Diario fisico e metafisico
di Luciano Aguzzi
Luciano Aguzzi ha cominciato a pubblicare sulla sua pagina FB un “Poema dell’anno eterno” che prevede un componimento al giorno per i 365 giorni dell’anno. Qui presento i primi sedici componimenti del mese di gennaio con una premessa dello stesso autore. Per vedere il ricco e bel corredo di immagini che accompagnano i testi rimando alla pagina FB di Aguzzi (qui) [E. A.]
Premessa dell’autore
Gli anni non sono mai veramente nuovi perché al poco di nuovo mescolano il tanto di vecchio che si portano dietro. Secondo un’antica concezione sul tempo come serie di cicli tutto periodicamente ritorna, sia pure un po’ sfasato rispetto all’asse precedente, per cui i cicli disegnerebbero nello spazio una spirale di tipo particolare, perché nasce da un punto e tende dopo innumerevoli cicli a ritornarvi, chiudendo così la serie. La durata nel tempo, sia della vita sia dell’intero universo, ha sempre un inizio e una fine. Ma l’inizio non sorge dal nulla e la fine non entra nel nulla. Collegata a questa v’è anche l’antica credenza che ogni giorno dell’anno comporti nello stesso tempo sia la propria individualità irripetibile nei suoi dettagli occasionali, sia il richiamo, in forma di simbolo, di tutti i giorni analoghi di tutti gli anni passati e futuri. Allora, se teniamo conto più dei valori permanenti che di quelli occasionali, possiamo costruire un calendario eterno, un “anno eterno” che in sé riepiloga tutti gli anni possibili.
L’idea dello Zodiaco è fra le più antiche idee costruttive della conoscenza dell’astronomia e dei suoi rapporti con l’esistenza dell’universo e degli umani, quindi con le umane filosofie, religioni, letterature ecc. ecc. Lo Zodiaco è un sistema di simboli i cui richiami originari, risalenti a oltre seimila anni fa, si sono in gran parte perduti e di cui solo pochi e slegati frammenti riemergono nell’astrologia profana, in quella usata come pratica divinatoria. Persi i significati originali, l’astrologia è diventata in grande misura semplicemente opera truffaldina di ciarlatani. Ma all’origine vi era il rapporto, intuito ma mai dimostrato, fra universo, divinità, umanità: fra i temi che legano il macrocosmo al microcosmo, secondo diverse correnti filosofiche e religiose.
Io non so, io mi sperdo a pensare e studiare queste cose la cui grandezza e i cui misteri sono più grandi dell’intelligenza e della durata della vita umana. Ma ho voluto costruire un mio ciclo ideale, un mio ideale (ovviamente, ideale per me, non necessariamente per altri) “anno eterno”, dedicando ad ogni giorno dell’anno una poesia, realistica o onirica, fisica o metafisica. Comincio qui, come rubrica quotidiana (o quasi, a secondo del tempo e delle energie di cui disporrò), a pubblicare i giorni del mio “anno eterno”. Gennaio è il primo mese, il mese delle nascite, degli inizi, delle formazioni.
Il tema di gennaio è, espresso in versi:
Multiforme si cela l’essere nel nascere e rinascere in sé sempre identico e diverso. E sorride a se stesso e a chi l’afferra.
Non nascondo di utilizzare alcune suggestioni della riflessione sull’Essere che da Parmenide arriva a Emanuele Severino e oltre; e della ricerca dell’«inaudita verità» che non si fonda sull’opinione ma sul principio di non contraddizione. Ma il divenire, nella sua multiforme apparenza, è contraddittorio. La verità sta oltre, ma non sappiamo dove l’Oltre si celi.
