di Franco Nova
La ragazzina vagava nel bosco apparentemente sperduta, sembrava muoversi a caso, zigzagando, cambiando spesso direzione di marcia. Dietro gli arbusti del sottobosco, e tra il fogliame dei grandi alberi secolari, si intuiva la presenza di tante bestioline che la osservavano senza il coraggio di farsi vedere; e tuttavia pronte a correre in suo aiuto ove si fosse mostrata in seria difficoltà. Anche la ragazzina avvertiva la presenza degli animali, pur se faceva mostra di nulla saperne; del resto era ignara di chi essi fossero concretamente, quali fossero le diverse specie nel bosco presenti. Ne immaginava qualcuna, ma non era interessata a conoscerle realmente.
In realtà, essa non si sentiva affatto sperduta, sapeva anzi bene che avrebbe potuto, in qualsiasi momento avesse voluto, ritrovare la via per uscire da quel luogo umido ed oscuro e fare ritorno tra gli umani, ridandosi alla società da cui, in realtà, era fuggita. Girellava di qua e di là, mutava direzione, come se non ne avesse una, per il semplice motivo che il suo obiettivo non era giungere in un luogo preciso, in cui sostare e prendere possesso di una situazione. Precisamente da questo fuggiva: da una situazione. Voleva mantenersi sempre in cammino, non arrivare mai né in un posto né in una relazione con chicchessia, né nella custodia di un sentimento reale, direzionato.
Era convinta che, solo bighellonando senza una precisa meta, avrebbe sospeso il trascorrere del tempo, il trasmutare di tutte le cose animate e inanimate, l’appassire della meraviglia e della sorpresa. Sarebbe sempre rimasta ragazzina, solo però continuando a girare senza scopo, pronta ad ogni evenienza puramente occasionale, alla quale mai legarsi, anzi fuggendola non appena incontrata. Continuò a lungo nel suo casuale peregrinare. Gli animaletti erano sorpresi nel vederla così apparentemente sperduta e così realmente tranquilla, quasi ignara del tempo che passava, della direzione sicura mai intrapresa.
Passò certo un bel po’ di tempo. Nel suo intimo, senza quasi parere all’inizio, qualcosa s’insinuò e cominciò a suggerirle che, malgrado tutto, il suo corpo sarebbe cambiato: la pelle avvizzita, le gambe più stanche, gli occhi sempre meno acuti nel decifrare il buio del bosco. Alla fine, forse, si sarebbe trascinata con molta lentezza e poi sarebbe caduta a terra rimanendo immota. Qualcosa le prediceva questo destino. Paure improvvise l’attanagliarono per brevi momenti, che si succedevano scalpitando per l’impazienza di farsi ascoltare, superando la scorza della sua testardaggine. Essa respingeva subito l’intimazione di quelli che riteneva puri fantasmi, irrealtà che nascevano solo per il mutare delle ombre nel bosco man mano che procedeva così a casaccio. Non doveva aver paura, l’importante era fuggire ogni stabilità, che avrebbe rappresentato la concretezza di una sosta.
Impossibile accettare la sosta, perché era proprio questa che avrebbe scandito il passare di un certo lasso di tempo, di un periodo reale della sua vita. Era convinta che l’annullamento del tempo dipendesse dal suo indistinto fluire senza un’indicazione qualsiasi, una meta qualsiasi raggiunta e conquistata. Niente conquiste, niente mete, solo il flusso temporale confuso, senza vera memoria di fatti, di avvenimenti. Aggirarsi, aggirarsi, sempre aggirarsi. La prese l’ansia; malgrado tutto, le si presentavano ricordi, fissava maledettamente l’attenzione su singoli punti del bosco in cui era passata e, talvolta, ripassata. Distingueva le cose; no, questo era proprio ciò che non voleva. Se si distingue, il tempo passa, si rischia di fare incontri, di rammemorarli poi e di farne le tappe verso la fine di tutto ciò che esiste.
