Due testi da recitare

di Angela Villa

Sono tratti dalla raccolta “Il mare non esiste”, un monologo per cinque voci e un personaggio. La punteggiatura non soddisfa le regole grammaticali ma indica il tipico modo di parlare dei bambini. Gli “a capo” del testo non hanno la pretesa di essere versi ma pause recitative, momenti di respiro e silenzi, indicazioni per l’attrice.

II VOCE: il cantiere edile
Paesaggio sonoro: un martello batte ripetutamente colpi secchi e ritmici. 

La mia maestra,
quando mi disegno con la faccia bianca e i capelli biondi, 
mi strappa il foglio.
Dice che io non sono così
che la mia pelle è scura 
che devo usare il marrone per la faccia 
e il nero per i capelli. 
Ma la mia faccia non mi piace, 
a me piacciono i colori chiari, 
il giallo del sole e il rosa dei fiori, 
il nero no, 
il nero non lo sopporto proprio. 
Mamma ha messo il nero 
e non l’ha tolto più da quando papà è caduto dall’impalcatura. 
È volato in cielo.
Lei dice così, per consolarmi
ma io lo so che è caduto con la faccia nel fango, 
a testa in giù e senza neanche un grido. 
Papà non gridava mai.
Non è volato. 
Quando si vola, si va su.
Quando si cade, si va giù, si precipita come i sassi. 
Si vive lentamente e si muore in un attimo. 
La mia mamma ha la pelle bianca, 
per questo coloro sempre il mio viso di rosa
ma queste cose la mia maestra non le può capire. 
Però mi vuole bene.
Il pomeriggio prima della fine delle lezioni, 
mi dà sempre un piccolo pacchetto da mettere nello zaino, 
dentro ci mette un panino, un dolce o della frutta, 
lei lo sa che la cena non è mai una cosa sicura nella nostra casa. 
Mi regala anche dei vestiti, quelli che la sua bambina non mette più.
Abbiamo la stessa età. 
A volte mi regala delle bambole, 
a me piacciono quelle bionde con i capelli lisci e lunghi. 
(Silenzio)
Il mio papà lavorava in nero, di nascosto
ma da lassù tutti lo vedevano.
Era alto il mio papà, mamma lo chiamava: il gigante buono. 
Era il più agile, sembrava un equilibrista, 
per questo lo facevano lavorare lo stesso anche senza documenti:
 25 euro al giorno. 
Papà mi aveva insegnato a fare bene le moltiplicazioni. 
Se uno è povero, l’operazione più importante è la moltiplicazione. 
25 per 30 fa 750 euro al mese.
Poco per andare via, poco per restare e vivere senza pensieri. 
Papà mi diceva sempre che le cose cambiano, 
che non bisogna farsi abbattere dalle cattiverie della vita o della gente, 
anche se intorno a te c’è l’autunno, ricordati di conservare l’estate nel cuore.
Lui sognava di essere regolare, con tutte le carte a posto. 
 «Quando saremo più tranquilli, potrò sposarti». 
Pensava di avere chissà quanto tempo davanti. 
Invece in una caduta, il suo tempo se n’è volato via. 
Non è vero che il tempo è uguale per tutti, 
è diverso, soprattutto per noi. 
Il nostro tempo corre veloce. 
In un attimo, arriva la sera. 