POEMA DELL’ANNO ETERNO
I PRIMI SEDICI GIORNI DI GENNAIO
PRIMO GENNAIO Fratto come un’acqua senza pozzo, luce di sole nella notte piena, buio di notte in pieno mezzogiorno. Giro, ci giro attorno, percorro il ghirigoro. Ecco, intravvedo il labirinto d’oro con gli strani animali di contorno. E in questo mitologico sogno perdersi è meglio che trovarsi, disfarsi più saggio che farsi, e pazienza se il farsi e il disfarsi è un eterno bisogno. Un correre parallelo lungo il muro di cinta dove la vita nostra è racchiusa e dipinta, mentre di altri mondi, di altri universi e di mille altre dimensioni trovate e perse, non riusciamo a percorrere un solo millimetro perché l’eterno pensiero senza tempo corre e senza spazio arriva dove chissà chi chissà come, dove chissà quando deve arrivare. Ma arrivi pure se deve arrivare e qui o altrove arrivi. L’attendo al varco, io, l’attendo. E la speranza vana, l’inutile toccasana dell’allegria della fiera diventerà nel mio arco corda tesa che lega, corda che stringe l’alba e la sera, che la speranza costringe e manifesta, non più vana o funesta, non più inutile attesa. Oltre l’ansa lenta d’ogni tempo, oltre ogni costanza e misura dell’eterna distanza, oltre ogni luce e oltre ogni buio, permane la mia osservanza. E ciò che il tempo consuma risorge e risorgendo è pronto per un eterno consumo che non distrugge. Qui ed ora. Questo è l’augurio. Che tutta in te l’osservanza, la forza e il coraggio di non perdere ciò che si perde, sempre sia. Non perdere ciò che perdere è bello e bello è poi ritrovare e così via per sempre. DUE GENNAIO Sorge l’alba di ogni alba. Prima di ogni buio e di ogni luce. Prima di ogni mia alba e di ogni tua. Nel prima del prima si perde quell’alba. * L’alba di chi ogni alba ha misurato e del conflitto misura e del silenzio. * Stupefatto silenzio. Prima che l’infinito silenzio udisse la sua musica. Ma poi fu guerra e morte e il nulla stesso vomitò dal suo ventre il suo essere nulla, il suo essere tutto. * Amore – disse nel suo travaglio quel silenzio perduto. Odio – rispose l’eco del tempo in formazione. TRE GENNAIO Dai fitti nodi volle sciogliersi il gigante. Trama di corde e nodi è l’albume dell’essere. Catene di misteri che avvolgono catene e queste altre catene e altre ancora fin dove arriva l’occhio onnipossente. * Al microscopico vivente appare anche il ventre di un piccolo animale un universo infinito. E lì si muove e lì si sente libero e davvero lo è finché nel sogno e nel delirio non valica l’assegnato confine. QUATTRO GENNAIO Nulla è il volo di cellule nulla è il volo di anime nulla è il tutto che effimero il pensiero racchiude e perde nell’istante che crea. * Tutto si cela nella maschera: l’attore senza volto e quella, fuori scena, giace spenta, come il tutto diviso dall’ombra del suo nulla. * Pur palpita invisibile nel cuore e inafferrabile l’ombra. Ciò che l’essere vuole e ciò che è. CINQUE GENNAIO Né luce né buio né essere o nulla né logos possibile all'uomo, né mistero intrigante che si possa interrogare: vane le domande e silenzio le risposte. * Nulla e tutto in quell'essere che sé non crea né conosce. Oh paradosso impensabile, estraneo al tempo che scorre, all'eternità anche estraneo e sconosciuto. Chi o che cosa e come e dove e quando e per quanto farà sorgere il tempo? E già siamo a questo effimero presente, e già tutto è avvenuto, tutto è stato vinto e perso mille e mille e più volte mille. Ma noi non c'eravamo né possiamo capire. SEI GENNAIO Ogni increato sé crea nel suo svolgersi. Oh nascite e morti per noi infinite, cosa mai saranno nell'effimero nulla di chi è e non è e nel tuo essere senza essere, nel tuo essendo non essere? * Trascorriamo i giorni veloci quasi dei onnipossenti, ma i pensieri cadono come foglie morte e con esse le stagioni gli anni i secoli i passati e futuri tempi innumerabili. * Cadono e quel che era più non è. E noi