Non voleva; lei doveva esistere sempre, e per esistere non doveva conoscere nulla, non mai stabilire differenze e somiglianze. Nulla, nulla, solo il fluire e basta. Ad un certo punto, sentì i suoi passi, il loro rumore pur attutito dal muschio silente. I suoi passi! Ed erano distinti, li poteva ormai contare: uno, due, tre….. No, era una tortura, allora era tutto finito, il tempo si riprendeva le sue scansioni, i suoi ritmi; quindi passava, correva verso qualcosa che, lo intuì tardivamente, era la fine di tutto. Crollò e allora cercò a quel punto di tornare veramente sui suoi passi, di uscire dal bosco che ormai malediceva. Era frenetica, rabbiosa, borbottava sconnessa. Gli animaletti temettero per la loro incolumità e decisero di non più mostrarsi per aiutarla. Si era veramente persa; impossibile uscire mai più.
Chi entra oggi nel bosco, vede le sue orme, alcuni sostengono di aver udito la sua voce invocare aiuto. Nessuno l’ha però mai più vista. E’ divenuta leggenda, fiaba, la si racconta ai bambini affinché non si allontanino dalle loro mamme e nutrici.
Triste, incanto,disincanto,cattivo,crudelmente saggio. Nova sa come fare.
Che strana creatura. Nel momento in cui comincia a prendere coscienza di sé (il suono – “rumore”, per Nova – dei passi indica della sua presenza ‘fisica’) lo stato d’ansia la confonde fino a farla perdere, e – PUFF! – sparisce.
Ma, allora, la fiaba rischia di essere storia vera?
Un bravo a Franco Nova!
… il frammento sospeso dell’esistenza di una persona (del suo tempo prima come del dopo lo scrittore non ci dice nulla)…La ragazzina teme la morte a tal punto da optare per una forma di suicidio vivente: sceglie di vivere nel bosco, ma non è interessata a conoscerlo realmente e si muove di continuo per perpetuare la sua immobilità. Spesso i personaggi di Franco Nova sembrano reduci da traumi agghiaccianti, vivono nell’autoinganno e non sanno chiedere aiuto, se non quando è troppo tardi: persino gli animaletti del bosco, depositari di antichi rimedi naturali, si ritraggono spaventati. La ragazzina è giovane ma è come il vecchio fantasma di un castello incantato…E alla fine, come un fantasma, svanisce. Mi chiedo se non è una sensazione che si prova comunque al termine di un’esistenza, quella di non lasciare tracce del proprio passaggio…Se non siamo stati amati e non abbiamo amato, che resta di noi?
Un’altra ipotesi possibile (e terribile), che mi permetto di aggiungere alla tua domanda dei cosa resta, cara Annamaria, è su quando si è incapaci di ricevere. Cosa, anche questa, che traspare dal racconto.
Chi scrive pensa di trasmettere un messaggio (ma talvolta non sa bene quello che sta trasmettendo); chi legge ne raccoglie uno diverso. Non posso qui dilungarmi, non ora almeno. Dico solo che mi sembra di non raccontare veramente, solo di esprimere in effetti stati d’animo, messi in forma apparentemente narrativa, anche perché io sono singolarmente incapace di vera sintesi; sono di genere prolisso e giro intorno alle cose. Sono ossessivo (fin da bambino). E la mia ossessione si accresce, fino all’incubo o quasi, quando prendo atto che non vi sono vie d’uscita possibili. A che cosa? E beh, qui non posso dire proprio tutto. Non volermene Ennio se qui inserisco uno dei miei pezzi ossessivi, che finora nessuno ha letto. Spero ci stia in questo commento
ERA NOTTE FONDA
Era notte fonda. Un inizio usuale e banale. Come ciò che ci si può aspettare in una notte fonda. Un urlo rauco o invece acuto e lancinante, a due passi nell’oscurità o lontano lontano, come fosse risonanza ed eco di grida di un’altra epoca. Potrebbe trattarsi di un accoltellamento o semplicemente del dolore nell’inciampare in un’asperità nascosta dal buio. Forse la sorpresa di trovarsi di fronte l’amante infuriato per l’abbandono; magari semplicemente l’imprecare impetuoso per essersi dimenticate a casa le chiavi ed essersi chiusa dietro la porta. Potrebbe essere un richiamo imperioso per un impegno mancato, oppure lo stupido presentarsi alle spalle di un amico per fargli arrivare un rigurgito di sangue al cuore. E se fosse stato un grido di gioia per l’inaspettato incontro? Un incontro in quell’oscurità? Come riconoscere qualcuno se veramente fosse stata una notte fonda?
