di Giuseppe Natale
Fortunatamente condizionato dal mio impegno nell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), sono portato a coltivare la memoria storica e collettiva : in particolare di quella che riguarda le lotte sociali e le conquiste dei diritti umani , la resistenza e il movimento partigiano di liberazione dal nazifascismo, per la libertà e la democrazia, l’uguaglianza e la fraternità tra i popoli.
In questi tempi tristi e angoscianti ci sentiamo spesso soli indifesi e impauriti dal flagello della pandemia e dei disastri ambientali. Flagello che – non dobbiamo mai dimenticare – ha i suoi responsabili: certamente il sistema di un capitalismo sfrenato nella corsa insensata al solo profitto, sempre più feroce e vorace e distruttivo rappresentato a livello globale e locale da multinazionali e gruppi di individui che possiedono ricchezze di una grandezza astronomica che grida vendetta a fronte delle condizioni di emarginazione e disagio, di sfruttamento e di povertà assoluta e relativa del 90/99% della popolazione mondiale. Basti pensare che uno di questi ricconi, un certo Bill Gates, possiede un patrimonio uguale a quello di 45 Stati dell’Africa sub-sahariana !
Responsabili , ancora più colpevoli, che contribuiscono al disastro locale e globale, sono quei politici al servizio del sistema liberistico, economico e finanziario, sociale e culturale, cinici e spregiudicati e di frequente conniventi con le mafie e la criminalità organizzata . E’ arrivato , mi auguro, il momento perché si prenda coscienza del livello assai basso e inadeguato dei ceti politico-amministrativi (la cosiddetta classe dirigente). E’ arrivato il momento perché la cittadinanza consapevole attiva e preparata, che s’impegna quotidianamente in comitati e associazioni, nel sociale e nel volontariato, faccia un balzo in avanti e si batta in prima persona per contribuire direttamente a un migliore governo della res publica e del bene comune.
Proprio la memoria può fare da corroborante alla nostra volontà e passione di partecipare e cooperare, e di condividere il nostro comune destino. Due ricorrenze, in due giorni uno dopo l’altro, il 20 e 21 novembre, sono passate quasi di soppiatto: la Giornata internazionale della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e la Giornata nazionale degli alberi.
Il 20 novembre 1989 viene approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite la Convenzione sui diritti dell’infanzia (bambini e adolescenti da 0 a 18 anni). 41 articoli. Provo a riassumerli.
Gli Stati si impegnano a salvaguardare e tutelare l’integrità della persona , a garantire il diritto alla vita e i diritti fondamentali dei “cuccioli” umani: salute e benessere, istruzione e gioco, tempo libero e riposo. Gli Stati e le loro istituzioni sono tenuti ad assicurare alle fanciulle e ai fanciulli la protezione e le cure necessarie, a preservare la loro identità; a garantire la libertà di pensiero e di espressione , di coscienza e di religione, di associazione e di riunione; a facilitare l’accesso all’informazione e all’uso di fonti adeguate a promuovere il loro benessere sociale, spirituale e morale e la loro salute fisica e mentale; ad aiutare i genitori o i tutori legali a svolgere al meglio il loro compito di cura e di educazione; ad adottare ogni misura legislativa finalizzata a proteggere il minore da ogni forma di violenza e di sfruttamento e dalla guerra.
Per i governanti di ogni Paese, ad ogni livello, la Convenzione dovrebbe costituire la principale guida etico-politica e programmatica. Non dimentichiamo mai che proprio dalle politiche per l’infanzia dipende il futuro stesso dell’umanità.
La realtà è purtroppo diversa: enorme è il divario tra le dichiarazioni dei diritti e l’applicazione concreta. Lo denuncia l’annuale rapporto Unicef.
Mentre si registrano a livello globale progressi nella riduzione della mortalità infantile (-60% negli ultimi 5 anni) e nell’aumento della frequenza scolastica, rimane grave la condizione delle e dei bambini nel mondo, in particolare nei paesi sconvolti dalle guerre, dai disastri ecologici, dalle carestie , dalla povertà generalizzata e dalla fame. ¼ della popolazione infantile è coinvolto nei conflitti armati . Si contano più di 30 milioni di bambini sfollati e 20 milioni senza cure mediche. Si stima che da qui al 2040 arriverà a 600 milioni il numero dei minori costretti a vivere in aree colpite da cambiamenti climatici, disastri ambientali e carenza d’acqua.
Il peggioramento delle condizioni di vita non risparmia, certamente in misura diversa ma sempre più pesante, i bambini delle aree più sviluppate e ricche, in particolare delle città e delle metropoli inquinate. La situazione viene aggravata dalla pandemia coronavirus , che sta sconvolgendo ogni ambito della vita umana e colpendo maggiormente le persone più fragili e i ceti più deboli e poveri. Oltre agli anziani, sono proprio i bambini ad essere più esposti e a subire i peggiori effetti della pandemia soprattutto in forma di stress psico-fisico e di danni materiali , morali e sociali, le cui conseguenze negative sullo sviluppo della personalità e sul tessuto delle relazioni sociali non possono non essere prese immediatamente in considerazione dal mondo degli adulti e in primo luogo dalle autorità sanitarie e politico-amministrative.