a noi stessi non siamo e agli dei e gli dei a noi più non sono. Cadono gli onnipossenti pensieri nel nulla apparente e finisce la loro potenza. Meschina forza che non sa districarsi da volubili bolle di sapone e con esse subito svanisce. Chi mai potrà raccogliere il pensiero pensato? L'essere che è già stato, il non essere emerso e rapido naufragato nel lampeggiare del tempo? SETTE GENNAIO Nel sasso, in sé nulla ancora, si sviluppò il futuro. E già erano sorti, da sempre, i fantasmi dell'oggi. Tutto in possenti idee si frantumava che volevano essere. E sono. Pulviscolo dell'incoato Dio smarrito negli spazi impossibili dell'esistenza, del divenire del nulla, della solitaria e arrogante libertà, del no feroce della creatura ribelle al suo essere niente, o tutto, nell'arbitrio effimero dell'io. * Schiacciato dall'estrema solitudine quel Dio moltiplicò se stesso, invano! La divina eruzione riproduce sui frammenti di specchio quell'unica immagine di sasso primigenio, quel paradosso dell'io in sé chiuso per sempre, quell'apparente divenire che si sperde subito nel nulla. OTTO GENNAIO Non è di nulla fatto il nulla. Esiste dove il nulla si è perso nelle ombre, dove il nulla nell'essere persiste, dove gli eterni sono linee sgombre. * E da quel nulla sorsero infiniti atomi e sassi, stelle ed animali, i mille prati verdi che, fioriti, ci sfidano così, belli e amorali. * Sublime e senza storia è questa storia. Il tempo crea e distrugge e solo piange la nostra umana egoica vanagloria. * C'è all'orizzonte estremo un buco nero che afferra il nulla e l'essere e li frange e li risputa in sogni ed in pensiero. NOVE GENNAIO Nasce dal nulla e dalla mente assente, nasce esplosivo e inerte; correndo se stesso crea e il tempo e dello spazio l'involucro finito e infinito che li contiene. * Ha mille nomi e non si chiama né chiamato risponde. Stanno quei mille nomi nel mistero e nell'Io di chi invoca scrutando sé e il nulla nella propria luce che riverbera attorno. * Fragile essere sperduto nell'universo, io non so della vita né della morte i perché, né i perché dell'essere che è e del non essere che non è. * Ma gli avi hanno invocato te, Mistero, e a te hanno dato i mille nomi in templi d'aria e di luce, di acqua e di terra, di colonne e statue, e ogni nome sei Tu. Ma Tu, chi sei? * Fuoco che sprigiona scintille da legna incombusta. DIECI GENNAIO I. Qual nome che ignorato giace per tutti ignoto nei secoli e non è; così giaceva immoto il Logos creatore chiuso nel suo fulgore che era, che è e sarà. II. Senza nome se stesso chiamare non sapeva, nella sua immensità fermo stava e taceva. Poi si scosse nell'alto pensiero e con un salto creò ogni realtà. III. Nacquero tempo e spazio, galassie astri e stelle, pianeti mari e monti e tutte cose belle. Di acque e vegetali, di fiori ed animali il mondo popolò. IV. Dalla luce dei secoli l'intelligenza emerse, cervello piedi e mani in strumenti converse. L'uomo si fece strada nella bella contrada e tutto comandò. V. Pur senza Dio conoscere nel vento lo trovava, nel cuore delle vittime e dovunque spaziava. Così gli diede un nome e lo trattò siccome un Ente protettor. VI. Ogni città al suo Ente in pietra od in metallo le statue modellò e sopra un piedistallo le mise e la preghiera in numerosa schiera rivolse al creator. VII. Ma ogni città, rivali, diedero nomi e aspetti diversi al proprio dio da cui eran protetti. Visi di cani e tori ebbero adoratori, e serpenti ed uccelli. VIII. Ma su tutti fu il Sole, con la luce e il calore, a richiamare all'uomo l'idea del creatore. E un dio sommo fu il sole capace di parole per unire i fratelli. IX. Ogni giorno sorgeva, attraversava il cielo e nel buio scendeva. La Luna, col suo velo pallido, per altro dio fu preso e il scintillio magia e rito invocò. X. Creò l'uomo i superni dei e li mise in cielo, creò gli inferi ancora e a tutti col suo zelo diede nomi