Il saggio di Dario Borso, “COLPO BASSO. Cesare Cases vs. Arno Schmidt ” (qui) mette in discussione – e con salda documentazione – i limiti del giudizio che un germanista di fama come Cesare Cases diede di un importante scrittore tedesco del secondo dopoguerra, Arno Schmidt, considerato invece da Ladislao Mittner, l’autore della monumentale «Storia della letteratura tedesca», «un ulisside della specie di Joyce». Non ho competenze specialistiche sulla materia affrontata da Borso.
E allora perché intervengo? Per alcuni buoni motivi. Tranne Cases, seguito soltanto in occasione di qualche conferenza a Milano ma di cui ho letto vari libri e articoli, ho avuto modo di conoscere e incontrare nei loro ultimi anni di vita prima Fortini e poi Renato Solmi e Michele Ranchetti. Nel ‘68 seguii la polemica cruciale tra Fortini e Fachinelli sui Quaderni Piacentini a proposito del «desiderio dissidente» e de «il dissenso e l’autorità»; e, successivamente, anche se seguii più distrattamente e con distacco la polemica su «Minima Immoralia», divenuto sempre più attento alla ricerca psicanalitica, ho letto vari libri di Elvio Fachinelli, di cui tra l’altro mi parlava con grande stima un altro dei pochi scrittori da me frequentati, Giancarlo Majorino.
Nella mia esperienza di lettore (e di militante politico), dunque, tutti questi autori hanno fatto per me parte di un’unica costellazione politico-culturale. Indubbiamente di sinistra, area -cosa non trascurabile – almeno fino alla fine degli anni Settanta ben distinta dalla destra. E questo malgrado le diversificazioni e le forti tensioni ideali e personali tra loro. Leggere oggi queste critiche contro Cases, un autore che – ripeto – ho sempre apprezzato, mi ha costretto a farmi varie domande: cosa è mutato e sta ancora mutando nel campo della politica e della cultura? c’è qualcosa di cui non mi sono accorto, se ho continuato a confermare la mia fiducia in autori (Cases tra altri) che invece dovrebbero essere non solo sputtanati – Borso la metta pure nei termini dei giganti e dei nani – ma dimenticati e rimpiazzati da altri ben più acuti e non ideologici? non è che mi attardo in una storia non solo finita ma fallita e dalla quale manco alle “buone rovine” bisogna più guardare?
Della messa in discussione di Cases o di altri, che io considero tra i “nostri antenati” da studiare e riproporre, non mi scandalizzo. Seguo, infatti, con convinzione la raccomandazione di Fortini. Che diceva all’incirca: prendete da quel che ho scritto ciò che vi serve e il resto buttatelo pure.[1] Né sono difensore d’ufficio di nessuno. E perciò, siccome la polemica di Borso contro Cases ha rinverdito nella mia memoria quella degli anni ’60-’70 tra neoavanguardia e intellettuali marxisti ( Pasolini, Fortini, Cases, Quaderni Piacentini, Sanguineti, Filippini, etc.) e sotto sotto mi ha rimandato a quella vecchissima tra anarchici e comunisti, quando ho letto i suoi primi pezzi, ho drizzato le antenne. Disposto a prenderlo sul serio ma deciso anche a capire se quel che scrive mi convince o meno. Perché a scatola chiusa non prendo nulla. E gli ho, perciò, prima fatto in privato alcune stringate e interlocutorie obiezioni[2]; e poi sono intervenuto pubblicamente e decisamente su Poliscrittture e su Poliscritture FB. Invitando a sentire meglio anche le altre campane. Perché schierato ciecamente con Cases contro Borso? Suvvia. Solo perché nelle altre campane (Cases, Solmi, Sisto; e per quest’ultimo mi sono riferito esclusivamente al suo intervento su germanistica.net qui) ci sono spunti interessanti che Borso, secondo me, ha trascurato o escluso non ritenendoli coerenti con il suo metodo critico.
Questa è la premessa della mia riflessione e mi fermo qui. Nelle successive puntate esaminerò le prese di posizione di Cesare Cases nei confronti di Arno Schmidt riportate da Borso; quelle sulla pubblicazione di «Minima Immoralia» nell’edizione L’Erba Voglio (almeno nella parte che ho potuto consultare); e, dopo aver riportato stralci delle “varie campane”, trarrò le mie (provvisorie) conclusioni. [E. A.]
Note
[1] «…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!». (Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, Boringhieri, Torino, 2000)
[2] Ennio: «1. Cases era un borghese ma fu comunista (male, bene: ai posteri...); 2. Il suo comunismo non era (del tutto?) dogmatico perché corretto/temperato da un anarchismo, che secondo me prendeva qualcosa anche da Brecht (magari giovane); 3.Oggi si tende a parlare della psicologia degli autori e non della cornice (ideologica e storica) in cui operarono (e il giudizio ne risente...)».
ABATE
Mi pare che reggano bene le sensate spiegazioni che Michele Sisto diede rispondendo in vari commenti a db nel lontano 2013 in un amichevole scambio che si legge seguendo questo link indicato da db stesso: http://www.germanistica.net/2013/03/26/arno-schmidt-contro-il-leviatano/ . Almeno per la mia mente e il mio occhio non germanista, non microstorico, non ostile per principio a Cases solo perché il suo nome compariva nell’esercito degli intellettualità in prevalenza zdanovista del PCI anni ’50. Dichiaro il mio amaro stupore per il fatto che db ritorni con una pervicacia così ostinata e quasi ossessivamente su questo tema. Anche perché, come si vede da un’altra discussione, ben più complicata e a tratti penosa (per me), in cui mi sono imbattuto per caso a questo link: https://rebstein.wordpress.com/2008/12/15/il-pezzullo-di-db-ii-puericultura/, la polemica risale ancora più indietro, al 2008. Dichiaro il mio candore da letterato ai margini che non riesce ad appassionarsi a certe “beghe” tra accademici, paraaccademici e antiaccademici.
