di Ennio Abate
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Siamo pronti a combattere», le parole del ministro degli esteri Paolo Gentiloni sono chiare: il governo italiano Renzi-Alfano è pronto ad una nuova avventura militare. Dove? In Libia. E come? Ma naturalmente «sotto egida Onu», nel quadro della supposta legalità internazionale (cancellata dalle tante guerre decise senza e contro le Nazioni unite). E perché? Perché i miliziani dello Stato islamico hanno occupato Sirte, la terza città della Libia 450 km da Tripoli. Con evidente minaccia diretta per l’Italia. Un intervento dunque «preventivo». Con in canna l’aggettivo «umanitario»: la tragedia dei migranti africani in fuga attraverso la Libia, merce di scambio di bande rivali e abbandonati da noi ai cimiteri marini. (Tommaso Di Francesco,http://ilmanifesto.info/pronti-a-combattere-a-chi/)
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Ennio Abate – MARZO 1821 – MARZO 2011
(qui)
E’ più o meno la posizione del M5S (gli ingenui “populisti”) unica in parlamento. Stiamo accendendo la miccia per una catastrofe internazionale?
La guerra delle Nazioni.
Le Nazioni si dividono in macchine pesanti e macchine leggere. Le macchine pesanti consumano Più delle Altre; Quelle leggere consumano poco, vivono di niente, camminano nell’etere e non sprecano Un colpo.
La guerra pesante distrugge tutto Quel che incontra, PERSONE Cose o alberi non ha importanza; la guerra leggera solo le persone, Che Siano donne Uomini o bambini non ha importanza. Chi uccide non ha futuro, chi uccide non ha Passato.
Il presente è saliva e respiro, Il presente è agonia. Così non Si Può Andare avanti. Chi Crede Nella morte Avrà il Suo paradiso, chi non Crede alla morte Vedrà la terra.
Arjuna Pensò “E’ un mondo di pazzi”, ma non lo Disse.
https://mayoorblog.wordpress.com/2015/02/16/la-guerra-delle-nazioni/
SEGNALAZIONE: ORWELL
(Da G. Conserva e Francesca Brencio su FB)
“D’altra parte, non nutrivano per gli eventi pubblici neanche quell’interesse minimo per capire che cosa stava succedendo. L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro integrità mentale. Ingoiavano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano non li faceva soffrire perché non lasciava traccia alcuna, allo stesso modo in cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello […]. Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale propria nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Sopratutto, saper applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso. Era questa, la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate appena posto in atto. Anche la sola comprensione della parola “bipensiero” ne implicava l’utilizzazione […]. La storia era un palinsesto che poteva essere raschiato e riscritto tutte le volte che si voleva” – G. Orwell, 1984
…e speriamo che i nostri ministri ascoltino il monito di B. Brecht che se valeva per madre coraggio al tempo della guerra dei trent’anni, tanto più per noi oggi al tempo delle “macchine pesanti e macchine leggere”: la guerra arricchisce la povera gente solo di lutti…
Il discorso di Calamandrei e la poesia di Luca Ferrieri pure ce lo ricordano: il primo ci parla di “morti viventi” per la loro capacità di ispirare ai sopravvissuti della guerra i prìncipi per una giusta convivenza, il secondo ci parla di “viventi morti per sempre” per le loro scelte che passano sulla testa di tutti e sono contrarie alla vita stessa..
E poi oggi regna, ben orchestrata, quella confusione che ci attorciglia i pensieri, l’aggrovigliarsi e l’invertirsi di realtà e di finzione, che lascia la strada libera ai grandi fratelli…alla Orwell. Davvero deprimente…
Guardare per non capire e vedere la morte per capire l’assurdo potere da esibire
come sempre è stato. Annullare l’intelligenza e la storia. Noi sapremo alla fine solo ciò che vorranno farci sapere e molti moriranno per aver voluto andare oltre questo terribile muro di atrocità.
Non arrendiamoci.
SEGNALAZIONE
Gli incendiari gridano al fuoco
Manlio Dinucci
La guerra che divampa in Libia miete sempre più vittime non solo sulla terra ma sul mare:. molti dei disperati, che tentano la traversata del Mediterraneo, annegano. «Da sotto il mare ci chiedono dove sia finita la nostra umanità», scrive Pier Luigi Bersani. Dovrebbe anzitutto chiedersi dove sia finita la sua umanità, e con essa la sua capacità etica e politica,, quando, il 18 marzo 2011 alla vigilia della guerra Usa/Nato contro la Libia, in veste di segretario del Pd, esclamava «alla buon’ora», sottolineando che «l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra, non l’uso della forza per ragioni di giustizia».
