di Giuseppe Natale
Che la crisi della democrazia si debba risolvere strangolandola e che gli strangolatori – per litigiosità e insipienza – debbano essere proprio i partiti, rappresentanti del “popolo”, incapaci di governare prima e ora tutti (tranne – formalmente – FdI) genuflessi davanti a Draghi, una specie di podestà catapultato apparentemente dall’esterno, è cosa pericolosa e inaccettabile. Forse nulla contiamo più, ma testimoniare – ciascuno con le proprie convinzioni – il nostro dissenso mi pare il minimo. Pubblico perciò la denuncia a caldo di Giuseppe Natale, collaboratore di Poliscritture. Si tratta di una lettera che ha inviato a «il manifesto» (e al «Fatto quotidiano»). [E. A.]
Al Manifesto.
Nel condividere il fondo del 3 scorso di Norma Rangeri, mi permetto di soffermarmi sulle assai discutibili soluzioni proposte (imposte) dal Presidente della Repubblica.
Penso che Mattarella non si sia comportato da bravo “arbitro” e che , nella gravità del momento , abbia dato l’impressione di perdere la bussola. Al termine del suo appassionato appello alle forze politiche perché affrontino con responsabilità urgenza ed efficacia le crisi
drammatiche (pandemica, sociale, economica, ed ecologica – aggiungo io) che ci attanagliano a livello locale e globale, mi sarei aspettato non certo l’incarico al “salvatore della patria” Mario Draghi, banchiere e tra i massimi rappresentanti degli interessi del mondo della finanza e delle classi economiche dominanti, e tra i più importanti interpreti del capitalismo liberistico che sta portando l’umanità verso il disastro. A mio avviso, non è stato messo adeguatamente in evidenza la gravità delle affermazioni del Presidente quando si rivolge ” a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non deve identificarsi con alcuna formula
politica”!?…Ma scherziamo ? C’è una perversa coazione a ripetere scelte devastanti di cosiddetti governi tecnici che diventano tra i peggiori governi politici della parte dominante del potere economico, e spesso di quello più arretrato e retrivo.
Con la sua scelta, il Presidente ha – secondo me – umiliato il Governo Conte, che, nel complesso e nelle condizioni date e così difficili, ha ben operato nell’interesse generale del Paese. Ha sminuito il ruolo delle tre formazioni politiche rimaste a sostenerlo, e il Parlamento.
Consapevolmente o inconsapevolmente, ha legittimato comportamenti corsari aggressivi e distruttivi di un uomo politico spregiudicato cinico e baro. E facendo di tutta l’erba un fascio, altro discredito si è riversato su tutta la Politica e sulle stesse istituzioni rappresentative.
Perché il Presidente Mattarella, dopo il fallimento del tentativo di ricomporre la maggioranza a quattro per evidenti responsabilità (meglio irresponsabilità ) di Italia Viva, non ha rinviato alle Camere il Governo Conte per verificare la fiducia del Parlamento che qualche giorno prima gli aveva confermato? Perché scegliere la strada “tecnica” e non politica, nel rispetto delle regole del gioco democratico, e scoraggiando ogni atto di qualsiasi rappresentante del popolo che non si comporti “con dignità onore e disciplina”?
Preoccupante: “la breve favola della democrazia è già finita”
SEGNALAZIONE
IL RISVEGLIO DAL SOGNO DEMOCRATICO
di Andrea Zhok
https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1770777559770302
Stralcio:
In quest’ottica il nostro timore che il fallimento di democrazie sempre più scricchiolanti porti una volta di più al passo dell’oca e alle adunate oceaniche è un timore malriposto.
Non che non possa ancora accadere, ma quel tipo di esito del collasso democratico non è all’altezza dei tempi. Il suo richiamarsi a virtù guerriere e decisionismi roboanti è estraneo alle forme sociali contemporanee.
La medesima funzione oggi può essere invece giocata in modo appropriato dal Tecnocrate.
Il Tecnico, proprio come era il Dittatore, è il soggetto che promette la semplificazione del discorso pubblico e il ripristino dell’ordine nel caos della politica politicante. Il Tecnico non ha più alcun bisogno di ridurre il parlamento ad un bivacco di manipoli, perché un bivacco lo è già. Al contrario, egli in forza del suo carisma tecnico, riporta l’ordine formale anche all’interno di questi luoghi della recita democratica.
Come il Dittatore, il Tecnocrate è investito di charisma (χάρισμα), in quanto portatore di salvezza, come in passato era il condottiero. Egli possiede il dominio delle nuove competenze belliche, quelle economico-finanziarie, che sono il modo in cui oggi ci si fa prevalentemente la guerra.