Bisognerebbe contraddirsi, dire che era fonda ma non poi tanto da non distinguere una sagoma familiare; un semplice controsenso, imbarcarsi in quella via significa dover accumulare continue inesattezze, approssimazioni lesive della più normale logica. No, la notte era fonda sul serio, nulla era distinguibile da un altro nulla qualsiasi, eguale al primo seppure posto a distanza diversa. Un’altra sciocchezza, il nulla deve essere omogeneo, onnicomprensivo, non essere scomponibile in tanti nulla diversi. Un momento, ho appena affermato che si trattava di un nulla qualsiasi eguale ad ogni altro nulla. Sì, è vero, ma ho anche scritto che si trovavano a differente distanza e quindi erano comunque diversi in qualcosa. Quindi il nulla sarebbe scomponibile in parti, sarebbe possibile affettarlo come la mortadella?
Perché no, in fondo. E’ del tutto senza senso comune, ma non più che il parlare di una notte fonda. Scemenza per scemenza, è lecito dire: la notte era fonda, fatta di un susseguirsi di “non si vedeva nulla”; anzi “nulla di nulla”. Vedete, ecco spuntare un nulla che è parte di un altro nulla che lo comprende in sé. Se posso immaginare il nulla come parte inglobata in un nulla più grande, chi mi impedisce di pensare che la parte si distacchi e diventi un nulla seguito da un altro nulla, il quale è ancora una volta un nulla di nulla, una parte che si stacca e…..insomma ci siamo capiti. E’ esattamente come le scemenze; sono fatte di nulla, eppure non sono mai una soltanto, onnicomprensiva di tutto. Mai è così; una scemenza tira l’altra come le ciliegie. No, adesso non cominciamo anche con le ciliegie perché se iniziamo con il genere frutta possiamo tirare avanti all’infinito. Torniamo sobriamente alla nostra notte fonda. Era notte fonda, finalmente un pensiero fermo, saldo, come quello che afferma: dopo il brutto tempo arriva il bel tempo e viceversa. Ma non è vero per nulla: quando uno muore sarà o brutto o bello o così e così; in ogni caso, dopo non arriva più nessun altro tempo, bello o brutto che sia.
Mamma mia, è chiaro che scrivendo si possono dire tutte le sciocchezze che si vogliono. Quando si vive non è così; le sciocchezze si pagano. Ecco una sciocchezza fra le maggiori; dove e quando chi commette sciocchezze paga? Talvolta magari, ma quante ne fa pagare agli altri? Accidenti, perché è così difficile stare fermi su un pensiero così stabile come: era notte fonda. Mi è venuto in testa di pensare che si sentisse un grido e da lì il pensiero si è via via indebolito, sono cominciate le divagazioni, non ci si è capito più nulla. Adesso proprio basta; nessun grido per favore. Era una notte fonda e rigorosamente silenziosa. Tanto silenziosa che l’uomo, solo, cominciò a sentirsi invadere dal terrore. Benone, anche il terrore ci voleva; così iniziamo qualche altra tiritera. Non ne posso veramente più. E se immaginassi invece una notte luminosa, con un chiaro di Luna da spaccare le pietre? E’ soltanto il Sole che spacca le pietre, altra frase feconda di banalità una dietro l’altra.
Era notte fonda: l’uomo stava in piedi, fermo, trattenendo il respiro, impedendosi di pensare alcunché, di sentire una qualsiasi cosa che lo potesse smuovere da quell’unica certezza: che era notte fonda! Maledizione! Amo tanto i gatti ma perché questo si è messo a miagolare proprio adesso che stavo trovando la saldezza del mio pensare? Sicuramente qualche infame deve avergli dato una pedata o colpito con una sassata. Sono proprio sicuro che fosse un miagolio di dolore? Non poteva essere di fame o magari di semplice richiamo perché si sente solo? D’amore no, è molto particolare e poi non mi sembra la stagione giusta. Per favore, si è trattato di un unico miagolio, adesso c’è silenzio, quindi pensiamo solo che la notte era fonda e basta. In una notte fonda non c’è nulla (e non mi si faccia più divagare con il nulla!), non si pensa nulla, non si muove un passo, non si aggiunge una sola parola in più.