Enrico Letta, che con Bersani si appella ora al senso umanitario, dovrebbe ricordarsi quando il 25 marzo 2011, in veste di vicesegretario del Pd, dichiarava «Guerrafondaio è chi è contro l’intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».,.
Una «sinistra» che nascondeva le vere ragioni – economiche, politiche e strategiche – della guerra, sostenendo per bocca di Massimo D’Alema (già esperto di «guerra umanitaria» in Jugoslavia) che «in Libia la guerra c’era già, condotta da Gheddafi contro il popolo insorto, un massacro che doveva essere fermato» (22 marzo 2011).
Sostanzialmente sulla stessa linea perfino il segretario del Prc Paolo Ferrero che, il 24 febbraio 2011 a guerra iniziata, accusava Berlusconi di aver messo «giorni per condannare le violenze di Gheddafi», sostenendo che si doveva «smontare il più in fretta possibile il regime libico». Lo stesso giorno, giovani «comunisti» del Prc, insieme a «democratici» del Pd, assaltavano a Roma l’ambasciata di Tripoli, bruciando la bandiera della repubblica libica e issando quella di re Idris (la stessa che sventola oggi a Sirte occupata dai jihadisti, come ha mostrato il Tg1 tre giorni fa).
Una «sinistra» che scavalcava la destra, spingendo alla guerra il governo Berlusconi, all’inizio restio (per ragioni di interesse) ma subito dopo cinico nello stracciare il Trattato di non-aggressione e nel partecipare all’attacco con basi e forze aeronavali.
In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili, mentre venivano infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani, e allo stesso tempo finanziati e armati gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi. Tra cui quelli che, passati in Siria per rovesciare il governo di Damasco, hanno fondato l’Isis e quindi invaso l’Iraq.
Si è così disgregato lo Stato libico, provocando l’esodo forzato – e di conseguenza l’ecatombe nel Mediterraneo – degli immigrati africani che avevano trovato lavoro in questo paese. Provocando una guerra interna tra settori tribali e religiosi, che si combattono per il controllo dei campi petroliferi e delle città costiere, oggi in mano principalmente a formazioni aderenti all’Isis.
Il ministro degli esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, dopo aver ribadito che «abbattere Gheddafi era una causa sacrosanta», lancia l’allarme perché «l’Italia è minacciata dalla situazione in Libia, a 200 miglia marine di distanza». Annuncia quindi che giovedì riferirà in Parlamento sull’eventuale partecipazione italiana a un intervento militare internazionale «in ambito Onu». In altre parole, a una seconda guerra in Libia presentata come «peacekeeping», secondo quanto già richiesto da Obama a Letta nel giugno 2013, caldeggiata dalla Pinotti e approvata da Berlusconi.
(il manifesto, 17 febbraio 2015)
SEGNALAZIONE
Democrazia nella comunicazione
Tutto è sempre, per definizione, da fare
Tra chi lacrima e chi sanguina, dobbiamo optare per la terza via, la più pericolosa: guardare negli occhi il nemico. [Marco Dotti]
DA http://www.megachip.info
di Marco Dotti
C’è un’informazione che conta e una che conta molto meno. La prima, in forma di rassegna stampa, orienta i decisori. Non per il suo peso specifico, non per il suo valore o per la capacità di incidere e orientare la cosiddetta “opinione pubblica”. Il suo potere coincide col solo fatto di finire, in forma di rassegna stampa, sul tavolo degli analfabeti che reggono le sorti altrui.
Poi c’è un’altra informazione, “contro informazione” la si sarebbe chiamata non troppi anni fa. Il suo mezzo ideale è il ciclostile. Anche se scorre su ipad o su smartphone, il ciclostile resta alla radice di questa informazione. Ma questa non pesa, al di là della retorica sul numero di lettori. Non pesa, almeno non se l’equilibrio regge.
Noi non abbiamo altra speranza – o meglio: altra via – che far saltare questo equilibrio. Almeno provarci. L’obiettivo, però, è nel mezzo: perché tra questi due emisferi (informazione surrogata a uso di chi decide vs. informazione dinamica a uso di chi non può decidere) si colloca il vero nemico. È la membrana del senso comune, dell’informazione che orienta lo sdegno e la lacrima là dove non c’è più nulla da fare, al solo fine di far credere che non vi sia mai nulla da fare. Invece tutto è sempre, per definizione, da fare.
