di tutti contro tutti. In un tale scenario, l’Europa aggredita deve imparare a diventare potenza aggressiva, attraverso i dazi e non solo.
Ecco perché ormai lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito suona male anche in tema di guerra. Con l’attacco all’Ucraina, la Russia si è macchiata dell’onta di avere inaugurato un’epoca di nuovi e ancor più intensi massacri globali: negare questa evidenza vorrebbe dire passare dalla padella dei pugilatori a pagamento atlantisti alla brace delle majorettes putiniane. Ma l’idea che von der Leyen e i suoi intendano riarmare l’Europa per difendersi da una possibile invasione russa è l’ennesima semplificazione di comodo.
La vera spiegazione del riarmo europeo è un’altra. Per lungo tempo i paesi Ue hanno agito da vassalli dell’impero americano. Dove l’America muoveva le truppe, lì si creavano occasioni di profitto per aziende statunitensi in primo luogo, ma subito dopo anche per imprese britanniche, francesi, tedesche, italiane. Dall’Est Europa, all’Africa, al Medio oriente, così l’imperialismo atlantico ha agito per decenni. Ma nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma. Ancora una volta, Draghi riconosce il punto. Macron, Merz e Meloni non lo ammettono apertamente, ma l’obiettivo è quello.
Vista sotto questa angolazione, la difesa dell’Ucraina diventa un tipico caso di scuola per il progetto imperialista europeo. Non si tratta di proteggere i confini dell’Unione da una futura invasione cosacca. Piuttosto, si tratta di riannodare con la forza i fili dell’accordo di «associazione Ue-Ucraina» iniziato nel lontano 2008. Una lunga serie di intese con un già implicito profilo imperiale, che mirava a estromettere le aziende russe dagli affari nell’area e da cui tutti i guai sono iniziati. Naturalmente, ciò che vale per il fronte insanguinato dell’Ucraina vale anche per tutte le altre linee di confine: i più grandi profitti saranno preda di chi saprà scortare i capitali con le truppe e i cannoni.
Il «momento» del nuovo imperialismo è dunque giunto. Occorre proteggere l’esportazione di capitali europei con milizie europee. Con buona pace delle bandiere blu e oro che verranno agitate in piazza, questo è lo scopo ultimo di #ReArmEurope.
SEGNALAZIONE
Il testo in Italiano, è questo: Scienziati contro il riarmo. Un manifesto
Come scienziati – molti coinvolti in discipline coinvolte nella tecnologia militare – come intellettuali, come cittadini consapevoli dei rischi globali attuali, crediamo che sia un obbligo morale e civico di ogni persona di buona volontà far sentire la propria voce contro l’appello per una ulteriore militarizzazione europea, ed esortare al dialogo, alla tolleranza e alla diplomazia. Una forte militarizzazione non difende la pace; porta alla guerra.
I nostri leader politici dicono di essere pronti a combattere per difendere i presunti valori occidentali che ritengono in gioco; Sono pronti a difendere il valore universale della vita umana? I conflitti in tutto il mondo sono in aumento. Secondo le Nazioni Unite (2023), un quarto dell’umanità vive in zone colpite da conflitti armati. La guerra tra la Russia e l’Ucraina, sovvenzionata dai paesi della NATO con la giustificazione di difendere principi, ha creato un milione di vittime. Il rischio di genocidio dei palestinesi da parte dell’esercito israeliano sostenuto dall’Occidente globale è stato riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia. Guerre brutali si stanno svolgendo in Africa, come in Sudan, o nella Repubblica Democratica del Congo, alimentate da interessi nelle risorse minerarie. Il “Doomsday Clock del Bulletin of the Atomic Scientists”, che quantifica i rischi di una catastrofe nucleare, non ha mai registrato un rischio così alto come oggi.
