Vittime tra le righe di un pentagramma

di Alessandra Pavani

Ci sono canzoni che non invecchiano mai, melodie e testi che trascendono l’epoca in cui furono scritti; decennio dopo decennio, vengono riproposte dalle radio alle nuove generazioni, e in chi le ascolta evocano le stesse universali emozioni che scatenarono ai tempi della loro uscita. Viceversa, ci sono canzoni talmente figlie del periodo della loro creazione, inni generazionali, che a distanza di anni non riescono più a comunicare il loro messaggio originario se non a coloro che le vissero personalmente; non è la loro alta/bassa qualità a farle sbiadire, ma le mode che sono cambiate, le tematiche non più attuali, o una debolezza di base che non riesce a tenere il passo col tempo. In questo articolo, però, voglio parlare di quella che può essere definita una terza categoria, che è una sorta di sintesi delle prime due di cui ho parlato: si tratta di canzoni, a volte capolavori, che magari hanno attraversato gli anni senza perdere nulla della loro bellezza, ma che non riusciamo più ad ascoltare con animo leggero come invece facevano i nostri genitori, perché è la nostra sensibilità che è diversa. Probabilmente, se composte al giorno d’oggi, diventerebbero oggetto di dibattiti, di scontri, e provocherebbero una serie di reazioni violente, dall’indignazione all’ostracismo. Sono state scritte decenni fa, ma ci toccano così nel profondo perché, a dispetto del tempo trascorso, sono più attuali che mai: sto parlando delle canzoni che trattano il tema del femminicidio.

Naturalmente è difficile passare in rassegna tutte le canzoni che affrontano questa tematica; sono molte, più di quante sarebbe lecito immaginarsi. Per questo motivo, ne analizzerò tre, di diversa provenienza: “Delilah”, hit del 1968 portata al successo dal gallese Tom Jones, “Lella”, di Edoardo De Angelis e Stelio Gicca Palla, che nel 1971, cantata da Lando Fiorini, vinse il Cantagiro, e “Figlio della luna”, del 1989, del gruppo musicale spagnolo Mecano. Molto diverse tra loro per stile e atmosfera, narrano ciascuna la storia di una donna uccisa per gelosia o per l’incapacità del partner di accettare la fine della loro relazione.

_ “Delilah”_ Celeberrimo pezzo che ispirò numerose cover (ma con testi completamente diversi), “Delilah” fu scritta e composta da Barry Mason e Les Reed. La melodia è orecchiabile e accattivante (anche se richiede un’ampia estensione vocale e ardui virtuosismi al cantante), e può essere ascritta al genere della power ballad, un tipo di canzone caratterizzata da sonorità suggestive e da testi romantici o malinconici; il ritmo di flamenco aggiunge al tutto una musicalità da hit. Qui di seguito riporterò le parole dell’originale e una mia traduzione:

I saw the light on the night that I passed by her window
I saw the flickering shadows of love on her blind
She was my woman
As she deceived me, I watched and went out of my mind

My, my, my, Delilah
Why, why, why, Delilah
I
 could see, that girl was no good for me
But I was lost like a slave that no man could free

At break of day when that man drove away, I was waiting
I crossed the street to her house and she opened the door
She stood there laughing
I felt the knife in my hand and she laughed no more

My, my, my, Delilah
Why, why, why, Delilah
So before they come to break down the door
Forgive me Delilah, I just couldn’t take anymore

She stood there laughing
I
 felt the knife in my hand and she laughed no more

My, my, my, Delilah
Why, why, why, Delilah

So before they come to break down the door
Forgive me, Delilah, I just couldn’t take anymore
Forgive me, Delilah, I just couldn’t take anymore

TRADUZIONE

La notte in cui passai davanti alla sua finestra vidi la luce / E le tremolanti ombre dell’amore sulla sua tenda / Lei era la mia donna / Mentre mi ingannava io guardai e persi la testa

Mia, mia mia Delilah / Perché, perché, perché, Delilah? / Potevo vederlo, quella ragazza mi faceva del male / Ma io ero perduto come uno schiavo che nessuno poteva liberare

