di Maria Grazia Calandrone
in Romanesca. Voci e visioni di Roma, Il Labirinto, Roma 2011
Lettura di Marcella Corsi
Arberi
Questi c’hanno ner còre ‘sto fiore che ‘ncomincia
a dì che nun buttano sangue – anzi!
so bboni a sopportà puro li taji
tra li fili
vivi der tronco
e tutte le fratture su li fianchi
quanno je stacchi er frutto
e puro gli sgari
venuti cor fòco
salito ‘na vorta su pe la bianca colonna der fusto come ‘na bandiera de cordojo. Tutto
porta ‘no sdrumo bianco de silenzio
sur primo fiore: proprio lì, ‘ndo la voce
nun passa più.
Mimose e mandorli sò li primi
a sboccià
ma tutti – si li taji – se ricuciono soli come lance
de foje appese co quei cappi stretti a la faretra de li tronchi co quei gran trarci ‘ntorcinati
———————————————————————–[e ‘na corsa freschissima de gambi
e ‘n casino de stami rumorosi ‘ndo trabocca
er pomeriggio, che su la faccia mostra un luccicore
de regazzino: tutti
sò strumenti
pe fà cascà lamine d’oro
su ‘sto monno mutissimo, sò fatti pe innarzà ‘na processione
de croci bianche bianche de corolle e fiaccole de stimme, sò cose
che se sò fatte granni pe dà cose
e pe scordassene. E me lo vojo scordà
come se ‘mbucava
‘a voce tua ner cardo del còre
mio – e me lo scordo
come se regolaveno le frasi
pe marchià cor sangue tuo ‘sto fiore
‘mbriaco de sole.
Tutti l’arberi – ‘o vedi – toccano er cielo co ‘ste giravorte
de rami, che s’avviteno
su de sé
carmi carmi
puro se sò feriti
puro se stanno a bagno ner nerastro e nella cupitudine
de l’inverno. Perciò
mettemose vicini
all’arberi
senza ruminà
male e vennetta, famose semplici
come cinghiali, come la tera: tera
se dovemo fà, sotto ‘sti grandi macchinari da fiore.
Marcella Corsi, Motivazioni della scelta
Arberi è una poesia che soddisfa le mie esigenze sia sul versante estetico che su quello ecocritico.
C’è un’attenzione più che affettuosa – appassionata la direi – riservata agli alberi, ‹‹ ‘sti grandi macchinari da fiore››. Al loro essere, vivi, capaci di sopportare: tagli, fratture (si noti il verbo generalmente riservato ad uomini), ferite da sfregio (sgari), il fuoco. Al loro sbocciare, al loro risanarsi da soli, all’allegrezza rumorosa da ragazzino che sembra traboccare dai loro molti stami, alla luce dorata che fanno cadere su un mondo incapace di parlare (come invece loro, a loro modo, fanno), alla purezza del loro fiorire (stimma = parte del pistillo).
Soprattutto viene messa in rilievo la caratteristica più generosa degli alberi: crescono per dare e poi dimenticarsene.
Nel prosieguo della poesia un ricordo amoroso, che l’autrice dice di voler dimenticare al modo degli alberi, e l’esortazione finale a mettersi vicini agli alberi senza ruminare male e vendetta, a farsi semplici come la terra e gli animali.
Le immagini plastiche ed efficaci utilizzate per dire del mondo vegetale contribuiscono a conferire a questo grande dignità e bellezza e a coinvolgere maggiormente il lettore nell’ammirazione e, si spera, nel rispetto.
Colpisce, entro una cornice di sangue che nella parte finale si tinge di nero, la caratterizzazione in bianco e oro della parte centrale del testo, con implicito effetto di rimando alla ‘sacralità’, alla ‘purezza’ della natura.
L’uso del dialetto restituisce però questi versi così fortemente lirici (anche le cesure degli a-capo accentuano il lirismo con l’alternarsi di versi brevi o brevissimi e versi molto lunghi in corrispondenza di ‘altezze’ nel contenuto) ad una percezione più immediata e domestica, affettuosa ed efficace.
Un testo molto bello, da far conoscere.
Grazie per la commozione. Una grande poesia.
Grazie a anche a Marcella.
