di Antonio Sagredo tradotto in spagnolo da Manuel M. Forega
Il gallo ha cantato per la terza volta, ma Ti dovrai fidare di me
se il verso mio ha affilato la cresta col coltello del meriggio,
e, se la notte è leuco volto, Platero il nero, ha ragliato
il suo martirio, e s’è accasciato con le pietre sul giaietto ombrato.
Sapevo, Ramon, che la tua parola è divinazione di ciò che è lontano,
e imbelle io ancora rumino il madrigale del mio benestare come una
fontana; la noria solleva altrove le grida occidentali per una alcova
che muta in divano il futuro suo trascorso… agonizza la palma sulla piazza!
E abbracciai le ossa dei miei antenati per intenerire la voce cava
e le orbite del gelido midollo ciarlare i secoli… avvinazzati ciondolavano
il capo e le braccia per una tregua o una siesta nel patio rovente
che al velluto arancione mescolava pigro un verde di ramarro.
E i giudizi e i trionfi tracimavano dialettici marosi sulle pareti, orientali
di biacca per incidere, prima di una memoria, le leggi per nuovi ordini,
e generare nei grecori le Furie, fuochi e luci nella barbarie, ma in corsa
non reggevano i ritmi inauditi, e le fughe moresche, del loro stesso canto!
Antonio Sagredo
Roma, 22/23 ottobre 2014
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A PLATERO EL NEGRO
Ha cantado el gallo tres veces, pero has de fiarte de mí
si mis versos le han afilado la cresta con el cuchillo del mediodía;
y si la noche se ha vuelto blanca; Platero el negro ha rebuznado
su pena y junto a las piedras se ha dejado caer sobre el oscuro azabache.
Que sepas, Ramón, que tu palabra es sólo profecía de lo lejano,
pero, aun cansado, todavía susurro yo el madrigal de mi acomodo como lo hace
una fuente; la noria levanta en otros lugares las súplicas de Occidente por una cama
que su futuro pasado cambia por un sofá… ¡en la plaza agoniza la palma!
Abrazáis los huesos de mis antepasados para turbar sus voces de ultratumba
y que las cuencas del gélido tuétano parloteen de los siglos… borrachos bamboleando
cabeza y brazos pidiendo tregua o una siesta sobre el cálido patio
que el peludo anaranjado mezcla, perezoso, con un verde lagarto.
Los juicios y las victorias desbordan con una marea de diatribas los muros orientales
de albayalde para grabar, antes que la memoria, las leyes de un orden nuevo
y engendrar la Furia, fuegos y luces en la barbarie, ¡pero en carrera
no soportan el ritmo frenético ni la fuga morisca de su propio canto!
Antonio Sagredo
Roma, 22/23 ottobre 2014
(trad. Manuel M. Forega)
http://forega.net/2014/11/platero-el-negro/
Posted on noviembre 3, 2014 in Poesía, Traducción.
Se cumple este año el centenario de la primera edición de Platero y yo, el célebre poema en prosa de Juan Ramón Jiménez. Mi amigo romano Antonio Sagredo, poeta excelente, me envió hace unos días un poema que quiere ser un homenaje al escritor onubense. Me pidió que lo tradujera y que lo diera a conocer. Así lo he hecho y espero no haber defraudado su confianza, pues hace ya muchos años que mi italiano es sólo memoria.
* Notizie su Juan Ramón Jiménez: qui
Se volessi essere poeta e se mi capitasse per puro caso, o sbaglio, di leggere poesie di Sagredo, dovrei rinunciarci , non tristemente però, anzi, del tutto felice..tale conseguenza è solo esclusivamente personale, cioè lo specifico per nulla togliere a tutti i poeti che continuano le loro ” invenzioni” alla faccia delle piume di questo portatore di liquidi cantanti, fontana su fontana. Lo sorseggi e vai direttamente alla sorgente dove naturale sgorga il canto dei sera-fini, non solo al tramonto e neppure solamente all’alba..una volta io andai direttamente dentro la colonna che dai cieli scende e risale piuma su piuma a cavallo delle orecchie di ogni platero, ragli divini intraducibili. Tecnicamente non ho competenza per sapere se Forega abbia potuto tradurre l’amore che leggo di Sagredo per Jemenez, cosa che gli ho visto “fare” già per altre/i poeti a lui cari, cosa che lo fa bellissimo , generoso, grato, commosso, struggente ai piedi delle ali che lo hanno cresciuto, latte su latte, lacrima su lacrima, fatica su fatica. Non sono Ennio o Cristiana, Attolico o altri esperti in materia, per poter esprimere “scientificamente” questo aspetto “da poeta a poeti” presente nella poesia del signorino “Antonio”.
…
Tutto quanto posso scrivere dell’icona purissima che è la poesia di Sagredo, è intraducibile. All’inizio mi ero detta del suo canto come incomprensibile, pazzesco! non ero tanto distante dal suo opposto.. per farla risuonare, bastava ritornare al raglio serafino, così lontano così vicino.
