di Luciano Aguzzi
Negli anni Sessanta e parte dei Settanta diversi studiosi hanno lanciato l’allarme sulle conseguenze disastrose del continuo aumento della popolazione mondiale sugli equilibri ecologici e su quelli sociali. Poi il tema “sovrappopolazione” e la battaglia per la riduzione delle nascite sembrò passare di moda e, anzi, negli ultimi decenni si spinge per riprendere una politica di aiuti alle famiglie per rialzare il tasso di natalità in Italia e da molti parti si dice che accogliere i migranti stranieri è necessario per colmare i vuoti della bassa natalità nel nostro Paese.
In chiave nuova, senza più collegamenti con la sovrappopolazione, negli ultimi anni è tornata di moda la battaglia ecologica contro il riscaldamento globale del pianeta e le rapide conseguenze ecologiche negative che ne derivano.
Ora, con la crisi epidemica del Covid-19 e la conseguente crisi economica e delle relazioni sociali, emerge una nuova e diversa conseguenza della cosiddetta globalizzazione, con alcuni effetti che, se la crisi durasse a lungo, ci porterebbe vicini a quel «Medioevo prossimo venturo» che l’ingegnere, futurologo e scrittore Roberto Vacca descrisse nel suo omonimo libro del 1971.
Già il sistema sanitario è vicino al collasso.
Tuttavia, tra i moltissimi articoli e libri scritti sul riscaldamento globale, sulle epidemie degli ultimi vent’anni e su quella attuale del Covid-19, che si può a tutti gli effetti considerare una pandemia ormai diffusa in oltre cento Stati dalla Cina agli Usa; articoli ideologicamente orientati, in tutti i sensi di orientamento (centro, sinistra, destra e chi più ne ha ne metta), anche pieni di fumosità ideologiche, ad esempio quelle che vedono il Covid-19 come frutto del capitalismo e altre sciocchezze del genere. Naturalmente il capitalismo c’entra, come c’entra tutto ciò che riguarda il nostro sistema di vita in tutte le sue varianti, dagli Usa alla Cina, dalla Gran Bretagna al Sudafrica, ma non vi è un rapporto diretto e nemmeno indiretto di causa ed effetto.
In tanti libri e articoli, tuttavia, non ho mai visti analizzati i due aspetti più profondi e radicali della modernità e che hanno più direttamente a che fare con i guai del riscaldamento globale e con un’epidemia come l’attuale.
1) Il primo è la sovrappopolazione. Siamo ormai otto miliardi di persone che vivono in modo da avere un impatto ecologico sulla natura come 80 o 100 miliardi di persone di mille o cinquecento anni fa.
2) Il secondo è la grande mobilità delle persone di oggi rispetto a quelle di secoli fa. Si viaggia per affari, per lavoro, per turismo, per piacere, per pellegrinaggi religiosi, per emigrare e sono moltissime ormai le persone che nell’arco di una vita percorrono, in aereo, in treno, in auto, tanta strada quanta, cento anni fa, per arrivare allo stesso chilometraggio, bisogna mettere insieme sommando i viaggi di migliaia di persone.
Questi due aspetti della “globalizzazione” hanno moltiplicato le possibili cause originarie di epidemie e quindi le epidemie stesse, le quali non sempre si riesce a tenere a freno con il parallelo progresso della medicina. Capita che alcune epidemie non abbiano rimedio immediato e così il sistema sociale complessivo, in tutti i suoi aspetti sanitari, economici, di abitudini di vita quotidiana, di relazioni, di rapporti di forza fra gruppi sociali ecc. ecc., prima va in crisi e poi gradualmente si riprende e si ristruttura con dei cambiamenti, spesso in peggio dal punto di vista dell’aumento del potere centralizzato e della diminuzione dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Le epidemie nascono dal rapporto fra l’uomo e gli altri esseri viventi: uomini stessi, animali, vegetali. Questi rapporti, sempre più “affollati”, moltiplicano le cause epidemiche, qualunque sia il sistema economico, socialista o capitalista o vattelapesca quale altro; e qualunque sia il regime di governo e l’orientamento politico delle classi politiche di governo.
