di Alberto Mari
Poesie per grandi bambini
Il poeta vola
Il poeta vola
su un tappeto
di carta
sollevato
dal suo respiro.
Il poeta nuota
In una mare
d’inchiostro
sceso giù dal monte
che ha in mente.
Il poeta entra
nella grotta
del tesoro
di dentro
con una pila
tutta sua.
Il poeta esce
da una penna
nella carta
del mare
che canta
e che suona.
Filastrocca rossa
in tre atti
Atto primo
Filastrocca rossa,
l’insalata russa:
sveglia la mela
rossa e grossa.
Diavolino(toc, toc) bussa
in corna ed ossa,
assaggia la russa
poi pela la mela.
La pallida candela
diventa tutta rossa.
Nella luce tremula
l’incontro stimola:
una rossa primula
sui cuori scivola
e i palpiti emula.
Il sipario scarlatto
cala al primo atto.
Atto secondo
Rimasta nuda
la mela cruda
subito sbotta:
“ho preso una cotta!”
Il diavolino
col coltellino
rotea gli occhietti
e si lecca i baffetti
agitando il codino.
Così l’amor si svela:
ma ne vale la candela?
Con la dolce mela
dopo l’assaggio
ci vuol coraggio!
Amore sbocciato,
amore sbucciato.
Se poi si cruccia
rimane la buccia.
Filastrocca rossa
la prossima mossa
prepara con classe
come se niente fosse.
Atto terzo
L’insalata russa
non è addormentata,
perciò più non russa
ma rimane insalata.
La russa insalata,
straniera isolata,
è partita per Mosca
con aria un po’ losca.
Sulle montagne russe
che risse tra rosse,
tra russi non rossi,
che abusi di abissi,
discese sommosse.
Nell’ ultimo atto
in volo nel piatto,
una russa non vera
ma in fondo sincera
non fa primavera.
Filastrocca rossa
quando non è rossa
prende la scossa.
I pesci d’acqua giù
I pesci d’acqua giù
aprono l’ombrello
se cade la pioggia di su.
Le lucertole non son da meno
stan sotto il parasole
se il cielo è sereno.
Il pavone di occhi ne ha tanti
ma non vede con tutti quanti.
Il merluzzo se tace si sente
ma se parla non dice un bel niente.
Il soffione non sa le ore
se non ha l’orologio da fiore.
Il micio non gioca colla gatta.
Se il fiore è saggio la volpe è matta!
Cacca caccona
Cacca caccona
(coro: Gnam, gnam, gnam, gnam, gnam,
gnam, gnam, gnam, gnam, gnam, gnam…)
Cacca caccona
la cacca è tanto buona,
la più buona che io conosca,
tanto è vero che mi chiamo: mosca!
Il venditore di fumo
Signori, volete comprare
un po’ di fumo
non fumato,
senza fiato,
da non aspirare
di seconda mano?
E’ un fumo sano,
non inquinato,
dal tempo filtrato.
Un segnale di fumo
degli indiani
Piedi Neri
valenti guerrieri,
vi può interessare?
E il fumo condito
della loro pipa
della pace
forse vi piace?
E il fumo
di una mandria
imbufalita?
Pochi capi
son rimasti
si contan
sulle dita.
Sento ancora,
ardente nell’aria,
il fumo amoroso
della freccia incendiaria
del mio cuore.
Un vecchio pioniere
del rodeo scaduto
di Chissàdove
non dimentica
il suo amore indiano.
Chissà se sono
ancora io
con il mio niente
da vendere?
Ma il mio niente
da dare
serve per ricordare
i diritti dei fratelli
indiani Piedi Neri,
i loro sacrosanti
diritti dei bei tempi
andati in fumo,
come me, viso pallido
volatilizzato
con affetto
in uno scappamento
vaporoso alla meta.
Arlecchino tintaunita
Che sbadiglio gigante!
Che noia infinita,
un fardello pesante,
era diventata la vita
di Arlecchino Tintaunita.
Vestiva di grigio,
come il suo umore,
restando confuso
in un solo colore.
Nessuno lo conosceva,
e neppure lo vedeva.
