di Ennio Abate
Atqaoui, cresciuto anch'egli a Cologno ma poi trasferitosi a Vimodrone, non aveva passato la serata con la ex, a differenza di quanto era emerso all'inizio. Avrebbe usato un coltello da cucina, recuperato all'interno dell'appartamento, nel quale si è introdotto senza che Sofia, andata a dormire dopo le 6, si sia accorta di nulla. In casa c'era anche un'amica della 20enne: anche lei dormiva, all'oscuro del dramma, venendo poi ascoltata come persona informata sui fatti nella Tenenza dei Carabinieri. Poi i fendenti alla gola e la fuga del 23enne, con i vestiti insanguinati, fino a raggiungere il Comando della Polizia Locale di largo Salvo D'Acquisto. Qui, intercettando una pattuglia, si è consegnato e ha ammesso le proprie responsabilità, cosa che ha poi fatto anche in occasione dell'interrogatorio davanti al Pm tenutosi ieri pomeriggio terminato con il fermo di indiato di delitto, venendo poi condotto nel carcere di Monza. (da https://primalamartesana.it/cronaca/omicidio-di-cologno-sofia-uccisa-nel-sonno-dallex-fidanzato-con-un-coltello-da-cucina/?fbclid=IwAR107czAGtr6394K2SCCuJFonEFL3juSFYyoL64rzQ5dvN-nujOobqXGitY)
Sofia Castelli, la giovane uccisa, 20 anni
Povera ragazza… lui non sa cosa gli aspetta quando va in gabbia | nulla assolutamente nulla,vedrai | aspetta qualche anno ed e fuori …questa è la verità!! | non andrà nemmeno in galera perché sono piene | ma cosa gli aspetta secondo te,?? A questi bastardi li manteniamo noi e fra qualche anno sarà fuori. | nulla, perché è più tutelato di noi | Non ci sono parole, solo rabbia! |
Silenzio! Piangete, se ci riuscite ancora. Parlate solo se non avete veleno da sputare!
Che peccato, un bellissimo fiore rescisso ancora nel suo germoglio per mano di un assassino non italiano e non integrato a sufficienza ancora. Il Paradiso a lei e l’inferno in terra e quando sarà anche in cielo, a lui.
Restiamo coi piedi per terra e non rifugiamoci nelle metafore (“un bellissimo fiore etc). C’è stato un assassinio nella nostra città. Questa volta di una giovane donna da parte di un giovane uomo. Su quali basi puoi parlare di un “non italiano e non integrato a sufficienza ancora”? Conosci bene la situazione del giovane assassino?
Io so perché il nonno mi parlò più di una volta di questa brutta situazione della nipote e poi chi ha commesso questo fattaccio, qui a Cologno Monzese oggi è un marocchino che ha dimostrato di non aver compreso la nostra cultura. Degli altri milioni di casi simili non mi interessa.
Si ragiona sulle cose. Dei problemi che vivono i giovani e le giovani in questa città moltissimi adulti o anche vecchi sanno davvero poco. Non so quale fosse la “brutta situazione” della ragazza e per ora non mi pronuncio. L’argomento che l’assassino sia “un marocchino che ha dimostrato di non aver compreso la nostra cultura” sarebbe valido soltanto se nessun italiano avesse mai assassinato una donna.
QUANDO I “NON ITALIANI E I NON INTEGRATI A SUFFICIENZA” ERAVAMO NOI MERIDIONALI
Nella nostra città c’è stato un assassinio di una giovane donna da parte di un giovane uomo. Su quali basi parlate di un “non italiano e non integrato a sufficienza ancora”? E gli assassini di donne avvengono forse solo da parte di non “italiani”? Ma se ce ne sono in tutti i Paesi del mondo? Che c’entra l’essere o non l’essere italiani?