Gracias por la deferencia y la hospitalidad de Poliscritture al acoger mi traducción del poema de Sagredo en homenaje a Juan Ramón. Es cierto que la poesía de Sagredo siempre plantea problemas de traducción por dos razones: 1) su prolijo simbolismo y, en conscuencia, su polofonía semántica; y 2) por el uso de una iconografía referencial a veces histórica, a veces doméstica.
Espero no haber defraudado a los lectores españoles del Magnífico Antonio Sagredo.
Salud.
…d’accordo con Ro, quanto sia impossibile tradurre in commento la lettura di questa, come di altre poesie di Antonio Sagredo, almeno da parte mia, ma mi permetto di esprimere alcune impressioni…Intanto è il ritmo cangiante a colpirmi che va, rovesciando la composizione, dai “ritmi inauditi e fughe moresche del loro stesso canto” al rallentamento del movimento in “avvinazzati ciondolavano/ il capo e le braccia per una tregua o una siesta nel patio rovente” sino allo stroncamento in “Platero, il nero, ha ragliato/ il suo martirio, e s’è accasciato con le pietre sul giaietto ombrato”…Anche i colori variano da quelli arancione e verde-ramarro a quella macchia nera dell’asinello Platero, la nota piu’ intensa…il poeta A. S. non potrà mai eguagliare la sua innocenza nel canto e si sente, parlandone, di tradirla…Lo sfondo musicale è quello fuori dal tempo dell’acqua di una fontana, in contrasto la ruota sul fiume che troppo rumoreggia…La poesia è come un’onda di cielo che atttraversa spazio e tempo…
L’asino Platero, mai abbastanza amato e riconosciuto dall’uomo, nella sua grande dignità, bellezza e coraggio, mi ha richiamato alla memoria il vecchio cavallo stramazzato a terra durante una parata…una poesia di un autore russo presentata dallo stesso Sagrado su questo blog…
Sagredo è un lusso che pochi si possono concedere-Io di questa poesia vedo l’estro di Matisse , la forza di Picasso, la carne di Lucien Freud e un pizzico ma solo un pizzico di Monet. E mi basta per restare colpita , attonita.
Gentile Annamaria Locatelli,
l’evento equino ha un tenerissimo precedente in una Torino del 1899, quando Nietzsche si trova a passare per una via… questo evento viene ripreso con tenereza infinita dal poeta russo Majakovskij nei versi di “Come ci si compoorta coi cavalli” 1918; in un mia nota al Corso del 1970-71….
così dicevo:
“In questa poesia [del poeta russo] è da cogliere innanzitutto il tema della resurrezione: il cavallo sembra morto, e invece si riprende poi che pensa (umanizzazione ed empatia del poeta) che è ancora troppo giovane (un puledro, addirittura!) e che valga ancora la pena di vivere, di esistere per sé prima che per gli altri, e che dunque si può ancora lavorare, produrre secondo l’accezione majakovskiana. Ma c’è un precedente umanissimo prima che notissimo, quello di Nietzsche. (1899, Torino: un cavallo cade sul selciato, è ferito, ma il conduttore lo batte; di lì a poco si trova a passare Nietzsche, che si mette a piangere: le sue lagrime hanno inumidito la terra; si precipita verso il cavallo piangendo, e urlando lo riempie di baci e lo abbraccia. La sua bella follia si conclude il 25 agosto del 1900). E un esempio di empatia e tenerezza estreme verso gli animali. Ripellino cita Kafka (che pare verosimile sapesse di questo episodio) che invece di lacrime fa smorfie: in questo c’è una empatia di totale identità fra l’uomo e il cavallo: non sai se a soffrire sia più l’uno che l’altro). La smorfia è sofferenza: ne sa qualcosa Majakovskij, e anche di lacrime! “.
Poi c’è Platero…
Gentile Antonio Sagredo, la ringrazio per aver completato un mio ricordo sulla bellissima poesia di Majakovskj e la tenerezza dimostrata dal poeta verso un cavallo ferito, con il riferimento all’episodio precedente, che non conoscevo, quello di Nietzsche…e poi Kafka e Jiménez e lei a raccogliere con empatia la sofferenza degli animali, che non è dissimile alla nostra…
Loro, sfruttati ma più integri, possono persino offrirci esempi di vita: un desiderio di resurrezione che a noi umani, di questi tempi, può venire a mancare…
Ho letto – seppur velocemente – la biografia del poeta spagnolo che in questo tuo canto, Antonio Sagredo, celebri con il suo asinello Platero. Poesia intensa, da cantare alla maniera dei gitani andalusi, se ne sente quasi la musica. E poi c’è questo tuo saper immergerti totalmente in ciò che provi che trovo straordinario:
“Sapevo, Ramon, che la tua parola è divinazione di ciò che è lontano,
e imbelle io ancora rumino il madrigale del mio benestare” come una
fontana”…