Pertanto le radici delle epidemie sono di carattere biologico, antropologico e sociale insieme, perché non è possibile dividere in modo netto il biologico dal sociale, l’individuale dal collettivo e così via, qualsiasi categoria di analisi si voglia utilizzare.
I microrganismi acellulari come i virus e i batteri esistono sul pianeta Terra da molto prima che apparisse la specie umana e hanno una loro continua evoluzione, come ogni altra forma di vita. Sono parassiti che convivono da sempre con l’uomo in un rapporto ora positivo, ora indifferente, ora negativo. Quando un mutamento produce un nuovo tipo di virus con effetti molto negativi sulla vita umana, quasi sempre c’è alla base un rapporto sbagliato fra l’uomo e un altro essere vivente portatore sano di quel virus. Nel caso del Covid-19 sembra che il virus provenga da un tipo di pipistrello, il pipistrello della frutta, diffuso in varie regioni dell’Africa e dell’Asia fra cui la Cina. Uomini e pipistrelli della frutta sono stati per migliaia di anni separati, vivendo ognuno la propria vita nel proprio habitat naturale. Ma la sovrappopolazione umana ha portato l’uomo a invadere l’habitat del pipistrello e porre così a contatto i due esseri viventi, contendendosi lo stesso habitat e passandosi qualcuno dei reciproci virus.
Lo stesso fenomeno è avvenuto con le epidemie del passato lontano e di quello più recente.
La gara fra aumento del rischio di nuove epidemie e sviluppo della medicina forse riuscirà a contenere gli effetti negativi meglio di quanto non ci sia riuscito fare nel passato, ad esempio con le diverse ondate di peste nera causata da un batterio dei topi trasmesso all’uomo tramite le pulci. Non è casuale che anche la peste nera abbia avuto la sua origine in Cina e non è casuale che quasi tutte le epidemie siano nate in Asia o in Africa e si siano poi propagate in Occidente. Quindi, da Paesi meno capitalisti o a capitalismo più povero a Paesi più capitalisti o a capitalismo più ricco. Non viceversa. Ed è naturale che sia così, perché il rapporto fra uomini e animali selvatici è più frequente in Asia e in Africa che non a Parigi o a Milano e le condizioni sanitarie sono più carenti in Asia e in Africa che non in Europa.
Le crisi di questo tipo creano poi sempre anche una situazione di emergenza, sia in senso reale sia in senso psicologico, perché scompaiono sicurezze e abitudini quotidiane ed emergono insicurezze e nuove necessità e forme di vita. Che cosa resterà, alla fine della crisi, di questi mutamenti e che cosa cambierà in modo permanente non possiamo prevederlo. Forse poco o nulla se la crisi durasse solo pochi mesi, e forse molto se durasse più a lungo.
Certo è che la vita sociale di oggi è molto complessa e tutti i meccanismi complessi possono andare in tilt e smettere di funzionare anche se una sola delle centinaia di rotelline che lo animano cessasse di funzionare bene. Da questo punto di vista la società odierna è più vulnerabile di quelle del passato che potevano sopportare crisi epidemiche e tassi di mortalità molto più alti senza che l’insieme del sistema sociale cambiasse natura.
Nelle pandemie di peste nera, da quella antica scoppiata a Costantinopoli e diffusasi poi nell’area Mediterranea fra il 541 e il 750, a quella medievale che si sviluppò fra il 1347 e il 1353, come quella del 1630 descritta da Manzoni, la mortalità si aggirò fra il 30 e il 50 per cento della popolazione, creando degli enormi vuoti. Ciononostante, passata la peste, la vita riprese come prima e la popolazione tornò gradualmente a crescere.