Qualcuno potrebbe pensare che l’Italia, con la sua predilezione per i governi tecnici (Ciampi, Dini, Monti, ora Draghi) sia un caso estremo e particolare. Ma ci sono tutti i segnali perché, come fu già per il fascismo, l’Italia sia anche questa volta un precursore. Altri governi, in altri paesi, sono spesso governi tecnici nelle loro fondamenta: i loro leader incarnano già gli indirizzi della tecnocrazia economica, o si adeguano senza remore alla stessa.
Il ricorso ad un tecnico esterno è solo un passo di drammatizzazione, richiesto quando i partiti (per incapacità o volontà) non sono già a guida tecnocratica.
La direzione in cui vanno evolvendo, o meglio involvendo, tutte le ‘liberaldemocrazie’ è quella di un deterioramento progressivo della componente democratica, ridotta a pura gesticolazione preelettorale, e di una sua sostituzione con una tecnocrazia liberale, come oligarchia degli abbienti e di chi ne cura gli interessi.
Non c’è quasi nulla che vi si opponga. Le sconcertanti invocazioni da parte di prominenti e sedicenti democratici (addirittura ‘di sinistra’) di un governo della “competenza” seguono una logica interna ferrea, logica di cui chi le pronuncia è ignaro.
La competenza viene invocata a fronte del collasso delle istituzioni democratiche, collasso che ha ragioni del tutto manifeste, ma che nessuno vuole riconoscere come tale.
I nostri eroi della liberaldemocrazia ci hanno spiegato per decenni, con la consueta saccenza, che non c’era alcun bisogno di ‘prendersi cura della democrazia’, di coltivare il ‘demos’. Ci avrebbe pensato la mano invisibile del mercato, che aborrisce i biechi paternalismi.
Naturalmente, queste idee segnalavano semplicemente la loro integrale subordinazione ad un paradigma liberale, che si immaginavano magicamente coincidente con quello democratico, sì da esimerli da qualunque compito e fatica: è un mondo bellissimo quello in cui non devi fare alcun progetto, non devi tentare riforme o promuovere indirizzi, ma basta che persegui a testa bassa il tuo proprio interesse e magicamente questo produrrà il migliore esito per tutti.
I liberaldemocratici sono gli officianti del culto della Provvidenza Laica, dove lasciar fare e farsi gli affari propri si convertono nel migliore dei mondi possibili.
Alla fine di questo processo la Provvidenza si è rivelata, portando provvidenzialmente alla luce non la democrazia, che è agonizzante, ma la tecnocrazia dell’interesse privato.
Infatti la ‘competenza’ che viene richiesta e invocata (l’elenco di editorialisti che lo ha fatto in questi giorni è impressionante), non ha alcuna parentela con la saggezza dei governanti di una qualche Repubblica di Platone, ma è l’abilità nella gestione delle regole economico-finanziarie del tardo capitalismo, aderendovi senza resti.
Nessuno può dire se o quanto successo avrà il nascituro governo Draghi, ma sul piano storico questo ha una relativa importanza. Il punto è che viene percepito, giustamente, come un salto di qualità nella chiarezza dei processi in corso. Si tratta di un governo che si è visto arrivare da lontano. Un governo in cui il profilo di ciò che era ‘all’altezza dei tempi’ era cristallino a prescindere dalla persona chiamata ad occuparlo. Quando il presidente della Repubblica ha conferito l’incarico esplorativo a Draghi è stato come se d’un tratto la configurazione gestaltica avesse raggiunto la sua unità: tutte le caselle ora erano a posto.
Qui non siamo di fronte a nessuna forzatura, e questo è ciò che sconcerta anche tutti quei partiti e politici che si figuravano di fare chissà quali sfracelli in parlamento: scoprono che un abile Tecnocrate è semplicemente proprio la figura che era predisposta ad essere occupata da tempo, e sono dunque interiormente stupiti di quanto ‘giusta’ gli appaia quella scelta.
Il punto di fondo, punto che non verrà ammesso ancora a lungo, ma che è un dato di fatto, è che questo è l’emblema della fine di un’epoca e dell’inizio di un’epoca diversa: per quanto a lungo si possano ancora trascinare i dinieghi e le rimozioni, la breve favola della democrazia è già finita.