All’alba, quando quell’uomo se ne andò con la sua macchina, io stavo in attesa / Attraversai la strada fino a casa sua e lei aprì la porta / Se ne stava là e rideva / Io sentii il coltello nella mia mano e lei non rise più

Mia, mia, mia Delilah / Perché, perché, perché, Delilah? / Così, prima che vengano a sfondare la porta / Perdonami, Delilah, non avrei potuto sopportare oltre

Se ne stava là e rideva / Io sentii il coltello nella mia mano e lei non rise più

Mia, mia, mia Delilah / Perché, perché, perché, Delilah? / Così, prima che vengano a sfondare la porta / Perdonami, Delilah, non avrei potuto sopportare oltre”                         

In questo preciso momento storico che stiamo vivendo, è innegabile che un testo del genere farebbe storcere il naso anche ai più cinici. Non si tratta tanto dell’imperante e castrante political correctness, che forse sta facendo più danni del previsto, quanto invece del sempre crescente numero di femminicidi che si registra non solo in Italia ma in tutto il mondo. Se pensiamo agli ultimi vent’anni, ci accorgeremo di quante cose siano cambiate nel nostro modo di rapportarci agli altri, di comunicare, di percepire la realtà che ci circonda. Una grande quantità di comportamenti che un tempo apparivano innocui sono ora visti con occhio diverso; vecchie usanze o anche semplici modi di dire hanno cominciato a mostrare la corda. E’ nata una nuova sensibilità, prestiamo sempre maggior attenzione alle parole, ma contemporaneamente la società sembra regredire, perché il cambiamento fa paura. Senza tirare in ballo i vari movimenti di stampo femminista, possiamo dire che le donne hanno meritatamente conquistato traguardi importanti, uno dei quali (che dovrebbe essere naturale e scontato ma che evidentemente per molti non lo è) è la liberazione dal predominio maschile; parlavo prima dei cambiamenti che fanno paura: ecco, questa liberazione terrorizza molti uomini, poiché la vedono come una minaccia alla loro virilità e al “ruolo” che si sono auto-assegnati. Rileggiamo il testo di Delilah; forse nel 1968 era considerata una frase romantica, ma oggi non possiamo tollerare che qualcuno dica: “Era la MIA donna”. Ogni persona appartiene solo a se stessa. Questa malsana idea dell’amore come possesso, così mortificante e offensiva, purtroppo è ancora profondamente radicata nella mentalità maschile, e così si verifica un drammatico sfasamento tra quello che è il progresso in atto delle nuove sensibilità e quelle che sono le paure ataviche che per secoli hanno regolato i rapporti tra i sessi. Chissà se sentendo “Delilah” qualcuno, nel 1968, ha pensato con un brivido a cosa può portare una gelosia morbosa, o se la vicenda narrata è stata, per gli ascoltatori, niente più di una storia di normale routine? Comunque sia andata allora, nel nuovo millennio questa celebre canzone è tornata agli onori della cronaca proprio per il suo contenuto violento, non più accettabile. Antefatto: nel 1999 Tom Jones (che, ricordiamolo, è gallese) la cantò prima di una storica partita di rugby tra il Galles e l’Inghilterra, che si concluse con la vittoria dei primi; questo fece sì che “Delilah” diventasse l’inno ufficiale della squadra di rugby del Galles, e lo rimase per anni, più precisamente fino al 2014. In quell’anno, infatti, Dafydd Iwan, che era allora presidente del Plaid Cymru (partito del centro-sinistra gallese), chiese che i tifosi della squadra smettessero di cantare quello che era ormai il loro inno perché in qualche modo banalizzava la violenza sulle donne; quello che desiderava, in realtà, non era vietare la canzone per motivi politici, ma invitare la gente a riflettere sulla vicenda narrata nel testo. “Quello che spero”, disse a The Guardian (la traduzione è mia) “è che la prossima volta che canterete a squarciagola questa orecchiabile canzone, riserverete un pensiero per la povera donna che ‘non ride più’, ed eviterete di provare empatia per il povero stronzo che l’ha uccisa solo perché ‘non avrebbe potuto sopportare oltre’” Nove anni più tardi (nel febbraio del 2023) finalmente la canzone usata dai tifosi come inno fu ufficialmente bandita dalla Welsh Rugby Union. La melodia di “Delilah” rimane ancora, e rimarrà sempre, bellissima e struggente, e le interpretazioni di Tom Jones delle autentiche prove di bravura, ma il testo è stato infine messo in discussione. I tempi, fortunatamente, sono cambiati.