Oggi la propagazione dalla Cina agli Usa del contagio non impiega più diversi anni, ma solo qualche settimana. Però anche poche migliaia di morti riescono ora a creare situazioni gravissime di crisi perché nessuno è più abituato e tantomeno rassegnato al contagio e a lasciarsi morire senza cure, come avveniva un tempo. Né la società sopporta un drastico calo delle attività economiche e del ritorno a un tipo di economia diversa, molto più povera e che richiederebbe molto più tempo e una diversa organizzazione della vita individuale per rimediare gli alimenti con cui sopravvivere.
Dunque, le prossime occasioni di crisi sono diverse e sono tutte crisi già in atto e di cui solo i picchi più alti, solo i momenti più pericolosi e solo quelli che più ci coinvolgono direttamente entrano nella nostra visione della vita.
Si tratta:
1) Della crisi ecologica e del progressivo ma rapido cambiamento climatico che trasforma zone già fertili in deserti, che innalza il livello del mare e mette in pericolo la sopravvivenza di isole e territori vicino al mare destinati a essere ricoperti dalle acque (fra cui Venezia). Che scioglie ghiacciai e trasforma le direzioni e la forza delle correnti marine e dei venti con effetti di cui ci accorgeremo solo a poco a poco nel futuro, ma di cui abbiamo già dei segni nei cicloni e trombe d’arie e in altri eventi catastrofici in aumento.
2) Si tratta della progressiva distruzione delle ultime grandi zone forestali rimaste sul pianeta Terra, del rischio di estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, dell’aumento di incendi che ogni anno devastano vaste zone verdi, come quest’anno è capitato soprattutto in Australia e in California.
3) Si tratta del diffondersi di malattie infettive che in qualche caso diventano epidemie e pandemie.
4) Si tratta dell’esplodere di guerre locali per la conquista dei territori e delle risorse agrarie, minerali ed energetiche; degli sconvolgimenti della crescita demografica e del peggiorare delle condizioni sociali ed economiche in molti Stati, il che crea flussi di migranti che ormai sono vicini, complessivamente nel mondo, a mezzo miliardo di persone, che tentano in tutti i modi di trasferirsi negli Stati più stabili e ricchi del pianeta, cioè in Europa, nelle Americhe, in Giappone e in Australia. Alla ricerca di un benessere che spesso poi li delude e li trasforma in radicalizzati che odiano lo stesso Occidente in cui vivono.
5) Infine, quando le precedenti crisi, se non si troveranno rimedi forti ed efficaci capaci di contrastarle, avranno logorato ogni aspetto della convivenza umana, subentrerà la guerra di tutti contro tutti per il grano, per la frutta, per la carne, e soprattutto per l’acqua potabile.
Quali sono gli unici rimedi possibili che dovrebbero operare in modo complementare fra di essi?
a) Lo sviluppo ulteriore della scienza e della tecnologia capace di aumentare la produzione di generi alimentari e il controllo dell’ordine sociale, compresa la prevenzione e repressione delle malattie.
b) Lo sviluppo della classe politica e di sistemi politici che diminuiscano i tassi di conflitto fra Stati e all’interno degli Stati, le divisioni fra opposte ideologie e le disuguaglianze fra i diversi ceti sociali, in modo che l’umanità possa collaborare in forme più unite, meno concorrenziali e senza conflitti che arrivino alla guerra armata e ai massacri reciproci.
c) Il controllo demografico e la pianificazione della diminuzione della popolazione mondiale, onde ristabilire un più equilibrato rapporto fra popolazione umana e altre popolazioni di esseri viventi animali e vegetali. L’uomo deve smetterla di invadere l’habitat di ogni altro essere vivente per imporre il proprio imperio.
d) Infine, la popolazione umana deve adottare comportamenti e abitudini di vita meno dispendiosi in termini di consumo energetico e di materie prime e, fra ciò che deve cambiare, è l’eliminazione dei tanti viaggi superflui o del tutto inutili, dei grattacieli naviganti che portano a spasso, in crociera, migliaia di persone che potrebbero fare di meglio che bruciare inutilmente milioni di tonnellate di petrolio e inquinare mari e coste; dei pendolari di lusso, come certi politici, artisti, docenti universitari che fanno Roma e New York tutte le settimane, o Milano e Tokyo e così via.
