di Ennio Abate
Giorni fa la pubblicazione in Poliscritture su Facebook della recensione di una amica* su FB a “La rivoluzione palestinese del 7 ottobre” di Filippo Kalomenìdis ha suscitato uno scambio polemico a più voci. Queste note ne riprendono alcuni punti con l’intento di chiarire, per quel che è possibile fuori da retoriche e propagande contrapposte, il senso di eventi sempre più tragici anche per il complicarsi dello scontro tra i dominatori a livello mondiale.
1. Il mio dissenso più forte sta nella valutazione del tutto positiva dell’operato di Hamas, espressa già nel titolo del libro di Filippo Kalomenìdis, «Rivoluzione palestinese del 7 ottobre» e condivisa in pieno dalla recensione dell’amica *. Nell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 – incursione dii gruppi armati, provenienti dalla striscia di Gaza con conseguente uccisione di 1200 civili e militari israeliani e rapimento di circa 250 di loro – non vedo «la data di una rivoluzione», come sostiene Kalomenìdis, ma un ulteriore episodio del conflitto storico tra Israele e palestinesi, che stavolta ha finito per cancellare – e chissà per quanto tempo – qualsiasi ricerca ragionevole di compromesso o soluzione politica di quel conflitto. Dati i rapporti di forza asimmetrici (da lungo tempo) tra i contendenti, dopo il 7 ottobre le aspirazioni palestinesi ad uno Stato nazionale sembrano bloccate ed è cresciuta a dismisura anche la minaccia di uno sterminio della popolazione palestinese. A me pare, dunque, che siamo di fronte ad un fallimento di Hamas, malgrado questa organizzazione politica, che era riuscita a prendere il posto dell’OLP nella guida della lotta per il riconoscimento di uno Stato palestinese, con l’offensiva a sorpresa del 7 ottobre abbia rimesso – come si è detto con molta retorica sui mass media – la questione palestinese all’attenzione del mondo intero. Se questo è accaduto, è durato davvero poco tempo e a costo di un peggioramento disastroso delle condizioni di vita dei palestinesi e non solo a Gaza.
2. Non sono mai stato tra i nemici o i denigratori della Resistenza palestinese e non lo sono neppure adesso che è egemonizzata da Hamas. Ma verso il programma e la visione del mondo propugnati da Hamas ho tutte le giuste riserve di chi si è formato e ragiona sulla scia della tradizione prima illuministica e poi socialista e comunista. Che è irrinunciabile per molti aspetti e discutibile per altri, ma mai da buttar via. Considero pure inevitabile e anche giusto, vista la politica sempre più repressiva di Israele nei confronti dei palestinesi e il disfacimento dell’OLP, che molti gruppi palestinesi di sinistra combattano al fianco di Hamas, che è attualmente l’unica organizzazione politica capace di supportare – certo, non senza contraddizioni – la resistenza quotidiana a cui sono costretti i palestinesi – civili, infermieri, medici, donne – che non si rassegnano, sopportano i bombardamenti e le deportazioni. Né mi sento equidistante tra le parti in conflitto. La responsabilità principale di quanto di peggio è accaduto prima dopo il 7 ottobre 2023 e dopo e continua ad accadere è soprattutto israeliana, come avevo già scritto nel 2014 (qui).
3. Non vedo, perciò, come scrive l’amica*, «giovani [palestinesi] infinitamente più coraggiosi [che] stanno per riprendersi il proprio futuro». Vedo giovani o anziani o donne che, certamente con grandissimo coraggio, resistono, combattono anche con le armi, continuano a finire in prigione, ad essere torturati e a morire, ma purtroppo senza alcuna possibilità – e noi dall’esterno forse vediamo più chiaramente l’asimmetria del rapporto di forza tra dominanti israeliani e dominati palestinesi – di fermare «questo massacro senza fine a Gaza» (Montesano), che infatti continua. Né posso pensare che sia «in atto una nuova storia sulle ceneri di una storia umana fallita». No, è ancora la continuazione della vecchia storia di un conflitto ormai quasi secolare che dilania l’intero Medio Oriente e che vede lo strapotere di Israele, sostenuto da USA e Europa e non scalfito dai deboli movimenti di protesta nelle piazze delle grandi città dell’Occidente, che pur non sono mancati in passato e neppure oggi.