Era notte fonda; e finiamola una buona volta, sono sfinito!
Colgo una sottile ironia in questo pezzo, Nova. In effetti qui c’è la messa in scena di uno stato d’animo, come tu dici, e riesci a descriverlo bene lo stato di angoscia che si associa al “nulla”.
Due passaggi sono quelli che mi hanno maggiormente colpito:
“quando uno muore sarà o brutto o bello o così e così; in ogni caso, dopo non arriva più nessun altro tempo”;
“la notte era fonda e basta”.
eh, certo, sono due passi cruciali, in specie il primo. Non posso farci nulla (“nulla di nulla”): la morte mi scappa fuori da molte parti nei miei “racconti”. Ma non ne ho più tanta paura come qualche anno fa. Sono pur sempre incazzato di durare così poco. E tuttavia, non so bene se mi rassegnerò a diventare proprio vecchio “bacucco”, malandato e privo di desideri. Eh, no, non so…… ma certo è anche difficile decidere di finirla prima. Comunque, vie di uscita non ce ne sono. O decidiamo noi o decide quel farabutto e delinquente comune di nome “Natura”.
Avrei scommesso sulla tua giovane età, Franco Nova. Almeno dai tuoi racconti emerge un tratto incredibilmente ‘esplorativo’, tipico dei giovani.
Sul resto condivido, ma solo in parte, il tuo punto di vista…
(Mi scuso se non potrò commentare ancora, ma sarò assente per qualche giorno.)
scommessa persa, sono il “vecchio bacucco”. Per il momento, lo getto alle ortiche e me ne sbatto dell’età; perché dentro di me non sento nulla di vecchio (“rottame”) come più o meno tutti quelli della mia età. Tutti si sentono l’obbligo di apparire maturi e così perdono ogni spinta all’innovazione, diventano prevedibili, inutili, noiosi, rompiballe emeriti. L’adulto deve certo osservare, controllare, rendersi conto di determinate impossibilità proprio……impossibili. Ma non deve uccidere ogni entusiasmo. Altrimenti, soltanto appesantisce questo mondo già così greve. Verrà in ogni caso il momento della resa dei conti. E allora via da questo mondo di vivi, liberare il campo, non avvelenarlo con i propri umori acidi che vogliono soffocare ogni apertura al nuovo, cioè alla vita, che deve sempre contenere in sé l’invenzione. Il nuovo non dimentica mai il vecchio, non può farne a meno perché lo porta ormai in sé, ben radicato; ma chi si sente solo vecchio non lo capisce, vede ogni novità come semplice tradimento. Che tristezza, si muore prima del tempo.
Uella che forza Franco!
devo dire che il tuo modo di ragionare mi scuote! Avanti allora!
Non è il tempo , ma la paura del suo scorrere che ci fa smarrire e ci sconfigge.
Chi ci circonda e se ne accorge ci abbandonerà, triste, crudele,+ma vero.
Mi sembra molto importante questa morale nel racconto.
P.s.:
La libertà non ha tappe
tutti la vogliono, qualcuno ci prova ,pochi la raggiungono…diceva il grande Marcello Bernardi nel suo “Educazione e libertà”
Non è vero che ci si perde nel presente, nel bosco: questo è solo l’insegnamento, anzi il monito, della fiaba di Cappuccettarossa. Ma è vero che se non si sta un po’ accorti te la fanno subito pagare, e chi te lo fa neanche neanche si rende conto di farti invecchiare anzitempo. Nel presente ti ritrovi, e dove se no?
Complimenti a Franco Nova: muovendosi nell’assurdo (cosa che per certi versi può essere assai liberatoria, anche per chi legge), crea risveglio nella realtà.
Una deliziosa favoletta che, immagino, sarebbe piaciuta all’Heidegger di “Sein und Zeit”.