ed altari, sacerdoti e scolari; templi e poteri alzò. XI. Con dio sulle bandiere l'uomo è forte e pietoso o feroce guerriero al mondo doloroso. Non c'è misfatto o merito presente oppur preterito che a un dio si risparmiò. XII. L'uomo si fece dio e dietro a dio si ascose, con dio prese il potere sopra tutte le cose. Ma il Dio vero ad amare c'induce e ad insegnare pace umiltà e amor. XIII. Così è dilacerato il cuore degli umani, e guerra e pace sempre si mostrano le mani. Si alternano sui visi la paura e i sorrisi, la gioia ed il dolor. Nota: una qualche imitazione metrica di un "Inno sacro" di Manzoni è qui presente e voluta. UNDICI GENNAIO Che sia immanente o trascendente, persona o inconosciuto ente, sostanza estesa o punto spirituale, chi ci ha creati è stato intelligente. * Supremo, sommo informatico, è partito da un logos matematico, e con pochi principi ha dato avvio ai mondi che le scienze non finiranno mai di analizzare. Pochi elementi chimici e leggi della fisica, chimica e biologia, ma possibilità infinite di comporre e alimentare con ripetizioni e innovazioni la spinta creatrice sempre nuova. * Materia, antimateria, chiare e oscure, energia e luce e mente ed il pensiero e lo spirito che sfugge ad ogni esame. * Fra il nulla e il tutto sorge a governare il caos e a regole ridurlo Necessità che stringe ed obbliga, il capriccioso Caso, la Libertà creatrice. E Tempo e Spazio mai hanno assistito ad altro che a cose in movimento, fossero le galassie immense o i microscopici esseri o i neutrini sfuggenti. Ed ogni moto ha la sua legge, ha la sua causa necessaria o casuale, o libera. Che sia vera o apparente sorge la libertà dalla mente, dalla volontaria possibilità di scegliere, dall'intelligenza della propria natura. * Ma forse altri elementi, altri principi, altre leggi ci sfuggono e restano sconosciute. E Dio fa i miracoli? E Dio è la somma delle cause ignote che danno sostanza alle note? Forse è la legge od è il fuori-legge che la crea? È l'algoritmo assoluto o colui che lo scrive conservandosi libero di cambiarlo? * Forse è fuori di noi, forse è in noi. Forse è questo spirito indomabile che ci spinge oltre ogni frontiera, oltre ogni orizzonte. DODICI GENNAIO Guardi le stelle e pensi che si ripete e si rinnova, uguale sempre e diversa la forza creatrice. Astri e corpi di ogni specie e qui, sul nostro verde pianeta, acque e terre, ghiacci e deserti, pianure e montagne e dovunque la vita rapace e capace di adattarsi a ogni condizione. * Si succedono le generazioni e le moltiplicazioni. Batteri e virus spontaneamente o per qualche a noi ignota forza esogena sorsero quasi quattro miliardi di anni fa. E ora siamo a metà cammino prima che il Sole si faccia stella gigante e bruci ogni vita possibile su questo nostro piedistallo. * Si succedono le generazioni e la vita arricchisce le sue forme. Escono i pesci dalle acque, i grandi rettili, i mammiferi, le scimmie, ominidi ed homo sapiens. E a turno hanno avuto i loro anni di dominio, prima che la mutevole sorte di tutte le cose decretasse il ricambio. * Ed ora l'uomo, padrone di tutto ma non di se stesso, trema. Cambia il clima e per noi si prepara un lungo futuro di ansie. La natura ribelle fa valere le sue antiche leggi, il codice scritto nelle vene e nei polsi della Terra, degli astri, dell'Universo. * Ma se eternamente Odio e Amore squassano le prime radici, prevarrà forse l'Odio che distrugge sull'Amore che unisce? * Non so per gli altri mondi, per altre realtà. Ma qui fra noi potenti umani e fragili l'Odio prevale e divide anche i fratelli. E s'attende da sempre, inutilmente, il compiersi di vecchie profezie, di serpenti schiacciati, di paradisi ripresi e conservati. * Intanto, dopo il dominio dell'uomo, dopo la Grande Catastrofe, temuta e fantasticata i creatori di storie immaginano il predominio di altre specie su questa Terra sofferente. Le oscure