Il 14 gennaio 2013 viene approvata dal Parlamento italiano la legge n.10, Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, che obbliga i Comuni sopra i 15 mila abitanti a piantare un albero per ogni nato/a e a creare aree di “forestazione urbana” con piante autoctone.
Istituisce in forma solenne, e coerente con le indicazioni internazionali riguardanti le politiche ambientali, la Giornata nazionale degli alberi, il 21 novembre, giorno della tradizionale Festa degli Alberi che tramanda il positivo rapporto ancestrale tra l’uomo e il mondo vegetale, messo in discussione, in modo pericoloso e drammatico, dalle rivoluzioni agricole ed industriali.
L’articolo uno è chiaro ed inequivocabile: “ La Repubblica riconosce il 21 novembre quale «Giornata nazionale degli alberi» al fine di perseguire, attraverso la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l’attuazione del protocollo di Kyoto, ratificato ai sensi della legge 1º giugno 2002, n. 120, e le politiche di riduzione delle emissioni, la prevenzione del dissesto idrogeologico e la protezione del suolo, il miglioramento della qualità dell’aria, la valorizzazione delle tradizioni legate all’albero nella cultura italiana e la vivibilità degli insediamenti urbani”.
Una buona legge che, se applicata nella sua interezza, potrebbe contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e l’inquinamento dell’aria e dei suoli gravemente nocivo alla salute delle persone e di tutti gli esseri viventi. Potrebbe ridurre le polveri sottili e i veleni, che respiriamo abbondantemente nelle nostre città (con il primato di Milano e della pianura padana ) e che, secondo i dati delle ultime ricerche, costituiscono veicoli di virus compreso il covid-19.
Le inadempienze, sia dei governi centrali che di quelli regionali e comunali, sono ormai insopportabili. Non è più ammissibile che in Italia la dotazione di verde urbano non supera il 7,8% della superficie nazionale. E che poco più della metà delle città capoluogo tiene un bilancio del patrimonio arboreo.
Non lo dimostra solo la ricerca scientifica e non lo dicono solo gli scienziati, ma è inscritto nella storia umana e di tutti gli esseri viventi, ed è convinzione largamente diffusa nell’opinione pubblica che il mondo vegetale è un bene vitale. I fratelli alberi e le sorelle piante assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno; metabolizzano i veleni e funzionano come depuratori efficaci dei terreni inquinati. Quest’ultimo processo si chiama fitodepurazione (phytoremediation, se si vuole dire in inglese). Si tratta di quella particolare capacità vegetale di “digerire” gli inquinanti e i veleni e di rigenerare i terreni grazie alla rinascita della natura e della sua “comunità solidale” di diverse specie di piante – come, ad esempio, è accaduto dopo i due disastri epocali a Seveso e a Chernobyl.
Mentre scrivo questo articolo, oggi 23 novembre, si svolge la sesta edizione degli Stati generali del verde urbano promossa dal Ministero dell’Ambiente, con la quale si intende rilanciare “ le politiche di forestazione urbana”. E’ certamente una buona notizia. Ma a condizione che si smetta finalmente di predicare bene e di razzolare male. Le belle parole e i programmi di giustizia ambientale e di giustizia sociale potrebbero tradursi in atti e fatti se ci si mette nell’ottica di volere cambiare radicalmente il paradigma dell’economia liberistica e quello specifico dello sviluppo urbano ancora fondato sulla rendita fondiaria e parassitaria, e sulla cementificazione onnivora di suolo.
Non si può più continuare come prima. Occorre fermarsi proprio sull’orlo del precipizio. Basta (s)vendere ai privati (grandi medi e piccoli) e al capitale finanziario, il patrimonio pubblico di grande valore storico culturale architettonico e ambientale e il prezioso ultimo suolo rimasto ancora libero per realizzare “grandi opere” di edilizia e continuare a cementificare e a peggiorare la qualità degli ecosistemi urbani. Come, da oltre un quarantennio, succede a Milano dove oggi si sta compiendo l’ultimo atto di una tragedia ecologica , i cui responsabili sono gli amministratori comunali e quelli di enti pubblici (ad es. le Ferrovie dello Stato). La contraddizione tra bene pubblico e profitto privato deve essere sciolta a vantaggio dell’interesse generale come prescrivono articoli fondamentali della nostra Costituzione e leggi ordinarie.
I cittadini – i veri proprietari di questo ingente patrimonio – in quanto collettività , anche organizzata in comitati e associazioni ed espressione rappresentativa della Res Publica, chiedono e pretendono di non essere espropriati e di potere partecipare alle decisioni per il migliore uso possibile di questi beni comuni.
Ci si potrebbe salvare solo se la volontà di cambiare in termini radicali diventa determinazione e forza organizzate , sia delle nuove generazioni (ben vengano e si rafforzino Fridays for future ed Extinction rebellion) che di quelle adulte che ancora resistono impegnate in comitati, associazioni, organizzazioni di volontariato, forze sociali ed ambientaliste.
Solo se le diverse esperienze delle diverse generazioni si alleano e cooperano tra di loro, tramite reti libere e indipendenti che devono farsi sentire e mettersi in relazione dialettica e alla pari con le forze politiche e partitiche disponibili e con i rappresentanti delle istituzioni.
Per una città e un pianeta da vivere e far vivere in modo sano sicuro e solidale. Per salvarci, in quanto specie umana, dall’estinzione.