BORSO
su messenger, mi è giunta una critica(quello che io intendo per critica ovviamente). la riformulo qui stringendo: nel pezzo sul gigante impune io affermo che nella metà cassata da Sisto dei giudizi di lettura di Cases ci stanno con ogni probabilità le nefandezze peggiori. e l’amica fb obietta: “non ti sembra una nefandezza il giudizio sprezzante sulla Bachmann riportato nell’antologia di Sisto? Se avesse voluto cassare le nefandezze, avrebbe cassato anche questa”. Al che rispondo: no, la nefandezza bachmanniana sta in un “documento anomalo” (così definito da Sisto), in quanto non è un parere di lettura, ma una lista di 36 titoli che Cases giudica con un NO o un SI’ e pochissime parole di contorno. 36 era un numero troppo consistente per cassare il documento, e ridurli a 35 depennando il bachmanniano avrebbe contravvenuto troppo palesemente all’etica.
con tutto ciò, l’antologia è “magnificamente curata” – parola di Andrea Casalegno sul n. di ottobre 2013 de L’Indice , mensile dove la responsabile per la germanistica è la Chiarloni beniamina di Cases e patrona di Sisto. Quando si dice industria culturale…
SEGNALAZIONE PROVVISORIA
Martedì, 15 Gennaio 2019 00:00
ARNO SCHMIDT? ALTROCHÉ!
Scritto da Alida Airaghi
Stralcio:
Pagava nei confronti dei lettori e dell’editoria più tradizionale un estremismo ideologico e sprezzante, una cultura eccedente e anticonformista, uno stile arrogantemente funambolico.
Di lui in Italia si conosce poco: le tardive traduzioni sono state incoraggiate da piccoli editori (Lavieri, Ipermedium, Zandonai, Mimesis, e ora per I profughi Quodlibet, che ne ha affidato la cura a Dario Borso, massimo interprete schmidtiano in Italia), con scarsi riscontri di pubblico e di critica.
Forse ciò è dipeso dalla natura del personaggio (anarchico, polemico, sarcastico), e dalla sua scrittura oscillante tra narrazione fantastica e saggio di denuncia sociale, manierismo e allegoria, onirismo e biografia, ma sempre in chiave anti-realistica e di eversiva invenzione linguistica.
Schmidt fu il primo scrittore tedesco a parlare dei campi di sterminio e a indagare i rapporti politici e sociali esistenti tra le due Germanie, criticando contemporaneamente con feroce ironia sia l’attualità disumanizzante del neocapitalismo, sia il vecchiume culturale proposto da molte istituzioni, in primis dalla Chiesa […]Erede di Joyce e degli espressionisti, rappresentò un caso estremo di ribellione anti-realistica, ripudiando ogni tradizionale descrittivismo e recuperando memorie personali e collettive venate di grottesco, indulgendo anche a forme di compiaciuto mimetismo che talvolta sfociava nel manieristico, con l’esibita volontà di polemizzare contro l’establishment culturale e l’attualità, da cui amava prendere le distanze, rifugiandosi in un passato di ideale purezza o in un futuro utopistico e improbabile.
( Da http://www.ilpickwick.it/index.php/letteratura/item/3741-arno-schmidt?-altroch%C3%A9&fbclid=IwAR3EWw3r-VAgJRCFclhHgQSv_TcYxMs7SrH6hY86LKRSsUgsjVoJvNIwiWY)
SEGNALAZIONE PROVVISORIA 2
I profughi
Irene Fantappiè
«Allegoria»
01 gennaio 2017
https://www.quodlibet.it/recensione/2947
Stralcio:
Invitato da Martin Walser nel 1952 a presentare I profughi alla radio, Schmidt rileva – come riporta Dario Borso nel ricco commento alla splendida edizione Quodlibet – che questo scritto risponde all’urgenza di creare “nuove forme”, a suo parere l’unico vero compito dello scrittore. In particolare, con I profughi Schmidt vuole creare una nuova forma che gli permetta di non rispettare l’unità di luogo (resa impossibile dal fatto che il libro tratta una serie di spostamenti nello spazio), mantenendosi però perfettamente aderente al principio dell’unità di tempo.
La nuova forma è quella dell’«album fotografico», come si legge in esergo alla già menzionata prima edizione («24 foto con testo di collegamento»). Tali “foto”, però, consistono di parole: I profughi è suddiviso in 24 sezioni, ciascuna delle quali è introdotta da un piccolo testo inserito in un quadrilatero dalle proporzioni simili a quelle di una fotografia. A ciascuna fotografia di parole, Schmidt fa seguire un testo che integra, espande, spiega e svolge lo “scatto” che le aveva introdotte; uno scatto che intende essere perfettamente a fuoco, ovverosia caratterizzato da una temporalità unitaria. È così che I profughi diventa, appunto, una collazione di forme brevi per la resa di uno spostamento spaziale plurimo degli agenti in un’unità di tempo fissa.