La popolazione umana, per sopravvivere nel benessere e nel progresso, ha bisogno di maggiore moderazione e misura ed eliminare tutto ciò che oggi è eccessivo e inutile per il bene collettivo.
Sono sostanzialmente d’accordo con quanto scrive Luciano Aguzzi e, a conferma ulteriore di quanto sostiene, riporto gli stralci di alcuni articoli letti recentemente.
Ciò detto, il trasporto aereo, il turismo galleggiante e non, il consumo più o meno superfluo, la ricerca tecnico-scientifica, l’industria della coscienza e della comunicazione, ecc. sono settori economici di Monsieur Le Capital, che promuove da sempre la globalizzazione, l’interconnessione, l’interdipendenza….
«L’emergenza da Covid-19 – scrive Ilaria Capua in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 7 marzo – affonda le radici in fenomeni biologici e protende i rami verso il suo impatto sanitario, sociale ed economico. È un evento che ci scuoterà. In un pianeta globalizzato, interconnesso ed interdipendente, è chiaro che i fenomeni epidemici possono sfuggire di mano. Abbiamo già avuto delle avvisaglie, dalla Sars ad Ebola fino alla pandemia influenzale del 2009 H₁N₁ “suina”, quest’ultima forse la più vicina a quello che stiamo osservando oggi».
A questo punto la scienziata fa come esempio il caso del morbillo. Deriva dal virus della peste bovina e ha fatto il “salto di specie” quando l’uomo ha addomesticato il bovino (circa 10mila anni fa). Date le condizioni sociali di allora, si è diffuso lentamente nella popolazione umana, è tutt’ora circolante e, grazie alla vaccinazione, abbastanza controllabile e neutralizzabile. Dal punto di vista biologico, anche il coronavirus, è stato generato da questo fenomeno rarissimo rappresentato dal “salto di specie”. Ma è diventato pandemico nel giro di qualche mese per le nostre condizioni sociali di oggi.
«Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo: le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale. La differenza con i virus del passato, conosciuti o sconosciuti (quelli che circolavano nell’era pre-microbiologica) è la velocità della diffusione e del contagio.»
Lo sciame virale che attraversa la popolazione terrestre potrà riservare alcune soprese al momento imprevedibili come eventuali forme enteriche nei neonati e nei giovani o infezione di animali domestici o selvatici. Ciò di cui occorre essere assolutamente consapevoli è questo:
«Stiamo assistendo a un fenomeno epocale, la fuoriuscita di un virus pandemico dal suo habitat silvestre e la sua diffusione globale che diventa un’onda inarrestabile, invade le nostre vite, le nostre case, i nostri affetti. È questo il Cigno nero che scuoterà violentemente il sistema? Lo vedremo. Quello che è certo è che questo virus ci terrà compagnia almeno per qualche altro mese.»
La questione del rapporto tra organismi e ambiente è al centro anche di un articolo di Francesco Bilotta apparso sul Manifesto del 27 febbraio:
«La pressione antropica e la distruzione degli habitat naturali delle specie selvatiche hanno prodotto squilibri ambientali, favorendo il contatto e il passaggio di virus patogeni. Lo spillover, il salto di specie, si verifica più facilmente se c’è un rapporto più stretto con gli animali selvatici. L’impatto che le attività umane hanno sugli ecosistemi, le pratiche agricole, i sistemi di allevamento, la distruzione della biodiversità, i cambiamenti climatici, sono tutti elementi che entrano in gioco quando si verifica la comparsa di un nuovo virus. La diffusione di questi virus è poi favorita dalla crescita demografica che la popolazione umana ha avuto nel XX secolo e dalla rapidità con cui si spostano le persone da un continente all’altro».
