FORTINI VENT’ANNI DOPO
venerdì 17 ottobre ore 21.00
l’incontro si terrà a Milano presso lo Spazio LABARCA di via Marco D’Oggiono 1
(a 500 mt. dalla libreria “Linea d’ombra”)
Da una lettera di Giovanni Raboni: Fortini è stato (…) soprattutto un grande poeta: un poeta che ha avuto la spaventosa, dolorosa energia necessaria per andare, nelIe sue poesie, aI di là della propria privatezza; un poeta che ha saputo trovare pane per i denti della poesia anche nel dramma delle idee e nella tragedia della storia. Non esistono, insomma, un Fortini autore di versi e un Fortini ideologo, critico e polemista; esiste un solo Fortini che ha espresso e nel medesimo tempo negato se stesso in tutti questi modi e registri, muovendosi su tutti questi piani in apparenza distinti o addirittura inconciliabili ma in realtà collegati da un’esigenza unica e cosi forte da rasentare a tratti I’ossessione. Quale esigenza? Sino a qualche anno fa avremmo detto, probabilmente, I’esigenza della rivoluzione; oggi possiamo forse dire quella di non accettare mai, a nessun costo, il pensiero che lo stato di cose presente sia qualcosa di immodificabile e di irredimibile.
Ricorderemo con filmati, letture e interventi il poeta, critico letterario, intellettuale del presente, Franco Fortini, a vent’anni dalla sua morte.
Con Anna Bonel, doppiatrice e autrice teatrale, Egidio Bertazzoni, regista, autore del video “Franco Fortini. La luce dura”, Ennio Abate, poeta.
LIBRERIA LINEA D’OMBRA
via San Calocero 29 (MM S.Agostino)
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Peccato che Fortini venga proposto in contesti – per forza di cose – così ristretti . Andrebbe letto e commentato in Parlamento da qualche eslege con le palle , se ancora esiste –
leopoldo attolico –
NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI
1. Da una lettera inedita di Giovanni Raboni
Nell’ immaginario collettivo (ammesso che esista) del
mondo culturale italiano, Franco Fortini figura come
un grande intellettuale capace di servirsi con
efficacia, oltre che degli strumenti della
persuasione razionale, anche di quelli dell’ emozione.
Si tratta, secondo me, di un’immagine sottilmente
sbagliata. Fortini è stato – è – soprattutto un
grande poeta: un poeta che ha avuto la spaventosa,
dolorosa energia necessaria per andare, nelIe sue
poesie, aI di là della propria privatezza; un poeta
che ha saputo ricavare pane per i denti della poesia
anche nei dramma delle idee e nella tragedia della
storia. Non esistono, insomma , un Fortini autore di versi
e un Fortini ideologo, critico e polemista;
esiste un solo Fortini che ha espresso e nel medesimo
tempo negato se stesso in tutti questi modi e registri,
muovendosi su tutti questl piani in
apparenza distinti o addirittura inconciliabili ma in
realtà collegati da un’esigenza unica e cosi forte da
rasentare a tratti I’ossessione. Quale esigenza? Sino
a qualche anno fa avremmo detto, probabilmente,
I’esigenza delta rivoluzione; oggi possiamo forse
dire quella di non accettare mai, a nessun costo il
pensiero che lo stato di cose presente sia qualcosa
di immodificabile e di irredimibile.
2. Ennio Abate, Consigli al giovin scrittor d’oggi
(omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini)
Nota. Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi e new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a piè pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postuma, sciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.
I
Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/ hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/ e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/la tua cartamoneta scritta/
Piena di leggerezza/ allor/ sarà/
nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina
II
Or che alle domande capitali / della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/ han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/ e goditi la gamba della donna
Ovvio premunirti/
lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
Il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia
III
Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissìpa e moltiplica i punti di vista/
Le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/ smessi/
abbandonali a quelli/ del Leoncavallo/
Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione allucinato il viso scimmiesco/
il capital di Berlusconi / cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/
anche con Fini/
Scrivi solo bene/
per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
o alla Calvino
un esatto montaggio/del Nulla
IV
Giammai nelle tue poesie/ la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/ da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/ nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
e adolescenti cannibali
in pubblici cessi porno-graffiti/
e lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/ americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto/ una mansarda
V
Non scrivere le verità che hai/nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti guastan l’ozio /
e sol dispersi e vaganti critici/ in estinzione/
ancora le gustan/
Tu dei saper/ che sol/ procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/ è già intasata/
insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/ apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/molto alto/
Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato
febbraio 1998 [Per “La mosca di Milano”]
Il cibo della verità è senza scadenza.