SEGNALAZIONE PROVVISORIA 3
Arno Schmidt e il dopoguerra tedesco
Franz Haas
«Lo Straniero»
15 ottobre 2016
https://www.quodlibet.it/recensione/2428
Arno Schmidt nasce nel 1914 ad Amburgo, bambino precoce in una famiglia piccolo borghese, che, dopo la morte del padre poliziotto nel 1928, si trasferisce in Slesia, la loro terra d’origine, regione che la Germania perderà dopo il crollo del nazismo. Dopo la maturità Schmidt comincia a lavorare come contabile presso una fabbrica tessile vicino al confine cecoslovacco. Conosce Alice, la sua futura moglie, che sarà poi sua consigliera, serva e segretaria tuttofare. Legge forsennatamente letteratura tedesca e inglese, diventa un erudito anche in varie scienze naturali, ma rimane sempre un povero autodidatta: i presunti “studi di astronomia all’università di Breslavia”, di cui si vanterà, sono pura millanteria e mistificazione.
Durante la guerra invece Schmidt è molto fortunato, passa gran parte degli anni nella tranquilla Norvegia occupata, soprattutto negli uffici della Wehrmacht, con macchine da scrivere e carta a volontà per i suoi tentativi letterari, piuttosto epigonici e scarsi. Verso la fine della guerra riesce a salvare solo una minima parte della sua biblioteca e deve lasciare per sempre insieme alla moglie la sua amata Slesia, un trauma che si porterà dietro per tutta la vita. Viene catturato dalle truppe alleate e dopo la prigionia diventa interprete presso gli uffici di un comando inglese nella Germania nord-occidentale. Ancora una volta ha a disposizione macchine da scrivere e carta, un bene preziosissimo tra le macerie del dopoguerra. Questa volta però fa sul serio e scrive capolavori durante il suo peregrinare tra alloggi di fortuna» in uno Stato ancora lontano dal miracolo economico. Già nel 1946 crea una delle sue opere più convincenti, Leviatano o il migliore dei mondi che sarà pubblicato solo nel 1949. In italiano uscirà una prima traduzione nel 1991 per Linea D’Ombra Edizioni, una seconda, decisamente migliore, con testo a fronte e un meticoloso commento di Dario Borso per Mimesis nel 2013. È un brillante racconto dai tratti autobiografici su uno dei lati più taciuti della storia tedesca, ovvero l’esodo di circa dodici milioni di tedeschi dai territori nell’est del Reich che andranno perduti per sempre. Il narratore, l’alter ego di Arno Schmidt, nel febbraio del 1945 si trova con un gruppo di persone su un treno in fuga dalla Slesia verso ovest, sotto il fuoco dell’Armata Rossa che avanza; la guerra ormai è persa e quasi finita. Su quel treno sono radunati i rappresentanti simbolici della Germania in disgregazione: il pastore protestante bigotto con la sua famiglia, i contadini che piangono le loro terre, soldati smarriti senza comandanti. E c’è persino spazio per una timida storia d’amore del narratore, prima di un finale senza scampo. Ciò che colpisce di più sono tuttavia i ragazzi della Gioventù hitleriana, “i veri figli del Leviatano”, ancora fanatici fino al midollo che credono tuttora nella “vittoria finale”, e che minacciano di fucilare i “disfattisti” presenti sul treno. “E i loro occhi luccicavano come i vetri di un manicomio in fiamme.”
A partire dal 1950 Arno Schmidt scrive una trilogia al vetriolo sulla sua Germania: sul feroce passato nazista, sul precario presente e su uno spettrale futuro dopo una guerra atomica. Tutti e tre i romanzi sono stati tradotti con maestria da Domenico Pinto per l’editore Lavieri (2006-2009), corredati di preziosi commenti (tranne un volume, chissà perché). Il prima in ordine cronologico della narrazione, è Dalla vita di un fauno, che narra la grama esistenza di un impiegato tedesco tra il 1939 e il 1944. Il protagonista cinquantenne odia il nazismo e la propria famiglia, moglie e figli che sono fanatici seguaci di Hitler. Non ha nessuna possibilità di ribellarsi, si rifugia in un’avventura erotica con una diciottenne e nello studio escapistico e sconclusionato della storia locale. È un quadro sofisticato sulla vita quotidiana sotto il nazismo, lontana dagli orrori dell’olocausto e delle battaglie, che si affacciano solo verso la fine. Memorabile è da questo punto vista la descrizione (con echi espressionistici) del bombardamento di una fabbrica di munizioni, piccolo assaggio dell’apocalisse di fuoco che sta divorando la Germania.
SEGNALAZIONE PROVVISORIA 4
“I profughi” di Arno Schmidt: la vita è un ripiego
Alberto Cellotto
«librobreve»
08 luglio 2016
https://www.quodlibet.it/recensione/2320
Definito dall’autore “svelto e non breve”, nella lettera che ne accompagnava il primo invio a Martin Walser, giovane redattore di “Süddeutsche Rundfunk”, questo libro è un buon punto di partenza per cimentarsi nella lettura di questo autore e di una prosa che qui si muove in brevi capitoletti introdotti da riquadrate fotografie di parole seguite da uno “svolgimento”. Il “metodo Schmidt”, a livello scrittorio, non incontrò i favori di grandi traghettatori della letteratura tedesca nel Novecento (penso al deux ex machina di tanta editoria italiana novecentesca, Roberto Bazlen, a Cesare Cases, i cui pareri di lettura sono disponibili in un’opera meritoria pubblicata da Aragno o al tentativo di Einaudi di pubblicarlo trent’anni fa, tentativo che però finì per non agevolare la sua penetrazione in Italia). Ed è proprio nella ricerca di oggettività, così diversa da quella perseguita dal nostro Italo Calvino negli stessi anni, che oggi troviamo motivi di grande interesse nell’affrontare l’opera di questo autore.