I piant a piangen mai
a guarden i noster lacrim
e chi sà se pensen
se san el noster dulur
Nunch podum difendes dal mal
lur in lì a sugutà regalà amur
forse anca per mitigà i noster dulur-
Gli alberi non piangono mai/guardano le nostre lacrime/e chi sa se pensano/se conoscono il nostro dolore/Noi possiamo difenderci dal male/loro stanno lì regalano continuamente amore/forse anche per mitigare i nostri dolori.
Emi
il movimento, il cambiamento, sta dalla parte degli alberi “pe fà cascà lamine d’oro … pe innarzà ‘na processione … toccano er cielo co ‘ste giravorte/ de rami, che s’avviteno/
su de sé” e tocca a noi umani mettersi vicini, semplici come animali e come terra, a raccogliere vita e pace: e non avviene così davvero?
Mi scuso perché forse non va bene commentare una poesia con una poesia, ma è per l’attinenza al tema:
Tornare all’albero
Scrivere: esercizio della mente
bisogno dell’anima, termine ultimo.
Una volta materia scrittoria erano le foglie
pagina ideale su cui fissare un pensiero e tracciare segni;
l’uomo le utilizzava allo stesso modo di come oggi
si distribuiscono segnali lungo le strade; e la strada
era il bosco e nel bosco, selva o foresta, era il mondo.
Scrivo così fogli al posto di foglie
scivolando tra venature nel verso inferiore:
scrivo fogli come foglie.
Misterioso è il fluire.
Il segnale verticale è l’albero, segnaletica del cielo
nella terra radici diffuse tra le pietre. Mi incammino col pensiero
partendo dalla più giovane, radice tenera di vita tenera
per tornare all’albero
mentre ondeggia di ramo in foglia.
Ebbene, di quell’albero
un fulmine potrebbe
trasformarne la scorza in carbone e abbatterne metà
come un confine tra sé e l’altro nel mondo.
Per questo
per quella giovane radice
nessun uomo mai dovrebbe scostare un solo ramo
o mescolare la sua arroganza al verde telo
ma avvicinarsi solo
con la stessa purezza di un bruco
ignaro di diventar farfalla.
Giuseppina Di Leo
(da Con l’inchiostro rosso – Sentieri Meridiani Edizioni, 2012)
…sono passata dalla lettura sul post che riguarda la situazione della Grecia ( ma anche dell’Europa e del mondo) alla lettura ( e ascolto) di questa bellissima poesia sugli alberi di M. G. Calandrone e dei commenti poetici, trovandovi un contrasto così stridente tra il terrore che ci incute il non avere vie di fuga alla tragedia presente o incombente su tutti noi di una guerra distruttiva e l’esempio di umiltà e di forza, di giocondità e di vita che ci proviene dagli alberi, che forse quando pensiamo ad un “noi” che possa resistere o contrastare il nulla dovremmo includere proprio loro. Anzi farci adottare da loro, che conoscono l’arte, ben radicati alla terra, di aspirare continuamente al cielo, di automedicarsi di ferite, di aprirsi a tanti sentieri che si dipartono e convergono nel tronco, donandosi la vita per donarla. I saggi animali lo sanno da sempre e prediligono i boschi…Che sia l’ultima nostra spiaggia?
i commenti che ora leggo mi fanno pensare che possa essere di qualche interesse anche per gli altri un articolo di Michael Pollan (l’autore de Il dilemma dell’onnivoro) che lessi quasi un anno fa su “Internazionale”. S’intitola L’intelligenza delle piante.
L’ho cercato in rete e l’ho trovato. Volevo proporvi l’URL pronto per l’accesso diretto ma non sono stata capace di replicarlo nel modo giusto. Copiando l’indirizzo qui sotto potete comunque accedervi:
http://www.ondamica.it/wp-content/uploads/2014/04/Intelligenza-delle-piante_Internazionale14_20marzo20141.pdf
* Nota.Ecco qui sopra il link che si apre [E.A]
Ringrazio Marcella Corsi per aver segnalato l’interessante articolo di M. Pollan. Scoprire quanto poco sappiamo del mondo che ci circonda, perlomeno ci dovrebbe far riflettere sulle pretese che vantiamo su di esso e sulle offese che molto spesso, il più delle volte senza giustificazione alcuna, continuiamo ad infliggergli.