A me non interessa in alcun modo di pubblicare, sul blog, dei miei versi – inoltre già editi-. Se li ritrascrivo, è perché sono in risposta al commento, o scritto, precedente, o precedenti. In questo caso, i versi erano in risposta ad Abate, e forse, anche ad Attolico.
Se viene meno un orario! dei commenti, non si capisce più niente. Che cosa ci fa quella mia poesia, in aria!?, tra il commento di Banfi, e quello di Attolico? Niente, non ci fa niente. Che cosa mi metto a ritrascrivere dei versi, tanto per vederli ripubblicati? Sono veramente indignata. Quindi, ore 11.55, Anna Cascella Luciani; ore 12.00, Leopoldo Attolico; ore 12.59, Emilia Banfi.
A Anna Cascella Luciani
L’orario dei commenti è stabilito automaticamente da Word Press.
Fare attenzione a inserire il commento scegliendo o ‘Rispondi’ ( a Tizio, a Caio..) o alla fine (dove non c’è ‘Rispondi’).
No, caro Ennio, non è una questione di Word Press. È una questione di far respirare i commenti. Di leggerli, prima di digitare “Rispondi”. E se c’è un commento, o uno scritto, o dei versi, che rispondono a uno o due commenti o poesie precedenti – e i precedenti erano solo due, il tuo e di Attolico -, lasciare che il terzo scritto respiri, senza inserire il proprio tra la risposta che già è apparsa sul blog, e la propria. Nel caso della mia risposta, una poesia per Giudici e per Fortini, e che rientra nel ricordo e discorso e segnalazioni
di molti degli ultimi giorni, che tutti quelli che leggono il blog hanno letto, si trattava solo di lasciarla stare dov’era, e di non digitare il “Rispondi”, sotto il tuo scritto, e i tuoi versi ma alla fine, dove non c’è scritto “Rispondi”.
Se io stessa ora digitassi il “Rispondi” fatidico… – ma sì, scherziamo un poco … -. Democraticamente: Word Press non c’entra nulla. Mi dispiace di non
avere con me i libri perché avrei trascritto la poesia di Brecht. Ma tu, e gli altri, voi tutti li avete con voi e se volete aprire, di Fortini, “Il ladro di ciliegie”, è lì. La si trova anche su Internet, digitando “Brecht La piccola rosa”. A te, a tutti, un caro saluto. A.
In “Kamen'”, rivista di poesia e filosofia, n. 15 – Gennaio 2000, dalla silloge “L’intelletto delle erbe”; poi in “Tutte le poesie”, 2011
per Giovanni Giudici e per Franco Fortini, passando per Brecht
la piccola
rosa gloriosa
ricerca il fiore
negli anni – tu
sei ancora Giovanni
e Franco
lo conoscevi – voi
tra di voi e due
o tre ancora
con voi (erano
gli anni Sessanta)
vi passavate
la piccola rosa
a instradarla –
a portarla in siepe
che spètala il sì:
Die kleine Rose
diventa così l’accesa
mai spenta ragione
del testimone
che continua così:
ah piccola rosa dove
ripòrti e giovane
e rosso viva
e vicina e improvvisa?
Nessuno ti aveva
pensato ma siamo
venuti ed era così.
Quasi incredibile ma
era lì. Ah coglie
il fiore spesso
chi non s’avvicina
o forse per questo
è così…
*** *** ***
Ricordava Giudici, che, in quegli anni, Fortini proponeva, a più di una persona, di tradurre “Die kleine Rose”, per vederne, insieme, gli esiti, le differenze…
Il “vademecum” funziona perché dice la verità ; e la dice molto bene , proprio perché è scomoda .
leopoldo attolico –
…non so a chi di voi sto rispondendo, ma forse un po’ a tutti…ecco mi si sono presentate un po’ di riserve, ma il discorso mio interiore é ancora in gestazione…per chiarirlo forse degli anni, se mi sono concessi. Quel modo così assoluto di intendere la strada della poesia, quasi una missione “sacerdotale”, una strada tutta in salita, al fianco dei “poveri”, una scelta che nega qualsiasi forma di “privatezza” ed é anche coraggiosa ed impervia, quel modo certo mi affascina, ne sento la carica emotiva…ma l’invito a praticarla é solo per gli intellettuali di massa o anche per chi usa la scrittura per esprimere cose del proprio e dell’altrui sentire e non si sente nè intellettuale, nè giovin scrittore? Costei-ui non esclude la privatezza, perchè sa, per quanto la riguarda, che, mettendola alla porta, rientra dalla finestra( magari sotto forma di sguardo guardingo), tuttavia ha pure svolto una scelta che condivide con gli altri…Non possono essere anche sfumate i modi di essere della poesia, senza per forza aver perso di vista la piccola rosa rossa?