_ “Lella”_ “Lella” è una cosiddetta ballata folk dalle modalità armoniche ispirate a “Saigon Bride” di Joan Baez, composta dal duo Edoardo & Stelio in dialetto romanesco, che conferisce un’atmosfera di miseria e di squallore alla già squallida tematica trattata. Una relazione clandestina tra una donna sposata e un “borgataro”, di cui lei è ormai stanca, e di cui lui invece non tollera la fine. E se in “Delilah” abbiamo l’assassino che, dopo aver compiuto il delitto, versa lacrime di coccodrillo e chiede perdono alla sua vittima, qui abbiamo un colpevole che, a distanza d’anni, non è pentito e non prova alcun rimorso. Qui sotto il testo:

Te la ricordi Lella quella ricca
La moje de Proietti er cravattaro
Quello che cia’ er negozio su ar Tritone
Te la ricordi, te l’ho fatta vede
Quattr’anni fa e nun volevi crede
Che insieme a lei ce stavo proprio io
Te la ricordi poi ch’era sparita
E che la gente e che la polizia
S’era creduta ch’era annata via
Co’ uno co’ più sordi der marito

E te lo vojo di’ che so’ stato io
E so’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
E te lo vojo di’, ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno, tiettelo pe’ te

Je piaceva anna’ ar mare quann’è inverno
Fa’ l’amore cor freddo che faceva
Però le carze nun se le tojeva
A la fiumara ‘ndo ce sta er baretto
Tra le reti e le barche abbandonate
Cor cielo grigio a facce su da tetto
Na matina ch’era l’urtimo dell’anno
Me dice co’ la faccia indifferente
“Me so stufata nun ne famo gnente”
E tireme su la lampo der vestito

E te lo vojo di’ che so’ stato io
E so’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
E te lo vojo di’, ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno, tiettelo pe’ te

Tu nun ce crederai, nun ciò più visto
L’ho presa ar collo e nun me so’ fermato
Che quann’è annata a tera senza fiato
Ner cielo da ‘no squarcio er sole è uscito
E io la sotterravo co’ ‘ste mano
Attento a nun sporcamme sur vestito
Me ne so’ annato senza guarda’ ‘ndietro
Nun ciò rimorsi e mo’ ce torno pure
Ma nun ce penso a chi ce sta la’ sotto
Io ce ritorno solo a guarda’ er mare

E te lo vojo di’ che so’ stato io
E so’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
E te lo vojo di’, ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno, tiettelo pe’ te

Tiettelo pe’ te

Una vicenda sordida, senza poesia, dove si parla di soldi, ambientata in un ambiente grigio e freddo (il mare d’inverno), amplessi consumati in fretta, così, furtivamente; non c’è comunicazione tra i due amanti, solo questo sesso clandestino che finisce per annoiare la donna. Lui è un uomo comune, senza immaginazione, un uomo elementare, istintivo, quasi “primitivo”, che di fronte alla decisione della donna di troncare la loro relazione reagisce d’impulso (ma sta attento a non sporcarsi il vestito, perché potrebbe essere una prova contro di lui, gesto dettato dall’astuzia basilare dell’uomo di strada). E se è impossibile parlare d’amore, è parimenti impossibile parlare di “amore malato, morboso, tossico”; di amore, sano o meno, non c’è la minima traccia. Altrimenti come spiegarsi quest’assenza di rimorsi, questa indifferenza con cui l’omicida torna nel luogo dove ha sepolto la sua vittima? E’ strano, ma sono tanti gli artisti che vollero cantare questa canzone; le due interpretazioni più celebri sono forse quelle di Lando Fiorini e del gruppo Schola Cantorum, ma “Lella” entrò nel repertorio anche dei Vianella, di Antonello Venditti, e addirittura di Paola Turci. Nel 2021, poi, una piccola rivoluzione: a quella che era, nonostante la tematica, una canzone amatissima (non però dalle femministe), il cantautore noto con lo pseudonimo di Er Piotta aggiunse un finale “catartico”. Dopo la frase Io ce ritorno solo a guardà er mare, l’artista romano inserì la seguente strofa:

Sotto questa pioggia inverno che me porta indietro
Sopra ‘sto tereno mollo sabbia gonfia de veleno
Scrivo un ultimo epitaffio in cielo come arcobaleno
Pensavo che era amore, ma non era vero
Cinquant’anni fa ero un pischello e mo so’ vecchio e stanco (e te lo vojo di’)
Dio, se m’ascorti, aprime che sargo
Te pago il conto, manname all’inferno (e te lo vojo di’)
Brucerò nel fuoco eterno, ma senza un rimpianto (senza un rimpianto)

Anche questo è un segno di come la sensibilità sia cambiata; peccato però che Lella non possa tornare in vita, il suo corpo rimarrà per sempre sepolto in quella spiaggia, e alla fine anche lei scomparirà nell’oblìo.

_ “Hijo de la luna”/”Figlio della luna”_ Era il 1989 quando il trio musicale Mecano raggiunse la celebrità nel nostro paese con la versione italiana della loro hit spagnola “Hijo de la luna” (pubblicata, questa, nel 1986, e tradotta nella nostra lingua da Marco Luberti). Composta da José Marìa Cano, incontrò immediatamente il favore del pubblico grazie a tre fattori: la potenza del testo, le sonorità sognanti e quasi “fantasy”, e il fascino della vocalist Anna Torroja. Il gruppo, in quell’anno, fu ospite di numerose trasmissioni televisive, dove presentò il pezzo, e in estate lo portò in gara al Festivalbar; a dispetto della mancata vittoria, si può dire comunque che “Figlio della luna” fu la canzone dell’anno, e ancora adesso conta fior di estimatori che ne apprezzano l’originalità e l’atmosfera da fiaba (per adulti). Di seguito il testo dell’originale, scritto da José Marìa Cano, e sotto la versione italiana di Marco Luberti.

Tonto el que no entienda
Cuenta una leyenda
Que una hembra gitana
Conjuró a la luna hasta el amanecer

Llorando pedía
Al llegar el día
Desposar un calé

Tendrás a tu hombre, piel morena”
Desde el cielo habló la luna llena
Pero, a cambio, quiero el hijo primero
Que le engendres a él

Que quien su hijo inmola
Para no estar sola
Poco le iba a querer

Luna, quieres ser madre
Y no encuentras querer que te haga mujer
Dime, luna de plata
¿Qué pretendes hacer?
¿Con un niño de piel?
Ah, ah-ah-ah; ah, ah-ah-ah

Hijo de la luna

De padre canela, nació un niño
Blanco como el lomo de un armiño
Con los ojos grises, en vez de aceituna
Niño albino de luna

Maldita su estampa
Este hijo es de un payo
Y yo no me lo callo

Luna, quieres ser madre
Y no encuentras querer que te haga mujer
Dime, luna de plata
¿Qué pretendes hacer?
¿Con un niño de piel?
Ah, ah-ah-ah; ah, ah-ah-ah
Hijo de la luna

Gitano al creerse deshonrado
Se fue a su mujer, cuchillo en mano
¿De quién es el hijo? Me has engaña’o fijo
Y, de muerte, la hirió

Luego se hizo al monte
Con el niño en brazos
Y allí le abandonó

Luna, quieres ser madre
Y no encuentras querer que te haga mujer
Dime, luna de plata
¿Qué pretendes hacer?
¿Con un niño de piel?
Ah, ah-ah-ah; ah, ah-ah-ah

Hijo de la luna

Y las noches que haya luna llena
Será porque el niño esté de buenas
Y, si el niño llora, menguará la luna
Para hacerle una cuna
Y, si el niño llora, menguará la luna
Para hacerle una cuna