È la retorica del già accaduto, del già compiuto. Come becchini, si rivolgono alla carcassa ma lasciano indisturbate le jene che si divorano la polpa delle cose, mentre i professionisti di Saturazione&Distrazione vi inducono a lamentarvi per il deserto che voi stessi contribuite col lamento a creare. Attraversare come T. E. Lawrence quel deserto…
Noi non abbiamo altre armi. Non abbiamo altri mezzi. Non abbiamo altri fini perché, per respirare, non abbiamo altro modo che bucare a mani nude la membrana che separa la vita dai discorsi sulla vita. Non abbiamo scelta. Tra chi lacrima e chi sanguina, dobbiamo optare per la terza via, la più pericolosa: guardare negli occhi il nemico. Lì si capisce chi è con noi e chi, invece, opera per vendere anche le anime dei morti (Gogol etc.).
(16 febbraio 2015)
SEGNALAZIONE
Libia, tra tragedia e farsa
17 febbraio 2015
di Cristiano Tinazzi*
http://www.nazioneindiana.com/2015/02/17/libia-tra-tragedia-e-farsa/
I media italiani sembrano completamente impazziti. Articoli che raccontando di tagliagole scatenati e terrore per le strade di Tripoli, ci rendono una versione terribilmente naif di quello che sta avvenendo in realtà in Libia. Un po’ come nel 2011, quando si era un pugno di inviati in Tripolitania e dall’Italia arrivavano notizie pazzesche che, però, non avevano nessun fondamento sul terreno.
[…]
Torniamo ad oggi: uomini armati, dicevamo, occupano alcuni edifici pubblici e una radio. La notizia che viene diffusa dai media italiani è che Sirte sarebbe completamente in mano allo Stato Islamico.
[…]
[Il leghista Sergio] Divina mescola il problema dei migranti con il possibile arrivo di terroristi via mare. Molti non aspettavano che questo momento per criminalizzare i disperati che arrivano via mare. La gara a chi rende più vicino l’Isis è partita.
[…]
La Stampa, in uno degli articoli più insensati e privi di fondamento intitolato Libia, gli italiani: “Tagliagole in strada, è il terrore”, raggiunge il suo apice, raccontando di fantomatiche presenze dell’Isis a Tripoli presto seguita da «bandiere nere dell’Isis a Tripoli» di altre testate radiotelevisive.
[…]
L’Huffington Post pubblica un discutibilissimo articolo sull’impiego dei nostri militari in Libia. Irreale. Chiunque sa benissimo che mandare truppe in un Paese con una guerra civile in atto e che tra l’altro non ha richiesto nessun intervento esterno, non ha nessun senso pratico ed è irrealizzabile dal punto di vista normativo internazionale.
[…]
In ultimo Wired ci regala una perla indimenticabile, paragonando Lampedusa a Kobane, articolo che vi consiglierei di leggere per farvi due grasse risate e capire cosa voglia dire non avere il minimo senso della geografia in questo mare di allucinazioni collettive: «La situazione è seria: l’Italia è vicinissima alla Libia, l’isola è l’avamposto nazionale, è esposta al mare e presidiata prevalentemente per accogliere migranti o disperati; certo non per fronteggiare l’eventuale attacco delle milizie nere. Inoltre in Libia ci sono gli SS-1 Scud, missili sovietici a corto raggio con una gittata che va dai 300 ai 450 chilometri»…
[…]
Per la stragrande maggioranza dei media internazionali Sirte non è caduta in mano all’Isis, anche perché non ci sono stati combattimenti di rilievo. Non ci sono ‘marce’ su Misurata e a Tripoli a parte una lunga sparatoria a Fashloum tra una milizia e dei sostenitori di Haftar non è successo niente di diverso da quello che succede da mesi. D’altronde solo un cretino potrebbe pensare che una milizia, che sia l’Isis o altre, possa «marciare su Misurata» senza problemi, visto che si scontrerebbe con la formazione militare più potente e più agguerrita della Libia.
* L’autore è più volte stato in Libia, a partire dal 2011, come giornalista free lance. Questo articolo è stato pubblicato su Q Code Magazine.
SEGNALAZIONE
Angelo Del Boca: «Il governo è irresponsabile»
— Tommaso Di Francesco , 16.2.2015
Intervista. Parla lo storico del colonialismo sul ruolo dell’Italia nella crisi libica. «L’affermazione del ministro Gentiloni, “Siamo pronti a combattere” e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia. Va coinvolto subito Romano Prodi»
http://ilmanifesto.info/angelo-del-boca-il-governo-e-irresponsabile/
Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, storico del colonialisMo italiano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Gheddafi (compresa una importante monografia, riedita in questi giorni in una versione più completa da Laterza).