Io ho risposto alle poesie di Abate. Ogni commento ha il suo “rispondi” o mi sbaglio? Se mi fossi sbagliata chiedo scusa.
NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI 2
Vediamo se riesco a dire meglio le cose che ho detto – un po’ faticosamente, lo ammetto – ieri sera 17 ottobre 2014 perché non del tutto d’accordo con la tesi raboniana del Fortini poeta, scelta come base del bel filmato “La luce dura” di Egidio Bertazzoni, proiettato al LabArca di Via Marco d’Oggiono 1 a Milano.
Certamente, nella lettera inedita di Raboni (appare sopra nel mio commento precedente) posso sottoscrivere queste parole: Fortini è “un poeta che ha saputo ricavare pane per i denti della poesia anche nei dramma delle idee e nella tragedia della storia”. Ma quali sono queste idee? E quale tragedia della storia ha investito la vita di Fortini ( e in parte anche quelle di noi che l’abbiamo ammirato e voluto bene)?
Raboni vi accenna vagamente parlando di “esigenza della rivoluzione”. Ma quale rivoluzione? Ce ne sono – Gramsci docet – dall’alto e dal basso. Ce ne sono state nazionaliste, fasciste e socialiste o comuniste. Fortini è nato nel 1917. Proprio nell’anno della rivoluzione in Russia. E quella storia – quasi immediatamente tragedia per chi vede nello stalinismo una rottura e non una inevitabile e realistica prosecuzione dell’opera di Lenin; e l’ha pensata correggibile con un “ritorno alle origini” internazionaliste e operaio-contadine magari con la ripresa maoista in Cina – ha avuto una sua parabola discendente (ora lo vediamo con chiarezza)ed ha segnato tutta la vita, la militanza e -non ultima – la poesia di Franco Fortini.
Ora a me è sempre parso – e l’avevo fatto rilevare fraternamente già al momento dell’uscita del libro “Il poeta di nome Fortini” di Luca Lenzini (Manni 1999) al suo stesso autore – che il risalto dato al Fortini poeta rispetto al Fortini “ideologo” fosse un po’ tardivo e ambiguo. (Tra l’altro, nel filmato di Bertazzoni, che è del 1996-1997, è lo stesso Raboni, pur vicinissimo a Fortini, a rammaricarsi delle sue “resistenze” nel riconoscere l’importanza della poesia di Fortini). Tardivo, perché del Fortini poeta si è cominciato a parlare soprattutto dopo la sua morte. Ambiguo, perché, contemporaneamente alla “morte del comunismo” (o più concretamente all’implosione definitiva dell’Urss), anche nei discorsi degli amici e dei discepoli di Fortini si è avuta una sorta di “velatura” della sua esperienza di comunista. Se non di riduzione del suo comunismo “critico” (non stalinista e poi maoista) a “religione” comunista. Si è privilegiata soprattutto la sua tensione religiosa (profetismo, centralità della Bibbia nella sua formazione). O il debito che il suo marxismo doveva alla più alta tradizione del pensiero borghese. Si è parlato di «istanza sacrificale», di «passione nel senso della letteratura religioso-profetica» del suo comunismo (Lenzini). O di comunismo come “pieno” che nella poesia fortiniana si presenta come allegoria “vuota” (Luperini). O si sono accentuati i suoi toni sapienziali o epocali (che sicuramente ci sono…).
Ora a me va bene mettere in risalto il Fortini poeta e l’unità della sua personalità (come fa nella sua lettera Raboni), ma bisogna pur dire con esattezza e senza eufemismi quale fu il «dramma delle idee» e «la tragedia della storia» che occuparono la mente di Fortini: il comunismo appunto. E soprattutto affrontare il vuoto lasciato da quel crollo. E questo può avvenire solo sottraendosi ad un rapporto che definirei “endogamico” maestro-discepoli, per porsi invece il problema del rapporto tra militanti di epoche diverse (intellettuali tradizionali e complessivi come Fortini e intellettuali “periferici” o “di massa” o smarriti in un esodo senza più una meta quali noi siamo). Come si fa a «inventare tutto» in una condizione in cui anche «il buon uso delle macerie» (della Sinistra comunista), a cui Fortini ci invitava, s’è dimostrato vano?