Non ce la faccio più ad accumulare dentro rassegnate voci sulla sciagura che ormai ci ha raggiunti! Stamane leggevo, e postavo sulla mia pagina fb, un articolo di un vecchio arnese della I Repubblica, Ugo Finetti (avevo un amico, allora, socialista, che imprecava contro Finetti: esempio di cinismo politico, di tradimento dei principi, di realismo cieco e traditore… oggi mi pare solo sguardo lucido e disincantato) che in sostanza dice che 1. il governo precedente era inadeguato sul piano economico e internazionale; 2. che ci avevano raggiunto allarmi dall’interno e dall’esterno; 3. che la manovra per farlo cadere è stata fatta con pazienza e sapienza; 4. che tutto è avvenuto secondo le regole costituzionali.
Ho aggiunto come comento che la democrazia non è una passeggiata quieta nei boschi, ma un percorso pieno di scarti e strade cieche. La democrazia però ha disposto una serie di misure, interne alle regole, che permettono di uscire dalle strettoie e svoltare. Il tutto senza infrangere le regole.
Per cui non mi preoccupa quello che ha fatto il PdR, non trovo ferite sanguinanti qua e là, non mi strappo i capelli, non mi lacero la faccia con le unghie. E’ successo qualcosa di appena un po’ eccedente la normalità. E’ la vita, ed è la democrazia.
Speriamo che duri, che vada ancora avanti così, forse più quieta, ma comunque pronta a ripigliare il suo corso con una brusca manovra di timone.
Ecco il link https://www.ilsussidiario.net/news/grana-per-draghi-il-partito-cinese-e-sotto-scacco-ma-non-molla-per-difendere-arcuri/2127467/
Debolissimo il punto 6…
SEGNALAZIONE
MARIO DRAGHI, L’“ALTO PROFILO” DELLA CONSERVAZIONE
Di ALBERTO DE NICOLA
http://www.euronomade.info/?p=14221
Stralci:
1.
Seppure la scena che sembra dischiudersi davanti ai nostri occhi sembra avere la trama di un film che abbiamo già visto – quando solo 10 anni fa un altro Mario veniva a risolvere un’altra crisi con la riproposizione di un governo tecnico ed istituzionale – la nomina dell’ex governatore della Bce si iscrive oggettivamente in una situazione completamente differente. E questo non solo perché Draghi è un politico più intelligente e ambizioso di Monti, ma soprattutto perché il suo eventuale incarico segue lo stravolgimento sociale prodotto dalla pandemia e la svolta all’interno della governance neoliberista europea.
Quel cambio di passo in merito al ri-orientamento delle politiche monetarie e fiscali europee, fu annunciato proprio da Draghi in un famoso articolo sul “Financial Times” nel marzo del 2020, appena all’inizio della prima ondata pandemica. In quell’intervento Draghi esortava a «un cambiamento di mentalità, al pari di quello operato in tempo di guerra», e suggeriva la necessità di coniugare le politiche monetarie espansive (da lui stesso introdotte quando era a capo della Bce) con politiche fiscali altrettanto espansive.
Le misure straordinarie adottate successivamente dall’Unione Europea – con l’approvazione del Recovery Fund e del pacchetto Next Generation Eu – hanno seguito quelle indicazioni.
Ciò sta a significare che questo ennesima soluzione tecnico-istituzionale si misurerà con obiettivi e carte da gioco completamente differenti rispetto al 2011, quando si trattò di attuare un programma politico segnato unilateralmente dalla compressione dei livelli della spesa e del debito pubblico. La figura di “alto profilo” dovrà questa volta invece bilanciare interventi di aumento e di riduzione della spesa, modificandone la direzione e la funzione con interventi selettivi, e finalizzando il tutto a ricostituire le condizioni di possibilità di un mercato capitalistico e del lavoro straziato dalla attuale e futura recessione; riprogettare il funzionamento complessivo di un sistema istituzionale e sociale centrato sulla forma-impresa, passato però per una inedita e immane distruzione di capitale sociale e umano.
2.
L’esperienza pandemica ha, nell’immediato, innescato effetti i cui esiti sono ancora difficili da decifrare. Quell’evento ha reso a tutti visibile la struttura delle diseguaglianze su cui sono basate le nostre società, distribuendo i “mali” (tanto sanitari quanto economici) in modo differenziato. In secondo luogo, ha innescato una crisi di governabilità a tutti i livelli istituzionali: l’incapacità di gestire l’emergenza sanitaria nell’immediato e nel medio periodo, ha a sua volta reso palese l’esito nefasto di un quarantennio di politiche neoliberiste che hanno indebolito i sistemi sanitari, educativi e sociali a tal punto da non disporre più di risorse e strumenti per proteggere la popolazione.