SEGNALAZIONE PROVVISORIA 5
Gli inferi stenografati con il proprio sangue
Enzo Di Mauro
«Alias – il manifesto»
19 giugno 2016
https://www.quodlibet.it/recensione/2365
Verrebbe da dire che il «taglialemma di Bargfeld», l’erudito anacoreta, il misantropo irrispettoso ci guarda – sempre ammesso che ci guardi! – da una distanza di sicurezza siderale, se non venisse il sospetto che solo in piccola parte conti o c’entri l’indubbia diseducazione letteraria d`oggidì con le sue fughe regressive e restauratrici. No, il punto pare un altro e di ben più radicale portata e natura, e la domanda insomma potrebbe essere: c’è mai stato il tempo di Schmidt? Oppure: si è mai prodotto un ascolto profondo della sua opera persino negli anni cinquanta, sessanta e settanta del secolo scorso, vale a dire in epoca certo meno risibile di quella presente?
Certo, non mancarono sbalorditi ammiratori e sostenitori convinti del calibro, tanto per citarne qualcuno, del vecchio e glorioso Alfred Dòblin e poi di Gunther Anders, Theodor W. Adorno, Siegfried Lenz, Martin Walser, Jean Améry, Max Bense e, in Italia, di Cesare Cases (un suo pionieristico saggio del 1963 rimane prezioso e imprescindibile) e di Bonaventura Tecchi (addirittura nel ’59). Ma questi apprezzamenti non impedirono poi al benemerito Ladislao Mittner, nella sua classica Storia della letteratura tedesca, di nutrire il fondato dubbio che fosse stata messa in atto un’autentica congiura «del silenzio e della minimizzazione». «Quanto sono rari e poco apprezzati in Germania scrittori d`inconfondibile stampo illuministico come Arno Schmidt!», esclamava lo studioso, secondo cui a questo imperdonabile mistico, a questo formalista assetato di stile sarebbe convenuto vivere nell’età di Wieland.
Nota di E. A.
«Certo, non mancarono sbalorditi ammiratori e sostenitori convinti del calibro, tanto per citarne qualcuno, del vecchio e glorioso Alfred Dòblin e poi di Gunther Anders, Theodor W. Adorno, Siegfried Lenz, Martin Walser, Jean Améry, Max Bense e, in Italia, di Cesare Cases (un suo pionieristico saggio del 1963 rimane prezioso e imprescindibile)»
non facevi prima, e con maggior profitto e r miglior ragion di causa, a leggere i profughi (50 pp.) con mia introduzione e ampio commentario? ossia: a qual pro tutto ciò che sta quassù?
o dobbiamo aspettarci una seconda ondata su Leviatano (40 pp.)?
“non facevi prima, e con maggior profitto….” (db)
I libri costano (per me), queste sono letture on line di fatto gratis e le faccio nella logica dell’ascoltar varie campane (anche fesse…).
Cesare Cases (un suo pionieristico saggio del 1963 rimane prezioso e imprescindibile)
IN GRASSETTO: il tuo ipse dixit pensavo fosse fortini, invece mo pure de mauro*?!
* … chi era costui?
“* … chi era costui?” (db)
una delle campane (fesse forse..)
tot capita, tot sententiae. – ma se uno il caput non ce l’ha?
ci sono tante campane. una di 100 battute (di mauro) e una di 60.000 (db). cosa fai alla fine? la media aritmetica?
ma soprattutto con che metro giudicherai se non conosci cosa suonano (ovvero di che parlano)?
ah dal pra dal pra, che raccomandavi sempre agli studenti di leggere e rileggere prima i testi, e solo dopo, casomai, le critiche!
se non hai i soldi per leggere i testi, logica vorrebbe che cambiassi argomento dirottando su testi che conosci o almeno possiedi. o no?
non vorrei che, invece di essere un laboratorio critico, poliscrittiure sia un laboratorio cinonapoletano di finti vuitton, come tanti altri.
@ db
1. tot… chi non ha il caput?
2. ci sono… per le conclusioni, aspetta
3. ah dal pra…è quello che sto facendo (almeno coi testi che riesco a procurarmi)
4. se non hai i soldi… cerco di procurarmeli i libri ricorrendo magari al prestito della Bib. Civica di Cologno non cambiando argomento; e poi queste sono segnalazioni *provvisorie* : indicano, appunto, la varietà dei punti di vista che tu non sopporti
5. non vorrei… e allora contribuisci, invece di accanirti nelle punzecchiature mirate soprattutto contro di me; e non vedere poliscritture come “mucchio” (per ora, sulla questione Cases/Schmidt e appendici, stai interloquendo con me; che c’entrano gli altri che, tranne Elena, neppure sono intervenuti?)
A proposito di laboratori critici…
AL VOLO DALLA PAGINA FB DI LANFRANCO CAMINITI
Roberta Cafarotti
Forse nemmeno i filosofi oggi possono filosofeggiare da soli. Potresti trovare verosimile oggi un Kant che cambia il mondo dal buchetto del suo studiolo o un Socrate alle prove con un’intervista sul metoo? abbiamo bisogno delle scuole di filosofia come ai tempi antichi, ma scuole che non formano le persone sulle tracce dei pensieri del maestro (che uno può essere un grande filosofo su 4-5 argomenti, ma una pippa in epidemiologia o economia, oppure uno che non ha mai passeggiato bucolicamente a San Basilio), ma di tanti maestri. Scuole dove non stai zitto e puoi sperimentare il pensiero sulla tua pellaccia. Scuole dove non pretendono di servire spaghetti e farti ricagare gli stessi spaghetti, perché così si produce solo mer** appunto. Scuole generative che costruiscono agire, scuole piene di ingegneri, amministrativi, sindacalisti, attivisti, economisti, fisici, medici, tamarri di periferia, rider, bambini, vecchi, donne e uomini, italiani, europei, africani, asiatici, cattolici, laici, buddisti, musulmani ed ebrei, tutti un po’ filosofi. Scuole in cui formarci con tanti maestri. I pensatori sono come le particelle quantistiche, da loro parte tutto, ma poi diventa altro, perché la filosofia è energia che trasforma, altrimenti è sterile e muore. Il filosofo, come tutti noi, deve misurarsi con la cura di chi lo ascolta, non raccontarci il pensiero superiore, perché superiore non è.
