
di Angela Villa
E come Elegia. Una forma di musica usata per esprimere una seria riflessione, a volte usata come elogio funebre.
Ho sempre avuto problemi legati a una cattiva lateralizzazione, per me destra e sinistra sono inverse, se dico destra, intendo sinistra e viceversa, sono una mancina corretta, questione di stile, è accaduto a tante persone che hanno incontrato insegnanti convinti dell’importanza delle correzioni… Senza voler disturbare Franzen, credo che le correzioni in pedagogia siano tempo sprecato, i bambini apprendono comunque anche senza i nostri interventi, lasciarli liberi di sperimentare modi differenti per imparare a leggere e scrivere è il regalo più bello per noi e per loro.
Al tempo in cui ero fanciulla esistevano maestre ancora convinte dell’importanza di questa parola, quelle che davano bacchettate sulle mani o ti mettevano in ginocchio sui ceci, dietro la lavagna o peggio, ti facevano girare le classi con le orecchie d’asino, io ho fatto esperienza di una bella varietà di correzioni. Maestre decise, sicure, certe di essere sempre nel giusto, quelle che non dubitano mai, insistono a correggere, a fare esercizi su esercizi, convinte che la ripetizione aiuti più di una buona riflessione, di una conversazione di un laboratorio esperienziale, di un suggerimento. Oggi non è più così ma ci sono ancora insegnanti che si preoccupano troppo dei quaderni, devono essere puliti e ordinati e la scrittura, bella da vedere, per non parlare delle inutili fotocopie e schede, schede e schede, un testo, un componimento poetico insegnano molto più di una sterile scheda fotocopiata per giunta. La mia maestra:
«La scrittura è come un vestito, andreste mai a una festa di compleanno con un vestito sgualcito?»
Io la guardavo senza capire, quando andavamo alle feste di compleanno, mia madre mi metteva dei vestiti bellissimi, colletti di pizzo, maniche a sbuffo, gonne a palloncino con le sottane ricamate e il fiocco in vita:
«Non lo sgualcire.»
Era la pima cosa che diceva, ma sono sempre stata molto disordinata, in mezz’ora il vestito era già spiegazzato, il fiocco sciolto…eppure mi mandava lo stesso e pazientemente diceva:
«Meglio così. La prossima volta, non lo stiro neanche, faccio prima.»
Mia madre andò a parlare con la maestra, per convincerla a lasciarmi scrivere con la mano dominante; si presentò con educazione e modi gentili, ma non ci fu nulla da fare. Quando capitò la stessa cosa a mia sorella, di due anni più piccola di me, forte dell’esperienza precedente e dei miei lunghi pianti, si presentò al colloquio con l’insegnante molto più agguerrita; la maestra per fortuna, ormai prossima alla pensione, si convinse che i mancini non sono figli del diavolo e infatti mia sorella è mancina. Il mio ingresso nella scuola è stato difficile, ho imparato a leggere e scrivere tardi, rispetto ai miei compagni. Ho passato la prima elementare in questo modo: io a cercare di capire perché non potevo usare la sinistra e la maestra a spostare la penna dalla mia mano sinistra a quella destra a strappare pagine e pagine di letterine orrende. Quando la pagina non si poteva più strappare, perché ormai era l’ennesima, fioccavano tanti zeri spaccati sul quaderno, una volta esisteva anche questo voto. Zero spaccato. Spesso mi fermavo a contemplare quel numero spaccato a metà da una lunga linea che lo percorreva dall’alto in basso, mi sono sempre chiesta, che senso ha dividere a metà uno zero. A casa i miei genitori non erano avviliti per i miei insuccessi, mi consolavano, sostenendo convinti:
«Non preoccuparti alla fine ce la farai, riuscirai anche tu».
Mio padre diceva: «Io ho imparato a quattordici anni, alla scuola serale».
Mio fratello più grande, mi esortava quasi infastidito da quell’insuccesso:
«Perché ti ostini? Ti ostini a scrivere con la mano sbagliata, non ti ostinare e vedrai che andrà meglio».
Frequentava la terza elementare, aveva cominciato ad usare il vocabolario e aveva un piccolo quaderno in cui segnava tutte le parole sconosciute. Collezionava lunghe file di dieci, altro che zeri spaccati. E usava questa parola, “ostini”, come se fosse una cosa tremenda. Cercava di incoraggiarmi a cambiare strada. Alla fine della prima elementare finalmente ho imparato anche io, scongiurando il pericolo di una bocciatura. La mia mano sinistra si è rassegnata. Ma sono rimasta ostinata.
Consiglio di ascolto “In Morte di S. F.” di Francesco Guccini (In rete si può anche ascoltare una bella versione dei Nomadi)