…Cara Giuseppina e simpatico Franco anch’io trovo in entrambi i racconti una difficoltà intrinseca e profonda a ricevere…ma vissuta con ironia e grande invenzione. E’ vero che la fanciulla per sfuggire alle difficoltà, responsabilità della vita iberna il tempo e finisce in una trappola mortale, è vero che lo scrittore nei labirinti del nulla, che apre come scatole cinesi senza fine, stenta ad arrivare a qualsiasi certezza, come se il suo io fosse spalmato in marmellata…ma Franco Nova non si perde di coraggio, riscrive continuamente la sua storia, abbandona un abito e ne veste un altro…Forse gli manca un unico strumento, ma dal cappello ne tira fuori infiniti altri e, come giocoliere, si (ci) frastorna gioiosamente facendo danzare la sua stessa angoscia…Mi sembra ottimo come sistema per esorcizzare la vecchiaia, e malanni di ogni età, mentre mia nonna lapidaria diceva spesso ” Chi ha pane no ha denti, chi ha denti non ha pane…”, forse però non c’entra niente. Grazie
Cara Annamaria, sì, certo, la riscrittura è un buon antidoto contro di le angosce, Franco Nova poi è bravissimo nel parlarci dello stesso tema senza mai annoiare; la bravura di uno scrittore (ma anche di un poeta) sta proprio in questo saper essere ironico, con la giusta leggerezza, suscitando l’interesse nel lettore evitando la pedanteria.
c’è anche un bel po’ di realismo circa la fanciulla nel bosco: 1) l’irresponsabilità —
femminile in particolare: un po’ di misoginia! 2) la giovinezza come dovere e come eterna possibilità (Berlusconi tornerà in politica? sì, anche se “non è del tutto giovane” litote, attenuazione, eufemismo)
fuori dalla irresponsabilità e dalla eterna giovinezza, il fantasma, la fiaba, l’irrealtà
All’inizio della lettura di questo “stato d’animo/racconto” di Nova ho pensato che la ragazzina potesse essere un’allegoria della poesia. Che insegna a sperdersi e allo stesso tempo a non sentirsi spersi («La ragazzina vagava nel bosco apparentemente sperduta…In realtà, essa non si sentiva affatto sperduta, sapeva anzi bene che avrebbe potuto, in qualsiasi momento avesse voluto, ritrovare la via per uscire»). O a non raggiungere degli obiettivi ponendoseli in anticipo, “a freddo”, per programma: «Il suo obiettivo non era giungere in un luogo preciso, in cui sostare e prendere possesso di una situazione»; « Voleva mantenersi sempre in cammino, non arrivare mai né in un posto né in una relazione con chicchessia»; « Era convinta che, solo bighellonando senza una precisa meta, avrebbe sospeso il trascorrere del tempo».
Poi però mi sono accorto che il racconto è più complesso. Nova al vagare della ragazzina un “obiettivo” l’ha dato: « Era convinta che, solo bighellonando senza una precisa meta, avrebbe sospeso il trascorrere del tempo»; « Era convinta che l’annullamento del tempo dipendesse dal suo indistinto fluire senza un’indicazione qualsiasi, una meta qualsiasi raggiunta e conquistata».
E ho divuto prendere anche atto – l’ha notato bene Annamaria Locatelli nei suoi penetranti commenti – che la ragazzina vaga nel bosco in preda a qualcosa che la turba e l’angoscia, senza neppure poterlo esplorare o entrare in rapporto con le « tante bestioline che la osservavano senza il coraggio di farsi vedere» e persino «pronte a correre in suo aiuto ove si fosse mostrata in seria difficoltà». No, « la ragazzina avvertiva la presenza degli animali, pur se faceva mostra di nulla saperne; del resto era ignara di chi essi fossero concretamente, quali fossero le diverse specie nel bosco presenti. Ne immaginava qualcuna, ma non era interessata a conoscerle realmente». Insomma lei ha un pensiero fisso (e ne è dominata): «lei doveva esistere sempre, e per esistere non doveva conoscere nulla, non mai stabilire differenze e somiglianze. Nulla, nulla, solo il fluire e basta». Non vuole (o non può) trasformarsi o lasciarsi trasformare dal contatto con ciò che incontra (e non vede, non tocca, non vuol sentire e conoscere).
Ci saranno solo animali in quel bosco? E cosa faceva prima di vagarvi? Come vi è capitata? E si accorge veramente di stare proprio in *quel* bosco?