Nessuno lo salutava
perché era anonimo;
soffriva nel suo intimo
ma non si notava.
Nascosto e confuso
in un muro grigio
era un nessuno
di grande prestigio.
E così Arlecchino
senza alcun clamore
nel suo neutro colore
incontrò il suo destino.
Cercò se stesso
dentro e fuori,
il suo io sommesso
tra gioie e dolori.
Cercò chissà dove
delle strade nuove.
Trovò emozioni,
tante occasioni.
Scoprì che la vita
non è rosa e fiori,
una salita infinita
verso tanti colori.
I colori si cercano
insieme si esaltano.
Nella folla spiccano
nel mondo si spargono.
Colore cerca colore,
colore cerca bambino.
Bambino cerca il fiore
con i colori di Arlecchino.
L’antifiaba
Vita da lupi
C’era, non tanto tempo fa, un lupo che non se la passava tanto bene. Le nonne non gli apriva più la porta, come ai tempi di Cappuccetto Rosso perché riconoscevano la sua voce attraverso il citofono. Se qualcuna di loro, distratta, lo faceva entrare, per sbaglio, il malcapitato veniva subito preso a ombrellate. Le nipotine, poi, erano tutt’altro che ingenue: non solo non si facevano ingannare dal lupo, ma spesso si divertivano a provocarlo canzonandolo:
“Che orecchie a sventola che hai!”
“Che coda arruffata che hai…”
Per quanto fossero appetitose e cicciotelle come la loro antenata, era meglio stare alla larga da loro. Se il lupo si azzardava ad avvicinarle, queste soffiavano subito nel fischietto che avevano al collo per chiamare le guardie “antilupo” che accorrevano in un batter d’occhio.
Nemmeno i porcellini erano abbordabili, la loro carne prelibata era rimasta ormai solo un ricordo: il diffondersi dell’alimentazione vegetariana e macrobiotica, li aveva fatti diventare degli animali sacri, intoccabili. Vivevano ben protetti in case di cemento “antisoffio”, del tutto inattaccabili, “a prova di uragano” e quando uscivano di casa c’era sempre una guardia del corpo pronta a proteggerli.
Uno dei pochi pastori rimasti che stava su una collinetta, vicino al paese, teneva le pecore in un recinto dotato di segnale di allarme elettronico, collegato colla stazione di polizia. Anche i pollai erano inavvicinabili per lo stesso motivo.
Il povero Alex, così si chiamava il lupo, preso dai morsi della fame, aveva tentato una volta, una disperata sortita al supermercato, travestito da vecchia massaia, ma era stato tradito dalla coda e soltanto per un miracolo era riuscito a sfuggire al servizio d’ordine.
Un giorno, lo sfortunato lupo, dopo aver cercato per l’ennesima volta di sfamarsi, mangiucchiando qualche boccone dal cestino dei rifiuti, incontrò una famiglia di suoi colleghi che avevano l’aria, invece, di passarsela molto bene.
Dall’aspetto si vedeva che erano in buona salute: il pelo era lustro, lo sguardo vispo, apparivano insomma in forma perfetta. Papà Lupo, vedendo il collega così magro e denutrito, gli chiese come mai era così conciato e dopo aver ascoltato le sue disavventure, scosse sospirando il capo.
“Un lupo randagio, disadattato, non credevo che ce ne fossero ancora.”
Alex lo guardò confuso senza capire. “Disadattato? Come sarebbe a dire?”
“Certo, perché non ti adatti? Noi lupi, non possiamo più fare i predatori. Perché non fai come me? Hai visto che bella moglie che ho? I miei lupacchiotti stanno bene, fanno la terza media. Ci mantiene lo stato: “l’A.P.L.”
“L’A.P.L.?”
“Non sai che cos’è l’A.P.L.? chiese l’altro lupo scandalizzato, – ma che diamine ! E’ l’Associazione Protettrice dei Lupi.”
“Non… non sapevo nemmeno che esistesse. “ Bofonchiò confuso Alex .
“Noi lupi del parco stiamo tutti benone. Siamo in regola, tutti schedati. Perché non ti fai schedare anche te?”