Non si tratta, dunque, di negare gli aspetti religiosi di Fortini, ma di non privilegiarli; e di non staccarli dalla vicenda del marxismo e dal suo complicatissimo svolgimento storico otto-novecentesco. Non si capirebbe perché quelle sue istanze religiose Fortini volle coniugarle proprio con il materialismo marxista e non con una delle varie forme di cristianesimo sociale più vicine alla tradizione cattolica.
Del resto perché non dovrebbe valere per lui quanto egli scrisse per Dante e Leopardi: “Un celebre studioso americano, Singleton diceva: “il lettore non dimentichi mai che il poeta Dante Alighieri è un poeta cattolico”, ed effettivamente l’aspetto in questo caso teologico, di verità teologica, come anche le affermazioni di verità materialistiche in Leopardi, non sono elementi soltanto accessori, sono elementi integranti e integrali della poesia” (F. Fortini, Cos’è la poesia?,Intervista dell’8 maggio 1993 a Rai Educational)?
Infine, andrebbe sempre tenuto presente che Fortini è poeta, sì, ma complesso e contraddittorio e non statuario e solo austero/arcigno: c’è il Fortini giovanile fiorentino, impigliato nel «peccato giovanile e fiorentino dell’io»(Lenzini). E qui andrebbe fatto tutto un discorso sulla sua passione per la pittura e l’aspetto sensuale della pittura – che permetterebbe di ripensare sotto altra luce anche il suo rapporto con Pasolini; c’è il Fortini resistenziale o “civile” o “militante” da Quaderni Rossi a Quaderni Piacentini a “il manifesto” (Disobbedienze I,II); c’è l’ultimo Fortini isolato (fa bene Mengaldo nel filmato a ricordarlo con forza) o disperato (Ranchetti). Possibile che Fortini non può essere mai stato un po’ nichilista, pacificato, amoroso? Ed è sempre stato “ospite ingrato” a tutto tondo?
P.s.
Per esemplificare rispettivamente la particolarità del Fortini poeta, l’isolamento più o meno disperato del Fortini vecchio, la problematicità del rapporto con la sua figura da parte di chi l’ha conosciuto e gli ha voluto bene ho letto queste tre mie riflessioni in versi:
1.
Narratorio dopo Siena (4 dic. ’95)
Appuntando dalla relazione di Mengaldo
ci ha parlato di Questo muro scritto fra 1961 e 1972
l’impressione è di un esperto agricoltore
che zappa il testo/ lo sommuove
e mostra/ si sofferma/ fa una pausa/ esamina
vedete/ ci ha detto/
Fortini era pressato da grossi eventi
li affronta in compagnia del suo Brecht/ ma si tira dietro anche Goethe
respinge ogni autosufficienza letteraria/
ha mente dialettica/
vedete/ ci ha spiegato/
mescola versi brevi e lunghi
trattiene insieme ordine e disordine
fa che la fraternità abbia nel suo respiro
il distacco / e viceversa
produce poesia ragionante
guardate/ infatti/ ha aggiunto/
questo continuo suo congiungere
riprendere parole chiave/
riunire ciò che la separazione in strofe distingue
il lessico stesso è mentale
lontano da Pascoli / da Montale
mai volto al dettaglio/ piuttosto al genere/ alla specie
e pochi/ gli aggettivi qualificativi
i suoi collage/comuni a tanti del novecento
sono costruttivisti/ non frammentisti
Fortini concettualizzava/
tornati a casa/ riaperte le pagine
vediamo meglio/
quante frasi si chiudono complete/ ognuna in un solo verso/
i ritmi al rallentatore/
le enunciazioni chiare e distinte/
il coordinamento fra frasi descrittive e di giudizio
la tendenza al risparmio linguistico
il classicismo / postmoderno/ ha detto Mengaldo
la (cinese/brechtiana) cerimonialità/ che sfugge la mimèsi/
Fortini/ dunque/ si protende oltre i moderni/
mira al nuovo che ci supera/
conserva un‘immagine d’armonia dispersa dalla storia/ dalla società
la contende al presente/
Adamo é forma del futuro/
ci ha ricordato Mengaldo concludendo
2. Narratorio dopo Siena (4 dic. ’95)
Abbiamo amato un poeta “fragile”
Ranchetti è stato il solo
a spogliar Fortini da mantelle letterarie e religiose
parlare di letteratura/è un alibi
questo commercio con l’Olimpo cristiano/ Fortini l’odiava
tragica/ esemplare/ è l’empietà dei suoi ultimi versi
c’era una fragilità di fondo nell’ambito degli affetti
certo/ se abbiamo da difendere la Letteratura o l’anti-Letteratura
la Religione o la Laicità
la caverna psicoanalitica di Ranchetti
nessuno la frequenterà
3.