blatte fra noi con più di quattromila specie sono pronte a resistere e a sopravvivere ad ogni eco-disastro; o i ratti, capaci di nutrirsi anche di veleno, intelligenti mammiferi sociali in sessanta specie diffusi. * Forse tutto ritornerà agli inizi, ai cianobatteri che i fossili ci mostrano primi viventi, alle alghe, ai muschi. Poi il pianeta brucerà nel vortice dell'intero sistema solare. E su altri pianeti nascerà e continuerà la vita finché l'Universo, questo Universo, colmerà l'orribile vuoto. TREDICI GENNAIO Uscito da foreste e da savane Homo Sapiens a lungo ha camminato con i piedi le mani ed il cervello; sino ad oggi non si è mai riposato. Da un continente all'altro ha conquistato ogni metro di terra e d'acque e mari e tutto attorno a sé ha trasformato a immagine sua propria e somiglianza. * Cose utili e belle e cose vane ha creato per sé, e anche feroci per dare morte ingegnosi attrezzi. Nulla ha arrestato il suo cammino, ma tutto ha forgiato il suo destino. La guerra contro spazio e contro tempo, contro le piante e contro gli animali, contro i simili a sé altri Homo Sapiens di pari o di minor capacità. * E ora regna su mille e mille estinte specie, su fossili e su ossa e cimiteri. E diviso fra Stati e fra città in lotta perenne e sanguinosa. Ma non si ferma mai quella frontiera, simbolo d'audacia e anche bandiera del mito dell'Ulisse truffaldino che dopo aver distrutto Troia altrove volse la cupidigia della mente, e per «seguir virtute e canoscenza» fece dovunque morti e stragi e danni. * Ma ahimè, forse da sempre, son divise, per gli ulissidi di ogni terra e mare, la virtù dolce e avara e la sapienza che nascere dovrebbe dalla scienza. Son purtroppo guerrieri, non coloni in pacifica cerca d'altre terre disabitate, quelli che, sfidando pericoli e disagi in terre altrui vanno a usurpare, a conquistare beni ad altri tolti. E fin dai tempi antichi: quando Homo Sapiens incontrò Neandertal, fu per questo la fine. Tribù e popoli di millennio in millennio da sovrani nativi in bestie da fiera trasformati vennero decimati e l'assassino subentrò nel possesso di acque e terre. * E oggi ancora continua ad avanzare quell'atroce frontiera che separa la natura che dicono selvaggia dall'ingorda distruttiva avanzata della pretesa civiltà. Dovunque il cemento soffoca il respiro dei prati e dei torrenti, ricoperti, intubati. Qui nella mia Milano, anche qui è la frontiera. E in Amazzonia dove si uccide la foresta e i cento e cento popoli nativi che là vivono: Yanomami, Kanoè, Akuntsu, Madipian, Negarote, Amikoana, Kaingang, Guaranì e altre altre tribù ridotte all'estinzione. Triste storia ripetuta da sempre; pur gli oscuri itali antichi in Calabria e Sicilia conobbero, sconfitti, la scomparsa, sepolti da una Magna Grecia altera che di lor fece ossa e fece servi. Non migliore destino ebbero i popoli aborigeni australi ed amerindi, dai colti Maya ai bellicosi Apache. * La civiltà arrivò e distrusse, fuoco dall'ambizione e dal sogno nutrito di cose grandi e belle, e cupidigia d'oro e potere. Eppure, fra il pianto e i lutti s'ersero a forza le scienze e l'arti ad abbellire il mondo umano, a farlo grande e dar lieto conforto all'uomo, quando, sereno e in pace vive preso d'amore e di bellezza. QUATTORDICI GENNAIO Muoiono i regni, le città, i sovrani, e l'umile gente che ogni giorno s'affatica e nulla sa degli arcani degli dei, dei semidei e di chi intorno sta agli altari e palazzi. In lunghe vesti d'oro e monili paludate e adorne, s'erge l'uomo potente sovra questi schiavi, contadini e pastori, artisti che alzano piramidi. E tu, scriba nei tuoi papiri e nelle lunghe liste dei faraoni tramandi dei potenti e nomi e rango e imprese, le battaglie vinte, le città conquistate e arse, i nemici uccisi, i palazzi, templi e mura eretti. Scorrono incisi i caratteri antichi in geroglifici, in ieratico, in demotico, o altrove in