“Perché dovrei farmi schedare? Non capisco. – riprese Alex sempre più a disagio – Di quale parco stai parlando? Non sarà quello tutto cintato dove sparano a tradimento. Un mio amico lo hanno fatto secco.”
Papà, mamma lupo e i lupacchiotti scoppiarono in una risata.
“Ohi, ohi… mi fai venire il mal di pancia dal ridere – disse papà lupo– il tuo amico non è morto, lo hanno solo fatto addormentare. “Così hanno potuto schedarlo.”
“E dagli colla schedatura! E’ una buona cosa allora?”
“Certo che lo è!”
Alex era a bocca aperta. “Vuoi dire che il mio amico non è morto e se la passa bene come voi?”
“Certo. Ha vitto e alloggio garantito.”
“Davvero? Che bellezza! Allora mi faccio schedare anch’io. Ditemi come si fa?”
“E molto semplice, – spiegò papà lupo- vai nel parco, nella parte non cintata, ai piedi della collina. Entri di lì e cominci a passeggiare tranquillamente, facendo finta di niente. Ti metti bene in vista, così le guardie forestali si accorgeranno che sei un nuovo venuto. A un certo punto ti metti bene in posa e vedrai che prima o poi ti spareranno.”
“Mi, mi… spa… spareranno?” Balbettò Alex allarmato.
“Si, – riprese l’altro – ma tu non farci caso. Verrai colpito da una pallottola col sonnifero perfettamente innocua. Ti farà fare un bel pisolino. Dopo aver dormito saporitamente, ti sveglierai con una cimice sulla zampa, come quelle che abbiamo noi.”
“Coosa? Le cimici non le sopporto! Pizzicano dappertutto!”
“Papà lupo rise. “Non sono vere cimici, stupidotto. Si tratta di minuscoli apparecchi che emettono un segnale lampeggiante su un piccolo schermo. Così le guardie forestali tramite questo segnale ti localizzano e sanno dove ti trovi.”
“E a loro che cosa glie ne importa dove mi trovo?”
“Seguono i tuoi spostamenti e studiano i tuoi comportamenti, ignorante! Non sei contento di essere studiato?”
“Non saprei… – borbottò Alex – non capisco tutte queste storie, non so che cosa ci sia da studiare, ma se voi siete così contenti vuol dire che conviene fare così.”
“Certo, – disse mamma lupa – bisogna adattarsi. E’ così che ci guadagniamo il nostro piatto di minestra.”
“Piatto di minestra?” Alex incredulo fece una smorfia di disgusto.
Per tutta risposta i lupacchiotti canterellarono in coro:
“O mangi sto minestrone,
bel lupone, sbrodolone.
O salti nel canale
E mangi uno stivale!”
“Eh, si mio caro, bisogna adattarsi. – disse papà lupo – Ci stiamo abituando a diventare tutti vegetariani. E’ meglio una bella zuppa di ceci che un vecchio stivale indurito. Non ti pare?”
“I minestroni di verdure e le insalatone – sentenziò mamma lupa – tengono lontani gli acciacchi della vecchiaia.”
“A noi piacciono i cavoli a merenda!” Dissero in coro i lupacchiotti.
Alex scosse il capo poco convinto. “Sarà …ma noi lupi siamo carnivori e non riuscirete a convincermi che una zuppa di ceci vale di più un bel boccone di porcellino arrosto.” Ciò detto si allontanò sdegnato brontolando: “Non ho nessuna voglia di adattarmi e di andare in pensione prima del tempo.”
Ma per i lupi carnivori la vita era sempre più dura e sfamarsi diventava sempre più difficile e anche i bocconi nei cestini dei rifiuti incominciavano a scarseggiare. Quasi tutti gli avanzi di cibo venivano riciclati. E Alex era stufo di prendere ombrellate, sentire fischiare e suonare l’allarme ogni volta che si avvicinava a una possibile preda.
E così dopo mille ripensamenti Alex si rassegnò a seguire i suggerimenti dei suoi colleghi e a malincuore si recò nel parco.