Caro Salzarulo, concordo con quello che dici e con quello che dicono gli autori che citi.
Sento solo il bisogno di sottolineare la tua affermazione iniziale:
«il trasporto aereo, il turismo galleggiante e non, il consumo più o meno superfluo, la ricerca tecnico-scientifica, l’industria della coscienza e della comunicazione, ecc. sono settori economici di Monsieur Le Capital, che promuove da sempre la globalizzazione, l’interconnessione, l’interdipendenza….».
Vero anche questo, ma vorrei precisare che il Signor Capitale agisce allo stesso modo sia negli Stati considerati capitalistici sia in quelli non considerati tali, come sarebbero gli Stati precapitalistici e quelli socialisti e comunisti. Così almeno vediamo dall’esperienza storica sino ad oggi vissuta.
Sorgono dunque delle questioni di fondo:
1) Forse lo spirito del capitale si identifica con lo spirito dell’homo sapiens e non c’è possibilità di divisione.
2) Forse la spinta alla globalizzazione è innata nell’uomo, fin dalle prime migrazioni di circa centomila anni fa.
3) Forse tutto ciò che è la civiltà moderna è frutto di questo spirito capitalistico, sia nel bene sia nel male.
4) Forse il capitalismo, come tutto ciò che è umano, è imperfetto e dà e toglie contemporaneamente. Ma è ugualmente imperfetto anche tutto ciò che si pensa come anticapitalismo.
5) Forse le alternative del socialismo e del comunismo non sono ancora chiare che cosa dovrebbero essere e non sono ancora mature, se mai matureranno, per diventare vita vissuta sociale, e non di qualche individuo o di piccoli gruppi.
6) Forse la cosa migliore sarebbe gestire il capitalismo al meglio, potenziandone il bene ed eliminando per quanto possibile il male. Ciò sembra ormai la scelta di tutti i partiti e partitini di sinistra e dei sindacati, che non si pongono più obiettivi rivoluzionari di abbattimento del capitalismo.
7) Ma pare che anche questa accettazione della politica come gestione al meglio dell’esistente incontri molte difficoltà proprio sul come gestire al meglio. Forse perché gli spiriti del capitalismo sono più forti o forse perché non è tutta colpa del capitalismo, ma entrano in gioco altri spiriti, quello del potere politico e quello della tecnologia, che troppo spesso sembrano esasperare il peggio del capitalismo e non perseguirne il meglio.
8) Fra le centinaia di dottrine politiche e sociali, di filosofie, di ricerche sociologiche e di scienze politiche, mi pare che ancora non esista una vera e credibile alternativa al meglio del capitalismo. Ne esistono invece al peggio, come rimediare il peggio, ma sembra che chi può non ne voglia sapere di metterle in pratica. Anche perché sono diverse e contrapposte ed è sempre difficile dire quali siano quelle giuste, auspicabili e funzionanti. Così la battaglia delle idee continua e, in pratica, si fa di tanto in tanto un passo avanti seguito da un passo indietro, si avanza e indietreggia, ma sempre un po’ a zig zag.
9) Pare, alla fin dei conti, che il progresso effettivo venga più dalla scienza che dalla politica, perché non è vero che la scienza è neutra e può essere usata sia a scopi di bene sia a scopi di male. La scienza ha una sua dinamica che sembra essere prevalente, e non subordinata, alla volontà degli uomini. E anche il male che deriva dalla scienza, come la costruzione delle armi distruttive, ha una sua origine nell’insaziabile curiosità e volontà di potenza della scienza stessa e di sua figlia la tecnologia.
10) Insomma, anche il rapporto fra uomini, tendenza all’accumulazione capitalista, globalizzazione, scienza e tecnologia ha bisogno di trovare un equilibrio migliore, perché altrimenti uomini, capitalismo, globalizzazione, scienza e tecnica finiranno per autodistruggersi insieme.