cuneiforme accadico, fenicio, ebraico, sanscrito o cinese o arabo, greco o latino. Comune a tutti era quest'uso quando nelle antiche città le residenze reali e i templi solo e le mura eran di pietra e marmo e di mattoni. Capanne di legno e paglia, di fango e malta il resto. * Chi ha deciso l'iniqua divisione di ricchezza e potere che ancor oggi, in mille forme perdura? La forza creatrice nascere ci fa diversi l'uno dall'altro e questa differenza determina in natura uno spareggio di età e di sesso, di salute e forze, di abilità e intelligenza, coraggio e paure. E d'altre qualità ancora che uniscono o dividono i fratelli: fanno d'uno la guida e suoi compagni gli altri. All'alba dei tempi erano queste belle diversità complementari che arricchivano il gruppo e la famiglia, quando, senza nessun privilegiato, nella natura si viveva immersi, in reciproco aiuto e sol le belve erano nemiche e le tempeste. * Crebbe però la civiltà e le guide divennero sovrani o sacerdoti sommi o generali, capi di Stato, di templi e gente armata per mestiere. Sorsero differenze e gerarchie sociali, patrimoni e parentele, ricchi e potenti eredi con o senza talento. Sconosciute alla natura, le nuove divisioni s'imposero in molteplici gradi, ranghi e ceti, schiavi, caste, classi e organi vitali che, come nel corpo umano, utili sono tutti, ma alcuni essenziali, trascurabili gli altri e fungibili, meri corpi senz'anima, anonima massa di lavoro e servizio, nomi nati e morti senza lasciare traccia che non sia il sangue e le ossa oscure, dissolte dalla terra e dall'acqua, e il numero crescente nei secoli, fredda e incerta demografia storica. * Cambia nel tempo il talento che vince, segno di civiltà e progresso e forse di corruzione intrinseca. La bruta forza comandò a lungo, a vi si unì più tardi l'abilità nel condurre le armate in battaglia. L'eredità legittima e il presunto volere di Dio ressero per secoli i regni, forza e armi riducendo al servizio. L'abilità politica, il merito e l'astuzia vennero dopo ed ora si contendono il campo. Però spesso falso o finto è il merito, scambiato con furbizia e menzogna, con la forza di convincere masse di seguaci con promesse impossibili. Governa oggi il più furbo e quasi mai il più bravo, chi più è costante nella paranoia di chi insegue il potere e la ricchezza o il successo per sé, fosse anche agli altri di danno. Cinico e concentrato, determinato a grandi e distruttive imprese, ogni tempo ha il suo Adolf Hitler, Alessandro si chiami o Giulio Cesare, Napoleone o Stalin. O qualche grigio primo ministro passeggero pago della gloriuzza di una citazione nei futuri libri di testo. Certo, non come gli Hitler letali, pur sempre però di danno e intralcio a chi vorrebbe guida e consiglio da più oneste menti, competenti e capaci per davvero, in sintonia coi cittadini tutti. * Sempre i potenti tennero l'astuzia a prezioso alleato ed al servizio del proprio governo. Ma, emancipata, di se stessa l'astuzia oggi è padrona, e del governo è anima e facciata, nutrita di menzogne e d'espedienti. QUINDICI GENNAIO Gilgameš vide le radici della terra e conobbe ogni cosa. Dio fatto re e uomo; uomo fatto re e Dio lottò fra gli dei e gli uomini e viaggiò verso la Montagna della Vita per riconquistare la sua immortalità. * Per proteggerlo ed elevarlo al cielo o avversarlo lasciandolo alla morte o farne un dio infero agirono An padrone del Cielo e Enlil Signore degli dei della Terra, Enki Signore delle acque e dell'Abisso e Inanna dea dell'amore e della guerra e cento altri dei minori entrano nell'epopea che Sumeri, Accadi, Hurriti, Elamiti, Babilonesi hanno cantato per trenta secoli in versioni diverse. * Primo poema della storia congiunge i lunghi tempi prima del Diluvio con quelli più brevi successivi, la vita degli dei immortali con la vita degli uomini a cui è destino la morte. * Dopo il diluvio che distrusse gli umani