III VOCE: la Fabbrica di veleni

Paesaggio sonoro: nebbia e rumori confusi. 
Oggi non sono andata a scuola. 
Nessuno mi ha svegliato. 
Meno male. 
Non avevo studiato la poesia e 
avevo dimenticato pure di fare le operazioni. 
Sicuramente la maestra mi avrebbe messo un’altra nota sul diario 
e chi lo sente a papà. 
«Tu che ti sei messa in testa, vuoi fare la mia fine? Tu devi studiare». 
Io non ho voglia di studiare, a me piace ballare, sono brava. 
Questa cosa mica la dico io, 
me la dice sempre la mia maestra di danza.
Io da grande non voglio fare come la mia mamma: 
fa i servizi tutto il giorno e lava sempre i panni di papà. 
Papà lavora in una fabbrica.
La sera, quando torna, ha la faccia stanca, piena di polvere.  
Si spoglia, si toglie la tuta del lavoro, mamma la mette subito in lavatrice. 
A me mi piace guardare la lavatrice che gira con tutto quel nero dentro 
e l’acqua scura che esce dal tubo. 
Quando torna a casa, mamma gli chiede sempre:
«Com’ è andata oggi? »
A volte non risponde, è troppo stanco. 
Altre volte, quando ha voglia di scherzare, dice:
«Oggi nebbia in Val Padana! 
Certi giorni il fumo è così forte che non vedi manco chi lavora vicino a te». Sorride e le manda un bacio, da lontano però. 
Lui dice che lavora con le stoffe colorate
ma a casa porta solo il nero e il grigio.
I colori se li prende tutti la fabbrica. 
Siede sul divano e accende la tv ma non la guarda veramente, 
sta con gli occhi in un altro posto. 
Forse pensa che doveva fare un altro lavoro. 
Quando si soffia il naso, esce il nero e pure quando tossisce. 
Tossisce forte, io non lo posso sentire, 
mi tappo le orecchie e me ne vado in camera mia. 
Lui non ci abbraccia mai quando torna a casa, ha paura, 
dice che c’ha il veleno addosso, che non lo dobbiamo toccare. 
Ma se ha il veleno perché ci va? 
Ma perché ci va? 
Silenzio
Mamma dice che i soldi non bastano mai, 
che dobbiamo fare i sacrifici, tutti quanti. 
A volte litiga con papà.
Lei vorrebbe andare a lavorare, così almeno lui se ne va dal posto delle puzze. 
Ma papà non vuole:
«L’uomo sono io e tocca a me pensare alla famiglia». 
Poi la prende fra le braccia e le fa fare un giro di valzer. 
Mamma ride, ride… 
È felice quando balla con papà… (accenna passi di danza) 
Io da grande farò la ballerina, 
sarò famosa in tutto il mondo, 
mi chiameranno a ballare in tutti i teatri, 
diventerò ricca e comprerò pure una casa nuova, 
una bella villa ai miei genitori 
con il giardino e tutto il resto, 
come quella del proprietario della fabbrica, 
dove lavora il mio papà. 
L’hanno fatto vedere alla televisione:
hanno intervistato a lui e alla moglie
stavano seduti su un grande divano bianco, 
la moglie diceva che è il nostro benefattore…
così si chiamano quelli che fanno del bene, una specie di eroe. 
Mia sorella mi prende in giro
dice che sono una stupida, 
che gli eroi non esistono. 
Che i veri eroi sono quelli che sudano per poche lire al giorno. 
Questo è vero, il mio papà è un eroe. 
Spesso lo chiamano a lavorare pure di sabato, 
mo’ è un periodo che non ci va 
perché tossisce forte e non sta molto bene. 
Prende tante medicine a volte va in ospedale e 
rimane qualche giorno
ma poi torna, torna…ieri, però non è tornato… (silenzio, siede)
Quando lavorava di sabato, portava soldi in più a casa. 
Allora la sera andavamo sul lungo mare a mangiare prima la pizza e poi gelato. 
Faceva una cosa pericolosa, per questo gli davano quei soldi in più.
Mamma non voleva, diceva che erano soldi rubati
non erano guadagnati onestamente …
Io penso che lo chiamavano, perché lui è il più forte di tutti. 
Il mio papà è alto, è robusto, con certi muscoli…
Nel quartiere lo chiamano “braccio di ferro”.
Solo lui le sa scavare quelle buche profonde 
dove dentro ci mettono i veleni colorati
Tanti colori tanti veleni, nella terra verde.  
Il veleno così non se ne va in giro,
finisce sotto terra 
ma non lo sanno che da lì se ne va nel mare? 
Il mare c’è, ma per noi non esiste.
Qua tutti pensano alla fabbrica, 
pensano che la fabbrica è la nostra vita e 
si sono dimenticati del mare.
Tutte queste cose me le spiega mia sorella, babbo dice che è filosofa. 
Ma con la filosofia non si mangia. 
Papà ripete spesso di non dire a nessuno dei buchi nel terreno vicino alla fabbrica, perché sono cose che non si devono fare, lui le faceva perché se no perdeva il lavoro…
(Silenzio, si alza va verso il fondo, cancella la scritta, la ricopre con la vernice rossa)
Il telefono suona da stamattina. 
Papà non è tornato. 
Mamma al telefono dice a tutti la stessa cosa. 
«Sì... ieri sera. Sì...mesotelioma…sì…domani». 
Io mi immagino che un giorno viene un cavaliere buono… 
Oppure un principe azzurro…
che mette tutte le cose a posto.
Alla gente che soffre, la fa stare meglio e 
a quelli che fanno gli imbrogli, 
per diventare sempre più ricchi, 
li fa diventare poveri come a noi. 
Poi voglio vedere come fanno.  
Mia sorella mi dice che sono stupida, 
che non capisco niente, 
che i cavalieri non esistono 
e nemmeno i principi azzurri
che non verrà nessuno ad aiutarci…
Lei dice che è colpa loro, 
di quelli della casa coi divani bianchi e 
se ne va di là, in camera da mamma… 
Io lo so che ha ragione, 
è proprio così, è colpa loro…
Ma io da mamma non ci voglio andare, 
non guardo mentre piange lacrime e lamenti.  
Io, senza lacrime, a quelli dei divani, gliela farò pagare.  

3 pensieri su “Due testi da recitare

  1. due racconti da recitare, molto potenti: narrate situazioni di sfruttamento e morte sul lavoro di padri da parte bambine, nel pieno del loro candore infantile, speranze, illusioni…eppur segnate da tragedie familiari intollerabili, che alla fine riescono a “tradire” la loro ‘infanzia, risvegliandola alla cruda realtà dei dannati della terra. Difficilmente potranno ritornare a viverla integralmente le bambine, tradite anche dai colori messi in gerarchia razzista …
    Se penso a Rafah ora e la sue infanzie tradite, non ho parole…Ringrazio l’autrice, Angela Villa

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