4. Non vedo, dunque, un eroico e mitizzato «Popolo» (palestinese), che avrebbe deciso e appoggiato l’operazione di Hamas del 7 ottobre 2023, la quale non si sarebbe svolta «a sua insaputa». (Come se operazioni militari di quella portata potessero essere votate o approvate da tutti i palestinesi). Vedo invece – e purtroppo non con la chiarezza che vorrei, perché ho accesso soltanto a notizie contraddittorie e manipolate dalle opposte propagande – una varietà caotica di attori religiosi e politici, di interessi geopolitici, di odi e di complicità contrapposte, di alleanze per necessità o convenienza o calcolo (Paesi arabi, Egitto, Turchia), che seguono strategie in parte chiare e fissate in programmi e in parte oscure, contraddittore e controllate fino ad un certo punto da loro stessi. L’idea generale che mi sono fatto è, perciò, elementare e tragica: si tratta di una situazione disastrosa che si perpetua e che dal Medio Oriente rimanda al disastro – ancora in apparenza meno tragico – che noi a nostra volta viviamo in Europa [i]
5. Che Hamas sia poi «un’idea, l’idea di giustizia», come sostiene ancora l’amica*, lo possono dichiarare i dirigenti di Hamas e i loro seguaci. Come i leader occidentali possono dichiarare che essi incarnano ancora oggi l’idea di Progresso o di Democrazia o di Civiltà. Ma per quel tanto che abbiamo imparato da Marx, da Gramsci o da Althusser sul funzionamento dell’ideologia, non possiamo che giudicare fideistiche tali credenze. Mi sono spesso chiesto, dopo il 7 ottobre, se Hamas avesse previsto e valutato la risposta militare che Israele avrebbe sicuramente dato alla sua operazione militare del 7 ottobre. Aveva previsto e valutato la possibilità di un massacro di tali proporzioni (i 40 o 70 mila morti palestinesi fatti dall’IDF dopo il 7 ottobre, ecc) e l’aveva messo in conto senza batter ciglio?
6. Ora a me pare che le ragioni che hanno prodotto il 7 ottobre siano inquietanti e ancora in parte oscure. Specie se non scartiamo l’ipotesi che Netanyahu, pur avvertito dai suoi servizi segreti, abbia sottovalutato o in un certo modo permesso quanto Hamas stava preparando. ( E, se questo fatto potesse essere accertato, crescerebbero i dubbi sulla giustezza politiica dell’operazione stessa di Hamas. E quella che per alcuni è “rivoluzione” si rivelerebbe errore politico, se nn peggio.
7. Ma di Hamas va capito un altro elemento sconcertante per noi che viviamo in Occidente: chiamiamolo approssimativamente “propaganda del martirio”. In quale strategia politica i suoi leader la iscrivono? Con l’assalto del 7 ottobre puntavano a far intervenire l’Iran contro Israele? Non lo so. Ma un altro aspetto inquietante per noi che veniamo da una tradizione illuministica e laica (detto all’ingrosso) riguarda la possibilità di una lettura religiosa del 7 ottobre e delle sue prevedibili (o in parte imprevedibili) conseguenze. Può essere giustificato agli occhi dei credenti musulmani e non so se di minoranze un “martirio di massa” di tali proporzioni? O potrebbero esserci stati errori di valutazione sul tipo di risposta che Israele avrebbe potuto attuare considerando che le rappresaglie precedenti (2014, 2019).erano state meno micidiali?
L’amica* scrive: «Il capo di Hamas è stato ucciso e lo aveva messo in conto. Esattamente come qualunque soldato che parte per una guerra e sa che potrebbe non tornare». Ma qui non è stato messa in conto soltanto l’uccisione sempre possibile dei capi di uno Stato o di un Partito. Qui si tratta di 40-70mila civili. Una cosa è Via Rasella, un’altra il 7 ottobre.
