di Marina Massenz
Franto e ricercato nell’interno del corpo svuotato ventre lasciare che vada sciolto e sganciato niente ricerca d’interezza. Spazzolata tutta la certezza dell’intero adeguarsi a pezzi sparsi qua e là a volte in quasi pace poi più niente al fondo del resistere in vitalità. Affaccendata si spalanca la bocca un bel respiro che fuori è tutto molto nero buio e nero trafitto il bosco di tronchi dritti come spade. Ma a volte contorti anche loro affannati, sbattuti, soffocati e non si abbandonano di colpo a terra, come sarebbe naturale.
…”…svuotato ventre/ lasciare che vada/ sciolto e sganciato/ niente ricerca d’intierezza…” questi versi della prima strofa della poesia di Marina Messenz mi richiamano la visione di un corpo-meccanismo inceppato, senza che se ne cerchi una riparazione, per una forma di impotenza che è ribadita in altri versi della seconda strofa dove “…poi piu’ niente al fondo/ del resistere in vitalità”. La parola “niente” ripetuta e il linguaggio scarno quasi infantile ci mettono di fronte ad una situazione di disagio profondo e senza via d’uscita, come puo’ accadere ai bambini inermi chiusi per “punizione” in uno stanzino buio…ma non sembra piu’ confortante il fuori, dove “… il bosco/ di tronchi dritti come spade” è una cella dalle sbarre appuntite e letali…per quanto “…contorti…affannati, sbattuti, soffocati…”i tronchi non si abbandonano di colpo/ a terra, come sarebbe naturale”…Nulla risponde alle leggi della natura, anche la bocca che si apre in un respiro per richiudersi subito dopo davanti al bosco piu’ nero…Nessuna funzione corporale animale (e umana) in stato prolungato di inerzia puo’ reggere, eppure a volte regge, ma a quali costi sembra suggerirci M.M. ? Disgregazione e regressione del corpo come dello spirito possono attraversarci senza colpo ferire? Una poesia intensa e ci possiamo confrontare