“Povero me, cosa mi tocca fare!” Sospirò, mentre camminava avanti indietro impaurito, cercando di avere un’aria disinvolta. L’idea di ricevere una fucilata, sia pure col proiettile al sonnifero, non era per niente piacevole.
Gli uomini che lo stavano osservando col cannocchiale esultarono.
“Guarda, – disse uno – un raro esemplare di lupo denutrito, uno di quelli che pretendono ancora di vivere di selvaggina!”
“Incredibile! – disse un altro –un lupo che crede di essere ancora ai tempi di Cappuccetto rosso!”
“Mamma mia, adesso mi sparano!” Sempre più tremante con le orecchie tese il povero Alex aspettava la fucilata fatale, ma al posto dello sparò udì delle voci che lo chiamavano.
“Hei, lupo! Hei lupo! Ci senti?“
Alex si guardò attorno stupito. “Dite a me?”
“Si, proprio a te. Dobbiamo farti un po’ di domande. Ti andrebbe un bel piatto di pasta e fagioli per tirati su?”
“Ma io sono un carnivoro!” Protestò il lupo con una punta di orgoglio disperato.
“Scordati gli spezzatini e la carne alla brace. Sono un lontano ricordo ormai.”
“Ma… ma… non mi sparate?” Balbettò speranzoso Alex.
“Non farci ridere. Sei troppo conciato. Nelle tue condizioni non faresti del male neanche a una mosca!”
A sentire quelle parole che ferivano il suo orgoglio di lupo, Alex sentì una grande rabbia dentro di sé e mentre gli uomini si avvicinavano, drizzò il pelo e rimase in attesa, pronto ad azzannarli. Mentre questi si avvicinavano, piano, piano cercò di aggirarli per prenderli alle spalle, senza accorgersi che proprio mentre si muoveva furtivo uno di loro lo stava riprendendo con la telecamera.
Fu così che Alex divenne un personaggio famoso: mordendo nel sedere tre guardie forestali. Il filmato andò in televisione e ottenne un grande successo.
“Un lupo dei tempi andati.” Diceva il messaggio pubblicitario. Alex girò altri spot televisivi e partecipò anche a un film dal titolo significativo:“Il ritorno di Cappuccetto rosso”. Per lui la vita divenne meno dura. Venne viziato, coccolato e ben nutrito con carne sintetica in scatola. La stessa carne che portava il suo stesso nome e una sua foto nel barattolo.
Un giorno Alex venne intervistato da una televisione straniera da una bella maialina rosea e appetitosa con un microfono. Accanto a lei c’era una ragazzina cicciottella tutta vestita di rosso con un bel cappuccio dello stesso colore su un ciuffetto biondo, intenta a riprenderlo con una telecamera.
“Allora, Alex, – chiese l’intervistatrice – è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio?”
Un velo di nostalgia scese negli occhi del lupo, mentre si leccava le labbra sentiva irresistibile una indimenticabile, antica acquolina in bocca.
“Mi adatto, mia cara.” Disse con un sospiro lasciandosi sfuggire nello sguardo un lampo di cupidigia.
“Ma perché mi guardi così?” Chiese la intervistatrice.
“Quel suo modo di guardare mi ricorda qualcosa.” Aggiunse la ragazzina vestita di rosso.
“E’ come una storia già vissuta“ Pensò Alex.
“Per guardarti meglio, bambina mia.” Avrebbe voluto dire, ma riuscì a trattenersi.
“Ma perché tieni la bocca così spalancata?” Insistette la sadica intervistatrice, mentre la ragazzina vestita di rosso si avvicinava pericolosamente con la telecamera.
“Per assaggiarti meglio, bambina mia.”Stava per dire Alex che non ne poteva più di trattenersi, ma si fermò appena in tempo, notando il fischietto che la bella maialina e la ragazzina vestita di rosso avevano al collo.
Progetto “Il poeta vola”
Fiabe, fumetti, filastrocche, poesie per tutte le età.
Volume di circa 160 pag.
Con illustrazioni in bianco e nero e a colori, tavole pittoriche, sceneggiature, registrazioni CD e DVD.
Questo libro nasce come esperienza diretta dell’autore con testi, disegni e immagini grafiche e interpretazioni dal vivo.