un delitto atroce, anche per l’età della giovane vittima, che non potrà mai piu’ volare insieme ai suoi progetti e sogni…Rintracciare spiegazioni, omissioni, cause sarà il compito della polizia, di pscicologi, di assistenti sociali, purtroppo fuori tempo massimo…e la cultura c’entra, anzi le culture: quella occidentale e quella musulmana, con piu’ aspetti comuni di quanto immaginassimo, per quell’ irrisolto, atavico nodo del rapporto di forza uomo-donna che si instaura quando affetto o rispetto vengono meno nei rapporti. E questo in società di fondo o in superficie ancora patriarcali…un nodo da sciogliere tutti insieme, perchè è un problema complesso
Seleziono questi passaggi in cui si parla di “un non italiano e non integrato a sufficienza ancora” e di “un marocchino che ha dimostrato di non aver compreso la nostra cultura” e da cui si evince che il grande imputato chiamato in causa a fronte di questa terribile storia riguarda la mancata integrazione.
Vorrei tentare di ridimensionare questo ‘mantra’ a cui si ricorre sempre più frequentemente perché sempre più spesso diventa difficile farsi carico di un problema che riguarda non soltanto gli immigrati ma anche i cittadini di tutti i Paesi. Infatti cade giusta la notazione: come se “nessun italiano avesse mai assassinato una donna” in aggiunta a “E gli assassini di donne avvengono forse solo da parte di non “italiani?”.
Si evidenzia dunque il ruolo determinante che avrebbe la (mancata) integrazione e facendo presupporre che dove questa c’è questi delitti atroci non accadono.
Ma di quale ‘integrazione’ stiamo parlando?
Quello che viene da rilevare infatti è l’accento posto su una ‘integrazione orizzontale’, che richiede il rispetto delle regole del paese ospitante, regole che sono più di tipo ‘spaziale’, in cui ognuno avrebbe un ‘posto’ dedicato e a cui si deve conformare trovando un modus di reciproca convivenza – molto idealizzata -. Mentre una Legge – anche lì idealizzata come super partes -, dovrebbe garantire il buon funzionamento di questo tipo di ‘integrazione’ attraverso riconoscimenti formali. Legge che poi, alla luce della realtà – e come è destino di tutte le Leggi in quanto produzione umana e non divina -, non andrà sempre, ovunque e comunque a proteggere i più deboli bensì il più forte: in quanto sarà il più forte che avrà più strumenti per sostenere la Legge stessa. E’ tremendo da dirsi ed è giusto lottare perché vada diversamente, ma per lottare ‘bene’ dobbiamo non essere ciechi di fronte alla realtà concreta e alle problematicità che essa ci presenta. Non ci ha insegnato nulla la storia di quanto accaduto agli indiani d’America (in quel caso erano gli indiani che se ne stavano a casa loro!)?
Pertanto chi è portatore di usi e costumi diversi (anche se non accettabili in un sistema sociale più evoluto) li eserciti pure nei luoghi dedicati. Questa politica riguarda i Paesi più tolleranti (o compiacenti?) ma serve a mantenere uno stato di apparente condivisione. Oltre al fatto che in una società globalizzata come l’attuale l’esistenza di ‘enclave’, o per dirla con termini brutali, di ghetti è sempre più difficile, si pone anche un altro problema. Ed è che gli usi e costumi fanno parte di una specifica cultura (e ciò vale per tutti, ovviamente) frutto di secoli di esperienze di dinamicità oppure di immobilità. E ogni cultura si configura sulla base di strutture interne parte delle quali – più o meno importanti e determinanti -, tendono a radicalizzarsi. Ciò che viene richiamato ad esempio da Annamaria Locatelli quando parla di “un confronto/scontro tra culture: la cultura c’entra, anzi le culture: quella occidentale e quella musulmana, con piu’ aspetti comuni di quanto immaginassimo, per quell’ irrisolto, atavico nodo del rapporto di forza uomo-donna”. E queste radicalizzazioni (spesse volte sostenute da ideologie) sono portatrici di immobilismo ideativo. Da lì non ci si schioda!