VERSIONE ITALIANA

Per chi non fraintenda
Narra la leggenda
Di quella gitana
Che pregò la luna
Bianca ed alta nel ciel
Mentre sorrideva
Lei la supplicava
Fa che torni da me

Tu riavrai quell’uomo
Pelle scura
Con il suo perdono
Donna impura
Però in cambio voglio
Che il tuo primo figlio
Venga a stare con me
Chi suo figlio immola
Per non stare sola
Non è degna di un re

Luna, adesso sei madre
Ma chi fece di te
Una donna non c’è
Dimmi, luna d’argento
Come lo cullerai
Se le braccia non hai
Figlio della luna

Nacque a primavera
Un bambino
Da quel padre scuro
Come il fumo
Con la pelle chiara
Gli occhi di laguna
Come un figlio di luna
Questo è un tradimento
Lui non è mio figlio
Ed io no, non lo voglio

Luna, adesso sei madre
Ma chi fece di te
Una donna non c’è
Dimmi, luna d’argento
Come lo cullerai
Se le braccia non hai
Figlio della luna

II gitano folle
Di dolore
Colto proprio al centro
Nell’onore
L’afferrò gridando
La baciò piangendo
Poi la lama affondò
Corse sopra al monte
Col bambino in braccio
E lì l’abbandonò

Luna, adesso sei madre
Ma chi fece di te
Una donna non c’è
Dimmi, luna d’argento
Come lo cullerai
Se le braccia non hai
Figlio della luna

Se la luna piena
Poi diviene
È perché il bambino
Dorme bene
Ma se sta piangendo
Lei se lo trastulla
Cala e poi si fa culla
Ma se sta piangendo
Lei se lo trastulla
Cala e poi si fa culla

Sebbene questa bellissima canzone sia entrata a far parte della storia del pop strumentale e sia conosciuta in tutto il mondo (è stata tradotta anche in inglese, in francese, in olandese, addirittura in finlandese), nessuno sembra mai essersi accorto che tratta di un femminicidio. Sia all’epoca della sua uscita, sia ai giorni nostri, non ha mai sollevato polemiche o causato scalpore; forse perché, come dice il testo, si tratta soltanto di una “leggenda”, o forse perché fin da subito veniamo avvertiti che la canzone è “per chi non fraintenda”. Certo, a differenza delle altre due canzoni che ho portato come esempi, qui veniamo immersi in un’atmosfera magica, fuori da ogni tempo e da ogni spazio, e la vicenda ci appare quindi del tutto slegata dalla realtà. Tra noi ascoltatori e i personaggi della storia c’è una distanza incommensurabile, ciò che viene narrato è accaduto in un altro mondo, o forse non è mai accaduto. E’ una leggenda, d’accordo; dobbiamo quindi leggerla in maniera simbolica, allegorica? L’assassinio fa parte del disegno di questa luna antropomorfa? Eppure l’uomo compie il crimine per gelosia, perché si crede tradito. E’ quindi la solita vecchia storia. La si può raccontare come si vuole, ma alla fine abbiamo sempre un uomo che uccide una donna spinto da una mentalità ormai troppo radicata. Non si può giustificare l’atto con la scusa che si tratta di una leggenda, e che questa gitana assassinata non sia mai esistita. Nemmeno Delilah e Lella sono mai esistite, probabilmente. Ma il delitto permane nel racconto, e si ripete, e si ripete un’altra volta ancora. Ciò che è stato non si può più cambiare, ma si può cambiare il futuro. E la musica ha un grande potere, soprattutto sulla mente dei più giovani; sarebbe bene che si venisse educati all’ascolto, all’analisi dei testi delle canzoni che sentiamo alla radio. Perché non accadano più quelle tragedie a cui ci stiamo quasi assuefacendo; perché un domani Delilah, Lella, e la gitana senza nome, siano libere di amare o di non amare, senza che questo intacchi il loro sacro diritto di vivere.

 

 

Nota di E. A.