salvo uno, Ziusudra o "Vita dei giorni prolungati", rinacque la regalità e Gilgameš fu il quinto re di Uruk e bastò il suo splendore divino per sbaragliare i nemici. All'apparire della sua luce fuggirono quelli che assediavano la città. * Ma Gilgameš fatto uomo è inquieto e desidera la vita immortale degli dei. Questo è il suo viaggio, questo il suo vero destino, non regnare su Uruk per ergersi vincitore e giustiziere fra i sudditi, ma vincere Morte che non ti guarda in faccia ma ti prende, ti spoglia di ogni attributo e di te fa l'ombra che nel buio degli inferi cammina condannata a non ritrovare mai la via per tornare alla luce. * Grande e vittoriosa fu l'epopea di Gilgameš, dio fra gli dei, immortale protagonista del viaggio che i lettori da cinquemila anni seguono nelle antiche scritture. * Ma tra esse una ci avverte che l'eroe, uomo e re, uomo rimase, diviso dal dio. Immortale il dio, mortale l'uomo e a consolarlo l'antico scrittore gli disse e a noi lo ripete da sempre: «Gilgameš dove cerchi di andare? Non troverai la vita che tu cerchi. Quando gli dèi crearono l'umanità, gli assegnarono il destino della morte, tenendo per loro la vita. Dunque, Gilgameš, vivi giorno per giorno nutri il tuo stomaco e datti alla gioia, fai festa, giorno e notte canta e danza. Tieni puliti i tuoi vestiti, lavati con acqua piedi e testa, rallegrati del bambino che tiene stretta la tua mano e possa tua moglie godere al tuo petto: questo è il retaggio proprio dell'umanità». Nota: L'ultimo brano fra virgolette è l'imitazione, adattata a mio modo, della traduzione di un passo dell'epopea originale di Gilgameš e precisamente della traduzione di Giovanni Pettinato nel libro «La Saga di Gilgameš». SEDICI GENNAIO Quando il dio Enki giaceva con la moglie Ninsikila nella splendente Dilmun, questo era un posto puro, luminoso, dove il leone non uccideva, il lupo non sbranava l'agnello, il cane non comandava alle capre e il porco non mangiava l'orzo. Gli anziani carichi d'anni non erano vecchi e nessuno era ammalato. Non arrivava la mezzanotte perché il sole che illuminava Dilmun non tramontava. * Gli dei maggiori comandarono agli Igigi, dei servitori, di creare la terra e l'agricoltura. Questi scavarono il Tigri e l'Eufrate, costruirono attrezzi per arare e coltivare e la terra fiorì di ogni pianta e animale. Ma gli Igigi, stanchi del duro lavoro, si ribellarono. Gli dei maggiori allora crearono gli uomini perché li sostituissero nel lavorare la terra e nel servire gli dei. Li crearono col sangue e la carne di un dio sacrificando il dio Wê. La vita, l'intelligenza e lo spirito del dio animò gli uomini. Per duecentoquarantamila anni prosperarono l'agricoltura e le città regali e la regalità, scesa dal cielo, passò da re a re, da città a città, prima a Eridu, poi a Bad-Timira, a Larak, a Sippur, e infine, prima del diluvio universale, a Šuruppak. * Gli uomini facevano baccano e An e Enlil dei supremi non potevano dormire, così per punirli inviarono loro siccità, epidemia, più volte. Ma non riuscirono a farli tacere. Altri dei proteggevano le creature dalla testa nera e le mani callose. Gli uomini si moltiplicavano. An e Enlil decisero di sterminarli e inviarono il diluvio. * Le spiagge si coprirono di corpi morti e legni secchi sbattuti dalle onde, le acque si alzarono, gli uccelli cadevano stanchi. Molti dei piangevano impotenti e avrebbero voluto salvare gli uomini, ma Enlil lo vietava. Enki, dio della terra e dell'acqua, non obbedisce. Chiama a sé il re di Šuruppak e gli dice di costruire l'arca e salvarsi. Ziusudra lo fece e quando il diluvio ebbe termine l'arca si posò sulla cima di un monte. Enlil accorre furioso, ma altri dei giungono a calmarlo. Il divino congresso decise di salvare gli uomini. Questi rinacquero e si moltiplicarono, rifiorì l'agricoltura, risorsero le città. La regalità passò a Uruk, regno di popoli e città, centro