Come giudichi l’affermazione del ministro degli esteri Paolo Gentiloni: «Siamo pronti a combattere in Libia…», perché «è uno Stato fallito», sembra spiegare Matteo Renzi?
È una dichiarazione irresponsabile e imprudente. Perché mette l’accento (salvo marginalmente chiarire il solito riferimento all’«egida Onu») proprio ad un intervento militare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Perché un conto è attivare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro combattere con truppe di terra. È una dichiarazione gravissima, perché siamo spinti dentro uno scenario di guerra per il quale siamo inadatti. Basterebbe che i nostri governanti incapaci studiassero un po’ la storia, per scoprire le tante sconfitte libiche che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evocato la ministra della difesa Pinotti. Da inviare contro chi? Su quale fronte?
Renzi, che relazionerà su questo giovedì in Parlamento, sembra ora frenare e parla di «soluzione politica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Berlusconi, lavora ad una «coalizione di volenterosi». Ma la situazione sembra precipitare: l’Egitto del generale golpista Al Sisi, bypassando l’Italia, ieri notte ha bombardato le basi dell’Is a Derna; e ieri mattina la Francia ha chiesto la riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole giocare su due tavoli. Il primo è quello da «protagonista», di una missione militare a guida italiana. Una cosa mai sentita, almeno nel dopoguerra. L’altro è più prudente, viste le difficoltà reali di una tale enormità. Insomma: vabbè, lo facciamo con l’Onu. Che è un atteggiamento più moderato e più spendibile. Soprattutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egiziana ha bombardato le postazioni dello Stato islamico a Derna. Quali reazioni provoca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva militare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situazione politica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa militare egiziana è rilevante, anche se va ricordato che è iniziata da tempo, infatti aveva già bombardato nei giorni scorsi Bengasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appoggia il governo libico in esilio di Tobruk che fa riferimento al generale Khalifa Haftar e al suo esercito. Haftar combatte già a Bengasi contro i jihadisti e sta riabilitando esponenti del regime di Gheddafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza perché se non difende quel confine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che dentro la Libia a cominciare da Tripoli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tripoli è persa. Anche perché il governo legittimo libico, eletto da elezioni suffragate dagli osservatori internazionali, è nelle mani della coalizione Al Fajr (Alba), formazione che va dai Fratelli musulmani alla milizia Scudo di Misurata. Come si ricorderà nel 2013 il generale Al Sisi ha deposto il presidente Morsi, massacrato e messo fuori legge i Fratelli musulmani. E ora le milizie del Califfato puntano alla conquista di Misurata, governata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sembra che, anche stavolta, venga taciuto l’interesse italiano, ormai decisivo, riguardo alle nostre fonti di approvvigionamento energetico?
Questo aspetto invece è fondamentale. Ma Renzi lo tace, anche perché la situazione dell’Eni in questo momento è pasticciata e ingestibile. Dopo gli scandali legati all’Algeria e soprattutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostanzialmente penalizzato l’Unione europea e in particolare l’Italia, visto il disastro della cancellazione del South Stream, il fondamentale mega-progetto di gasdotto europeo. Secondo me in questa fase — e non solo per l’insicurezza derivata dalla guerra per bande ma anche per il mercato stornato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nemmeno un litro di petrolio dai giacimenti libici.
Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale?
È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy? Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gli aerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo «la Libia diventerà una nuova Somalia». È quello che è accaduto. Ora va coinvolto, in una funzione di mediazione internazionale l’alta personalità di Romano Prodi, già inviato speciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua contrarietà alla soluzione militare, e che è visto come interlocutore anche dalle attuali autorità di Tripoli. Subito, prima che sia troppo tardi.
L’intervista a Del Boca nomina gli interessi dell’Italia (e i conflitti di interesse con altri stati europei). Il silenzio di Renzi su questi temi e la propaganda terroristica dei media vanno singolarmente d’accordo verso uno “stringiamci a coorte” e una maggiore penetrazione poliziesca all’interno.
Il silenzio resta
nelle pietre
da scagliare
contro
contro il nemico
dell’altro mondo
dell’altro
corre lungo le sponde
corre
il mare sa
il vicino sa
resta nel silenzio
la forma
di una serpe
che non vuole
uscire
uscire
dal suo caldo sonno
non si odono rumori
solo gente lontana
lontana
dietro uno schermo
dietro
Un anziano cacciatore
dice che si deve
si deve agire
Il giovane
resta marionetta
resta
appesa al filo
L’umanità
una carta sgualcita
riconoscibile
non serve al gioco
Morire
è un po’
come partire.
Emy