Pubblico direttamente sul sito questo articolo inizialmente proposto per POLISCRITTURE SU FB, per aggirare la censura di Facebook  che l’ha classificato come qui si legge:

Non si sa se per il contenuto o per questa foto che l’accompagnava e che ho ripreso a colori da qui:

Elina Garanca as Carmen and Roberto Alagna as Don JosŽ in BizetÕs ÒCarmen.Ó
Photo: Ken Howard/Metropolitan Opera
Taken at the Metropolitan Opera during the dress rehearsal on December 28, 2009.

8 pensieri su “Vittime tra le righe di un pentagramma

  1. I femminicidi sono una questione maschile, comunque rispetto ai legami amorosi che durano i femminicidi sono una infima minoranza. Le donne conoscono la debolezza maschile: la madre si divide tra il padre, i figli fratelli e le sorelle, la donna amata invece è solo tua. Ogni donna lo sa, proprio perchè può essere madre, che può essere autosufficiente perché capace di moltiplicare (e semina i figli nel mondo, cantavano Dalla e De Gregori). Ma l’uomo pelle bruna è solo e sicuro di nulla. Nelle coppie che durano la donna sa questo.

    1. Purtroppo non tutte le donne riescono ad avere figli (per motivi fisiologici o psicologici), e ad ogni modo non parlerei di autosufficienza, dal momento che per concepire ci vuole anche la controparte maschile.

  2. …mi trovo d’accordo con Alessandra, non è possibile esaltare cosi’ la figura della madre incondizionatamente, mettendo le altre donne in categoria B…A contrastare la maternità biologica ci possono essere problemi fisiologici o psicologici, ma puo’ essere anche una scelta consapevole da parte di una donna il suo rifiuto oppure preferire quella dei ‘figli d’anima’ di cui Michela Murgia si sentiva ed era pienamente mamma…
    Mi sembra uno stereotipo che per fortuna ha fatto il suo tempo, imponendo in qualche modo anche all’uomo lo stereotipo maschile …Se poi è nato prima l’uovo o la gallina, quello non lo so…
    Riguardo ai femminicidi, se anche se ne fosse verificato uno solo, sarebbe di troppo…
    Che le canzoni un tempo non lontano ne abbiano parlato, come diffusa realtà di fatto, mi sembra aver sollevato un velo sulla violenza di genere. Soprattutto ballate e romanze, care alle nostre mamme e nonne, ne diffondevano la notizia, venata di un senso tragico sul “destino” amaro delle donne. Percio’ ringrazio Alessandra Pavani

    1. Gentile Sig.a Locatelli, sono io a ringraziare Lei per le Sue belle parole, e per aver condiviso il mio pensiero secondo cui l’essere madre non rende una donna né superiore né inferiore a quelle che, per un qualsivoglia motivo, madri non sono. Grazie.

  3. Non ho scritto di una maternità necessaria! Anche chi, donna, non vuole, o non può, avere figli, sa che una donna può avere figli e, perciò, ha un potere che un uomo non è sicuro di poter avere. La differenza tra i sessi è un fatto reale, e le conseguenze, quelle sì, si notano, tra cui il possesso e i femminicidi. Facevo un discorso in generale: il potere femminile è interno, quello maschile, infatti, è sociale. Dovunque.

    1. Gentile Sig. a Fischer, mi perdoni se non riesco a trovarmi d’accordo con la sua visione dell’ universo femminile. Certo che esiste una differenza tra i sessi, su questo non si discute; tuttavia non penso che la donna possieda un potere maggiore dell’ uomo per il fatto di generare nuove vite, poiché è necessario il seme maschile affinché ciò avvenga (e quindi il discorso si potrebbe facilmente ribaltare asserendo che è l’ uomo ad avere un potere maggiore della donna, in quanto “elargitore” di spermatozoi). Se poi si vuole scendere nei dettagli, obiettando che all’ uomo non è richiesta una grande fatica nel suo contribuire al concepimento, mentre la donna deve portare per nove mesi il “peso” della gestazione (per non parlare di tutto ciò che segue il parto), allora si perde di vista il discorso principale. Mi scusi ancora, questa è solo la mia opinione, e come tale deve essere considerata. Un caro saluto.

  4. gentile Alessandra Pavan, come può un uomo essere sicuro che il figlio è suo? Deve credere alla donna che lo rassicura. Ho detto tutto.

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