8. Sulla violenza. Nella storia umana ci sono continuamente – oggi in Medio Oriente, in Ucraina, nello Yemen, ecc – situazioni che portano alla violenza e allo spargimento di sangue. Violenza e spargimento di sangue, però, non possono diventare fenomeni da idealizzare o giustificare o normalizzare. Nel caso di cui stiamo parlando, uccidere civili, disarmati e non combattenti è segno di imbarbarimento del conflitto e non atto di giustizia o di legittima difesa. E mi riferisco sia agli israeliani, che non erano militari e non erano fanatici coloni che avevano sparato sui palestinesi e sono stati uccisi il 7 ottobre da Hamas o da bande ad essa collegate o rapiti; e sia ai palestinesi inermi di questi ultimi bombardamenti israeliani e di tutti i precedenti. E respingo l’interpretazione che l’amica* dà del 7 ottobre, finendo quasi per giustificare o esaltare l’operazione di Hamas, quando sostiene che «il sangue sparso debba essere anche quello di chi sottomette, uccide, rapina, priva di ogni libertà, addirittura raziona acqua e luce, alza fili spinati indisturbato, con la complicità dell’America e dell’Europa e anche di frange estremiste e traditori della stessa Palestina che con Israele ha stretto patti». [ii]
9. Certo, nelle rivoluzioni ci sono anche i morti. Ma bisognerebbe guardarsi dal sadico pensiero che i rivoluzionari cerchino un bel bagno di sangue e che più sanguinarie sono le rivoluzioni e meglio sono. Ancora sulla scia della tradizione socialista e comunista, penso che le buone rivoluzioni non sono quelle che si vendicano di più degli oppressori ma semmai quelle che non smarriscono per strada il loro scopo di incivilimento e, dunque, limitano le vittime -(ammetto che sia impossibile che non ce ne siano) . e frenano e condannano il possibile imbarbarimento dei loro stessi seguaci, per cui le vittime si trasformano in carnefici. Come non possono essere “pranzi di gala”(Mao), non possono però essere una gara a chi ne ammazza di più di nemici (veri o presunti).
10. Non c’è avanzamento di civiltà nei massacri di Netanyahu (e dei suoi predecessori) né avanzamenti di civiltà – e dunque di rivoluzione (per me le due cose devono identificarsi almeno per quanto è possibile) – nel massacro di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma ai leader israeliani, in particolare, andrebbe chiesto che democrazia era o è diventata quella di Israele, se la sua classe dirigente ha approvato una tale risposta all’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas. Un democrazia omicida e barbarica? Non sono certo il solo a fare questi pensieri e rimando al libro di Anna Foa, «Il suicidio di Israele».
11. Nella recensione viene citato (condividendo) questo passo del libro di Kalomenìdis: «[Il 7 ottobre] ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più profonda del pianeta — quella dove i palestinesi sono stati sepolti dai sionisti e dagli occidentali — senza alcun punto d’appoggio». Ma è stato davvero così? La mia opinione è che se prima c’era oblio e negazione ora le due cose rischiano di raddoppiarsi, triplicarsi. Perché le conseguenze su tutta la società palestinese sono state devastanti. Di che rivoluzione si può parlare allora, se i risultati politici più evidenti sono che il gruppo dirigente di Hamas è stato decapitato e Israele, pur a costo di uno stravolgimento di quel tanto di identità democratica che rivendica (unica democrazia del Medio Oriente?) e pur ormai considerata da molti come Stato genocidario e razzista, ha potuto mettere in atto una repressione di tali proporzioni e con un apparato propagandistico potente ha fatto passare il massacro o genocidio per legittima difesa?
Note
* Nello stendere questi appunti ho tenuto presente una interessante conversazione tra lo scrittore palestinese Abdaljawad Omar e la direttrice di Jewish Currents Arielle Angel uscita i 5 novembre 2024. (qui) e segnalata sulla pagina FB di Bruno Montesano il 6 gennaio 2025 (qui)
i La lotta per la Palestina e per i palestinesi è proprio per questo una lotta non solo contro Netanyahu o contro Trump, ma contro un assetto di potere le cui ramificazioni si estendono anche in Europa e che all’occorrenza imprigioneranno nelle proprie maglie gli stessi cittadini europei. C’è infatti piena continuità tra le pulsioni al riarmo dell’Europa, lo stato di eccezione, la rapacità dell’industria delle armi (alcune delle quali israeliane), l’austerity contro i diritti sociali e il razzismo che calpesta le vite e la dignità dei palestinesi. (Paolo Desogus su FB: qui)
ii Di altro tono queste considerazioni: «Ho letto il rapporto di Human Rights Watch sul 7 ottobre durante l’estate, che, come puoi immaginare, è molto straziante. Pur riconoscendo casi di fuoco amico , contrastano l’affermazione di Hamas secondo cui il gruppo non aveva intenzione di uccidere civili, sostenendo che la coerenza con cui l’attacco è stato condotto in luoghi diversi suggerisce uno specifico modus operandi. Il rapporto descrive cose davvero orribili: corpi nudi legati agli alberi al rave di Nova, certi tipi di mutilazione. E mentre sembra che ci sia poco a sostegno della diffusa affermazione dello stupro di massa sistematico come arma di guerra, ci sono sufficienti prove circostanziali per dire, come ha fatto l’ONU nel suo stesso rapporto , che probabilmente ci sono stati casi di violenza sessuale.» (Dalla conversazione tra lo scrittore palestinese Abdaljawad Omar e la direttrice di Jewish Currents Arielle Angel).