Una integrazione più importante, invece, è quella ‘in verticale’ in quanto permette la crescita, l’utilizzo della ragione la quale, pur contemplando la potenza delle forze istintuali, cerca di governarle con gli strumenti che ritiene più opportuni. Una crescita che porti alla consapevolezza, al rispetto dell’altro non trascurando il rispetto di sé stessi. E a dare valore alla vita che oggi è diventata non un valore ma una merce. Ed in effetti che differenza c’è tra il giovane che, a Nola, ha accoltellato a morte un coetaneo per una questione di parcheggio? O altri omicidi tra ragazzi, non sempre stranieri, a causa di futili motivi. Se manca il senso di responsabilità, che non può essere istituito per legge, se viene introiettata la certezza che sei nel diritto qualsiasi cosa tu faccia e pertanto non ci sarà alcuna conseguenza né pena, tutto verrà permesso a qualsiasi latitudine ci si trovi. Si mantiene una condizione di infantilizzazione (facilmente suscettibile a essere manovrata) e si crea un circolo vizioso fra il sentirsi in diritto – a qualsiasi titolo lo si proponga, e infatti viene spesso preceduto dalla locuzione … “io ho dei diritti in quanto appartenente a” (un gruppo, una ideologia, una classe sociale o ad un gruppo politico e l’elenco dei gruppi di appartenenza sarebbe lungo!) e il continuo ricorso protettivo al proprio gruppo di riferimento nei confronti del quale si crea una dipendenza tossica. Ed è quel ‘in quanto’ che, facendo affidamento ad un particolare gruppo, rischia di esentare l’individuo dalle sue responsabilità.
Non è da escludere che le bande giovanili, oggi in proliferazione, proteggano i loro accoliti, o membri come si vogliano chiamare, a prescindere da ciò che un singolo individuo è o fa. E questo va a detrimento della responsabilità individuale in quanto il gruppo non permette la crescita e l’autonomia di pensiero (ogni gruppo, infatti, come le teorie sui gruppi insegnano, farà quadrato attorno ai suoi). Si crea così una condizione di dipendenza infantile tale per cui non è più necessario pensare alle conseguenze di ciò che si fa: tanto ci sarà sempre qualcuno che provvederà più a difendere che a redarguire e mettere di fronte alla gravità dell’operato. Il gruppo inoltre tenderà a minimizzare l’operato dei suoi componenti con il risultato che, tanto più il gruppo è esteso e ramificato, tanto più è forte e tanto più gli esiti di abbassamento culturale sono devastanti.
L’assenza di una visione di processo integrativo in verticale e che permetta una crescita delle parti mature in modo da farle dialogare con quelle più istintuali, rende il tutto molto più difficile. Diventerà sempre più radicale il ‘diritto’ alla difesa ad oltranza della propria ragione di parte, costi quello che deve costare (“Whatever it takes”, non si espresse così Mario Draghi?) e del ‘bene comune’ ci si fa una pippa! In questo sistema, la percezione dell’altro in quanto portatore di vitalità sociale è assente, l’altro è diventato soltanto un mezzo per ottenere qualche cosa o strumento di piacere.
Ma e’ lo stesso il femminicidio di un italiano integrato e quello di un immigrato non integrato? si e no. L’odio per gli altri (i “tuoi”, oppure “quelli che non ti vogliono”) si scarica sugli “oggetti” preziosi che sono le donne. Le donne, sempre belle e giovani, oggetto del desiderio, feticcio della cultura di massa, irraggiungibili per i maschi nostrani e foresti, le donne oggetti luccicanti, invitanti e astratte, deboli e potentissime, possesso da assicurarsi e meta ambita, sono il simbolo della potenza sociale del Mercato e della Disfatta personale. Perche’ il vero soggetto, l’unico, e’ il maschio, che impazzisce, le donne sono astratte, simbolo, immagine. Attraverso la distruzione di una donna l’attacco di lui alla disumanita’ della nostra pseudocultura.
Se fosse possibile tornare ai fondamentali: affetto, generazione, tempo ciclico, starci dentro senza delirare, questi sono i padri, queste le madri…
Ma dove? Quando, come? Siamo in un film, nei film, tutto e’ sceneggiato, la rappresentazione domina e sostituisce tutto. Si puo’ solo lanciare verdure pesanti contro lo schermo e lacerare i manifesti.
Solo che, sono di carne.