di Antonietta Cianci
Noi inquieti
stiamo bene qui
alla stazione
nei luoghi di passaggio
Lungo il binario
che si biforca e concede sempre
un’alternativa valida
Sotto il display delle partenze
guardando le destinazioni
come se l’albero delle possibilità
rimanesse
sempre rigoglioso
sentiamo una felicità sotterranea
quella felicità che viene
dal potere,
a metà tra il meraviglioso e il tremendo,
di scegliere,
di cambiare.
*
Io amo il mio coraggio
che sbranato dal caso insensato
sopravvive
caparbio e duro a morire.
Io amo il viaggio di andata perché poi ritorno
Perché non so stare
non so allignare.
E porto con me questa radice riarsa
e la crepa
che si spalanca nella terra dura.
Amo la radice
amo la crepa
amo quella terra dura
bagnata dai miei piedi fradici
di lacrime e anima.
Amo la mia identità senza luogo.
*
Io vengo dal vulcano
dalla terra dura e dal suolo riarso
dalla ferocia del magma che mai riposa
Vengo dal mare
sconfinato e scuro
che è silenzio rumore
E tu
che non sai
quale sia il peso del mio silenzio
e della mia dura terra
e quanto caotico sia il mio magma
cosa cerchi ancora in me?
*
Di tanto mio correre
Di tanta mia guerra per te
Con te
Con me
Delle parole ormai scorticate
Dei pensieri stanchi
Dell’ira buona che divampa
e, sola, accarezzandosi
si spegne
Della carne e del sangue di questo amore imperfetto e ribelle
sporco del tuo passato
e pieno della mia anima,
di tutto
rimane il venticello fresco di aprile
in un pomeriggio di sole
e il suono di quelle tue parole misere
e l’odore dell’abisso.
*
Chiedimi tu
se sono stanca e se ho paura
Chiedimi di che sostanza
è fatto il mio sogno
e in quale angolo
tu dimori
Chiedimi se mi è rimasto
un frantume di forza
uno schizzo di colore
stenditi accanto a me
e ascolta il mio silenzio.
Portami sulla riva
dove più forte
è l’odore del mare e del sale
portami dove la brezza sottile
mi spettina i capelli
e mi illumina il volto.
E poi chiamami piano
sottovoce
affinché io possa entrare
nei vuoti
della nostra appartenenza
e riempirli di luce e di senso.
*
Esiste sul fondo dell’anima
tra le pieghe della memoria
nelle viscere buie
un tempo non vissuto
fatto di sguardi e silenzi
dell’incontro dei nostri corpi
dell’unione tacita della nostra carne.
Esiste nei nostri occhi
un luogo condiviso
dai profili sbavati
rimasto senza nome.
I colori appannati della nostra appartenenza
le ferite slabbrate della nostra coscienza.
*
C’è un’assenza
Nel nostro silenzio
Una fame di dita sfiorate
Uno sfaldarsi di ricordi lontani
C’è smarrimento
Nel nostro silenzio
La via di fuga che non si apre
Un respiro
Che non risana
C’è dolore in questo silenzio
Il filo grosso che non dipani
Il lato oscuro da scorticare
Il taglio infetto da medicare
C’è il nostro amore
In questo silenzio
Un mistero di appartenenza
L’io e te che è carne e senso.
*
Siamo qui
io e te
ai limiti di una risacca
con i volti pieni di sale
e nelle mani la lontananza
e non sappiamo che farcene
se abbandonarla
per ritrovare
una vicinanza
o trattenerla
fino a renderla mancanza.
Tu lo sai
che io sono
la bufera
che increspa il mare
e travolge il litorale
Tu sai che
i miei abissi
smagliano le reti
e dissolvono i fili
del pensiero e della logica.
E ora che la risacca monta
rimescolando gli abissi
Ora che il vento
sferzandoci il sale
sul viso
ci brucia
stringimi la mano
e portami
sull’arenile calmo.
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Antonietta Cianci è nata a Napoli il 19 luglio 1980. Dopo essersi laureata in Lettere classiche ed aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento, si è trasferita a Bergamo dove lavora come docente. E’ autrice di una raccolta poetica, “Radici” edita da Transeuropa edizioni nel 2020.
La raccolta affronta il tema della terra d’origine come luogo a cui tendere e allo stesso tempo come fonte di conflitto e di disordine interiore e quelli collaterali dell’amore, della ricerca dell’ordine e della ricomposizione delle contraddizioni.
…le poesie di Antonietta Cianci esprimono molto bene il tormento di ogni migrante: un dramma interiore vissuto tra l’euforia di un viaggio che allontana ma promette l’aprirsi di nuovi orizzonti e la possibilità di scelte e il richiamo mai sopito della propria radice, tra vulcano e mare..Un sentimento dilaniante di perdita che si fa malattia e ha bisogno delle cure di chi ti ama e in qualche modo condivide la tua sorte…magari nel silenzio che si affaccia sull’abisso della prostrazione, dove pur si cerca un conforto e una soluzione nell’essere insieme, nella condivisione dei corpi…