Tutto ciò, nell’arco di circa trent’anni, a seconda dei casi, ha coinvolto sia un pubblico infantile che un pubblico adulto. Coll’andar del tempo ha finito per prevalere quest’ultima tendenza, alla Lewis Carroll Carroll , per intenderci, notoriamente non confinabile nel pubblico ristretto dei bambini.
Per questo ho adottato per alcuni testi poetici la dicitura “per grandi bambini” per definire una destinazione in realtà indefinibile.
Coll’andar del tempo questa esperienza “mista” si è trasformata come un genere a sé stante, pur mantenendo un riferimento costante a un mondo fiabesco e poetico, più legato però a una forma letteraria di tipo anglosassone. Dove la definizione“per grandi bambini”, appunto, va oltre i “limiti d’età” e le varie “fasce” stabiliti dall’editoria specializzata. Questa non vuol dire contrapporsi alla letteratura per l’infanzia, ma semplicemente affermare un genere artistico diverso.
Più vicino, per intenderci, alla fiaba cinematografica di Tim Burton e ai nonsense di Toti Scialoja. Non a caso, anch’egli pittore e diversamente catalogabile a seconda dei casi.
La varietà delle espressività poetiche non si limita ai nonsense, attraverso diverse forme, si passa dalla poesia narrativa a quella un impropriamente definibile “per adulti”.
La parte illustrativa come quella riferita alla poesia che dà il titolo alla raccolta “Il poeta vola”, si esprime attraverso i canoni della “visual poetry”.
Per quanto riguarda il nonsense e altri generi si passa dal libro d’artista alla interpretazione della “Filastrocca rossa”, valorizzando la molteplicità espressiva dello stesso soggetto.
Tutta l’opera quindi in definitiva è un vero e proprio vario libro d’artista nel senso più esteso della definizione.
* I due disegni nel testo sono di Alberto Mari
“Magnifico! Magnifico!”. Mi metterei a battere le mani come i bambini.
Straordinarie rappresentazioni sia in poesia che in prosa con tutti i giochi linguistici che richiamano all’attualità con una profonda leggerezza (mi ha particolarmente colpito il *tra russi non rossi/che abusi di abissi*). Sarebbe tutto da sottolineare come significativo, perché ogni parola, ogni sequenza accende una allusione, una metafora in una catena multicolore gioiosamente seria; una tragicommedia che la maschera di Arlecchino presenta molto bene.
Complimenti ad Alberto Mari.
R.S.
…Trovo simpaticissima la “Filastrocca rossa” e mi riesce di vederla come inserita in certe scatolette musicali che, aperte, rivelano un interno di teatrino dalle pareti rosse e i personaggini, nelle varie sfumature del rosso, pronti a recitare una storia d’amore con un finale in sarabanda…Tutto in miniatura (tre tempi, tre minuti), anche le montagne russe…Certo sarà allusiva e metaforica, ma verrebbe voglia di tenerla sotto al cuscino, come scaldino…
Questi di Alberto Mari sono testi in prosa e poetici “per grandi bambini” molto belli e rivolti all’infanzia di ogni età…Grazie. L’antifiaba mi ha molto colpito per quel suo linguaggio che pur facendo riferimento alla tradizione delle fiabe sa parlare della nostra spietata realtà: l’essere animale (anche l’uomo) viene snaturato e, se mantenuto nella sua naturalezza, è solo per umiliarlo e farne un fenomeno da baraccone…L’adulto bambino non inganna il bambino con con storie a lieto fine…
Felicità felicità
leggere il bambino
che nel cuore
ancora sta.
Felicità felicità
per rubare
leggerezza in maturità
Resta in fondo
un grande abbraccio
che finisce dentro un sacco
di risate e risatine
di giochi e di fatine
del resto chi lo sa
a qualcuno servirà
per ripetersi da vecchio
la tristezza dentro un secchio
butterò
col bastone mescirò
e poi tutto verserò
nel torrente della vita
finchè morte del cuore
sia aborrita
Grazie per questo intervallo di profonda leggerezza eBravo Aleberto Mari!