Lanfranco Caminiti
credo che solo leonardo sia stato uno che non era una pippa a parte due-tre argomenti, eppure, filosofo non era. era l’uomo universale, rinascimentale. le scuole sono abbarbicate alle accademie, e come le accademie sono sempre più minute e minuziose. eppure, le domande della filosofia sono sempre le stesse. vorrei anch’io certo che ricominciassero le scuole socratiche. che erano, poi, l’attitudine al dubbio, al chiedersi, a interrogarsi sulle cose
Eppure…
SEGNALAZIONE PROVVISORIA 6
Intervista a Cesare Cases (fine anni ’90)
http://www.germanistica.net/2013/06/10/intervista-a-cesare-cases/
Lei appartiene a una generazione che ha vissuto buona parte di questo secolo e si è occupato per più di cinquanta anni della cultura tedesca. Quali sono, secondo lei, gli autori tedeschi che vale ancora la pena di leggere?
Dei più recenti direi senz’altro Thomas Bernhard e Ingeborg Bachmann, entrambi austriaci. Non ho invece un grande amore per Grass o per la generazione degli anni Sessanta. Celan, che si può considerare tedesco solo in un certo senso, ha dato espressione meglio di ogni altro, da una parte al disastro in cui viviamo, dall’altra anche a quel nucleo “solido”, a quel nucleo di resistenza che la poesia offre. Insomma, la grande poesia è sempre qualche cosa a cui ci si può aggrappare, anche nel momento di massimo pessimismo. L’opera di Celan ha dato un esempio di questa possibilità.
sull’ultimo punto del “non vorrei”: qui siamo solo io e te, non mi permetterei mai di sindacare sugli altricomponenti. nel laboratorio, comunque, il tuo caput è pesante, in più sensi.
vado per punti sull’intervento tuo che fu il primo, ed è bastante.
* *
Mi pare che reggano bene le sensate spiegazioni che Michele Sisto diede rispondendo in vari commenti a db nel lontano 2013 in un amichevole scambio che si legge seguendo questo link indicato da db stesso: http://www.germanistica.net/2013/03/26/arno-schmidt-contro-il-leviatano/ .
dunque: sisto 8 anni fa ha scritto poche righe di rappresentanza, un parere come tanti (tio quelli che hai riportato, varie recensioni dove spesso si dice: “nella splendida traduzione di”, e 99 su 100 il recensore non conosce la lingua: il tipo di roba che purtroppo piace a te).
Io con fatica, modestia (sì, modestia, perché ogni elemento da me portato in 60.000 battute è stato dubitato, ponderato ecc., e poi sottoposto ad attuale verifica a chiunque voglia contestarlo) ho portato dei risultati, e il risultato è che il signor abate dice: no grazie, mi piace di più il parere di sisto. risutato opinabie ovviamente, ma qui del primus inter pares di un fantomatico gruppo un cui elemento, il sottoscritto, evidentemente stona, sbaglia ecc. (anche se non viene specificato dove)
* * *
Almeno per la mia mente e il mio occhio non germanista, non microstorico, non ostile per principio a Cases solo perché il suo nome compariva nell’esercito degli intellettualità in prevalenza zdanovista del PCI anni ’50.
Leggi: non ostile per principio come invece tusaichì (una frase così è di falsa modestia).
*
Dichiaro il mio amaro stupore per il fatto che db ritorni con una pervicacia così ostinata e quasi ossessivamente su questo tema.
“amaro stupore” diomio!
la mia ricerca seria e documentata cade sotto la rubrica: ” pervicacia così ostinata e quasi ossessivamente su questo tema.” badi come parli! tu forse sai cos’è un parere, ma cosa sia una ricerca seria proprio no.
*
Anche perché, come si vede da un’altra discussione, ben più complicata e a tratti penosa (per me), in cui mi sono imbattuto per caso a questo link: https://rebstein.wordpress.com/2008/12/15/il-pezzullo-di-db-ii-puericultura/, la polemica risale ancora più indietro, al 2008.
che risalga al 2008, e cioè da quando ho cominciato a tradurre seriamente Arno Schmidt, diventa un’aggravante… dov’è il caput? tutto ciò è “pensoso” per te: non hai altre cose per penarti? ma ammetto: penosissimo per me, mi fai cascare le braccia.
*
Dichiaro il mio candore da letterato ai margini che non riesce ad appassionarsi a certe “beghe” tra accademici, paraaccademici e antiaccademici.
altra finta modestia, da prete addolorato, e altra frecciatina: ora sono beghe.
*
ebbene, non ci sto manco per il cavolo. io lavoro e scrivo, e poi pubblico in sedi dove il mio lavoro è apprezzato (siano case editrici o giornali o blog): altrimenti, chi me lo fa fare? certo, mi capita, e anche spesso, che parecchie sedi mi risultano poi meno accoglienti di quel che mi sembrava all’inizio. e allora cambio.
questo per dire che una paternale come questa surriportata per me basta e avanza. ti lascio con la tua pena e la tua novena, è stato bello soprattutto perché breve.
Ennio:« Mi pare che reggano bene le sensate spiegazioni che Michele Sisto diede rispondendo in vari commenti a db nel lontano 2013 in un amichevole scambio che si legge seguendo questo link indicato da db stesso: http://www.germanistica.net/2013/03/26/arno-schmidt-contro-il-leviatano/ .».