di mille commerci. A centinaia gli onagri formavano lunghe carovane, ogni animale carico di novanta chili di merci, sulle rotte per paesi lontani, per l'India. Tessuti, legno pregiato, stagno e rame, ambra, percorrevano le strade, e argento e oro e raffinati gioielli. I contadini nei campi, gli artigiani nelle botteghe, gli scriba e gli amministratori nei palazzi del re o dei governatori, i generali e i soldati nei loro quartieri, i sacerdoti nei templi, gli schiavi al servizio dei padroni. Ognuno aveva il suo posto e il suo ruolo nel Grande Paese, purché obbedisse agli dei e al re, che li rappresentava, e con i sacerdoti mediava tra cielo e terra, tra vita immortale e mortale; con la preghiera guidava le anime dei morti al rito funebre di purificazione e di salvezza, e condannava gli impuri. * Fu così che l'enorme fatica degli dei, quando erano come uomini e si piegavano alla corvée e al canestro del lavoro, passò agli uomini. E col lavoro passò loro un soffio divino, un desiderio d'immortalità, un'anima che conserva l'intelligenza e lo spirito del dio Wê, sacrificato dagli altri dei. Passò anche la regalità, i riti e le preghiere, ma non fu risparmiata agli umani la guerra che da sempre divide gli stessi dei nei cui cuori immortali s'annida l'odio, la gelosia, l'invidia. Nota: liberissima reinterpretazioni di miti accadici, sumerici e babilonesi e dei più antichi testi in cui compare la creazione dell'uomo e il diluvio universale. Testi che precedono in antichità il biblico libro della «Genesi».
I testi sono piuttosto ardui, sia nei riferimenti mitologico-storici che in quelli concettuali. Ma la messa in gioco in essi di temi capitali per l’essere umano merita la loro lettura. Anche il progetto, con la sua scansione quotidiana, è impegnativo. Complimenti, dunque.
Dapprima le parole corrono di più sulla linea del significante, come eco di una sonda calata nel mistero; nel prosieguo si fa strada quella del significato, con la rivisitazione di antichi e lontani miti. Sullo sfondo il cammino esplorativo della scienza, che afferma e, al contempo, nega.
Lo spirito di Lucrezio alimenta queste poetiche riflessioni, così come quello della meditazione religiosa del Manzoni, e quello critico del Parini. E’ l’attualizzazione di un percorso umanistico che vede l’uomo al centro dell’universo nella sua grandezza e piccolezza, nella sua sofferta contraddizione, di possedere virtualmente il tutto e realmente il nulla. E’ un interrogarsi che alimenta la poesia e il pensiero, ma per sciogliere questi nodi occorre la forza e il coraggio dell’abbandono.
Fa bene Luciano Aguzzi ad affidarsi a questo diario poetico giornaliero (che auspico supererà lo spazio dell’anno), può essere un cammino di ritorno verso l’origine del Logos.
Seguendo la stessa ispirazione della parola Ungaretti arrivò a scrivere un verso icona della poesia ‘M’illumino d’immenso’ ( molto vicino a quanto scrisse il D’Annunzio in una pagina di prosa ‘M’illumino di immenso amore’).
…anche a me il poema di Luciano Aguzzi sembra prospettarsi un’opera di grande respiro scritta, non a caso, durante il diluvio della pandemia. Forse per infondere coraggio e consapevolezza sul lungo cammino finora compiuto, tra mille traversie, a noi fragili esseri umani, ospiti di un pianeta in bilico. Un’opera che si prospetta raggiungere uno spettro ampio di osservazioni sull’universo, sugli esseri viventi, tra cui l’ umano, arteficie mirabile, ma spesso distruttore della natura e ingiusto verso i propri simili e le altre specie viventi…Noi, sembra dirci l’autore, arriviamo per ultimi dopo un lungo cammino che già sembra declinante, ma ci offre anche esempi di coraggio e di rinascita. Un percorso sapienziale e salvifico?… In tal senso, mi sembrerebbe un progetto di scrittura da considerare un omaggio al viaggio dantesco della Divina Commedia attraverso inferi e redenzione…