Spaventata dall’attacco russo in Ucraina e dal riposizionamento degli Stati Uniti, l’Europa si sente messa da parte e teme che la sua pace e prosperità possano essere a rischio. I politici stanno reagendo in modo affrettato e miope con un appello a mobilitare, su scala continentale, una quantità colossale di risorse per produrre più strumenti di morte e distruzione. Il 4 marzo 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha pubblicato il “ReArm Europe Plan”, affermando che “l’Europa è pronta e in grado di agire con la velocità e l’ambizione necessarie. [… ] Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente le sue spese per la difesa.” L’industria militare, che ha vaste risorse e una potente influenza sui politici e i media, soffia sul fuoco di una narrazione belligerante. La “paura della Russia” è agitata come spauracchio, ignorando convenientemente che la Russia ha un PIL inferiore a quello dell’Italia da sola, che l’Europa ha armi nucleari proprie e che la spesa militare Europea è già più di 3 volte superiore a quella russa. I politici affermano, senza alcuna giustificazione, che la Russia abbia obiettivi espansionistici verso l’Europa, e minacci Berlino, Parigi e Varsavia, quando ha appena dimostrato di non essere nemmeno in grado di catturare il suo ex satellite, Kiev. La propaganda bellica viene alimentata da paure grottesche. Con la diplomazia, l’Europa può tornare alla sua pacifica coesistenza e collaborazione con la Russia che il maledetto affare ucraino ha interrotto.
L’idea che la pace dipenda dal soverchiare le altre parti conduce all’escalation, l’escalation porta alla guerra. La guerra fredda non è diventata ‘calda’ e saggi politici di entrambe le parti sono stati in grado di superare le fortissime divergenze ideologiche, le rispettive “questioni di principio” e concordare una riduzione drammatica ed equilibrata dei rispettivi armamenti nucleari. I trattati nucleari START tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno portato alla distruzione dell’80% dell’arsenale nucleare sul pianeta. Scienziati e intellettuali di entrambe le parti hanno svolto un ruolo riconosciuto nello spingere i politici verso una de-escalation razionale. Nel 1955, uno dei più importanti filosofi del XX secolo, matematico e premio Nobel per la letteratura, Bertrand Russell e Albert Einstein firmarono un manifesto influente, e la conferenza di Pugwash, ispirata da questo manifesto, ha unito gli scienziati di entrambe le parti, facendo pressione per la de-escalation. Quando nel 1959 a Russell fu chiesto di lasciare un messaggio per i posteri, rispose: “Dobbiamo imparare a tollerare gli uni gli altri, dobbiamo imparare ad accettare il fatto che alcune persone dicono cose che non ci piacciono. Possiamo solo vivere insieme in questo modo. Se dobbiamo vivere insieme, e non morire insieme, dobbiamo imparare una sorta di carità e una specie di tolleranza, che è assolutamente vitale per la continuazione della vita umana su questo pianeta.” Dobbiamo difendere questa saggia eredità intellettuale.
I grandi conflitti sono stati preceduti da massicci investimenti militari. Dal 2009, le spese militari globali hanno raggiunto ogni anno livelli record senza precedenti, con una spesa nel 2024 che ha toccato un massimo storico di 2443 miliardi di dollari. Il “ReArm Europe Plan” impegna l’Europa a investire 800 miliardi di euro in spese militari. Sia l’attuale presidente degli Stati Uniti che l’attuale presidente della Russia hanno recentemente dichiarato di essere pronti ad avviare colloqui per la normalizzazione delle relazioni e per una riduzione militare equilibrata. Il presidente della Cina sta ripetutamente chiedendo la de-escalation e il passaggio da una mentalità conflittuale a una mentalità collaborativa ‘win-win’. Queste sono le opportunità da cogliere. Invece l’Europa si vuole prepara alla guerra, con nuove spese militari mai viste dalla seconda guerra mondiale. L’Europa è ora disposta a brandire le armi solo perché si sente esclusa?
L’umanità si trova di fronte a serie sfide globali: il cambiamento climatico, la carestia nel Sud del mondo, la più grande disuguaglianza economica mai registrata, i crescenti rischi di pandemie, la guerra nucleare. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che il Vecchio Continente passi da faro di stabilità e pace a diventare un nuovo signore della guerra.
Si vis pacem para pacem. Se vuoi la pace, costruisci la pace, non la guerra.
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Primi firmatari: Carlo Rovelli, Flavio Del Santo, Francesca Vidotto.
Supporto: Russell Foundation, World Beyond War, StopWW3-Intiative for peace, Pressenza