SUL PERCHE’ TROVO SENSATE LE SPIEGAZIONI DI SISTO DEL 2013
E allora rileggiamo cosa c’è scritto a quel link. Sisto ripropone «la recensione [del del Leviatano di Arno Schmidt] fatta da Cesare Cases sulla rivista di Elena Croce «Lo Spettatore italiano» nel 1954, premettendovi la nota (di Cases stesso) alla ristampa del ’63. E sostiene che a lui non pare una «stroncatura» (come tu invece sostenevi in due articoli che egli linka: uno s’apre e l’altro no).
Nei commenti db (Dario Borso) dice che si tratta di «una recensione perfidamente diffamatoria». E propone invece, come esempio accettabile («questa non è una stroncatura») la recensione di Hermann Hesse del 1949. Che a me pare sottolinei le stesse cose dette, con altre parole, da Cases nella recensione del 1954: «Il tono è quello cinico di un moderno desperado che ha visto e patito la guerra e tutte le malvagità del nostro mondo attuale, con un fondato e legittimo pessimismo dunque e una comprensibile aggressività»; « c’è un vero poeta, che ci sputa in faccia il suo ribrezzo, e già il titolo Leviatano, saturo di associazioni a Giobbe e Isaia, ma anche a Julien Green , promette più di un mero feuilleton esistenzialistico »; « è un visionario un po’ arrischiato e magari non privo di rischi, ma genuino». E questo dice, in sostanza, anche Michele Sisto: «Beh, mi sembra che Cases dia di Schmidt un’immagine non molto distante da quella di Hesse». Quindi qui prima concordanza tra me e Sisto.
Il quale poi aggiunge: «Poi, certo, gli rimprovera l’orientamento anarchico e lo invita a aderire al comunismo. Col senno di poi, possiamo dire che aveva torto, e che Schmidt aveva ragione. Ma ciò non toglie che Cases avesse per lui un’evidente simpatia. Tant’è vero che si adopera fin dal ’54 perché Einaudi lo pubblichi, suscitando l’entusiasmo di Solmi e di Calvino». E anche questa osservazione mi pare sensata e vicina a una mia, che ora non trovo e che suonava all’incirca così: Ma sei incontentabile! Ce ne fossero stati nel PCI stalinisti del genere di Cases che avevano il coraggio e l’apertura per pubblicare il libro di uno scrittore anarchico tedesco come Schmidt. O pretendi che Cases in quegli anni sputasse su Stalin?
Allo stesso modo concordo con Sisto quando faceva notare realisticamente la difficoltà in quegli anni di trovare traduttori dal tedesco e buoni traduttori: « al vedere i testi, i traduttori se la davano a gambe, e per questo di Schmidt si è pubblicato molto poco, e tardi… ». questo di Schmidt si è pubblicato molto poco, e tardi…
Quando poi db (Dario Borso), sospettando maneggi di Cases, chiede a Sisto: «perché Cases nel 1965, invece di pubblicare *Leviatano*, libro composto di 3 racconti il cui primus inter pares (ma anche senza pares, perché AS gli ha aggiunto gli altri due solo su richiesta dell’editore) è “Leviatano o il migliore dei mondi”, rifiuta questo e al posto suo inserisce un altro racconto storico-allegorico?» e Sisto risponde: «Quello che posso dirti per certo è che Cases non aveva alcuna voce in capitolo nella collocazione dei libri nelle collane. Una volta redatto il parere di lettura – che nel caso di Schmidt era sempre positivo – il suo compito si esauriva e la responsabilità passava alla redazione e ai direttori delle collane….. Certo, Cases poteva dare dei suggerimenti, ma la decisione finale non era sua»; e ribadisce: «una cosa è fuori discussione: sia Cases che Calvino erano favorevoli a Schmidt e si sono adoperati per pubblicarlo. Che ci siano riusciti tardi e con molti limiti dipende soprattutto dalla mancanza di traduttori, e in secondo luogo dal fatto che nessuno, nell’Italia di quegli anni, era interessato a una prosa come quella di Schmidt, tutti presi com’erano, critici e scrittori, dal dibattito sul neorealismo e sulla neoavanguardia à la Gruppo 63. Peraltro, non credo che “Alessandro o della verità” abbia venduto più di qualche centinaio di copie: quindi non era neanche un affare dal punto di vista economico, tradurlo. Come non lo è neppure adesso, direi!», a me pare convincente.
Tanto più che aggiunge in modo ancora sensato: «non si può escludere che i ritardi dell’Einaudi abbiano danneggiato Schmidt, che avrebbe potuto essere rilevato da altro editore (ma quale?). Escluderei però risolutamente che ci sia stato un tentativo di boicottaggio, per motivi politici o d’altra natura. Cases e Calvino sono stati sempre tra i (pochi!) fautori di Schmidt, non certo tra i suoi avversari».
E- guarda un po’ – subito dopo lo stesso db (Dario Borso) ammette lui pure: «convincente su più punti, quindi grazie Michele».
Poi ancora db (Dario Borso) chiede se: «a quei tempi era più normale di adesso smembrare i libri, ossia nel caso del Leviatano non pubblicarlo completo». E Sisto conferma: «Direi di sì, che era normale. Studiando le traduzioni e il lavoro delle case editrici mi sono convinto di una cosa (banale, ma generalmente non percepita): che un libro venga tradotto non è la regola, ma l’eccezione.».