Si potrebbe persino cocludere che, volendo «esistere sempre», non esiste affatto o esiste in una forma bloccata. Perché bighellonare e basta dopo un po’ è un girare a vuoto. Forse una «tortura» peggiore di quella che lei teme di provare se accettasse di sostare, di «stabilire differenze e somiglianze», di «fare incontri, di rammemorarli poi e di farne le tappe verso la fine di tutto ciò che esiste». Di stare in una storia, insomma.
P.s.
Ci sarebbe da fare un’analisi del sostrato filosofico di questo racconto. In quel «Nulla, nulla, solo il fluire e basta» mi pare di intravvedere un aggancio con la filosofia dell’élan vitale di Bergson, che so a Nova ben presente e più in generale con quelle vitalistiche. Eppure il racconto sembra mostrarne quasi la sterilità. Come se per un eccesso di “volontà di vivere” ( e di rifiuto di “razionalizzare”) non si riuscisse a entrare nella vita in cui capita concretamente di ritrovarsi. O mi sbaglio?
…forse il racconto potrebbe anche inscenare l’aspirazione di Eva, la ragazzina, di ripristinare quello stato di grazia e di eternità che caratterizzava la vita della donna e dell’uomo prima di aver visto, toccato, sentito il frutto proibito della conoscenza, secondo il mito…la conseguenza fu la mortalità, quindi perché non fermare il tempo, negandone ogni importanza concreta, storica, confondendo e seminando così l’eterna inseguitrice?…è presente anche in altri racconti di Franco Nova…Le bestioline, in questo caso, potremmo essere noi esseri umani, rassegnati alle dure leggi della terra, che la ragazzina vede ma vuole differenziarsi, dal cui destino mortale prende le distanze… Il tutto però potrebbe dipendere dall’aver sentito troppo da vicino il profumo della morte, nell’infanzia del mondo quando se ne è impreparati…
“Ma non ne ho più tanta paura come qualche anno fa…” ci dice Franco Nova, che affronta in qualche modo anche il problema del fine vita…Grazie per la possibilità di riflettere
Visto che la morte … tira e che Luca Chiarei – guarda le coincidenze! – proprio in questi giorni ha proposto l’argomento del fine vita, anticipo la pubblicazione del suo post. Così abbiniamo la discussione. Cfr. qui: https://www.poliscritture.it/2015/03/12/del-fine-vita-e-dintorni/
no, caro Ennio, non sbagli. Infatti, la ragazzina è l’esatto mio contrario che sono semmai folle nel troppo razionalizzare.
Volevo poi dire due parole, ma sul piano “tecnico”, circa la morte. Mi riferisco alla “dolce morte” concessa in Svizzera. Non è ben organizzata per quanto ne so. Intanto, si debbono superare esami come a scuola per appurare se la volontà di morire è effettiva, profondamente sentita o un po’ abborracciata. E fin qui può andare. Ma dopo, ti mettono certo comodo, ben disteso, con tutti i necessari tubicini ben collegati e se ne vanno. Devi essere tu a scegliere il momento in cui muovere una levetta o qualcosa del genere che dà il via allo scorrimento del “benefico” liquido nella tua vena. Ma siamo matti; proprio roba da svizzeri. E non ho ancora capito se costa 5000 o 10000 euro. Bisogna mettere il consenziente o in una stanza sulle cui pareti scorrono le foto di meravigliosi panorami da “Paradiso”. Io però preferirei un bel film: o uno di Woody Allen o “La grande illusione” o “Quarto potere”, ecc. I miei gusti vanno indietro. Dopo di che, in un momento scelto a caso dagli “inservienti” e senza alcuna mossa che possa essere vista dal morituro, si apre il canale irroratore. Non che lo debbo fare io come quando mi sparo un colpo alla tempia o ingurgito cianuro o mi getto sotto un treno, ecc. Ovviamente, se sono su “La grande illusione”, ammazzo poi io qualcuno se osano dare il via prima della grande scena in cui Erich Von Stroheim taglia l’unico fiore esistente nella fortezza per esprimere il suo dolore, unito al rimorso, quando spira Pierre Fresnay (chi conosce il film sa il perché). In ogni modo, se devono fare scegliere a me quando morire, allora inutile spendere tanti soldi. Si va in garage, si chiude ben bene tutto e si accende l’auto. Il monossido di carbonio ti dà sonnolenza molto dolce, poi ti fa andare nel sonno e di qui….. E fino all’ultimo hai anche la speranza che qualcuno senta il rumore del motore acceso e che va avanti per non meno di un’ora (almeno credo), si insospettisca e così…. ti salvino. O muori oppure, nel caso tu siai salvato, per un po’ di tempo tutti sono buoni con te, ti trattano con i guanti; se hai uno scatto di nervi, si guardano fra loro e si fanno cenno di sopportare. Ecc. ecc. Scusatemi, ma è una fesseria andare in Svizzera. Stiamo a casa nostra; morte e buoi dei paesi tuoi (era donne e buoi, ma è lo stesso).
