di Ezio Partesana
All’amico filosofo
Il linguaggio sembra fatto essere apposta per mentire, nessuna norma grammaticale ha una clausola contro il falso, i nomi sono arbitrari e la sintassi ipotizza senza fremere il reale, il possibile e l’irreale.
Se la proibizione di rendere falsa testimonianza è seria, allora il Linguaggio non rispetta le tavole della Legge, e chi l’adopera si trova in continuazione di fronte a una scelta che non può essere risolta: rinunciare a se stesso o abbandonare la Legge.
Questo significa che la distanza tra linguaggio e ontologia è incolmabile, tranne che nella storia. Solo nella direzione del tempo gli uomini possono avere ragione o torto, ma il giudizio, quale che sia, è espresso in parole povere e l’ascoltatore è lontano. Non credo dispiacerebbe a Lacan se lo chiamassimo “delirante”.
È questa contraddizione – che noi chiamiamo “sintassi” – che separa un ordine da una conoscenza; in linea generale il disvelamento appartiene a tutti, il comando solo al potere.
Avevano dunque ragione i metafisici: il linguaggio è una via di fuga, perché l’Essere non può essere espresso. Ma è anche l’unica condizione affinché ci sia qualcosa per noi, e questa lingua è parlata solo dagli uomini.
Si immagini un tribunale dove ognuno, nonostante le migliori intenzioni, parli una lingua incomprensibile agli altri. La grammatica è salva, la giuria popolare ascolta ma non capisce nulla, l’imputato è allibito. Il giudice ordina alle guardie, perentorio, di ristabilire l’ordine, ma queste non capiscono e si dànno a arrestare chiunque capiti loro sotto mano. I malcapitati rivendicano, naturalmente, i loro diritti, ma in una lingua che nessuno capisce. La Legge assiste impotente, l’essere uguale per tutti non è solo un corollario democratico bensì la sua stessa essenza: esistere significa esistere ovunque, chi è senza parola scaglia la prima pietra.
Nel frattempo si è adunata, fuori dalle mura, una folla di sapienti che spiega, usando solo le mani, quale sia il nome giusto per ogni cosa e come si debba parlare.
Dio, vedendo quel disastro, si commuove e rimette in piedi la Torre di Babele, consentendo che gli uomini parlino l’uno contro l’altro.
Quello che chiamiamo linguaggio è la commozione di Dio.
Nota
Si tratta di un breve stralcio da un saggio in preparazione.
Mi auguro di poter leggere il saggio distesamente.
Anche io, se riesco a venirne a capo.
Grazie per l’incoraggiamento e un saluto.
Solo una interpretazione…Il discorso complesso e figurato sul linguaggio umano mi ha portato a visualizzare i quadri di una sorta di Via Crucis: il giudice, la giuria, le guardie, l’imputato, la folla dei sapienti…infine, per volontà superiore, la Torre di Babele. L’umanità si arrabatta apparentemente intorno a un progetto comune, ma, linguaggio labirintico e menzoniero non permettendo, finisce in uno scontro distruttivo, gli uni contro gli altri armati…
Facile vedervi, insieme a moti altri, l’effetto delle tante guerre passate e in corso: es. l’Ucraina prima e dopo e la indecenza di inalzare bandiere di vittoria sulle macerie…Nessuna trattativa di pace intorno a un tavolo comune, il linguaggio è davvero impotente e perdente…
Interessante, grazie.