Nel film Munich di Spielberg, il palestinese dell’Olp dice (in sostanza) al protagonista ebreo israeliano (camuffato da tedesco): “Quanto tempo ci ha messo la Germania a diventare nazione? Quanto tempo ci hanno messo gli ebrei? Ce la faremo anche noi. Ci metteremo cent’anni? Mille anni? Non è un problema, facciamo molti figli. Noi vogliamo essere nazione. Tu non sai cosa significa non avere una patria.”
Non c’è molta differenza militare tra l’Olp e Hamas, se non che l’Olp faceva attentati nel Mediterraneo e in Europa (a Monaco, appunto, per esempio), mentre Hamas si limita al solo Israele. Non c’è molta differenza ideologica sulla retorica del martirio visto che i kamikaze non li ha inventati Hamas, se non che per Hamas la religione rappresenta una giustificazione (il paradiso) che si aggiunge a quella politica (per avere la nostra patria dovremo sacrificare molti uomini: lo diceva anche Mazzini).
C’è differenza quanto a visione politica, certo: da un vago socialismo laico (ma quanto avrebbe retto questa visione in un ipotetico futuro con al fianco uno stato ebraico?) al fondamentalismo islamico.
Quello di cui parla l’amica* citando il romanzo di Kalomenìdis rappresenta la retorica propagandista che anima Hamas, ma in realtà va ben oltre i proclami di Hamas: l’enfasi sulla violenza redentrice, sulla purificazione del sangue, sulla rinascita di un popolo tramite una presunta rivoluzione non fanno parte delle politiche della resistenza islamica. Hamas non ha parlato di rivoluzione per il 7 ottobre. Hamas ha detto di aver fatto errori il 7 ottobre, che l’attacco non è andato come previsto e ha evidenziato i molti civili israeliani uccisi dall’IDF con la direttiva Hannibal, non dai loro miliziani. Per cui non c’è nessun motivo per pensare che Hamas avesse preventivato come reazione un genocidio, visto che aveva in mente una operazione militare che aveva come target i militari israeliani per poi scambiare i rispettivi prigionieri.
Non è dato sapere per quale motivo l’amica*e Kalomenìdis si approprino del 7 ottobre, lo accreditino come rivoluzione sulle spalle dell’intero popolo palestinese e si spingano a dire che i capi di Hamas avevano messo in conto la reazione israeliana che abbiamo visto, ossia Gaza ridotta a tabula rasa con il genocidio della popolazione.
Stanno ammantando di poesia, di retorica del sangue, stanno mitizzando una insurrezione militare che ha sì scosso il Medio Oriente ma si è concretizzata in forme distorte e non ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissata.
In questo modo, fanno un grande favore alla propaganda israeliana, che si nutre di questa narrazione sanguinolenta e martiriologica per giustificare la repressione e la possibile deportazione dei palestinesi.
Non posso ridurre il conflitto Israele-Hamas a così *poco*: il sostegno Usa a Israele, l'”occidentalismo” di Israele, gli esitanti appoggi di stati arabi ad Hamas, il rapsodico intervento della Russia in Libano lo perpetuano.
Il mediterraneo è -come minimo- una via per l’India e il Pacifico più breve che circumnavigare l’Africa.
La ricchezza dell’Europa è un moloch di desideri per USA, Russia e Cina.
Le ragioni ideologiche di Israele e Hamas si consumano tra loro due.
Tuttavia l’Europa non diventa un Impero -tenta solo di diventarlo- come gli altri. Se fosse capace di funzionare come un Impero, politicamente e militarmente, forse potrebbe intervenire efficacemente in quel conflitto così vicino, che le impedirebbe di stabilire rapporti con India e Cina.