Non mi sembri pronto per morire, Franco.
Firmato: la Morte
ahahahahhhhhahahahhhhhhhhhhh
ah era quella che aveva suonato un paio d’ora fa. Ma nel video non si capiva gran che; sì, qualcuno vestito di scuro, ma non si distingueva. In ogni caso, non apro mai a queste ore di sera. Ho chiesto comunque chi era, ma borbottava, sembrava un qualche ubriaco. Se ripassa di giorno, qui ho tanti buoni liquori da offrirle o un caffè. Insomma, sono ospitale, però non deve fermarsi troppo perché ho molto da fare, da scrivere, da accudire i miei 7 gatti ecc. Una mezzoretta e quattro chiacchiere; perché il suo lavoro mi interessa, deve essere molto vario e sempre interessante, niente routine. Ai prossimi giorni…….beh anche ai prossimi anni, tanto non va mai in pensione.
Premesso che se era già appassionante vedere supernova viaggiare nel planetario, qui riprodotto , delle sue esplosioni d’animo, da uno stato all’altro, avanti e indietro di ragione con le cose della vita e della morte, ancor più avvincente , quindi fiabesco, diventa scendendo fra gli altri invitati, sedendosi insieme a loro portando le sue sette vite, pardon i suoi sette gatti, con il pi cì , uno per uno, zampa per zampa. Sembra di vederlo, più di un video con Giellegi che ti parla serio serio mentre uno dei suoi gatti se lo sfanculizza assaltandolo davanti alla telecamera. Una magia che succede raramente, tanto più che l’ultimo discorso di questa stella a tutte le altre, dialogo che sarà di fatto sempre il penultimo, è tale da rifiutare in toto la cosidetta “deadline” sia per reazione che soprattutto per azione. Non c’è nichilismo o qualsiasi altro ismo, a dar sostegno ai due stati d’animo e ragione. Basta pensare che la civiltà occidentale e globale, ha dovuto inventarsi una tale urgenza e scadenza, che per eliminarti ti fa credere pure che sei libero di nascere ma anche di morire. La tua cosiddetta scelta passa da un accanimento a un altro , tuttavia ti concedono il lusso di sentirti alla destra o alla sinistra, con tutto un armamentario tipico delle false ideologie del post umano . Suore che ti urlano da una parte o dall’altra della stessa chiesa, che si chiamino suor Binetti o madre Boldrini te le cantano e te le suonano, mentre la cosa più semplice si allontana: andartene su un cucuzzolo fra le alpi o gli appennini vedendo il vuoto in cui si dimenano, peraltro produttivo di voti ed ex voti, per quote vita e quote morte. Rimane nuda , la vita e la morte e entrambe ti dicono di fottertene dei loro profitti, di lasciarli soli con le loro urgenze e le loro fandonie, tradotte sia in destrese che in sinistrese, per un pubblico di target, esche, burattini da dipingere in power point, milestone, time e dead line. Ti fai un’ ecografia e decidi per la vita e per la morte di un uomo fuori dal suo tempo, il piccolo grande uomo che ritorna al futuro di altri tempi, lo vedi vecchio e giovane salutare il becchime e il pollaio. La divisa liberata. Divisioni e liberazioni. La divisa, di colui che porta i valori e che consente un nuovo sangue, scorre al contrario del Le conseguenze dell’amore e l’uomo che non c’era c’è di nuovo, di nuovo a nova.
Brava Ro!
Grazie Ro per poesia, immagini e musica…
Annamaria
Grazie a voi