Il raddoppio in Italia del numero dei decessi della seconda ondata rispetto alla prima (tendenza non dissimile a quella di altri paesi europei), è la dimostrazione più drammatica e lampante del fallimento delle misure di contenimento del virus.
L’insieme di questi effetti ha generato nell’opinione pubblica aspettative diffuse di mutamento, ampliando il margine di un possibile consenso a politiche di redistribuzione della ricchezza, di ripensamento del “pubblico” nella direzione di una sua radicale democratizzazione e di uno sviluppo delle istituzioni del Welfare e della cura come basi fondamentali del vivere comune, oltre le logiche fallimentari del management neoliberista.
3.
Con lo scioglimento del broglio della crisi di governo e la nomina di Mario Draghi, si compie dunque un processo lungamente atteso e invocato. Questo processo va interpretato per quello che è: dietro il commissariamento del parlamento vi è un tentativo di ricomporre il blocco di potere della classe dirigente che, dalla finanza ai grandi gruppi editoriali fino ad arrivare alla grande impresa, in Italia è enormemente vasto, radicato, trasversale e soprattutto incontrastato.
4.
quello che c’è di veramente singolare in Italia è che le classi dirigenti si mobilitano preventivamente, con spirito combattivo e in modo convergente, anche in assenza di alcun movimento che minacci concretamente la stabilità del sistema economico e politico.
È del resto questa una vecchia tradizione incardinata nella nostra storia istituzionale, quella stessa che aveva spinto Antonio Gramsci a vedere nell’Italia un laboratorio permanente per le rivoluzioni passive.
5.
Nonostante sappiamo bene che non esistano governi “tecnici”, la nomina di Draghi ha il senso profondo di tentare una stabilizzazione conservatrice del sistema nazionale più a rischio in Europa, sotto però la promessa di una sostanziale depoliticizzazione dell’azione di governo. Non c’è qui solo la necessità di mettere al sicuro la ripartizione delle risorse mobilitate dai programmi europei tra i differenti gruppi d’interesse, c’è piuttosto l’esigenza di scongiurare che in un momento di grave incertezza, emergano impreviste domande sociali sull’uso della spesa pubblica. L’asse Pd, 5 Stelle e Leu, era troppo vulnerabile a future ed eventuali pressioni in questo senso.
6.
La mossa d’anticipo è servita a chiudere il campo da gioco, si tratta ora di capire come riaprirlo.
Bisogna accontentarsi delle competenze di Draghi, vederlo come la pedina giusta possibilmente unificante i contenuti e le esigenze espresse dalle esigenze della gente e in vario modo espresse e proposte e sintetizzate dai partiti; nell’assenza di un incisivo socialismo liberale internazionale, e nella presenza delle dittature comuniste di vario calibro a cominciare dalla potente illiberale Cina, resta di cercare di influenzarlo attraverso l’attenzione panoramica vigile ai problemi in una direzione la più aperta possibile alle categorie dei non abbienti; il marxismo si è chiuso in formule dogmatiche tradendo le origini marxiane di seria ricerca socioeconomica. Quando la barca affonda da molte parti un Draghi si spera possa creare dialogo concreto e incisività di interventi. La “sinistra” debole e frammentata non ha forza popolare e culturale per proporre alcunchè di concreto alle competenze tecniche liberistiche di Draghi, quindi si limiti ad intervenire nel giusto e possibile . Per la critica al dogmatismo marxista irrancidito, leggere l’analisi del filosofo viennese Popper. Franco Mascolo . ex insegnante – Milano
Definirlo di alto profilo è una beffa (ad esclusione dei tecnici, è ovvio) se vi sono quei tre rappresentanti di F. I. di cui sappiamo la triste e deprimente loro storia: credo che F.I non abbia migliori di questi tre, è questa è una miseria e una disgrazia per la politica italiana. Ma non è poi colpa loro poiché sono in compagnia di altri numerosi s\faccendieri di basso grado.
Non vi sono questioni ideologiche, qui si tratta di ciò che può esprimere la politica italiana. Draghi è stato costretto ad accettare tanti personaggi di facciata (non solo quei tre), spero per lui che non gli siano di ostacolo, poiché si tratta di politicanti facilmente malleabili.
Modesto profilo, ma di meglio non ve ne sono. la caduta della politica italiana è pandemica da decenni, e tutto ha origina da un lombardo, ma prima di questi non è che si andava meglio, ma era il meglio prima del peggio!
F. P.