Alla fine db (Dario Borso) mantiene giustamente il proprio dubbio: «tu dici che Cases era favorevole a Schmidt, ma secondo te questa recensione è favorevole a “Leviatano i Il migliore dei mondi”? a me sembra di no, e che Cases l’abbia ripubblicata nel 1963 è sufficiente a motivare il declassamento del testo, dal libro alla rivista». E Sisto, altrettanto giustamente, conferma la sua opinione: «Per la me la recensione è inequivocabilmente positiva. E ti confermo che lo sono anche tutti pareri di lettura che Cases ha scritto su Schmidt. Almeno quelli conservati. Li potrai leggere nel volume “Scegliendo e scartando”, in cui ho raccolto 250 pareri di Cases». ( Ma qui si apre un altro capitolo…).
Mi pare un bel dialogo. Perché allora adesso scrivere: « sisto 8 anni fa ha scritto poche righe di rappresentanza, un parere come tanti»? Oppure: «il risultato è che il signor abate dice: no grazie, mi piace di più il parere di sisto. risultato opinabile ovviamente, ma qui del primus inter pares di un fantomatico gruppo un cui elemento, il sottoscritto, evidentemente stona, sbaglia»? Perché banalizzare così i miei ragionamenti? O fare affermazioni(«il sottoscritto, evidentemente stona, sbaglia») che non penso e non ho mai detto?
molto semplice da spiegare. nel 2013 sisto fa affermazioni genaral-generiche sulla base di pareri di lettura che solo lui conosceva, e io che potevo dire? che non era vero? potevo dire solo quello he lì ho detto: “boh, se lo dici tu, sarà così”.
poi i pareri di lettura sono usciti, dimidiati, ma sempre meglio che niente, e su quella base traballante, ma significativa, ho compiuto la mia ricerca (tra l’altro nel 1954 come nel 1982, due saggetti pieni di minchiate ossia di errori marchiani a partire dai riassunti di due operette di schmidt che in totale assommano a un’ottantina di pagine soltanto: rileggi, sempreché tu l’abbia letto, il mio saggio)).
la realtà è che tu non leggi serenamente quello che scrivo io, lo leggi amaramente e penosamente perché sei schiavo, di una servitù volontaria e bisognosa di ipse dixit indubitabili.
tu non apri confronti, tu erigi fortini.
dixi, et salvavi animellam meam.
@ db
E tu chi erigi?
Leggi serenamente quello che scrivo io?
Apri confronti con questo tuo modo di scrivere su di me sistematicamente aggressivo e contundente?
Solo nel penultimo breve commento (3 Agosto 2021 alle 22:26) sulla mia testa arrivano le seguenti legnate:
-il tuo caput è pesante;
– il tipo di roba che purtroppo piace a te;
– il risultato è che il signor abate dice: no grazie, mi piace di più il parere di sisto;
– primus inter pares di un fantomatico gruppo;
– non ostile per principio come invece tusaichì (una frase così è di falsa modestia);
– badi come parli!
– tu forse sai cos’è un parere, ma cosa sia una ricerca seria proprio no;
– non hai altre cose per penarti?;
– mi fai cascare le braccia;
– altra finta modestia, da prete addolorato;
– una paternale come questa surriportata per me basta e avanza;
– ti lascio con la tua pena e la tua novena;
– è stato bello soprattutto perché breve.
P.s.
Elencami ora tu le cose offensive che avrei scritto contro di te come persona nei miei interventi.
hai ragione. a mia unica scusante, è che tu non sei un commentatore semplice del mio saggio, ma il titolare di un laboratorio di cui al momento ero membro. un commento come il tuo qui sopra riportato, nel primo caso mi avrebbe fatto ridere e piangere contemporaneamente, e non avrei manco risposto, o risposto brevemente ed elegantemente che o non hai letto il saggio oppure non capisci proprio niente.
una settimana fa, qui su poliscritture, riportai lo stesso tuo commento, commentandolo così:
db29 Luglio 2021 alle 13:39
rispondo in latino: tot capita, tot sententiae; e in vicentino: va caro va, va a pascoàr e oche. in vicentino risponderei a chiunque, dopo aver letto il mio pezzo, affermasse che è convinto di Sisto (lo stesso direi per il caso reitani e quello crescenzi, che poi fu un caso solo, doppio). l’unico punto critico (in altro senso) è che abate non è un commentatore fb qualsiasi, ma il primus inter pares di un gruppo che, se non omogeneo, dovrebbe almeno essere d’accordo sui fondamentali. punto critico al quadrato, direi.
continuavo affrontando un altro punto critico:
abate obietta che non ho trattato bene solmi (personaggio meno che secondario nel mio pezzo). anche qui: fosse stato un commentatore fb, al massimo gli avrei chiesto se sono parenti. ma abate, oltre a essere il primus inter pares di cui sopra, si supera. invece di obiettare in un commento al mio pezzo appena spostato, lo prende intero e lo diffonde da lui cappellato in una decina di litblog. l’ho scoperto perché, come faccio normalmente, condivido i miei pezzi in quegli stessi litblog (che poi sono anche gli unici di un certo peso). ovviamente rinuncio a condividerli, visto che il compagno abate l’aveva appena fatto… col cappello però. ecco, questo è un secondo punto critico, ma in un altro senso, e soprattutto al cubo.
non mi hai risposto, rimandando la risposta a un tuo pezzo su Solmi (altra cosa che mi fa dubitare delle tue facoltà mentali). spero che lì spiegherai perché Solmi ha definito Cases un “maestro dei colpi bassi”, ma intanto ribadisco:
quanto al primo punto, hai detto solo cazzate senza cognizione di causa; quanto al secondo punto, hai fatto una porcata con piena cognizione di causa.