Dopo serata su Fortini a Cologno [14 dic ‘96]
Ha chiuso su estreme ragioni
inaccessibili adesso
nella desolata betlemme del nostro pensiero.
Ne lucidiamo ansimanti gli spigoli
abbassiamo i toni
smorziamo il suo dire tonante
ricontrolliamo i contrassegni.
E i rantoli sublimi dei suoi morti?
Monumenti da salvare? Documenti?
Tolti al discepolato, alle focose eresie
anime solitarie di troppo riconoscibili briganti
prossimi ai potenti in sogno
stiliamo capitoletti d’incerto futuro
oscurandoci per non riflettere falsi fulgori.
Il mio intervento ha ad oggetto esclusivamente la serata del 17 ottobre ( ieri ) a Labarca.
Esprimo,ovviamente, la mia valutazione: che è negativa. Vi è stata – prima di tutto – una cattiva distribuzione del tempo dedicato a F. Su circa due ore o poco ci manca, circa mezz’ora è stata impiegata da un contometraggio poco significativo.A parte qualche ” commento ” del tutto ovvio alla situazione della città e il supponente -quasi irritante – ricordo di Raboni che cosa si è ricavato da quel filmato? Quasi nulla. Si sarebbe potuto utilizzare tale tempo con una ” presentazione ” di Fortini nella sua parabola storico-politica indispensabile, mi pare (e qui ha ragione Abate ) a comprendere la sua poetica in cui – forse – si esprime una intima e irrisolta contraddizione tra una sorta di inutilità della poesia come tale e l’impulso ineliminabile al dire come interpretazione della poesia stessa.
Tale presentazione è del tutto mancata e non ci è stata restituita la complessa vicenda di Fortini,i suoi rapporti con il ’68, il suo amore-odio per Sereni e Pasolini, il suo rapporto privilegiato con Brecht, insomma quella che si suole indicare come “personalità”. Giusta l’osservazione di Roberto Testa che ha visto nella radicalità di F. un modo di “conquistare un vero rapporto con gli altri” ma per mancanza di tempo
(cattiva distribuzione di esso) è mancato su tale punto ogni approfondimento. Insomma chi come me si aspettava una bussola di orientamento è rimasto deluso. Ultima notazione: è possibile organizzare una serata senza curarsi del buon funzionamento di un microfono? Alcune persone a me vicine (e io stesso) abbiamo perso molti, molti passaggi.
Scusate la franchezza.
Giorgio Mannacio.
…in effetti l’acustica non mi é sembrata buona, si potrebbe migliorarla…Per il resto la serata dedicata a Franco Fortini mi é sembrata riuscita, bello il filmato “La luce dura”. Certo l’incontro si concentrava, più che sulle informazioni generali su Fortini, forse dandole per già note al pubblico, sulle testimonianze. Hanno parlato le persone che l’hanno conosciuto sotto vari aspetti: come compagno di militanza e di poesia, come professore a scuola, in varie circostanze che hanno fatto emergere un poeta impegnatissimo, colto, traduttore di Brecht, ma anche fuori dalle righe, coraggioso oppositore e di grande umanità…capace di trasmettere un messaggio di conforto, un rifugio, una speranza soprattutto ai giovani…Quanto oggi ne avrebbero bisogno! Insomma il filmato, queste testimonianze, insieme alle letture di sue poesie e dei suoi pensieri-testamento spirituale ci hanno permesso di far uscire fuori Franco Fortini dalle pagine stampate…Sono comunque imput per chi vuole proseguirne la conoscenza…Ennio Abate, poi, ci fornisce qui sul blog altre informazioni e riflessioni sul forte credo politico di Franco Fortini per il comunismo della sua prima fase, che seguì anche nel fallimento, da qui l’amarezza e, tra altre ragioni, il senso di solitudine dei suoi ultimi anni. Anche la poesia fu influenzata dal suo credo, in senso brechtiano…