mi sembra che basti e avanzi per ritirarmi in ordine (su hermann esse ti rimando alla mia introduzione al leviatano di Schmidt: sono una cinquantina di pagine, costa una decina di euro e se i miei ex compagni di rubrica sono d’accordo, potremmo versare un euro a testa e regalartelo. e su calvino e cases entusiasti di Schmidt, vedo che bevi le parole di sisto, ma non ti domandi se corrispondono a realtà. tu accetti e scarti per partito preso, una forma mentis che nemmeno col grimaldello uno potrà aprire: manchi costituzionalmente di ri-spetto, da re-spicio, guardare/leggere due volte).
per quanto mi riguarda, basta e avanza: ho poco tempo e molti anni sulle spalle. leggerò comunque, da semplice lettore e come in passato, le cose che scrivi, e le rileggerò pure (per me sei un caso di intellettuale per il quale il tempo si è fermato. il prof. samiszdat è emblematico. siamo arrivati al 1977 e al rapporto sofferto con l’autonomo in galera. aspetto la puntata sulle chiavi inglesi di AO, sempre nel 77 o giù di lì: dovresti avere notizie di prima mano, analoghe alle mie su cases).
“aspetto la puntata sulle chiavi inglesi di AO” (db)
Spero di poterla scrivere. Adesso devo correre al pronto soccorso per il colpo che ho ricevuto dalle TUE chiavi inglesi.
“per me sei un caso di intellettuale per il quale il tempo si è fermato. il prof. samiszdat è emblematico. siamo arrivati al 1977 e al rapporto sofferto con l’autonomo in galera.” (db)
La recensione di Cases al Leviatano di Schmidt, che ha scatenato nel 2008 la reazione piuttosto viscerale di Dario Borso, è del 1954.
Dico questo non per atteggiarmi a paladina di E.A., che non ne ha bisogno e col quale ho avuto frequenti discussioni su questo blog , ma perché quanto a colpi bassi nemmeno db scherza.
Inoltre, benché capisca e apprezzi quanto di interessante apporta la ricerca di Dario Borso, devo rimarcare che l’argomento più volte usato: se hai letto quello che ho scritto e non sei d’accordo con me vuol dire che non capisci niente, difficilmente verrebbe riconosciuto come argomento valido.
mentre sta circolando ‘ il diavolo nei dettagli’, ormai fuori controllo, pare il caso di scannarci in questo modo?
@ Annamaria
Sì, vabbè! Ma chi scanna e chi è scannato in questa discussione? A me non pare che i modi in cui Borso interviene nei miei confronti siano più accettabili.
sì, non bisognerebbe mai trascendere sul piano personale, soprattutto in una discussione di ordine culturale…anche perché poi è ben difficile riconciliarsi, se non ci sono delle scuse sentite
il mio saggio contiene solo dati e tutti dati.
un confronto per me è valido se si parte da questi, per accettarli o contestarli. tutto il resto (che sta fuori dal saggio stesso) è opinione che lascia il tempo che trova.
quello che ha scritto e fatto abete su sua iniziativa attorno al saggio ma senza mai entrarci, è per me fuffa.
fosse stata fuffa di un commentatore anonimo, non l’avrei neanche considerata, invece era di colui che mi ha proposto di entrare in un laboratorio critico.
perciò l’ho inquadrato, e trovato così dogmatico e zuccone, che l’ho scannato per giungere all’osso. e l’osso si chiama fortini, di cui abate si rivela la scimmia, o la caricatura.
e a elena che riassume il tutto con: “se hai letto quello che ho scritto e non sei d’accordo con me vuol dire che non capisci niente, difficilmente verrebbe riconosciuto come argomento valido”, devo dire:
io non ho un’opinione diversa rispetto a quella di abate, io ho dati di fatto diversi da un’opinione. e questa mia ultima non è un’opinione, ma un dato di fatto.
come dato di fatto che abate non ha capito niente. di sicuro non si è laureato con dal pra, che accettava opinioni solo nelle conclusioni, ma il resto, e cioè la sostanza, erano dati di fatto. altrimenti si può dire tutto, che Schmidt usò il computer o che la vedova profuga tornava a casa.
insomma:
lui erige fortini, io in in quello che ho scritto o cercato di erigere un monumentinum aere perennius, che resista cioè fino a quando non sarà smentito fattivamente.
vi lascio agli antenati, cui preferisco gli antennati (ma io fratello metalmeccanico con gli ultimi 8 anni da cassintegrato ha goduto a suo tempo del leviatano, e i dati di fatto nel mio saggio li ha colti, esattamente come li hanno accolti persone studiate ahah).
e col suo dogmatismo da chiave inglese, abate fa pure le porcate.
sì, sono un coglione ad aver perso tempo con questo “dibattito”, ma sono nato in osteria e ci casco, anzi sguazzo. .
arrivare all’osso esclude la carne e noi, finché vivi, siamo carne e ossa… o ci giochiamo tutto alla ‘morra’, come succedeva nelle vecchie osterie? meno cruento…
“sì, sono un coglione ad aver perso tempo con questo “dibattito”” (db)
No, lo sei perché, appena ti sei accorto che non ci si inchinava alla tua verità (“Schmidt era da cima a fondo individualista-anarchico e Cases stalinista” e dunque amico e discepolo di quel comunistaccio di Lukács, autore de “la Distruzione della ragione, il liber horribilis” per uno come te [1]), sei passato dalla collaborazione attiva (tutte le tue proposte sono state subito pubblicate) e dai complimenti (persino di Prof Samizdat!) alle punzecchiature e provocazioni cattive e falsamente plebee mandando in vacca la discussione e i rapporti tra noi.
[1] https://tysm.org/tradurre-lintraducibile-schmidt-intervista-a-dario-borso/